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Autore: Ireth_Mezzelfa    08/03/2013    3 recensioni
La tranquilla vita universitaria di Lucy Callaway entra letteralmente in collisione con quella del fastidioso ed insistente Daniel Baker, ragazzo bello, popolare e, a parere della nostra povera studentessa di arte, insopportabile quanto un parassita. Tra occhi neri, feste di Halloween e cotte per i professori, riusciranno Lucy e i suoi amici di sempre, Noa e Andrew, a vivere in santa pace?
Inoltre chi è che infila nel sacchetto del pranzo della nostra Lucy strani messaggi commestibili?
Genere: Commedia, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Universitario
Capitoli:
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The Bakery


Capitolo IX


Ciao a tutti, cari lettori, sono tornata!
Scusate l'attesa, ma sono in un periodo catastrofico: non ho il tempo per scrivere due parole di fila!
Comunque alla fine ci sono riuscita e ho messo insieme il nono capitolo, spero riusciate ad arrivare in fondo perchè è un po' infinito :)
Se ce la fate, ci vediamo alla fine!




Osservo confusa il depliant e mi concentro sulla scritta rossa in alto: “Centro S. James: per le famiglie colpite dall’alcolismo.”
Guardo nuovamente Noa che mi osserva con espressione neutra.
“Cos’è?” chiedo sconcertata: mi sta proponendo di andare a farmi curare in una specie di centro di recupero? Non ero ubriaca quando ho parlato con sua madre, solo un po’ idiota, ma ubriaca no.
“Mi ci ha portato mio padre, era un centro per i famigliari di chi aveva avuto problemi con le dipendenze. E’ stato utile: c’erano molti giovani e... niente, ti consiglio di guardare la foto.”
Con una mossa brusca gira i tacchi e se ne torna in camera lasciandomi qui con questo coso in mano e un’espressione intontita.
Mentre la porta della stanza si chiude, torno immediatamente a concentrarmi sulla foto, come mi ha appena suggerito la mia coinquilina con quel tono misterioso: ci sono una trentina di adolescenti in posa, tutti sorridenti, scorro lo sguardo sui loro visi cercando di cogliere una qualche faccia familiare e, dopo qualche minuto, individuo in prima fila un’inequivocabile Noa di dieci anni più giovane, ma con gli stessi lineamenti eleganti, i capelli corvini già molto lunghi legati in una treccia e la carnagione scura che risalta in mezzo alle due bambine pallide che ha di fianco.
Sorrido intenerita, ma ancora non capisco il significato di questa foto, così continuo a scorrere i vari faccini finché, all’improvviso, lo vedo.

Non ci si può sbagliare, è assolutamente lui, lì in mezzo alla seconda fila di ragazzini c’è un giovanissimo Daniel Baker che mi fissa con i suoi occhioni verdi da una foto di dieci anni fa.
Resto a fissarlo stordita e senza parole: è proprio lui, non c’è alcun dubbio, anche se ha i capelli un po’ più lunghi, in un taglio a caschetto da bravo bambino e un maglioncino rosso stinto che dubito indosserebbe ora come ora.
Per un attimo mi viene da soffocare una risata per quanto è buffo e tenero-potrei ricattarlo tutte le volte che voglio con questa foto!-, ma l’impulso svanisce non appena ripenso al contesto in cui si trova: se è in questo depliant significa che qualcuno vicino a lui, forse un suo parente, ha avuto problemi di alcool e che questo l’ha colpito da vicino.
Oh merda.
All’improvviso mi ricade addosso il ricordo di quanto sia stata orribile con lui la sera della festa e mi sento ghiacciare dentro.
Gli ho urlato contro, l’ho chiamato ‘figlio di papà’ senza sapere nulla di lui e della sua famiglia.
Brava, Lucy! Complimenti, ti sei meritata il premio di persona più orribile di questo mondo!
Dio santo, cos’ho fatto?
Mi alzo di scatto dalla sedia sentendomi improvvisamente in preda a un febbricitante stato di iperattività: devo fare qualcosa, devo andare da Daniel Baker, devo vederlo ora. Assolutamente.
Mi fiondo in camera mia sempre più agitata, non so cosa mi stia succedendo, è come se il mio corpo si stesse muovendo da solo e nella mia testa rimbombasse un unico pensiero: devo trovare Daniel più in fretta possibile e…e poi?
Mi blocco al centro della stanza tornando improvvisamente in me e lasciandomi cadere seduta sul letto mentre un barlume di lucidità si accende nel mio cervello: cosa pensi di fare, Lucy? Cosa dovresti dirgli? Non sai nemmeno dove abiti…
Però potrei chiedere a Zackary…Zackary! Ma certo! Mi basta andare a casa sua, lui saprà sicuramente dove abita il suo amicone!
Mi sento il cuore in gola mentre apro l’armadio e comincio ad afferrare i primi vestiti che mi capitano sotto mano, mi infilo i jeans più rapidamente possibile per poi accorgermi di aver infilato la gamba sinistra al posto della destra.
“Dannazione, dannazione, dannazione!” esclamo sbuffando scocciata per poi bloccarmi nuovamente.
Non posso piombare in casa di Zackary così! Insomma, è da maleducati!
Rimango di nuovo paralizzata in piedi, al centro della stanza in mutande con i pantaloni in mano e un gran senso di confusione nella testa.
Andare da Zackary solo perché sto delirando in maniera preoccupante sulla salute del mio stalker non è normale, vero? Non lo farai, Lucy, sei una persona per bene, giusto?…Giusto?
“Oh, al diavolo!”



