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Autore: Kif_AleProduction    24/09/2007    5 recensioni
“Call my name in your dreams.
Call my name in the sky.
Never stop to try to see the stars
And please me sorry.
sorry but I dodn't believe
I’m able to make you suffer”
Andrew, Julie.
Due nomi, una storia comune...
O no?
Un incidente d'auto cancella tante cose.
E ne porta tante altre.
E se ti innamori...
...di un angelo.
Genere: Romantico, Triste, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Tutto è cominciato, O meglio è finito su quei metri di asfalto

Call My Name in The Sky

 

 

Tutto è cominciato, o meglio è finito su quei metri di asfalto.

Giusto un paio ma che per qualcuno anno segnato l’addio. E una luce, un lampo abbagliante ti ha illuminato per un secondo. I tuoi occhi azzurri. Ha spezzato la notte, ha accecato, è entrato impertinente senza chiedere nulla a nessuno. Un bagliore luminoso troppo forte, per due occhi troppo chiari. Per una notte senza luna. E te ne se rimasta li senza riuscire a urlare. Ci hai provato, ma ti è rimasto dentro. Attorcigliato e incastrato tra la testa e il cuore. E non ci sei riuscita.

 

In silenzio.

 

 Una Ford nera. Con due grandi occhi minacciosi. E quel qualcuno Ubriaco che la guidava.

 

In silenzio.

 

E tu eri li, era tardi, era quasi buio, stavi passando. Quando di colpo è spuntata lei.

 

 In silenzio.

 

E ti ha portato via…semplicemente in silenzio.

 

E tu te ne sei andata per sempre. Ti ha toccato, sollevato in aria quasi come una farfalla. E sei ricaduta. Senza far rumore. Leggera come un soffio d’aria, dimenticata come una pagina di un libro. Sollevata senza suono ne rumore. E ti sei addormentata per non svegliarti mai più.

E tutto quello che ha turbato più di tutto è stato il silenzio. Quel immobile, spesso e denso silenzio. Quel vuoto e quel freddo che ti hanno colpito. E che ti hanno chiuso gli occhi per sempre.

Lui non si è fermato.

 No.

Ti ha lasciato li. Ferma.

 Si.

Il lampione sulla strada non funzionava da un po’. Però se ne è accorto quell’uomo che portava a spasso il cane.  Ha visto tutto. E ha visto te.

Sedicenne senza vita, su una strada di pensieri cupi. L’ I -Pod che continuava a suonare scagliato lontano, il tuo zaino verde a terra macchiato dello sporco della strada. E ti ha visto immobile tra tutte quelle carte ai lati della strada, dimenticate, gettate da incivili, semplicemente scordate. E anche tu eri li. Gettata a terra da un incivile.

 Ti hanno già scordata? Io no.

E quel uomo ha urlato. Ha cercato il cellulare e ha chiamato.

E anche quel cane ha ululato. Alla luna che non c’era. Sai dicono che gli animali siano intelligenti. Ha ululato per te. Perché non era capace di piangere.

Quella sera sulle strade principali non c’era traffico. Strano.

Ma l’ambulanza è arrivata comunque troppo tardi. Chiaro.

 Non ce stato nulla da fare. Ormai era tardi. Troppo.

E quel freddo è entrato nella vita dei tuoi genitori. Un freddo cupo e triste. Quando arrivati li hanno scostato il telo e hanno rivisto il tuo viso.

E in quel momento avrebbero voluto vedere qualsiasi altra persona.

 Ma non te. Avrebbero voluto poter dire “No non è mia figlia, la mia è viva…sta bene”.

 Gli occhi chiusi, i capelli lisci neri adagiati sulle spalle, le piccole ferite che intaccavano la pelle quasi diafana. E ti hanno visto senza vita, immobile, senza la tua gioia di vivere. E si sono accorti che non ti avrebbero visto mai più ridere. E quanto ha fatto male.

“Ci dispiace” è tutto ciò che hanno saputo dirgli i medici. Non gli hanno spiegato perché, cosa era accaduto. Ma loro hanno comunque capito.

