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Autore: Kuno84    08/03/2013    14 recensioni
Tutti conosciamo l'esito della battaglia finale contro Safulan. Ma se le cose fossero andate diversamente? Ranma avrebbe combattuto, avrebbe salvato Akane contro ogni evidenza, o più semplicemente si sarebbe lasciato soccombere alla pazzia?
Genere: Drammatico, Mistero, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Akane Tendo, Ranma Saotome
Note: What if? | Avvertimenti: Spoiler!
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Ci siamo, l’ultimo aggiornamento. Con tutti i miei ritardi sembrava quasi che questo momento non dovesse giungere, invece è giunto e, beh, a questo punto, vorrei spendere qualche parola… ma per ora lascerò che sia il capitolo a parlare. Dunque ci rivediamo dopo e buona lettura!



Capitolo 14
“Incontro alla luce”
 

Si sentiva fuori posto, in più di un senso. Completamente inosservata agli altri, ancora radunati in cerchio attorno ad Akane, era uscita dalla sala grande con l’intenzione di dirigersi verso la propria camera al piano di sopra. Poco prima di raggiungere le scale, il suo sesto senso le aveva però comunicato qualcosa e aveva quindi deviato dal percorso, determinando che fosse opportuno rinfrescarsi un momento.
Ma di momenti ne erano passati parecchi da quando si era sciacquata e non poteva certo continuare a strofinare l’asciugamano al viso, la pelle stava protestando a furia di essere sfregata. Lo posò e disse a voce alta: “Ora, penso, potrebbe anche uscire allo scoperto...”
In quel momento stesso Ke Lun udì un forte rumore, come di un vetro in frantumi.


Ansimò, accorgendosi di aver trattenuto il respiro fino a quel momento. Si guardò di nuovo attorno: molte presenze stavano avvicinandosi a lei e alla zia Nodoka, ma all’appello mancava l’unica che contava.
“Ranma?” Domandò la signora, come se stesse davvero aspettando una risposta. Si portò una mano alla bocca, aveva un’aria sorpresa e forse anche delusa. Akane non poté dirsi di condividere del tutto quella sensazione.
Udì diverse voci, non riusciva a tradurle in frasi di senso compiuto né la cosa le importava. Stava realizzando tutta la portata di ciò a cui stava andando incontro e, nonostante il rumore da cui era circondata, si sentiva incredibilmente sola.
Dunque lui voleva evitarla? Non aveva nemmeno il coraggio di affrontarla, di parlare con lei? Non poteva davvero essere stupido fino a un tale punto, nemmeno Ranma. Avrebbe voluto picchiarlo, insultarlo e gridare la propria rabbia fino a farsi sentire in ogni angolo della nazione.
E al tempo stesso non trovava più nemmeno la forza di muoversi, di voltarsi e tranquillizzare chi le stava accanto, figurarsi di pronunciare parola. Perfino Ukyo, nella sua testa, era ammutolita da diversi secondi, probabilmente colta alla sprovvista dalla fuga del loro comune fidanzato. O forse era lei che non riusciva a sentire nemmeno le sue parole.
Inumidendosi le labbra inaspettatamente asciutte, strinse le braccia al corpo con fare meccanico. Fuori faceva freddo, ma di questo prese coscienza soltanto diversi secondi più tardi.


Balzò di tetto in tetto, tenendo con una sola mano il proprio carico, in un equilibrio che sarebbe apparso precario solo per l’occhio più disattento. Uno scherzo invece per lui, e questo nonostante la carenza di allenamenti, la mancanza di sonno e l’ansia che lo stava dominando; ma ora non era affatto dell’umore di vantarsene.
Chissà come reagirà.
Cercò di non immaginare la delusione sul volto di sua madre, e ovviamente ciò sortì l’effetto opposto. Non importava, si sarebbe giustificato, si sarebbe scusato, in qualche modo avrebbe perfino pagato i danni provocati. Sarebbe voluto uscire dal Nekohanten in un modo più ortodosso, ma quel che era fatto era fatto. E tutto questo, ora, passava in secondo piano.
Pregò di non stare per commettere una grossa stupidaggine, per quanto se lo fosse ripromesso: se ci fosse stato anche solo il minimo cenno di speranza, lui avrebbe provato qualunque cosa. Proprio sua madre era stata l’ispirazione per ciò che gli era venuto in mente, glielo avrebbe spiegato e magari lei avrebbe capito. Avrebbero capito.
Poteva salvare Akane, doveva salvarla. Era finito il tempo di piangersi addosso, stava tutto a lui: e se anche, una volta arrivato a destinazione, avesse dovuto affrontare altri cento, mille Safulan, ebbene l’avrebbe fatto senza battere ciglio.