Dlin dlon!
Appena suono il campanello la sensazione di essere una completa idiota in preda a un raptus di follia mi piomba addosso implacabile.
Che diamine sto facendo qui alla porta di un milionario?
Nonostante il mio pessimo senso dell’orientamento sono riuscita a raggiungere casa Van Cortlandt senza sbagliare mai strada e, avendo trovato il cancello d’entrata già spalancato, sono riuscita a entrare indisturbata e a parcheggiarmi dove si era fermato Daniel la sera della festa, vicino alle stalle.
Di giorno la villa è ancora più maestosa, se possibile, e il grande parco tutto intorno mi si presenta in tutta la sua enormità nella luce delle tre del pomeriggio e mi fa sentire ancora più piccola e stupida di quanto non mi senta già in questo momento piuttosto irreale.
Perché non sono rimasta a casa? Perché ultimamente il mio istinto prevale decisamente troppo sul mio buonsenso? Rischio addirittura di arrivare in ritardo da Kite e Fielding, è un disastro!
Non faccio in tempo a rendermi conto che se corressi davvero veloce forse riuscirei a fuggirmene a gambe levate verso macchina, che la porta si apre all’improvviso presentandomi davanti  la figura nobile e impettita di Javier, il pingui…maggiordomo.
“Buongiorno Signorina Callaway, si accomodi, prego.”
Per qualche secondo resto interdetta e completamente shockata dalla memoria stupefacente di quest’uomo che ricorda il mio nome già dopo una sola presentazione, poi mi riscuoto e salgo esitante il gradino che mi manca per varcare la soglia.
“Salve signore, hem, io volevo solamente…” inizio io stringendomi nelle spalle intimidita dallo sfarzo che quella casa trasuda anche durante il giorno.
“Prego, mi dia il cappotto.” Mi interrompe Javier afferrando delicatamente la mia giacca e sfilandomela come in un gioco di prestigio, senza lasciarmi il tempo di oppormi o di accorgermi cosa stia succedendo.
“Sì, ecco io non mi volevo fermare per molto! Cercavo solamente Zack...cioè il signor Zackary, sa…” balbetto mentre l’uomo, con la grazia più convincente mai vista al mondo, mi spinge cortesemente verso la stanza attigua: un salottino con un parquet scuro e lucidato a dovere, un tappeto sui toni del rosso dall’aspetto sofisticato e delle poltroncine color crema che sembrano accoglienti e sofficissime.
“Si accomodi pure qui, il signorino Van Cortlandt la raggiungerà a breve. Il piano bar è a sua disposizione, naturalmente.” Aggiunge poi il maggiordomo indicandomi una specie di carrello pieno di bottiglie di vetro colorate, per poi scomparire dalla stanza lasciandomi sola.
“D’accordo! Ma veramente…”
Le parole mi muoiono in bocca perché il mio nobile amico pinguino dalla memoria d’elefante se n’è già andato ed io sto per morire dall’imbarazzo nel sapere che tra pochi minuti mi si presenterà davanti Zackary e io rimarrò lì come un tonno a boccheggiare frasi sconclusionate su Daniel Baker.
Hmm, quanti animali in una sola frase.
Oddio, devo tornare in me! Scappare dalla finestra è un opzione condannata dalla società? Dalla società Van Cortlandt di sicuro, credo.
Un rumore di passi attutiti dalla moquette che sta all’ingresso mi risveglia dai miei pensieri da fuggitiva e spezza ogni mia speranza di darmela a gambe.
“Lucy Callway, buonasera!”
Alzo lo sguardo su Zackary e noto subito il suo sorriso un po’ inquietante su quel viso dall’espressione gelida dovuta forse ai suoi occhi azzurro ghiaccio.
Porta un dolcevita blu e dei pantaloni beige che si intonano meravigliosamente con quella sua aria da giovanotto rampante che sta per andare a farsi due tiri a golf, non troppo ingessato, ma sempre elegante.
“Ciao Zackary! Hem, io…” lo saluto io alzandomi in piedi a disagio e sentendomi avvampare dalla vergogna…come glielo chiedo senza essere presa per una disperata?
“Sì, ecco io cercavo…”
Mi rendo conto di balbettare e per un momento vorrei tanto che non se ne stesse lì impalato a fissarmi con quell’aria di superiorità e dicesse qualcosa per interrompere i miei pietosi tentativi, perché di sicuro non mi sta rendendo le cose più facili!
E dai, Lucy, non farti intimidire da questo bamboccio dai capelli platinati, vai al punto!
Mi schiarisco la voce e metto su la mia faccia tosta migliore: “Volevo chiederti dove posso trovare Daniel Baker.”
Il sorriso del ragazzo si amplia ancor di più ricordandomi quello di uno squalo che pregusta già la sua preda: vittorioso e molto, molto soddisfatto.
Oh mamma, chissà cosa starà pensando?
“Vieni con me.” Dice all’improvviso dopo qualche secondo di silenzio e voltandosi di scatto verso l’ingresso.
Io lo guardo spiazzata e mi ritrovo a inseguirlo trotterellando per star dietro a quelle due pertiche che si ritrova al posto delle gambe senza capire cosa diamine abbia in mente.
“Zackary, hem, io me ne vado anche subito, avevo solo bisogno di un’informazione, ma se è un problema io…Ma dove stiamo andando?”
“Non preoccuparti, vieni.” Risponde semplicemente lui avviandosi verso il piano di sopra e salendo le scale che avevo percorso anch’io insieme a Daniel la sera della festa.
“Ma...Zackary!” gli corro dietro io cercando di non sembrare troppo stizzita dal suo comportamento da lord misterioso e sperando di non perdere troppo tempo con questa storia.
Per un attimo mi torna in mente il fatto che era stato Zackary a dare a Daniel le chiavi per il planetarium allo scopo di ‘intrattenere qualche ragazza’ e per un attimo mi sento un pochino in trappola…dopotutto io questo tizio non lo conosco granché bene.
“Zackary, dove stiamo andando?” domando nuovamente mentre, terminata una seconda rampa di scale, ci dirigiamo verso un corridoio sul lato opposto della villa rispetto alla Sala delle Veneri.
Forse stiamo andando nel suo studio a prendere, che ne so, il biglietto da visita di Baker - non mi stupirei ne avesse uno-, forse rispondere a queste domande a voce è fuori moda tra i nobili snob.
Zackary non apre bocca e continua a camminare svoltando un angolo e facendomi ritrovare in un altro corridoio dall’aspetto meno lussuoso: i muri sono tappezzati con una fantasia su dei toni chiari, i pavimenti di un parquet rossiccio dello stesso colore delle tre porte chiuse che mi fanno pensare alle stanze di un albergo.
Osservo il padrone di casa avvicinarsi a una delle porte e prepararsi a bussare, voltandosi prima nella mia direzione: devo avere un’aria stranita perché non capisco ancora cosa abbia intenzione di fare e sono piuttosto arrabbiata ora come ora.
“Cavoli, Zackary! Mi vuoi dire dove mi stai portando?!” sbotto riempiendo lo spazio che ci distanzia e parandomi davanti a lui cercando di apparire minacciosa pur arrivandogli a malapena al petto.
Lui mi sorride ancora e stavolta sembra essere leggermente meno spaventoso, un po’ meno gelido del solito, ma non riesce comunque a calmarmi.
Apri quella bocca e dì qualcosa, stupido riccone dei miei stivali!
Ma non faccio in tempo a scagliarmi di nuovo contro il mio biondo accompagnatore che, con un colpetto deciso delle nocche, lui bussa alla porta e, senza aspettare risposta dall’altra parte, la socchiude.
“Daniel? Hai visite.”