O forse non hanno capito ma ormai era tardi per pensarci. Sono rimasti a fissarti sperando. Sperando in uno scherzo. Che tu avresti riaperto i tuoi occhi. Ma quella speranza era ormai vana.

Hanno parlato di te i giornali. Uno scoop nuovo. O forse già visto. Per loro eri “La ragazza vittima di un incidente”. Le solite quattro frasi di circostanza e poi qualche commento sulla guida in stato d’ebbrezza. Ma tu eri di più. Tu non eri quella ragazza vittima di un incidente ,cazzo. Tu eri di più.

 Quella sera i tuoi genitori sono tornati a casa senza di te. Con la tua roba in mano. Ma senza te. Tua mamma è entrata nella tua camera. Tutto era rimasto fermo come quando eri uscita. C’erano i libri appoggiati sulla scrivania. Il tuo PC accesso perché si stavano scaricando le canzoni. Il letto rifatto con la felpa buttata sopra. Ma tu non c’eri. E tua mamma ha guardato dentro lo zaino. Ci ha trovato il tuo diario. Le dediche e le foto con le amiche. Il tuo cellulare, e in sovra impressione c’era la bustina che indicava un sms. Ci ha guardato era della tua migliore amica. E quella uscita che nominava non ci sarebbe stata. E il pensiero va alla tua amica e viene da pensare che domani ci sarà un'altra persona che piangerà.  Perché ha perso comunque qualcuno. Non un parente…ma quasi una sorella. Tua mamma si siede sul letto e spera. Di vederti entrare da un momento all’altro. E spera che domani mattina tu canterai allegra in bagno.

Che tornerai da scuola incavolata a causa di un prof. Che ti commuoverai davanti a un film triste. Che riderai.  

Ma tu non entri, non canti, non piangi, non ti arrabbi, non ridi.

Non lo puoi fare più. E fissa sconsolata l’I - Pod che tiene in mano. Sta andando ancora.

“Far Away”… e pensa che sia veramente cosi.

 Ormai tu sarai lontana.

Troppo lontana.

 

E sono passati mesi da quel giorno. E io non ne sapevo nulla. Quel giorno ero occupato a preoccuparmi dell’ennesimo 4 in matematica. E dopo tutti quei mesi io ti ho conosciuto

 

Un lunedì pomeriggio ho trovato una chiamata senza risposta sul mio cellulare.

 Il numero non lo conoscevo. E la mia prima ipotesi è stata “Questo è Lucas”. Lucas è il mio migliore amico, cambia numero di cellulare con la stessa velocità con cui cambia la ragazza. E le due cose sono strettamente collegate. Cosi non ci ho dato peso. Non che io dia spesso peso alle cose. Questa volta poi è stata meno del dovuto. Già lo so.

Ho premuto il tasto di richiamata e mi sono aspettato di sentire dall’altro capo la voce di Lucas dirmi “Ciao Andrew sai che…” E poi raccontarmi l’ennesima cazzata. Tipico.

Qualcuno ha risposto dall’altra parte, ma  la voce che è arrivata da lontano non era la sua. Era una voce chiara, dal suono cristallino, offuscata da disturbi che pensai fossero dovuti a mancanza di campo. Già un campo di altri mondi.

-         Pronto?

-         Pronto. Sono...

-         Lo so chi sei.

-         E come?

-         Lo so e basta.

-         Io invece non so chi tu sia.

-         Non ha molta importanza. Che te ne fai del mio nome?

-         Niente ma…

-         Quindi non ti serve

-         Ma…

-         Si?

-         Come hai il mio numero?

-         Me l’hanno dato

-         Ma ci conosciamo?

Una risata argentina.

-         No

-         No?

-         No.

-         Sono arrivata qui da poco

-         Ah…

-         Mi ha fatto piacere sentirti.

-         Ma non mi conosci!

-         E’ sempre un modo per conoscere qualcuno.

-         Te ne vai?

-         Si ma forse ci risentiremo.

-         come lo sai?

-         Nulla capita a caso.

-         Aspetta!

-         Cosa ce?