“Il dottor Tofu, presumo.”
Afferrò la stanghetta degli occhiali e mise a fuoco, con un po’ di meraviglia, la figura non più alta di un comodino che aveva letteralmente balzellato nella sua direzione e si stagliava ora di fronte a lui abbarbicata al proprio bastone, con un’aria saccente e che per questo gli appariva quasi comica, associata a tale immagine. Poi ricordò di avere a che fare con una delle Grandi Anziane del leggendario popolo di Joketsuzoku e riacquistò un certo contegno.
“Venerabile Cologne”, cominciò aggiustandosi la voce, “ero venuto per…”
“Non è il momento.” La sua interlocutrice si guardò rapidamente attorno, forse solo per constatare che il rumore che aveva fatto sobbalzare entrambi poco prima non era stato causato da lui. Poi puntò gli occhi in direzione opposta del corridoio. “Lo sgabuzzino. Ma certo.”
“Vengo con lei!” Disse, traducendo in azione le proprie parole quando l’amazzone lo ebbe già distanziato di qualche metro.
La raggiunse che era intenta a contemplare una porta aperta per metà e fuori dai cardini, nonché l’interno della stanza, illuminato dall’interruttore acceso.
“Era chiusa a chiave… domani mi toccherà far sistemare la serratura.” Borbottò.
“Un ladro?” Chiese Tofu, affacciandosi a sua volta. “Mentre tutti noi eravamo in casa?”
“Sicuramente qualcuno che è entrato dalla porta sul retro, dato che eravamo riuniti nel salone. E che se n’è fuggito da… beh, direi che non ci sia neanche da domandarselo.” Concluse additando il vetro rotto e la finestra dalla quale faceva capolino, a tratti, qualche soffio di vento freddo. “Un’uscita ancora meno discreta, senza dubbio.”
Tofu ispezionò l’interno della stanza, scorrendo tra scope e scatole varie senza trovare niente che non facesse pensare a un comunissimo ripostiglio.
“E manca qualcosa?” Domandò infine.
“Sì.” Disse l’amazzone. “E si tratta delle uniche cose che potessero avere… un valore.”
Tofu ripensò alle foto che Nabiki aveva mostrato loro qualche ora prima, quando aveva smascherato il piano architettato dal signor Saotome. Non gli fu difficile tirare le somme.
“Le fiasche con le acque maledette, giusto? E il resto lascerebbe pensare a uno dei ragazzi. Uno come Mousse, Ryoga, o più probabilmente Ranma.”
Cologne lo fissò attentamente prima di rispondere. Poi alzò il capo, con l’aria del giocatore che decide di scoprire le proprie carte.
“Già, quelle fiasche. Tutte e tre, tra l’altro. E immagino che anche l’altra supposizione sia esatta.” Sospirò. “Pare che il consorte abbia in mente qualcosa, ma onestamente non saprei dire cosa di preciso possa avere intenzione di fare con quelle acque.” Socchiuse le palpebre. “L’unico fatto certo è che con Zhou Chuan Xiang non si scherza.”
“In verità”, Tofu aggiustò le lenti all’altezza del naso, “credo di avere un’idea a riguardo.”
L’interlocutrice tornò a fissarlo negli occhi, lasciando trapelare un poco di curiosità.
“Sentiamo.”
Si bloccò per qualche secondo. Si era recato da Cologne proprio per esporre questa intuizione ma non era sicuro della sua plausibilità, tanto che aveva finito per seguirla in silenzio ed era stato sul punto di lasciar perdere, quando lei era entrata in bagno. Si costrinse a ripetersi che doveva osare, doveva tornare ad avere fiducia nelle proprie capacità, e a ogni modo qualunque cosa era meglio della tortura a cui si era sottoposto fino a qualche minuto prima.
“Prima lei ci diceva che l’Akanenichuan ha fatto… se ricordo bene le sue esatte parole, ‘da tramite’. In pratica la sorgente non ha inglobato a sé una volta per tutte la tamashii di Akane, non opera in quel modo ma funge più semplicemente da conduttore. Quando Ukyo si è bagnata con quell’acqua, pur trovandosi a centinaia di chilometri di distanza dalla Cina e dal monte Kensei, l’anima senziente di Akane è stata trasferita nel suo corpo. E la sorgente è diventata una fonte normale, prova ne è quel coniglio che vi è stato immerso senza alcuna conseguenza.”
“Precisamente.”
“Allora pensavo…” Espose rapidamente la sua idea. Cologne lo ascoltò con attenzione, annuì quando ce n’era bisogno, non lo interruppe finché ebbe finito.
“È una teoria interessante.” Gli disse infine. “Sebbene non sappia se possa davvero essere messa in pratica, si potrebbe fare almeno un tentativo… ma…”
Alzò lo sguardo verso la stanza, intuendo il seguito della frase. “Pare che Ranma abbia avuto quest’idea prima di noi”, constatò a sua volta, “o almeno ci conviene sperare che sia andata così.”
L’amazzone non replicò nulla e Tofu la scrutò con interesse. Qualcosa non lo convinceva del tutto, forse la rapidità con cui Cologne aveva accettato quanto le aveva detto. Si domandò se per caso non fosse già arrivata per conto suo alla medesima conclusione, se l’avesse tenuta nascosta loro per un tornaconto personale.
La morte di una tra Akane e Ukyo poteva tornare utile a Shampoo, effettivamente, ma davvero non riusciva a darsi una risposta così crudele.
Da medico, non poteva concepire nulla di più importante di una vita umana e supponeva che la stessa Cologne non dovesse pensarla poi così diversamente. Del resto mai in tutto quel tempo era ricorsa a rimedi drastici per acquistare Ranma alla causa di Joketsuzoku, e di mezzi ne avrebbe avuti tanti.
Le urla della sua interlocutrice lo riscossero. Non comprendeva ciò che l’amazzone andava esclamando in lingua cinese, ma suonavano indubbiamente come delle imprecazioni.
“Venerabile Cologne, cos’è successo?”
Cologne rispose senza guardarlo. “Quello scellerato di un consorte non ha considerato il problema più ovvio. Che cosa ha mai combinato?!”


