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La ragazza aspettava.
Seduta su quella panchina, con le mani gelate, tendeva l’orecchio ad ogni voce, ad ogni passo. Avrebbe tanto voluto che venisse.

Ma ormai aveva smesso di illudersi. Aveva imparato che nella vita reale non esisteva il lieto fine. C’era solo la fine. Senza una spiegazione, senza un addio. Finiva, punto. Ed era proprio quel punto che faceva più male.
Sentì dei passi avvicinarsi e il suo cuore cominciò a battere forte. Alzò il viso e la delusione la assalì.
Non sarebbe venuto.
Dopo venti minuti di attesa iniziava a non sentire più le dita, e la testa le doleva per il freddo. Si immaginava la sua voce, le sue mani su di lei, la sua bocca.
Ma erano tutte nella sua testa, e niente le avrebbe tirate fuori.
Illusioni, nient’altro.

Continuava a sentirlo, nonostante lui non ci fosse. Le sembrava di sentirlo ridere, tossire, parlare. Probabilmente stava impazzendo.
Sì, era pazza.

Ancora dieci minuti, poi se ne sarebbe tornata a casa. E lì avrebbe cancellato ogni traccia di lui. Non gli avrebbe permesso di comandare la sua vita a piacimento. Non era un burattino.

Meno cinque.
Se fosse arrivato in quei cinque minuti avrebbe potuto rimediare a due mesi di dolore, lacrime e sangue.
Già, sangue. Quel bastardo l’aveva portata ad infliggersi tagli sul braccio. L’aveva resa un’autolesionista.
Ma se fosse arrivato in quei quattro minuti l’avrebbe salvata. Lei gli avrebbe perdonato qualsiasi cosa.
Tre.
Ormai anche la speranza se ne stava andando. Rimaneva solo il vuoto, il freddo, il dolore.

L’ora era passata, e di lui neanche l’ombra. La ragazza sapeva che sarebbe finita cos’. Non avrebbe dovuto permettere che il suo cuore sperasse di nuovo. Erano tutte bugie. Illusioni. Non ci sarebbe più ricascata.

Addio.