-         Dimmi il tuo nome.

-         Julie

-         E dove abiti?

 

Non mi rispose nessuno. Aveva riattaccato.

Tutututu

Sono rimasto turbato. Non preoccupato ne incuriosito. No.

Avevo di più da pensare in quel momento però.  Avevo problemi io.

I miei. Le cose in casa mia non andavano bene. I litigi si susseguivano e io dovevo trovare il modo di parlare a mia mamma. Ma magari. Ma non ne aveva tempo. Le poche volte che la vedevo stava litigando con mio padre. Oppure semplicemente era occupata in altro. Altro che non ero io. Mai.

- Mamma?

- Non ho tempo, me lo dici dopo Andrew.

Quel dopo non arrivava mai. La solita scena. Ormai la mia vita era un copione sempre uguale.

La mattina il preside mi aveva comunicato la mia media disastrosa e che se non riuscivo a sistemarla, avrei dovuto ripetere l’anno e non sarei potuto andare al college. Voleva vedere i miei per, come aveva detto lui “Discutere in merito alle delicate questioni di media del loro figlio.

 Altro che delicate.

Me ne ritornai in camera sconsolato. Il libro di matematica mi aspettava minaccioso sulla scrivania. Io ero negato in quella materia. Io sono negato in matematica e ciò che la circonda. Se i libri parlassero mi sfotterebbero tanto faccio orrore. Algebra è un mistero degno del Graalper me e geometria uno schema di figure che io non conosco. Ricordo che in quel momento ho detto “ma non c’è nessuno cazzo che mi aiuti?”, e il cellulare è risuonato.

Ho risposto.

 

-         Pronto?

-         Io posso.

-         Puoi cosa?

-         Aiutarti.

-         Come sai che?

-         Lo so.

-         Ma io non ti conosco non vedo il motivo percui tu debba aiutarmi.

-         Diciamo che…io devo.

-         devi?

-         Devo.

-         E perché?

-         Non puoi capire.

-         No?

-         No. Allora lo accetti il mio aiuto?

 

Doveva? E cosa. Ma non mi importava. Forse non dovevo ripetere l’anno. Da quel momento mi sono rifugiato in quelle chiamate. Sono state le prime di una lunga serie. E in breve tempo è diventato parte della mia vita mandare un messaggio a Julie. Prima era una conoscente. Poi un amica. Infine una amica speciale e poi…

Poi mi sono innamorato.

Ma chi era? Non sapevo nulla di lei. Sapevo solo che lei arrivava nel momento in cui io avevo più bisogno. Riuscii a tirare fuori un voto decente in matematica. Grazie a lei. Seguito da un più discreto, e da un terzo incredibile. Grazie a lei.

E il merito era suo. Solo grazie a lei.

Compariva nel momento che mi serviva e aveva sempre la soluzione per quello che cercavo.

Mi ero innamorato. Di una voce. Di ogni sua più piccola sfumatura, della sua risata, della sua pazienza. Io mi ero innamorato di una persona che non conoscevo. E mi decisi un giorno a dirglielo, a chiedergli chi era. Dove viveva. Di vederla. Dovevo. Stava diventando per me una necessità. Volevo dare un volto a un nome. Quel volto delicato che mi sono sempre immaginato.

 

- Pronto?

- Ciao Andrew.

- Julie!

 

La sua voce pero non era allegra come al solito. La cosa non andava affatto bene.

 

-         Ciao.

-         Ce qualcosa che non va?

-         No…

-         Dalla tua voce non sembra.

-         Veramente si.

 

Una pausa di silenzio e poi contemporaneamente.

 

-         Devo dirti una cosa!

-         Scusami Julie

-         Non importa, dimmi.

-         Io Julie ecco non è facile quello che voglio dirti…

-         Nemmeno per me.

-         Io credo che…

-         Che sia meglio Andrew che non ci sentiamo più.

-         Io…cosa?!

-         Mi dispiace.

-         No Julie non attaccare.

-         Mi spiace io devo.

-         Devi? Devi cosa?

-         Devo smettere di parlarti!

-         Perché?