Credo di aver smesso di respirare.
E di muovermi,  e di parlare e di pensare.
Daniel? Qui? Adesso?  Questa coincidenza proprio non l’avevo prevista.
“Davvero? Chi è? Dai, entra!”
La voce di Daniel dall’altra parte della porta mi fa sobbalzare: oddio, è davvero lui. Cosa ci fa qui? E ora cosa gli dico? Con quale scusa posso…

Senza potermi opporre, Zackary apre con slancio la porta costringendomi con il suo corpo ad avanzare di un passo verso l’interno.
La prima cosa che noto è Daniel che mi guarda con un’aria piacevolmente stupida disteso comodamene su un letto, con la schiena appoggiata alla testiera e un computer portatile posato in equilibrio sulle gambe.
Non l’ho mai visto in tenuta casalinga e la cosa un po’ mi spiazza, nonostante l’abbia visto persino in costume, è come invadere un suo spazio che non mi appartiene: ha una maglietta grigia con uno scollo a V e dei pantaloni della tuta scuri, i capelli sono scompigliati e il viso un tantino assonnato.
Per distogliere lo sguardo dalla sua faccia fin troppo contenta, mi do rapidamente un’occhiata attorno: è una stanza piuttosto grande e spaziosa illuminata da una grande finestra, i mobili in legno chiaro sono semplici e comprendono una scrivania con qualche libro sparpagliato sopra, una libreria, e il comodino accanto al letto.
Sembrerebbe proprio la tipica camera da letto di un ragazzo, ma sarebbe assurdo, insomma, non può  certo abitare qui, probabilmente è la sua camera degli ospiti personale provvisoria, gentilmente prestata dal suo amichetto inseparabile.
“Vi lascio soli, a dopo!” Ci saluta l’amichetto in questione riportandomi alla realtà e chiudendo la porta alle sue spalle, lasciandomi in balia di Baker.
“Ciao Zack!” esclama Daniel senza smettere di sorridere in un modo che non promette per niente bene e chiudendo lentamente il suo pc per poi appoggiarlo sul comodino.
“Allora Lucy” inizia poi rivolgendo il suo sguardo verso di me inarcando le sopracciglia e trattenendo a stento la soddisfazione che gli luccica negli occhi “l’avevo detto che prima o poi saresti stata tu a seguirmi.”
Sbuffo infastidita al suo sorrisone malizioso e infilo le mani nelle tasche dei jeans stringendo tra le dita il depliant che mi ha portata fin qui: come posso affrontare questa faccenda così come niente fosse?
“Non ho intenzione di appiccicarmi come una sanguisuga come hai fatto tu, Daniel, non emozionarti troppo!” borbotto senza troppa convinzione mentre lui mi fa cenno di sedermi accanto a lui sul letto battendo una mano sul materasso.
“Dai, siediti!”
Sospiro rassegnata e seguo il suo consiglio accomodandomi sul bordo del letto, cercando di non sedermi troppo vicina al mio stalker esaltato.
E’ strano averlo così vicino in carne ed ossa, tranquillo e beato, dopo questi due giorni di preoccupazione per lui: sembra che non sia successo niente, sembra che la sera della festa e tutto il resto non sia mai avvenuto.
Lui infatti mi continua a fissare divertito dal mio imbarazzo e per niente infastidito.
“Dai, piantala di guardarmi così.” Mugolo io incrociando le braccia scocciata pur rendendomi conto che sono io quella che è piombata in camera sua senza preavviso…cavoli, non so proprio come gestire questa situazione!
“Bèh, sono sorpreso di essere riuscito a portarti a letto così facilmente, lasciami godere il mio momento!”
“Sì bèh, sono una ragazza facile, dovresti saperlo.”
“Vedo! Allora mi spoglio io o inizi tu?”
Mi volto per tirargli un piccolo schiaffetto sulla gamba mentre lui continua a ghignare impassibile alla mia reazione manesca.
“Bèh, come stai? Ti sei ripresa dalla festa?” domanda poi, soddisfatto di essere riuscito a rompere la barricata di silenzio che mi circondava tre secondi fa.
“Sì, sono sana e salva. E tu?” chiedo a mia volta cercando di non dare troppo peso alla mia domanda ed evitando di fissarlo negli occhi: non voglio ricordargli il momento più spiacevole della serata, quelle mie urla da pazza mi fanno ancora arrossire dalla vergogna.
“Sto benone, ci vuole più di una festa per abbattermi del tutto!”
Alla sua risposta torno a guardarlo: i suoi occhi verdi scuro ammiccano nella mia direzione, rassicuranti e privi di qualsiasi traccia di brutti pensieri.
Sorrido nervosamente anch’io tamburellando con le dita sulle ginocchia e riflettendo su come fare per affrontare l’argomento depliant…è davvero necessario? E’ davvero necessario rischiare di turbarlo per una mia curiosità? Perché voglio sapere così tanto cosa ci fa in quella foto? Non sono affari miei dopo tutto…