Non distingueva più le carezze sulle proprie spalle in segno di conforto, né sapeva di chi fossero le mani che avevano stretto le sue. Avvertiva solo la voce di Ukyo dentro di sé, che aveva ripreso a farsi sentire con nuovo vigore: ora la sentiva nitidamente, ma non era intenzionata a darle retta.
Scuotiti, le diceva. Vuoi forse che finisca tutto così? Intendi startene ancora a lungo a braccia conserte, trascorrere in questo modo i tuoi ultimi momenti, lasciare questo mondo senza nemmeno parlare un’ultima volta con lui, dirgli quel che provi? Ecco, guarda cosa mi stai facendo fare, proprio a me che se fossi al posto tuo non esiterei un istante a raggiungere Ran-chan con ogni mezzo, ma ti sembra giusto?! Scuotiti, insomma, o giuro su ogni okonomiyaki cucinata nella mia carriera che mi riprendo il mio corpo seduta stante!
Non puoi capire, le rispose mentalmente. Se lui non vuole vedermi, non posso costringerlo. E io non sono come te, non so esprimere i miei sentimenti come fai tu, non ne sono capace. Non ho la tua faccia tosta… il tuo coraggio, la tua forza d’animo.
Finiscila con queste baggianate, le replicò Ukyo con una irruenza tale da farle pensare di averla udita gridare sul serio e non solo nella sua testa. Non posso sentire questi discorsi dopo che hai preso una simile decisione, dopo che mi hai impedito il nobile gesto, il sacrificio espiatorio al posto tuo, che hai scelto di affrontare uno ad uno i tuoi cari, guardarli dritto in faccia e dire loro addio. Pensi che, di noi due, sia io quella ad aver avuto fegato?! E arrivata fin qui mi parli di rinunciare… di non rivedere più quello stupido che amiamo, quello stupido che ti ama?
“Ukyo…” Disse inavvertitamente a voce alta, colpita di cuore da quello sfogo, dalla verità di quanto detto. Anche se Ranma era fuggito, lei l’avrebbe ritrovato. Solo che non poteva…
Si interruppe, tornando alla realtà. Qualcuno le aveva appena messo in mano qualcosa di caldo. Spostando su di esso la propria attenzione, poté riconoscere la forma di un thermos.
“Non è da bere.” Disse Nabiki, sbucando di fronte a lei e facendole un occhiolino. “Con questo potrai ritrasformarti in Ukyo quando desideri, senza bisogno di tornare qui.”
“Sorellina…”
“Risparmiati il ‘sorellina’, con me non attacca: sappi che addebiterò questo servizio al tuo caro fidanzato. E ora vai, hai ancora tutto il tempo di trovarlo.”
Akane accennò a muoversi, poi si bloccò. Guardò ancora la sorella. E poco più distanti Kasumi, papà, la zia Nodoka, che annuivano piano.
“Cosa aspetti, un altro saluto melodrammatico? Sbrigati!” Nabiki accennò un gesto della mano per enfatizzare la propria esortazione, ma fu anticipata dal suo slancio. Non ne uscì fuori il migliore degli abbracci, ma per Akane andava benissimo lo stesso.
“Grazie. Ti voglio bene anch’io.” Mormorò, prima di interrompere il contatto e allontanarsi senza osservare la reazione di Nabiki, senza più guardare nessuno. Se si fosse voltata indietro, forse avrebbe perso il coraggio e non poteva, non voleva permettersi questo.
E corse, corse. No Ukyo, pensò, non voglio che tutto finisca così.
Ma era talmente assurdo, non sapeva nemmeno dove si stesse dirigendo. Ranma poteva trovarsi ovunque. No, non era questo l’atteggiamento giusto, non importava, doveva provare. Il cuore le gridava di farlo.
Anche se solo un’ultima volta, voleva vederlo ancora.


Forzò la finestra e scoprì che non ce ne sarebbe stato bisogno, nessuno aveva provveduto a chiuderla ermeticamente dopo la ‘fuga’ della notte prima.
Un altro conto da pagare…
Stupendosi della propria autoironia, pensò che andava bene così, il più era fatto e ora doveva imporsi di essere ottimista. Entrò e soltanto allora realizzò la fatica e la stanchezza e si permise di riprendere fiato per qualche istante, sedendosi per terra a poca distanza dal letto, dalla vera Akane.
Aveva bisogno di riordinare le idee.
Grazie alle parole di sua madre, il discorso di Obaba gli era tornato chiaro e vivido nella mente. Per qualche minuto, tutto aveva avuto perfettamente senso. Adesso, invece, i dubbi erano tornati a sovrastarlo e a impedirgli ogni lucidità di pensiero. Quante probabilità c’erano che la sua idea potesse funzionare?
Ma non aveva più tempo per pentirsi. Scrutò le tre damigiane. Era così agitato che, entrato nel ripostiglio del ristorante dove le aveva viste l’ultima volta, non era nemmeno riuscito a leggere con attenzione le scritte sulle etichette e, per timore di scambiarle, aveva deciso di portarle tutte con sé.
Si complimentò con se stesso per quella decisione così assennata, pur presa in un momento così confuso: non voleva nemmeno immaginare il disastro che avrebbe potuto combinare adoperando l’acqua sbagliata. Accese la luce. Fissò attentamente le damigiane e per un momento credette di essere ancora troppo nervoso, o che la vista gli stesse giocando un brutto scherzo. Poi la verità lo assalì come una scossa elettrica.
Le scritte erano in caratteri cinesi.
Per qualche secondo fu letteralmente dominato dal panico. Cosa diamine aveva fatto?! E ora come poteva riconoscere quella giusta? Calma, doveva mantenere la calma. Scrutò ogni centimetro della circonferenza di ogni fiasca, forse da qualche parte erano annotate le traduzioni… ma no, niente!
Quell’idiota di una guida! Non poteva scrivere nella nostra lingua?!
Calma, poteva ancora farcela. Sollevò una fiasca per volta: una poteva scartarla con sicurezza, ma le altre due… No, aveva assolutamente bisogno di capire cosa fosse scarabocchiato sulle etichette. Forse con un dizionario… ma dove trovarlo, ora?
Stupida guida! Stupido papà che non gli aveva mai fatto imparare il cinese, nonostante tutti i loro viaggi di addestramento!... Stupido lui, che non avrebbe dovuto fare di testa sua ma chiedere a Obaba…
“Maledizione!” Gridò contro un appendiabiti. Non poteva finire così, non poteva fallire. Lui era Ranma Saotome, non perdeva mai…
…quante stupidaggini. Glielo aveva detto anche sua madre, non doveva lasciare che fosse l’orgoglio a parlare per lui. Non c’era davvero nulla da vincere o perdere.
Appoggiandosi alla spalliera del letto cominciò a parlarle, la pregò di capirlo, di perdonarlo. Ma proprio guardandola ancora una volta, distesa su quel letto, lo comprese: lei non era la vera Akane, era solo un corpo senz’anima che non gli avrebbe mai potuto rispondere.
Solo un altro dei sogni che aveva rincorso inutilmente.
Contro ogni logica gridò il suo nome, come se la forza della sua voce potesse svegliarla e compiere il miracolo. In una fiaba a lieto fine, forse, sarebbe stato così, eppure nella realtà lei si ostinò a non proferire verbo e lui si sentì morire dentro.
In un ultimo impeto scagliò un forte pugno contro la parete, urlando la propria disperazione, consapevole di aver perso anche la sua ultima possibilità. Poi tutto divenne buio.


