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Autore: Cleo    24/09/2007    3 recensioni
Giorgio Moroni, sedici anni, occhiali sul naso, begli occhi scuri e orecchie a sventola, aveva sempre pensato di essere omosessuale. Questo, almeno, fino a quando non arrivò Lei.

*Versione riveduta e corretta*
Genere: Romantico, Malinconico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Fix me
 
Capitolo 1 – Meeting
 
Giorgio Moroni, sedici anni, occhiali sul naso, begli occhi scuri e orecchie a sventola, aveva sempre pensato di essere omosessuale.
Questo, almeno, fino a quando non arrivò lei.
 
Lei era una di quelle tipe che avevano più cervello che capelli in testa e per Giorgio, che faceva il classico, parlare con lei era l’azione più produttiva che avesse mai compiuto. A poco più di quattordici anni lei conosceva già Joyce, Wilde, Freud e De Sade e parlava di sesso con la stessa naturalezza con cui discuteva di politica.
Era diversa da tutte le altre ragazze perché non si vergognava di niente. Sapeva che le cose nella vita accadevano una volta sola e non si soffermava più di tanto a pensare alle conseguenze: lei agiva e non si curava cosa sarebbe potuto succedere. Era impulsiva, testarda, sarcastica e sfacciata e non aveva nessuna paura di dire ciò che pensava. E Giorgio l’adorava.
 
-o-
 
 
L’ ho conosciuta durante un volo diretto a Londra. Lei cantava a squarciagola e mi ricordo benissimo che la guardai male perché ritenevo inopportuno cantare su un aereo.
Io non sono il tipo che fa questo genere di cose.
Io sono ordinato. Io sono preciso.
Io non canto sull’aereo. Io non urlo. Io non ballo. Io non mi butto in piscina a mezzanotte. Io non faccio pazzie e vado al classico.
Io non sono come lei. Non faccio le cose perché mi va di farle. Io penso alle conseguenze.
Quando però l’ ho conosciuta, qualcosa dentro di me si è aperto.
Non dico di essere tornato a casa completamente cambiato, no, ma di essere diverso…questo non posso negarlo. Ho imparato a fidarmi delle persone, durante quelle due settimane lontano dal mio mondo.
 
 
Dopo averle parlato per la prima volta mi sono gettato sul letto, ho spento la luce e ho pensato a lei tutta la notte, mentre dentro ai pantaloni del pigiama mi cresceva un’erezione dolorosa che ho cercato disperatamente di ignorare.
Era la prima volta che mi succedeva.
In realtà, avevo spesso pensato di essere omosessuale. Non l’avrei mai ammesso in un milione di anni, però l’avevo pensato spesso. Mi ero anche preso una gran scuffia per il fratello del mio migliore amico, guarda un po’.
Lei aveva cambiato tutto. E se da una parte ne ero felice perché non avrei dovuto affrontare tutti i problemi derivanti dall’essere omosessuale, dall’altra parte ne ero turbato perché un sentimento del genere, un desiderio tanto intenso da essere doloroso, non l’avevo mai provato.
 
 
Quella mattina mi sono guardato con più attenzione allo specchio.
Non posso certo dire di essere bello. Le orecchie sono semplicemente troppo grandi per la mia faccia, porto gli occhiali e ho i capelli ricci e neri, non biondi e setosi come quelli di Cess McCartney. Le uniche cose belle che ho sono le mani, grandi e ottime per scrivere, e gli occhi, dalle lunghe ciglia che, dice mia madre, potrebbero far sciogliere una ragazza.
Quella mattina mi sono guardato con più attenzione allo specchio e ho pensato distrattamente che non avrei mai fatto sciogliere lei.
 
 
<< Credo che sotto il tuo culo ci sia il mio maglione. >>
Un bell’esordio, non c’è che dire.
Lei si era tirata vie le cuffie dalle orecchie, piegato distrattamente un angolo della pagina del libro che stava leggendo per tenere il segno, mi aveva passato il maglione blu e poi aveva alzato gli occhi su di me.
Ed in quel momento sarei potuto morire, giuro.
Con un sorriso mi aveva teso la mano. << Piacere, Carolina. Ma puoi anche chiamarmi Cari, o Rina, o Lina, oppure come vuoi. Molti mi chiamano Caccola, ma lo fanno affettuosamente quindi non mi offendo. >>
Le avevo sorriso anch’io, stringendole la mano e sedendomi poi vicino a lei sul terreno sintetico del campo da tennis.
<< Allora credo che ti chiamerò affettuosamente “Caccola”. >>
<< Mi piace, Caccola, come soprannome – aveva mugugnato, seria seria, riaprendo il libro dalla copertina azzurra –. Mi ricorda quanto tutti facciamo schifo, in fondo. Siamo tutti le gigantesche caccole del naso di Dio. >>
Avevo riso piano, mentre lei, serissima, aveva ripreso in mano il libro dalla copertina azzurra e si era immersa di nuovo in quel mondo che non sarebbe mai stato reale.
  
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