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Autore: AstronautOnTheMoon    07/03/2013    1 recensioni
E' la storia verosimile di una ragazza morta nell'attentato di Bologna.
Genere: Drammatico, Malinconico, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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morta.

Io non so se la mia storia è tale da essere definita triste, e nemmeno se degna di essere detta bella, questo solo tu che leggi potrai dirmelo.

Sono nata più di vent'anni prima del mio ultimo giorno e da quello sono passati circa 32 anni e 7 mesi.

Io sono morta solo perché avevo deciso di seguire il mio sogno di diventare dottoressa.

I miei genitori lavoravano molto per mantenermi gli studi e mi dicevano, che io dovevo solo pensare ad andare bene negli esami. Mio padre lavorava cinque giorni la settimana in una fabbrica dove si lavora il ferro e ormai i polmoni si erano ammalati, l'ultima volta che ci eravamo salutati sulla porta gli avevo detto che sarei tornata a casa con una cura, chissà, forse sono morta perché per quella malattia una cura non c'è e non esiste. Mia madre invece faceva un doppio lavoro, la mattina andava a pulire le case e la sera faceva la cameriera in un pub malfamato di periferia.

L'ultima volta che si siamo salutate si vedeva che voleva piangere dagli occhi lucidi, ma si tratteneva con tutta la forza, mi ricordo i suoi occhi chiari con quelle piccole zampe di gallina che prima non aveva mai avuto e quelle occhiaie nere che mi facevano sentire in colpa ogni volta che le guardavo. Mi ricordo perfettamente i capelli grigi di mio padre spazzati dal vento e con una mano mi salutava, mentre mi allontanavo sull'autobus e l'altro braccio era sulle spalle di sua moglie che mi guardava stranita, e leggevo nei suoi occhi una nota di strana malinconia.

Penso che lei sapesse già tutto, perché le mamme sanno tutto, come quando da piccola andavo con i pattini a rotelle e mi diceva di rallentare che cadevo e dopo pochi passi: ecco un ginocchio sbucciato.

Forse se c'è qualcosa che rimpiango della mia vita è stato non dire mai ai miei genitori che li volevo bene: che li AMAVO, però, penso che infondo i genitori lo sanno che litighiamo con loro, ci insultiamo a volte, ma i nostri cuori restano sempre legati da una catena d'oro invisibile agli occhi.

Comunque, salii sul pullman, con il cuore rattristato e aprii il libro che mi ero preparata da leggere durante il viaggio: Teresino di Vivian Lamarque.

Arrivai presto alla stazioni, scesi e mi avvicinai allo sportello della cassa per prendere il solito biglietto, ormai era la stessa operazione ogni settimana da due anni, le gambe si muovevano da sole e i soldi uscivano automatici dal portafoglio.

Mi ricordo che sperai che ci fosse un treno più nuovo di quello delle ultime due settimane, ma nessuno ascoltò la mia preghiera, così presi quel vecchio treno ed entrai nel primo scomparto libero che trovai. Mi sedetti vicino al finestrino e sperai che ci fosse la nebbia anche se era un afoso agosto, perché amavo quando si formava la condensa sui vetri scrivere cose assurde in una lingua che io sola conoscevo e poi cancellarle subito prima che gli altri seduti intorno a me mi guardassero male.

Quel giorno entrò nel mio scomparto solo un'anziana signora con un aspro odore di campagna che aveva una gran voglia di parlare. Lei parlava, io facevo finta di ascoltare, ogni tanto accennavo qualche sì di consenso ma niente di veramente sentito. Parlava di una disputa tra contadini e sinceramente se ora potessi tornare indietro ascolterei ogni singola parola di quella signora, così avrei almeno evitato che i miei ultimi pensieri in vita andassero a Luca.

Luca era il mio ex-fidanzato, che mi ha mollata per una sgualdrina americana, ma non mi va di pensare a lui anche da morta.

Bologna, forse troppo presto, arrivo e sia io che la donna scendemmo dal treno, guardai rapida l'orologio e vidi che erano le 10:23, pensai che quel treno maledetto aveva ritardato ancora una volta e mi affrettai verso le uscite riservate alla seconda classe. Arrivai nella sala d'aspetto affollata dai “poveri”, vidi un bambino piangere solo nel mezzo della stanza, un cappello verde volare, un cappotto cammello che come me cercava in fretta l'uscita, guardai l'orologio, segnava le 10:25, ormai avevo perso il pullman: non era più necessario correre.
Rallentai il passo e mi avvicinai al bimbo, mi inchinai di fianco a lui e poi, un fischio e dolore ovunque, poi più niente.

È così che sono morta, è così che ho detto addio al mio sogno, in quel tragico 2 Agosto 1980, quella bomba ha deciso di dare un taglio netto alla mia vita, in quello che oggi viene chiamato “Attentato di Bologna”.

  
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