Una strana sensazione le attraversò il petto, simile a una fitta. Piegò il torace e appoggiò le mani sulle ginocchia, raccogliendo il fiato.
Si guardò intorno. Le era parso che qualcuno l’avesse chiamata, ma il luogo era deserto. Riconobbe lo spiazzo del parco giochi vicino casa, un breve intervallo tra le abitazioni della zona che permetteva di scorgere la linea dell’orizzonte. Quanto aveva corso? E quanto mancava ancora all’alba? Non ne aveva la minima idea e più ci pensava, più si convinceva che tutta questa cosa non aveva alcun senso. Lei stava per morire, e ne aveva una paura matta: aveva cercato di non affrontare davvero quella verità, ma il suo scudo mentale si era ormai infranto del tutto.
Stava per morire, ma non voleva. Si chiedeva perché dovesse toccarle questo destino, a lei che non aveva nemmeno finito di frequentare la scuola superiore. Si chiedeva perché proprio lei, quale karma dovesse scontare, cos’avesse mai fatto di male per essere punita così gravemente. Voleva vivere, diplomarsi, magari iscriversi all’università, guidare la palestra di arti marziali, farsi una famiglia e ora non avrebbe avuto niente di tutto questo.
Scoprì che la sua vista era annebbiata dalle lacrime. Non ricordava nemmeno di aver cominciato a piangere. Ukyo provò ancora a confortarla, ma lei stavolta ricacciò con rabbia quel gesto, non voleva più sentire la solidarietà di nessuno.
“Voglio vivere!” Gridò disperata.
E poi gridò ancora, e decise che avrebbe continuato fino a consumarsi le corde vocali. Cos’altro le restava da fare?
E all’improvviso, fissando l’immagine deformata della mano che stringeva il thermos, come una folgorazione, la risposta le si manifestò limpida e seducente nella sua semplicità.
Assolutamente nulla.
Le sarebbe bastato aspettare. Non doveva fare nulla. Aspettare e nient’altro. E sarebbe sopravvissuta. E sarebbe…
…cosa stava andando a pensare? Stava forse perdendo il lume della ragione?! Se lei non si fosse bagnata con quell’acqua calda prima del sorgere del sole, sarebbe stata Ukyo a fare la sua fine. Voleva vivere, ma non a quel prezzo, non poteva prendere in considerazione una simile…
Ma voleva vivere. Voleva vedere Ranma, ma non avrebbe potuto farlo se ora fosse morta. Anche Ukyo gliel’aveva detto, no? Anche Ukyo voleva che lei vedesse Ranma. Perciò non faceva una grinza, non faceva…
Il cielo. Era più chiaro rispetto a pochi minuti prima. Asciugandosi il viso, scorse i primi raggi del sole che premevano per uscire fuori. Adesso o mai più. Il braccio le tremò.
“Mi hai sopravvalutato, Ucchan”, disse piano, notando appena di averla chiamata con il diminutivo, “non ho affatto fegato, sto morendo di paura… perdonami, non trovo la forza di farlo.”
Non poteva farcela, non poteva versarsi quell’acqua. Era debole.
Allontanò lievemente da sé il thermos, fissandolo come la cosa più orribile sulla faccia della terra.
Kami, perdonami, perdonatemi. Ranma…


Soun dovette fermarsi. Non voleva, ma fu costretto. Le gambe gli avevano ceduto e non riusciva a contrastare l’ansimare del proprio fiatone, il corpo non gli rispondeva più come una volta. E poi, ormai, l’aveva vista.
La ragazza con la divisa del Furinkan era inginocchiata per terra e rivolta di spalle col capo basso, per cui, nonostante il sole fosse appena sorto e il cielo si stesse rapidamente rischiarando, non era in grado di identificarla.
Si avvicinò e udì un singhiozzare sommesso. Scoprì che la propria mano si era già posata con fare rassicurante sulla spalla della ragazza prima ancora che la sua mente avesse formulato un piano d’azione.
Lei sussultò. “Non volevo finisse così… non è giusto”, sussurrò, con una voce così roca che non riuscì a riconoscerne il timbro, “non è per niente giusto.” E con queste parole voltò il capo nella sua direzione. Soun non voleva, ma i loro sguardi si incontrarono.
Vide il volto.
I capelli.
Lunghi.
Quelli di Ukyo.
La strinse a sé come se fosse un simulacro della figlia, l’ultimo collegamento che l’aveva temporaneamente vincolata a questo mondo e, senza più niente che potesse trattenerle, lasciò che le proprie lacrime si unissero alle sue.