“Lucy, perché sei venuta?” domanda lui con voce all’improvviso più bassa e seria, posando la sua mano sul mio ginocchio e avvicinandosi un pochino per puntarmi addosso uno sguardo diretto e penetrante.
Probabilmente si aspetta che io sia venuta per ben altri motivi dato il suo improvviso cambio di tono che è diventato, come dire, un tantino più seducente.
Lo scruto mordicchiandomi preoccupata il labbro sapendo di doverlo contraddire prima che si illuda troppo: spara fuori la verità, Lucy. Mostra la tua vera natura di colossale impicciona.
“Hai presente la mia amica…la mia coinquilina Noa?” comincio io sentendo il mio cuore accelerare i battiti mentre lui annuisce “Bèh, lei ha vissuto per un certo periodo con sua madre e suo zio che aveva problemi d’alcolismo…”
Indago sul viso del mio interlocutore per cogliere una qualsiasi traccia di tensione, ma Daniel mi ascolta con aria concentrata, anche se sembra un tantino confuso dalle mie parole.
“Ecco, lui picchiava sua madre e sua madre non cercava mai di opporsi, anzi lo difendeva sempre e non era una bella situazione per Noa, come puoi immaginare.”
Daniel annuisce nuovamente con aria comprensiva, ma un ancora senza capire…ovviamente non sa perché diamine io stia parlando di Noa e della sua famiglia!
Arriviamo al punto, va!
“Comunque alla fine lei ha superato la cosa, è andata a vivere con suo padre e ora ha me come coinquilina quindi…”
“Dalla padella alla brace!” ride lui  accennando un sorriso che io ricambio con un’alzata di spalle.
“Sì bèh, insomma ora sta bene però è dovuta andare in una specie di centro di recupero e…insomma, prima mi ha dato questo.”
Estraggo piano piano dalla tasca dei pantaloni il depliant e trattenendo il respiro glielo allungo titubante studiando ogni sua espressione: ormai la frittata è fatta.
“Cos’è?” chiede Daniel rigirandosi il foglietto tra le mani e bloccandosi improvvisamente alla vista della scritta e della foto: preoccupata osservo il suo viso indurirsi, la mascella irrigidirsi e lo sguardo farsi vacuo e privo d’espressione.
Deglutisco impaurita dal suo silenzio e dal lieve tremore che ha preso le sue mani e che fa tremolare leggermente la brochure, la pelle delle sue guance è impallidita molto e il pensiero che possa avere un altro attacco di panico mi mette improvvisamente in allerta.
“Daniel?” Bisbiglio sporgendomi verso di lui e toccandogli un braccio senza ricevere alcun cenno in risposta se non sentire un tremito più forte attraversargli tutto il corpo e il respiro farsi più difficoltoso.
Oh mio Dio, no! Non di nuovo!
Senza ben sapere cosa sto facendo mi lancio addosso a lui stringendolo forte e spingendo la sua testa sulla mia spalla premendo una mano sui suoi capelli, come a proteggerlo dal mostro che lo sta attaccando dall’interno.
Lo sento tremare abbandonato contro il mio petto mentre percepisco il suo respiro caldo e intermittente contro il collo e non riesco a far altro che continuare a stritolarlo contro di me come un bambino, sperando che tutto finisca.
“Shht, shht…” riesco a biascicare cullandolo piano avanti e indietro e sperando che in qualche modo possa servire a qualcosa, a calmarlo, a farlo tornare sereno.
Forse dovrei chiamare qualcuno, ma ho l’irrazionale sensazione che se lo lasciassi anche solo un secondo, potrebbe peggiorare tutto ancora di più, o forse sono semplicemente spaventata e in balia del danno che ho combinato.
Che ti ho fatto, Daniel? Cosa devo fare per rimediare!?
“Va tutto bene, Daniel, shht…” continuo con il cuore in gola e la voce strozzata rendendomi conto di non essere per nulla rassicurante, ma notando che i respiri si fanno lentamente leggermente più regolari.
Passo cautamente su e giù una mano sulla schiena di Daniel e mi accorgo di quanto sia calda la sua pelle anche da sopra la maglietta, forse in occasioni del genere sale anche la febbre, o qualcosa di simile? Dovrei toccargli la fronte, ma non oso spostarmi per non disturbarlo, dato che ho l’impressione che stia tremando sempre meno…forse sta passando…
Appoggio piano la mia guancia sulla sua spalla e restiamo fermi così per un tempo che sembra interminabile, io senza smettere di dondolarmi avanti e indietro accarezzandogli la schiena e lui immobile, sempre meno scosso da quegli orribili brividi.