-         Perché non posso più…oh Andrew non puoi capire.

-         Invece posso. Mi sono innamorato di te non puoi andartene.

-         No.

-         No cosa?

-         Non devi innamorarti di me.

-         È gia successo.

-         Ho detto di no!

-         Non capisco…voglio vederti!

-         Cosa?

-         Vederti solo per una volta e poi…e poi…

-         E poi?

-         Smetterò e non ti cercherò mai più.

 

C’è stato del silenzio, e in quel momento hai ceduto. Ho capito solo dopo che è stato la tua condanna. Ma lo hai fatto e hai acconsentito. Io te l’avevo ammesso così. Ti amavo. E te l’ho detto come se ciò potesse tenerti accanto a me per forza. Ma tu non potevi. Non potevi amarmi. L’ho capito solo dopo.

- Va bene

-         Va bene?

-         Si…

-         Dove abiti?

-         Via St’ Patrick, al numero 11.

-         Ok aspettami.

 

Mi sono precipitato fuori di casa. Ho ignorato mia madre che mi urlava dove stessi andando. Ho ignorato mio padre. Non ho guardato nemmeno cosa avevo indosso e sapevo di per certo che i miei capelli erano in uno stato pietoso.

Mi sono precipitato fuori, e ho corso.

Fino a farmi mancare il fiato.

Fino a farmi male.

Fino a non respirare.

Probabilmente Lucas mi avrebbe detto che ero pazzo. Ero impazzito. Stavo correndo senza una meta da una persona che in mesi avevo sentito solo per un telefono.

Ma di cui ero innamorato. E arrivai li davanti al numero 11.

Bussai ripetitivo alla porticina della portinaia. Dopo 3 colpi una vecchina usci.

 

-         Ragazzo cosa vuoi? Stai bene?

-         Si.. io…io…c’è Julie?

La signora non rispose. Abbasso gli occhi e li rialzo verso i miei.

Ero li, rosso, sudato,bagnato dalle gocce di pioggia che iniziavano a scendere. Dovevo essere ridicolo. Stupido. Ma io non potevo. Vederla andarsene da me e non fare nulla. Sono stato un cretino a metterti alle strette Julie.

-         Caro mi sa che sei in ritardo.

-         In ritardo? Ma no l’ho sentita prima. Mi ha detto che mi avrebbe aspettato!

-         Julie se ne è andata.

-         Quando, dove?

-         Se ne è andata molti mesi fa.

Non capii. In ritardo? 5 minuti non erano ritardo. La vecchina rientrò e ne riuscii poco dopo con un ritaglio di giornale in mano.

-         Mi dispiace…

mormorò soltanto rientrando dentro e consegnandomi il pezzo di carta.

Lo guardai. Raccontava di un incidente. Un incidente mortale. E di una persona che ci aveva perso la vita. C’era la foto di quella ragazza. Due occhi azzurri ricambiarono i miei. E guardai il nome.

Julie. Il mio cuore ha cessato di battere in quel momento, ne sono certo. Ho visto un numero di telefono e una risata scorrermi nella testa. Mi sono detto che era uno scherzo. Che tu c’eri. Mi stavi aspettando.

Mi è caduto dalle mani. Guardavo davanti a me senza vedere nemmeno. Scuotevo la testa. E mi dicevo che no, non era lei. La mia Julie era una persona reale. Era viva, non era morta in un incidente. E piansi. Piansi perché non ti avrei avuto mai, ne ora ne domani. Piansi perché tu non potevi più farlo. Gli angeli non piangono vero? No non credo. E piansi perché io avrei pianto, e tu no .

Le lacrime si mischiarono alla pioggia e la pioggia si mischiò a tutto il resto. E mi ritrovai li, la giacca fradicia, i capelli bagnati . Fu  in quel momento che senti una manina fredda poggiarsi sulla mia. Leggera, impalpabile.

- Mi dispiace.

Rialzai lo sguardo e la vidi li accanto.

Due grandi occhi azzurri mi fissavano dietro al ciuffetto di capelli lisci neri.