Epilogo


Silenzio. Aprì le palpebre, lentamente e con una certa difficoltà, ma l’oscurità non si dissipò di molto. Alle sue spalle, anzi affianco a lei doveva esserci una lieve fonte di luce, ma non bastava a rischiarare l’ambiente dove si trovava: non la aiutava il fatto che la vista era appannata e che il corpo non rispondeva ai suoi comandi. Impossibilitata a muoversi, scorgeva i deboli raggi di quella luce e ne era quasi ipnotizzata.
Si sentiva stordita, un po’ come se le fosse stato somministrato un anestetico. Le lacrime di poco prima non erano che un ricordo e il pensiero della sua morte non la angosciava più di tanto, forse si era rassegnata. O forse, adesso che il trapasso era compiuto, il peggio era effettivamente passato.
Provò ancora a muoversi, ma non vi riuscì. Probabilmente era normale, da morta: non aveva mai avuto notizie di cadaveri ambulanti, a parte quelli dei film dell’orrore che le piaceva guardare la sera tardi. Avvertiva la presenza del proprio corpo, ma poteva trattarsi semplicemente di un’illusione costruita dalla propria mente, così abituata alle sensazioni fisiche da non sapersene separare neppure in questo momento.
Chiuse gli occhi. Si domandò dove si trovasse, come mai non stesse succedendo niente. Forse non era ancora nell’Aldilà, forse era in una specie di dimensione intermedia, magari era in attesa della sua reincarnazione. Non si era mai fatta una idea precisa di come potesse funzionare il ‘dopo’, né ora era così ansiosa di scoprirlo.
Del resto non aveva nemmeno idea di come avesse trovato infine il coraggio di versarsi l’acqua del thermos e attivare la trasformazione, salvando Ukyo giusto in tempo. Ma l’aveva fatto e solo questo contava, adesso si rendeva conto che non sarebbe stata in grado di sopportare di essere sopravvissuta a sue spese, di vivere il resto della propria vita con il fardello sulla coscienza di averne soppressa un’altra.
Ancora silenzio. No, non proprio del tutto. Sentiva qualcosa, una presenza, un lieve respiro. Riaprì gli occhi, più facilmente della prima volta.
Vide una sagoma, nella penombra. La sagoma di una persona rannicchiata accanto a lei, come addormentata, e i capelli che cascavano su un lato… raccolti in un codino…
Possibile…? Il cuore accelerò il proprio battito, o almeno la mente lo immaginava per lei, e lo sguardo continuò a vagare lungo la figura curvilinea. No, non era lui, non poteva scorgere tutti i dettagli ma chiaramente stava osservando i contorni della sua forma femminile. Però Ranma era guarito dalla maledizione, tutti erano guariti dalla maledizione, lo aveva visto nei ricordi di Ukyo, lo aveva sentito confermare da Mousse, non era forse così? A meno che… Un’intuizione la colpì all’improvviso.
Lo spirito della ragazza annegata…?
Ma certo, aveva un senso, era logico. Le parve di partecipare alla chiusura di un cerchio: tutto era cominciato con Jusenkyo e con Jusenkyo doveva finire, pensò, e in un certo senso la faccenda era perfino affascinante. Ma cosa sarebbe stato di lei, ora?
Forse era bloccata lì, forse per sempre.
Dunque è così, passerò l’eternità assieme alle anime di coloro che sono annegati nelle Sorgenti Maledette.
Le venne un brivido per tutto il corpo, incredibilmente reale per essere un parto della sua mente.
Le sembrò un destino orribile e più che mai desiderò qualsiasi altra cosa, qualunque cosa che non fosse questo. Ma soprattutto voleva rivederli. Papà. Kasumi. Nabiki. Ranma. Ranma. Ranma…
“Ran… ma…”
La ragazza con il codino sobbalzò. Forse lo spirito l’aveva udita e si era letteralmente risvegliato dal suo sonno.
Un momento, io sono riuscita a parlare.
Lo spirito della ragazza annegata si inarcò verso di lei e sbatté le palpebre più volte in rapida successione, squadrandola come se fosse un fantasma, cosa che probabilmente era davvero. Ma la loro vicinanza la stava intimorendo, e per istinto Akane alzò il braccio verso di lei per allontanarla.
E sono riuscita a muovermi.
Voleva essere un gesto brusco, ma si trovò invece a sfiorare il viso della ragazza. Era tiepido. E bagnato.
“Aka… ne?”
Conosceva il suo nome? Non poteva essere! Ma allora…