A un tratto lo sento sospirare profondamente e d’istinto alzo la testa, mentre avverto che lui fa lo stesso allontanando lentamente il viso dalla spalla su cui l’aveva appoggiato tutto quel tempo, facendoci trovare così l’uno di fronte all’altra.
“Stai bene?” domando sottovoce e cercando di studiare il volto stravolto che mi trovo davanti: ha gli occhi lucidi, la fronte imperlata di sudore ed è impallidito parecchio, ma sembra messo meglio della sera della festa.
“Sì.” Mormora lui senza far trasparire alcuna emozione se non un estrema stanchezza “Scusa.”
Lo sguardo di Daniel ha perso ogni traccia del suo spirito giocoso e questo mi fa stringere il cuore: è tutta colpa mia e lui mi chiede scusa?
“Figurati.” Pigolo, rendendomi conto di quanto possa essere stupida questa mia risposta “Non dovevo impicciarmi così…mi dispiace davvero tanto di averti ridotto così…ancora.” Aggiungo velocemente sentendomi peggio di una cacca fresca calpestata su un marciapiede.
“No, tranquilla, non è stata colpa tua, non potevi saperlo. Succede sempre quando vengo colto alla sprovvista con questo argomento.”
Il ragazzo accenna un sorriso rassicurante e sembra essere tornato un po’ in sé...per lo meno ha ripreso colore e non ha più la voce tremolante di qualche secondo fa.
“Scusami, non te ne parlerò più! Davvero, sono stata maleducata a venire qui a farti domande e cose del genere!” esclamo io gesticolando sconnessamente per sottolineare ogni mia frase e sciogliendo definitivamente lo strano abbraccio che ancora ci stava legando.
Mi accorgo con orrore che sono quasi sull’orlo di piangere e che la mia voce tremolante e improvvisamente più acuta del solito mi rende ancora più patetica dei miei tentativi di scuse.
Voglio andarmene da qui, lasciarlo solo e sotterrarmi dalla vergogna, ma a quanto pare Daniel non ha intenzione che io finisca sotto un cumulo di terra perché mi posa una mano sul braccio e con voce ferma e tranquilla mi trattiene:
“Te lo ripeto, Lucy: non è colpa tua, è l’effetto sorpresa che mi riduce così. Anzi, se ancora ti interessa, ti racconterò volentieri quello che vuoi sapere, non è un problema parlarne.”
Lo scruto accigliata e per niente convinta: non credo proprio sia la cosa migliore da fare, insomma, se il solo pensiero l’ha ridotto in questo stato, non oso pensare cosa possa succedere parlandone.
“Sicuro?”
“Te lo giuro. Parola di lupetto!” esclama lui alzando solennemente il braccio con due dita tese e ridacchiando.
“Non sei mai stato uno scout, scommetto.” Borbotto io socchiudendo gli occhi sospettosa, ma leggermente rincuorata dalla ricomparsa del vecchio Daniel insopportabilmente scherzoso.
“Può darsi. Ma prometto che non mi succederà niente, anche se potrebbe essere l’unico modo per ritrovarmi di nuovo tra le tue braccia, ma…”
Sbuffo contrariata al suo occhiolino, ma sotto sotto sono sento il magone che mi stringeva la gola allentarsi nel vedere il suo sforzo di alleggerire la tensione nonostante abbia ancora l’aria malconcia e stremata, così mi sistemo meglio sul materasso incrociando le gambe e mettendomi più comoda.
“Se sei proprio sicuro di volerlo fare…”
“Lo sono, sul serio.” Mi dice lui assumendo la mia stessa posizione a gambe incrociate e ponendosi di fronte a me.  “E poi lo so che muori dalla voglia di ascoltarmi.” Aggiunge subito con uno dei suoi soliti sorrisi, forse leggermente smorzato rispetto al solito, ma pur sempre uno dei suoi soliti, irritanti, familiari sorrisi.
“Allora, vuoi ascoltarmi? Ti va di sapere perché sono su quel volantino?”
Un’ultima occhiata verso l’espressione in attesa di risposta di Daniel mi convince a rilassarmi un po’ e ad annuire per incitarlo a proseguire.
“Ti ascolto.”
“D’accordo, cercherò di essere breve, anche se dovrò iniziare da lontano, ma so che ami ascoltare la mia voce, quindi…dai, scherzavo, ora inizio!
Dunque, mio nonno, Herbert Baker, era proprietario di un’impresa piuttosto importante nel ramo delle comunicazioni e tutto andava a gonfie vele, fino a quando non decise di passare la direzione nelle mani di mio padre. A quell’epoca  vivevo con i miei e avevo circa cinque anni, mentre mia sorella ne aveva tre…Sì, ho una sorella, si chiama Cèline…
 Bèh, comunque anche a casa andava tutto bene, per quello che mi ricordo: eravamo una famiglia come tante, vivevamo piuttosto bene in un gran bel quartiere, senza troppi problemi apparenti.
Con il passare del tempo mio padre si cominciò a trovare in difficoltà nella gestione degli affari e nel giro di tre anni bèh, per risparmiarti i dettagli da studente d’economia, finì nella merda totale.
L’impresa di mio nonno fallì piano piano e, sebbene mio padre cercasse di nasconderlo disperatamente, mia madre se ne accorse. A casa cambiò tutto.”
Daniel si interrompe per una frazione di secondo ed io intuisco il leggero rabbuiamento nella sua espressione.
“In quei tre anni mia madre cominciò a bere, forse per non pensare al fatto che eravamo ormai in bancarotta, forse perché mio padre la trascurava e reagiva male ai suoi tentativi di aiutarlo, forse solo perché le andava. Usciva, tornava ubriaca marcia -se non la fermava la polizia- e dormiva, semplicemente.
Mio padre faceva finta di niente: ormai disprezzava profondamente mia madre, non la guardava nemmeno e nemmeno cercava d’aiutarla…era troppo impegnato ad affondare nella sua stessa merda senza chiedere aiuto a nessuno, nemmeno a mio nonno.
Preferiva mandare tutto a quel paese piuttosto che ammettere di avere bisogno di qualcuno.”
Il volto di Daniel trasuda un’amarezza che non gli ho mai visto prima, nonostante il tono della voce sia rimasto lo stesso: pacato e piatto.
Osservo i suoi occhi vuoti puntati sul copriletto mentre si perdono in quei ricordi dolorosi e non oso muovermi o emettere un qualsiasi suono per non intromettermi in quel momento così strano e privato: sembra si sia dimenticato di me, sembra stia parlando tra sé e sé.