La pelle chiarissima. Era lei. Era come l’avevo sempre sognata e era vera. Era li. La sfiorai con una mano. Mi guardò e ricambio il mio sorriso triste.

-         Sei …reale.

-         No.

Rispose semplicemente.

-         Sto solo sognando?

-         No è la realtà. Devi perdonarmi.

-         Per cosa?

-         Non sono…non sono stata, capace.

-         Di cosa?

-         Di non innamorarmi di te.

-         Io non capisco.

 

Guardo a terra e raccolse il pezzetto di giornale.

Me lo appoggiò tra le mani e mi sorrise triste.

Senti il suo tocco delle labbra contro le mie. Mi stava baciando. Sotto la pioggia stavo baciando una angelo. E senti sulla mia guancia una lacrima. Non era mia, non era pioggia, era lei.

Gli angeli non piangono.

 Quando riapri gli occhi lei non c’era più.

Era dall’altra parte della strada. Sotto a un lampione che non funzionava.

Mi sorrise, con le punta delle dita mi mando un bacio nella aria. E scomparve.

Corsi ma non c’era. Corsi senza capacitarmi che non era li.

Corsi senza capire. Corsi con ancora il suo bacio sulle mie labbra.

Lei…lei era morta. Lei era un angelo. Lei era li quando mi serviva e se ne era andata quando le cose si erano sistemate. Lei si stava scusando. E io mi ero innamorato di un angelo.

Urlai, urlai contro il cielo, gridai contro Dio. Urlai dalla disperazione. Senti il cellulare vibrarmi nella tasca, lo guardai e lessi la bustina sulla schermata.

 “Un messaggio ricevuto”

Era suo.

Cercami in un sogno, cercami nel cielo. Non smetterlo mai di guardare io sono la che guardo te. E scusami. Se non sono stata capace di non farti soffrire. Ti amo. Julie”.

 

Never gone.

Stay whit me. In the Dark, save me Please.

I need you, I need your voice and I...

I’m scared to walk alone.

In the Dark, your blue eyes. Are a light for me.

Please my angel

Never gone

Never leave me alone.

 

And one day,

Destiny.

Take you far away to me.

I don’t know you these day.

But in my heart you stay.

 

And you say to me....

 

“Call my name in your dreams.

Call my name in the sky.

Never stop to try to see the stars

And please me sorry.

sorry but I didn't believe

I was able to make you suffer”

 

Like a butterfly, like air

Your life it’s fly away.

In the silence

Of the night

You are fall

In your way.

And you sleep.

Sleep for the eternity.

 

But i miss you on my way.

I miss your smile

I miss your voice.

And in my heart

I fall in love.

 

you say to me....

 

“Call my name in your dreams.

Call my name in the sky.

Never stop to try to see the stars

sorry but I didn't believe

I was able to make you suffer”

 

And i run

Run away.

For a second i see your blue eyes

You’re an angel.

The only angel in my life.

 

“Call my name in your dreams.

Call my name in the sky.

Never stop to try to see the stars

And sorry.

sorry but I didn't believe

I was able to make you suffer

 

I love you for eternity”

 

E so che non ti ho vista mai piu, so che non ci rincontreremo. So che…non so piu nulla. Ti vedo ridere nei miei sogni. E mi ricordo di quel giorno. E so che da allora una tua manina delicata  ha sempre tenuto la mia. Mi ha seguito. Leggera e invisibile. Ha sorriso delle mie vittorie e si è intristita delle miesconfitte. E di notte quando sento un soffio leggero so che è lei. Che non dorme mai. Che mi segue. Perché è un angelo. Ma ha commesso un rrore. Si è innamorata di chi non avrebbe dovuto innamorarsi mai.

E cosi io.

Mi sono innamorato del mio angelo custode.

 

I love you for eternity

 

 

Andrew

 

 

Salve Ragazzi, siamo qui con questa OneShot un po’ triste. La storia sappiamo che è surreale. Ma era una storia che ci piaceva raccontare. Vi diamo un caloroso saluto. E recensite miraccomando!!!

 

Chiara e Ale

 

 

 

  
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