“Ranma…?”
Era vero, non stava sognando. Era davvero la sua voce.
Prese la mano che lei aveva poggiato sul proprio viso. Era fredda, la strinse tra le sue.
“Ranma, sei proprio tu?” Il suo tono era incredulo e speranzoso al tempo stesso. ‘Fragile’ era la parola che il cervello gli suggeriva come la più adatta.
Pensò di dover dire qualcosa. Dare prova anche a lei che non erano in un sogno.
“Questo… dovrei chiederlo io a te, non ti pare?” Le mormorò.
Era come se le lancette fossero tornate indietro. Le stava parlando. Stava parlando ad Akane. Il suo volto era pallido, lo sguardo stanco, ma lei era viva. Si stavano tenendo per mano e lei era viva.
Era un miracolo, perché anche l’ultimo suo tentativo sembrava essere miseramente fallito.
L’idea gli era arrivata ripensando alle parole dette da sua madre: quando lei aveva parlato di ‘tramite’, a lui era venuto in mente il discorso di Obaba sul funzionamento dell’acqua della fonte Akanenichuan. Se era stata quella a trascinare l’anima di Akane nel corpo di Ucchan, per quale motivo – si era chiesto d’un tratto – il fenomeno non poteva essere replicabile? La risposta era che poteva, punto.
Bagnando un altro corpo, l’anima avrebbe automaticamente abbandonato Ukyo per seguire il nuovo ‘ospite’, o questa almeno era la sua speranza.
E stando così le cose, non poteva davvero pensare a un ospite migliore del corpo originale.
“Dove siamo? Non capisco…”
Ranma scosse piano la testa, tenne la mano della fidanzata come per assicurarsi che non potesse scomparire nel nulla e con l’altro braccio teso verso la finestra tirò la tenda, lasciando passare la luce del giorno.
“Scema… non riconosci la tua camera?”
L’ambiente avvolto dai colori del mattino assunse un altro aspetto, più allegro, più vivo. Pensò distrattamente che poi avrebbe dovuto riparare anche quest’ultimo danno: il pugno che aveva sferrato prima aveva sfondato in pieno l’interruttore lasciando la stanza senza illuminazione elettrica. Non che contasse qualcosa, al momento.
Era davvero un miracolo, perché il sole era sorto da molti minuti e Akane non aveva dato cenni di vita, nonostante l’avesse bagnata con l’acqua che riteneva giusta: sicuro di aver perso troppo tempo, aveva sfogato ancora la propria disperazione e poi si era accucciato accanto al suo corpo esanime.
Obaba mi ha detto che quella volta, in Cina, ho fatto in tempo… ma adesso, quando davvero contava, non ci ero riuscito… ero arrivato di nuovo troppo tardi…
E invece ecco la sua fidanzata davanti a lui: tornando a fissarla, notò la sua aria stordita e il fatto che non si fosse alterata per l’insulto che gli era scappato prima: probabilmente era ancora troppo debole per farlo, ma se avesse voluto avrebbe potuto picchiarlo anche cento, duecento volte.
Voleva dirle tante cose, ma i pensieri si accavallarono e alla fine dalle sue labbra uscì soltanto uno stentato: “Beh… come va?”
Ecco, che stupido… Era una frase talmente idiota, in quella circostanza, che pensò di essersene vergognato abbastanza per tutti e due, ma poi notò che Akane non sembrava indispettita e anzi gli stava accennando un sorriso.
“Mi sento, direi, intorpidita. Come se avessi una gamba addormentata, solo che… vale per tutto quanto.” Proferendo le ultime parole, cercò di alzarsi dal letto facendo leva sulle braccia. Sollevato il busto, rischiò di ricadere all’indietro e Ranma la trattenne in tempo.
“Immagino che sia normale”, constatò, “dopotutto erano settimane che il tuo corpo vegetava qui immobile.”
La fidanzata prese a fissarlo con una strana intensità. Si accorse solo allora dell’estrema vicinanza dei loro volti e non riuscì a impedirsi di arrossire.
“E tu…”, cominciò lei mentre Ranma avvertì l’improvviso bisogno di deglutire, “come mai sei una ragazza?”
Non era esattamente ciò che si era aspettato di sentirsi dire, ma anche questa domanda gli suonava piuttosto scomoda.
“Beh, questo, ecco…” Decise di raccontarle rapidamente e senza troppi dettagli il suo piano, di come avesse portato con sé dal Nekohanten tutte e tre le damigiane e si fosse poi trovato nell’impossibilità di stabilire quella giusta, non conoscendo il cinese.
Ricordando, rivisse sulla propria pelle quei momenti di terrore. Aveva potuto escludere la damigiana più leggera, quella ormai vuota che aveva contenuto al proprio interno la Nannichuan, prima di essere stata consumata da lui e dagli altri. Tuttavia, senza la possibilità di comprendere cosa dicessero quegli ideogrammi, non riusciva a distinguere tra le altre due e intanto il tempo stava finendo e…
“Le hai provate su te stesso?!” La voce di Akane era scioccata.
Ranma ridacchiò leggermente, non riuscendo a strappare da sé quella seccante sensazione di imbarazzo.
“Ecco, non entrambe. Come vedi, la prima acqua che mi sono versato era quella della sorgente della ragazza annegata e così non c’è stato alcun bisogno di sperimentare la seconda…”
“Ma… ma…”
“Non c’è bisogno di farne un dramma. Tanto troverò un altro modo di guarire dalla maledizione, vedrai…”
“No, intendevo… e se ti fossi versato per prima l’altra acqua?”
Ranma non rispose. Sarebbe stato un grosso bugiardo, se le avesse detto di non averci pensato. Il rischio c’era, Akane si sarebbe trovata nel suo corpo, inconsapevole della situazione, e dunque al sorgere dell’alba lui… Ma lei sarebbe stata salva anche in questo caso, perciò semplicemente non aveva esitato.
Non disse nulla, ma da come lo stava guardando doveva averlo capito anche Akane.
“Sei uno stupido…” Mormorò con un filo di voce, e lui non poté fare a meno di concordare mentalmente. Era stato uno stupido in tanti di quei modi che ormai ne aveva perso il conto, eppure i Kami avevano voluto dargli una possibilità di fare ammenda.
Improvvisamente venne tirato a sé in un abbraccio e fu colto del tutto alla sprovvista.