“A volte non tornava a casa per giorni: non si occupava più di noi, non gli importava che io e Cèline stessimo a casa da soli con una donna ubriaca che non sapeva nemmeno badare a sé stessa…ci considerava un peso, alla pari dei suoi debiti.
Una sera lei esagerò davvero: eravamo noi tre soltanto in casa e lei collassò sul pavimento della cucina. Io chiamai mio nonno e lui arrivò e scoprì tutto quando arrivammo in ospedale.”
All’improvviso la voce di Daniel si incrina pericolosamente ed io, d’istinto, non posso fare a meno di appoggiargli una mano sul braccio, distraendolo dal suo monologo: non voglio che torni a tremare come prima.
Lui però alza lo sguardo e mi sorride rassicurante per poi proseguire con tono più leggero:
“Quando mio nonno venne a sapere dei debiti di mio padre e dei problemi della nostra famiglia fu comunque troppo tardi: mia madre era consumata dai suoi vizi e, non appena si riprese, fu spedita nella prima delle numerose cliniche di riabilitazione in cui cercò inutilmente di salvarsi, mio padre dovette vendere l’azienda e la casa per saldare i debiti ed io e Cèline andammo a vivere con i nonni.”
Da allora ci hanno cresciuti loro perché mio padre, da vigliacco qual è, ha deciso di scappare da tutte le sue responsabilità. Ha una nuova famiglia ora, e sai come pensa di liberarsi dei suoi sensi di colpa verso di noi? Ci manda dei soldi ogni mese. A quanto pare ora guadagna bene!”
Una risata amara gli sfugge mentre scuote la testa, come a voler sottolineare la sua disapprovazione, poi torna a guardarmi intensamente, serissimo.
“Non è stato facile: i soldi erano e sono pochi, ma siamo riusciti ad avere una buona istruzione grazie ai sacrifici che i miei nonni hanno fatto per noi. Io sono qui grazie a loro e, bèh, anche grazie alla famiglia di Zackary che mi permette di stare qui.”
A questo punto mi sfugge una domanda sorpresa:
“Ma quindi tu abiti qui?”
“Proprio così! Fortunatamente mio nonno e il signor Van Cortlandt sono buoni amici dai tempi del college e lui ci ha sempre aiutato: mi ha dato la stanza e mi ha fatto sentire a casa, pretende di comprarmi addirittura tutto ciò che non posso permettermi: vestiti, libri, computer… Sono riuscito a oppormi solo sulle rate universitarie: quelle le pago io lavorando quando posso, cioè di notte.”
Ecco il perché di quelle occhiaie!
“Di notte? E che lavoro fai di notte?” chiedo sospettosa mentre una serie di mestieri poco rispettabili mi frullano in mente inevitabilmente.
“Bè ne ho fatti vari: il barista, il buttafuori, lo spazzino, il gigolò…”
Alla vista della mia faccia sconvolta scoppia in una sonora risata canzonatoria.
“Ok, forse l’ultimo potrei essermelo inventato per prenderti in giro, ma gli altri sono veri, anche se il barista l’ho fatto per poco: non voglio incontrare troppe persone quando lavoro, non voglio che si sappia come sono…”
Lo scruto attentamente per qualche secondo: possibile che questo ragazzo sia così orgoglioso da non voler mostrare a nessuno questo suo lato più debole?
“Perché?” chiedo fissandolo con aria seria e accorgendomi di come all’improvviso si sia messo sulla difensiva.
“Non voglio, Lucy. La gente è superficiale,vede quello che vuole,  giudica tutto quello che non capisce e io non ho intenzione di spiegare niente a nessuno.” Spiega con un tono all’improvviso duro che non ammette repliche. 
Resto per un po’ a guardarlo così corrucciato e impenetrabile, così barricato nelle sue convinzioni e nelle sue paure e quasi mi sento intimorita nel porgli la domanda che sto per fare.
“Ma se sei così convinto di non dover spiegare niente a nessuno…perché l’hai raccontato a me?”
Daniel solleva lo sguardo su di me con un sorriso così ampio e genuino che mi coglie alla sprovvista tanto quanto il pensiero repentino che mi attraversa improvvisamente la mente senza che me ne accorga: Daniel è veramente bello.
Non so perché questo mi sconvolga così tanto: ho sempre saputo che non è per niente brutto e ho sempre sentito molte ragazze sospirare alla sua vista, ma non l’avevo mai guardato così, seduto di fronte a me, a pochi centimetri dai suoi lineamenti regolari e dal suo sorriso spiazzante.
“Perché me l’hai chiesto.”dice semplicemente dopo una piccola pausa. “Perché ci tenevi a saperlo. E poi, non lo so, forse perché a te l’avrei raccontato comunque.”
Senza motivo mi sento arrossire un po’ così abbozzo un sorriso e sollevo le spalle senza saper bene cosa dire.
“Bèh…sono onorata!” borbotto infine risultando debolmente sarcastica a causa dello sguardo fisso di Daniel che mi sento addosso e mi distrae terribilmente dal trovare risposte un po’ più intelligenti.
Che mi prende?
“Sei stata l’unica a tenermi testa.” Conclude infine inclinando un po’ la testa per osservarmi meglio.
Per distogliere lo sguardo dai suoi occhi mi ritrovo a spostare l’ attenzione sulle sue labbra, solo per una frazione di secondo, solo per un attimo, che però non sfugge allo sguardo di Daniel che mi ritrovo a incrociare non appena rialzo il mio sentendomi incredibilmente colpevole.
“Non è stato facile…sei una vera zecca!” rispondo più velocemente possibile deglutendo nell’accorgermi che il mio interlocutore si è impercettibilmente avvicinato con una strana espressione.
“E tu sei una testa dura!” esclama lui a voce inspiegabilmente bassa sporgendosi ulteriormente verso di me: ormai le nostre facce sono a una spanna l’una dall’altra ed io, pur sentendo il cuore martellare sempre più forte, non sono in grado di muovermi, come al solito in situazioni di questo genere.
Oddio, non sarò come quegli opossum che nei momenti di pericolo si fingono morti immobilizzandosi sul posto? Forse non derivo dalle scimmie, ma dagli opossum…ma perché sto pensando agli opossum?

Daniel è sempre più vicino e mi accorgo che ora è lui a spostare impercettibilmente lo sguardo dalle mie labbra ai miei occhi: oddio, qui non c’è nessun custode che entra all’improvviso nella stanza, devo spostarmi prima che tutto succeda! Devo dire qualcosa!
“Il bodyguard? Tu facevi il bodyguard?” balbetto con una risatina isterica senza ben sapere dove sto andando a parare con il naso di Daniel ormai talmente vicino al mio da poterlo sfiorare.
“Perché?Non mi ci vedi?” ridacchia lui piano senza riuscire a contenere una nota emozionata nella sua voce: ormai è così vicino che riesco a sentire l’odore della sua pelle e il suo respiro tiepido.
“No, non ti ci vedo a tirare pugni e…cose così…” bisbiglio io cercando di temporeggiare in qualsiasi modo, ma senza ricevere collaborazione dal resto del mio corpo che non accenna a volersi spostare di un solo millimetro: solo il mio cuore sembra voler fuggirsene via sbatacchiando contro il mio petto.
I nostri nasi ormai si stanno toccando e quasi non riesco più a distinguere il verde degli occhi di Daniel, mi sento come sull’orlo di perdere l’equilibrio, so che dovrei aggrapparmi a quel minimo di autocontrollo che mi rimane per alzarmi e andare da Fielding e Kite, andare via da questa situazione che non riesco a controllare, ma non ci riesco.
“Bèh, ti ho già fatto un occhio nero: dovresti sapere che ne sono capace.” Sussurra lui accarezzandomi con una mano la tempia mandando del tutto in crisi la mia lucidità: non ho più niente da dire e sento la mia testa vuota come un palloncino.

E quando Daniel appoggia le sue labbra sulle mie è davvero finita:le sfiora piano, come in una specie di carezza, senza fretta, con un tocco così leggero che mi ritrovo a chiudere gli occhi per non perdermi un secondo di quel contatto impalpabile, del profumo di buono che mi circonda, della totale mancanza di pensieri nella mia testa svuotata.
A un tratto, avverto un tremito nel respiro di Daniel, che sposta la sua mano dalla mia guancia alla nuca spingendomi delicatamente verso di lui e baciandomi finalmente, lasciandosi sfuggire un sospiro e abbattendo definitivamente ogni mia razionalità.
Mi ritrovo ad accarezzargli i capelli senza neanche rendermene conto, totalmente stordita dal buon sapore di Daniel che mi ritrovo ad assaporare rimanendo senza fiato.
Davvero sta succedendo? Davvero io, Lucy Callaway, sto permettendo al quello che fino a poco fa consideravo l’insopportabile stalker, di lasciarmi perdere il controllo in questo modo?
L’unica risposta è sì e questa risposta mi sta facendo impazzire quasi quanto il ritmo del respiro di Daniel che accelera quello del mio cuore all’impazzata.
Proprio mentre sento le mani di Daniel scivolare lungo la mia schiena, un suono improvviso paralizza entrambi rompendo bruscamente l’atmosfera silenziosa: è solo la suoneria di un cellulare, ma sembra sia caduto un fulmine dritto in mezzo alla stanza per come mi risveglio all’improvviso sbarrando gli occhi e separandomi fulminea da Daniel che mi guarda con un’espressione altrettanto scombussolata.

Bzzz bzzz! Beeep beeep! Bzzz bzzz! Beep!