Chasing the Evening Shadows - Fanart di Giogia Gi 

Finì addosso ad Akane, pur riuscendo a far leva sul materasso con la mano libera e non schiacciarla con il proprio peso. A lei sembrava non importare, lo stava stringendo con forza e aveva perfino cominciato a singhiozzare: la cosa lo mise ancora più in agitazione e avrebbe voluto dirle di smetterla, ma la voglia di piangere venne anche a lui e cercò piuttosto di trattenersi.
“Sono viva…” Disse lei tra le lacrime.
Ranma analizzò la situazione. Troppe volte, negli ultimi giorni, aveva oscillato tra sonno e veglia fino a non distinguere quasi più la realtà dalle proprie fantasie, fino al punto di dubitare della propria sanità mentale. Ma gli occhi arrossati della fidanzata, il suo respiro, il suo calore non gli lasciavano dubbi.
“Sei viva.” Ripeté, con la sensazione di essersi svegliato da un lunghissimo incubo.
Akane si sfogò in un pianto liberatorio e lui la lasciò fare. Anche a lui ora stavano uscendo le lacrime, ma mandò mentalmente al diavolo le parole di papà una volta di più, con la consapevolezza che l’avrebbe fatto anche se non si fosse trovato nella sua forma maledetta.
Pianse assieme a lei e poi godette i lunghi momenti di silenzio che seguirono, intervallati solo da qualche singhiozzo sporadico.
“Però non credere che ti perdoni così”, riprese Akane, “ho avuto tanta paura, volevo che fossi vicino a me… e tu non c’eri.”
Sentì nitidamente il rumore del suo battito che accelerava.
Cercò la mano di Akane e ricordò di non averla mai staccata dalla propria, nemmeno in seguito alla caduta di poco prima. Così si limitò ad accentuare la stretta.
“C’ero invece”, disse, sapendo che era vero, “e ci sarò sempre.” Questo, si ripromise che sarebbe stato altrettanto vero.
Si guardarono negli occhi e non ci fu bisogno di aggiungere altre parole. Ritenne che non fosse né il luogo, né il momento per confessarle i propri sentimenti – a dirla tutta, nemmeno il corpo era quello giusto – ma anche che quel discorso fosse solo rimandato di poco.
Avrebbe voluto che quegli istanti durassero per sempre, ma fu proprio lui a sollevarsi e aiutare la fidanzata a tirarsi su dal letto.
“Dobbiamo avvisare gli altri.” Le spiegò. “Loro non sanno ancora niente.”
Akane annuì, sorridendogli di nuovo. Era pallida, ma meno di prima. Ranma pensò che si sarebbe ripresa presto del tutto, del resto non aveva mai messo in discussione la forte tempra della sua fidanzata.
È stata anche più forte di me…
Aveva ceduto troppe volte, aveva fatto passare brutti momenti a sua madre, al signor Tendo, a Ucchan, a tutti. Lo sguardo gli cadde sulle fasciature delle proprie nocche. Cavolo, aveva anche alzato le mani contro Tofu… e forse era andato troppo pesante perfino contro il proprio vecchio, non che lui non si meritasse una lezione.
Ma alla fine è stato pure merito suo, anche se solo per una fortuna sfacciata.
E tutti quanti a modo loro l’avevano aiutato, gli avevano impedito di perdersi nel momento in cui era più vulnerabile.
“Sarà una bella sorpresa.” Gli disse Akane, che si era appena appoggiata alla sua spalla. Lui annuì, sorridendole e stringendola a sé.
“Indubbiamente.”
La sostenne e percorsero insieme alcuni passi, affacciandosi un attimo alla finestra, prima di dirigersi verso l’uscita.
Fuori, il sole splendeva. Sapeva che era così anche dentro di lui.
Le ombre si erano finalmente dissipate.

 
***



Il disegno che avete trovato nel capitolo è stato realizzato da Giorgia Gi, che ringrazio ancora di cuore.

Bene, qualche pensierino mi è venuto in mente, ma prima… ecco, prendete un bel respiro, magari aspettate qualche istante prima di distogliervi dalla storia appena letta, magari se non siete interessati saltate proprio le righe che seguiranno. Ma se fatto ciò siete ancora qui, ne approfitto per ringraziarvi, tutti: che abbiate commentato assiduamente, di tanto in tanto, ma anche una sola volta per farmi sapere che, sì, ho avuto anche il vostro sostegno. Che abbiate inserito la fanfiction tra le seguite, le ricordate, le preferite, o più semplicemente che abbiate letto questo racconto e che questo vi abbia saputo essere di compagnia. Grazie.
È stato un viaggio lungo, molto più lungo del preventivato, ma non me ne pento perché – che sia venuta fuori brutta o bella – questa è la storia che desideravo tanto raccontare, in ogni minimo dettaglio, dalla prima all’ultima riga, ed esserci riuscito mi riempie di soddisfazione. Il tutto anche per merito vostro, e non è per dire, ogni singola osservazione o chiacchierata mi è stata di grande aiuto.
Così come, l’ho sempre detto ma ribadirlo adesso è d’obbligo, non avrei mai potuto farcela senza il sostegno e la collaborazione costanti di quella santa di una beta che è la mitica TigerEyes, la quale mi è sempre stata vicino dall’inizio alla fine. Senza di lei sarebbe davvero stata tutta un’altra storia, e forse non ci sarebbe stata proprio nessuna storia.


Non è ancora finita: qui di seguito, ecco delle "FAQ" dato che mi sembrava giusto rispondere pubblicamente alle domande più interessanti che mi avete posto nei commenti.

1) Che cosa sta facendo attualmente Shampoo ancora in Cina?