Restiamo immobili l’uno di fronte all’altra con il respiro corto e le facce stralunate: sono sconvolta e non riesco a far altro che fissare sbigottita Daniel che con voce roca spezza il silenzio:
“Scusa un secondo, devo rispondere, io…”
Mentre si allunga ad afferrare il cellulare per rispondere, mi nascondo per qualche secondo il viso tra le mani e cerco di fermare la sensazione di panico in cui mi sento caduta: che cavolo ho fatto? Che cavolo abbiamo fatto?
“Pronto? Oh, ciao Cèline…no, non disturbi, hem…”
Daniel si volta nuovamente verso di me e accenna a un espressione di scusa, ma io non riesco a far altro che abbassare lo sguardo in preda all’imbarazzo e all’istinto di fuggirmene via.
Deglutendo mi alzo dal letto sistemandomi i capelli e lisciandomi la maglia con movimenti meccanici, senza motivo: so di essere rossa come un pomodoro e mi sento colpevole in un modo assurdo.
Ho baciato Daniel Baker e mi è piaciuto.
Oh Dio, questo è sbagliato, molto sbagliato!
Indietreggio di qualche passo verso la porta e vedo Daniel osservarmi allarmato e accigliato.
“Scusa un secondo.” Sbotta al cellulare abbassandolo e rivolgendosi poi verso di me.
“Aspetta, Lucy…”
“Io devo andare.” Bisbiglio con una strana voce arrugginita e allontanandomi ancora.
“No,dai…No, Celinè, non stavo dicendo a te, aspetta un secondo!” esclama nuovamente rivolto al telefono, mentre io approfitto della sua attenzione per voltarmi verso la porta e abbassare la maniglia.
Ma prima che riesca a lanciarmi fuori, una stretta improvvisa al polso mi sorprende, bloccandomi e facendomi ritrovare di nuovo di fronte a Daniel e al suo sguardo deciso.
“Se non fossi venuta qui tu, sarei venuto a cercarti io di nuovo, lo sai, vero?” mi spiega a voce bassa, guardandomi dritto in faccia.
Resto ferma per una frazione di secondo e non posso fare a meno di pensare al bacio di poco fa, sentendomi avvampare.
“Devo andare.” Ripeto affannosamente dopo qualche secondo divincolandomi.
Lui mi lascia andare subito ed io mi avvio il più velocemente possibile nel corridoio senza voltarmi indietro, con la testa pulsante e uno strano senso di ansia nel petto: scendo le scale e non incontro nessuno fino nell’atrio dove Javier se ne sta impettito con il mio cappotto in mano.
Come diavolo faceva a sapere che io stavo arrivando?
“Grazie!” bofonchio debolmente strappandoglielo dalle mani e catapultandomi fuori dal portone della villa senza ascoltare ciò che il maggiordomo mi sta dicendo.
L’aria fresca mi porta ancora di più nel tremendo mondo reale e, oltre al panico per aver baciato Daniel –ommioddio, ditemi che non è successo!- si aggiunge anche la consapevolezza di essere in ritardo per l’appuntamento con Kite e Fielding.


Guido come una forsennata fino al college, cercando di mantenere la calma e soprattutto di non sbandare o investire nessuno.
Quando arrivo correndo nell’aula vuota di fronte all’ufficio di Fielding dove Kite mi sta aspettando, lo trovo in piedi con dei fogli in mano e un sorriso impacciato.
“Scusa il ritardo, Kite!” boccheggio estraendo  i miei fogli dalla borsa sbuffando e accorgendomi di essere sudata e accaldata: alla faccia della bella figura che volevo fare con Fielding!
“Non c’è problema!” cerca di tranquillizzarmi Kite sorridendo in modo gentile. “Abbiamo ancora un po’ di tempo per…hem,ultimare le ultime cose.”
“Oh, bene, perfetto: iniziamo…”

Passo i restanti minuti a cercare di concentrarmi su ciò che Kite mi sta esponendo e provando a mantenere i miei pensieri attenti sulla mia parte del progetto, ma è davvero difficile considerando la mia disavventura di poco fa.
Proprio mentre stiamo finendo, dalla porta  dell’aula fa capolino il mio amato professore, in giacca e cravatta come sempre.
“Ragazzi, in un minuto sono da voi!”esclama con la sua bella voce profonda che però, in questo momento, non riesce ad ammaliarmi e a rendermi tranquilla come al solito.
Quando se ne torna dallo studio, uno strano silenzio cade tra me e Kite e solo in questo momento mi rendo conto dell’imbarazzante situazione in cui ci troviamo dopo la mia sfuriata in panificio.
Mi volto a guardare il ragazzo e mi rendo conto di non averlo mai guardato davvero stasera: indossa un maglione turchese che si intona al colore cristallino del suoi occhi e noto solo ora che ha tagliato un po’ i capelli biondi che ora sono più corti ai lati e gli danno un’aria meno indifesa e debole del solito.
Ok, è il momento di sistemare almeno una questione.
“Ascolta, Kite…” inizio con un respiro profondo “mi dispiace per quella volta, insomma, non avrei dovuto aggredirti…”
“No, Lucy, tu hai ragione!” mi interrompe Kite spiazzandomi totalmente per la forza improvvisa del suo tono di voce.
“Hai ragione, io sono stato un codardo per tutto questo tempo!” continua guardandomi incredibilmente negli occhi e senza balbettare “Tu mi piaci e avrei dovuto dirtelo chiaramente! Volevo farmi avanti, davvero…è che mi piaci da tanto e avevo paura…e invece tu l’hai capito lo stesso. Sono un idiota!”
Osservo shockata Kite lanciare un pugno su uno dei banchi in preda a una strana rabbia euforica: che cosa sta succedendo al mondo?
“Ma, Kite” cerco di farlo ragionare io con voce pacata “potevi dirmelo subito! Insomma, senza quei dolcetti misteriosi…”
Alle mie parole il ragazzo si volta con un’aria strana e mi guarda inclinando la testa interdetto.
“Dolcetti? Quali dolcetti?”




Eccoci in fondo, grazie di aver letto a tutti i coraggiosi che sono arrivati fin qui!
Allora, un capitolo bello pieno eh?
Voglio assolutissimamente sapere cosa ne pensate su Daniel e il suo passato, sul bacio e su Kite...insomma, su tutto quanto!
Grazie a tutti per leggermi e recensire!
Vi lascio nuovamente in sospeso, non odiatemi...spero di ritrovarvi tutti al prossimo capitolo!
Alla prossima!


Ireth
  
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