La risposta è fondamentalmente quella data da Mousse nel capitolo 4. Shampoo è rimasta sconvolta dalla disperazione di Ranma a Jusendo, mentre abbracciava il corpo esanime di Akane (ricordiamo che in questa fanfiction Akane non si è svegliata): comprendendo forse una buona volta di non essere ricambiata, si è presa un po' di tempo per pensare, col conforto del padre e delle amazzoni amiche d'infanzia (e obbligando invece Mousse a tornarsene in Giappone per dare una mano alla bisnonna al ristorante). Quando ha chiesto per telefono il permesso, Cologne non se l'è sentita di obiettare e l'ha lasciata fare.

2) Qual è l’esatto meccanismo dell’Akanenichuan?

Nei capitoli 10-11 Cologne spiega che l'Akanenichuan non è una fonte diversa dalla Nannichuan e dalla Nannichuan, essa come le altre ha solo la funzione di modificare l'aspetto delle persone che ci s’immergono, fermo però restando che un legame, sia pur latente, con colui che vi è caduto dentro la prima volta è comunque presente. Ciò che ha davvero causato gli effetti che conosciamo è stata la momentanea "morte" di Akane: non una vera e propria morte, ovviamente, ma quando Akane ha chiuso gli occhi il suo spirito (la tamashii, ossia la parte senziente dell’anima umana) si è separato dal corpo. E in quel momento è stato catturato, risucchiato dalla fonte Akanenichuan in virtù di quel legame di cui parlava Obaba. Nel manga chiaramente questo fenomeno non è avvenuto, ed è il vero e proprio momento divergente da cui la “what if” della mia storia.
Successivamente, proprio come nel manga, Ranma ha bagnato la fidanzata con l'acqua miracolosa di Jusendo (quella che sgorgava dal rubinetto del dragone) e questa ne ha preservato il corpo nonostante la cessazione delle funzioni vitali. Tuttavia ormai la tamashii era imprigionata e impossibilitata a fare ritorno: l’unico modo in cui poteva trasferirsi da un corpo all'altro era attraverso la stessa acqua dell’Akanenichuan, che a questo punto funzionava come un “conduttore”.

3) Ma cosa succede esattamente quando Akane si bagna con l’acqua calda a fine cap 14?

Premesso che queste precisazioni sono ininfluenti a livello narrativo, quella che segue è la mia ricostruzione degli eventi da scaletta: Akane si bagna con l'acqua calda appena prima dell’alba, fisicamente ritrasformandosi in Ukyo e di fatto lasciando campo libero all'anima (tamashii) di Ucchan ma rimanendo ancora dentro il suo corpo. Tuttavia proprio allora sorge l’alba, e a quel punto il tempo a disposizione è terminato e l'anima (tamashii) di Akane dovrebbe staccarsi dal corpo di Ukyo, disperdersi, verosimilmente annullarsi nell’incoscienza eterna. Sennonché, sempre nello stesso identico momento, Ranma (che, ricordiamo, si trova a casa Tendo) bagna il corpo di Akane con l'acqua dell’Akanenichuan la quale funziona da “calamita” risucchiando la tamashii di Akane e salvandole la vita.

4) Come mai, sempre nel capitolo 14, Ranma non ha provato le due fiasche sul corpo di Akane?

Perché né la Niannichuan (sorgente della ragazza annegata) né l’Akanenichuan avrebbero cambiato l’aspetto esteriore della fidanzata, rendendo così impossibile a Ranma capire quale fosse l’una e quale l’altra. Il problema è decisivo, dal momento che ogni acqua maledetta annulla gli effetti della precedente (se così non fosse, Ranma non potrebbe tornare un ragazzo per intero bagnandosi con la Nannichuan) e dunque Akane si sarebbe salvata solo se l’ultima delle due acque usate fosse stata appunto l’Akanenichuan. Se, al contrario, Ranma avesse bagnato il corpo di Akane prima con l’Akanenichuan e dopo con la Niannichuan, non avrebbe ottenuto nulla.

5) Obaba aveva intuito la soluzione, tenendola per sé, o è innocente?

Ho voluto lasciare questa risposta in sospeso, affidata all'interpretazione del lettore. Comunque un indizio c'è, ed è presente nel paragrafo di lei e Tofu (sempre nel capitolo 14).

6) Ora che l'anima di Akane si è trasferita in un altro corpo (che è poi il corpo giusto), Ukyo ha ancora la maledizione? Si trasforma cioè in Akane pur non trattenendone lo spirito?

Ritengo di non aver posto abbastanza regole e paletti sul funzionamento dell'Akanenichuan, nel corso della storia, tali da poter dare una risposta secca, per cui chi legge è libero di pensare che Ukyo possa ancora trasformarsi in un doppione di Akane (chiaramente solo dal punto di vista fisico). In realtà, però, nel capitolo 11 Obaba ci riferisce che la sorgente in Cina ha ormai perso ogni effetto (la guida vi ha immerso un coniglio e questo non si è trasformato) e perciò possiamo più verosimilmente supporre che il potere 'trasformativo' si sia legato all'anima (alla tamashii) di Akane, con la conseguenza che Ukyo non cambierà aspetto con l'acqua fredda.


Edit del 04/04. Ancora una cosa. Non posso proprio non segnalare una bellissima "What If..." di Laila che riprende gli eventi di Chasing the Evening Shadows (si parte da circa metà del capitolo 11) per condurli in un avvincente finale alternativo! Il suo titolo è "Harakiri" e potete trovarla: Qui.


Ora ci siamo davvero, è il momento dei saluti… o no, perché attendo le vostre opinioni. Sorpresi? Delusi? Soddisfatti? Fatemelo sapere, io rimango qui a vostra disposizione. ^__^
E già che ci sono mi metto al lavoro, perché avrei un’altra fanfiction da concludere… e diversi altri progetti che intendo mettere in moto. A presto! ^__-



   
 
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