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Spontaneity
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Do not forget to smile for every single thing ~
Ieri è
morta la mamma di Shikamaru.
Fu
strano svegliarsi, quel mattino, chiamata da una voce rotta dalle lacrime, dallo
voce della mamma, rotta dalle lacrime di pianto che ancora solcavano il suo viso
paonazzo dalla disperazione.
Yoshino
Nara era da sempre stata la migliore amica della mamma.
Rimasi
ferma immobile sul letto, io, Ino Yamanaka, stringendo un lembo del lenzuolo
azzurro, l’espressione vacua e gli occhi vuoti e privi di qualsiasi
sentimento.
Mi
piaceva tanto, Yoshino Nara. Era una donna forte e caparbia e Shikamaru diceva
che lei ed io ci somigliavamo molto, tanto che lui soleva chiamarmi «Mama-chan», soprattutto quando era di buon
umore.
La mia
mamma mi disse che Yoshino non era morta in battaglia, ma a causa di una
malattia molto grave che nessun ninja medico sapeva curare, neppure la
straordinaria Tsunade-hime.
Yoshino
Nara era morta di tumore.
Aveva
tenuto nascosto questa malattia per molto tempo, sia a Shikaku che al figlio,
pensava che non dovessero preoccuparsi, perché tanto sarebbe
guarita.
Il
giorno in cui si era sentita male aveva lasciato un biglietto ai suoi
uomini:
“Sono
in missione, torno presto.
Baci,
mama-chan.”
Invece
si era precipitata da Tsunade-hime che aveva deciso con
l’operarla.
La sera
seguente era caduta in coma, facendo promettere alla Godaime di non dire nulla
al marito e a Shikamaru.
Si
sarebbe ripresa presto.
Come si
suol dire: «Le ultime parole
famose.»
Erano
passate settimane dalla sua presunta partenza, e i due uomini, preoccupati, non
erano riusciti a cavar, dalla bocca di Tsunade-hime, una sola parola sullo stato
della missione.
Venivano
liquidati con un «Tornerà presto! Non dovete
preoccuparvi!».
Le
stoviglie nel lavandino si accumulavano, il disordine governava la casa, mobili
e soprammobili erano coperti da uno strato di candida polvere che faceva sempre
starnutire il povero Shikamaru.
Shikamaru
era allergico alla polvere, e solo la sua mamma sapeva dove fosse la medicina
per curarlo quando l’allergia si manifestava.
Così
doveva dormire o da me, o da Choji.
Fu il
giorno in cui dovette dormire da me che cominciai ad avere dei sospetti sulla
partenza della donna.
-Ino?
Dormi?-
-No…-
-Secondo
te è normale?-
-Cosa?-
-Che
mia madre abbia firmato “mama-chan” nel biglietto!-
-Uhm…
non saprei…-
-Di
solito non firmava…-
-…-
-Ino?-
-Sì?-
-E… se
fosse stata preoccupata per qualcosa? Qualcosa di cui non voleva parlare a me ed
a papà?-
-Non
saprei…-
-Shhh!
Zitti voi due!-
-Gomen,
mama-chan!-
Il
giorno dopo, mia madre andò in ospedale. La seguii.
La vidi
entrare in una stanza buia e la sentii piangere.
Non
avevo mai visto la mia mamma piangere così. Mai. Sentirla singhiozzare mi faceva
venir voglia di imitarla, sentirla ingoiare il magone e percepire i conati di
vomito nella sua voce rotta, mi faceva stare anche peggio.
Scappai
di corsa dall’ospedale e, una volta fuori, vomitai.
Qualcosa
non andava.
Trascorsero
tre settimane dalla partenza di Yoshino
Nara.
Io
andavo a salutarlo ogni giorno e sfoggiavo un sorriso a trentadue denti,
ricambiato da una smorfia impercettibile di lui.
Se non
ci fossimo stati Choji ed io a tenergli compagnia, avrebbe persino smesso di
mangiare.
Quando
entravo nella sua camera sentivo il tanfo di sudore, di peti e altri odori
strani che sottolineavano la sporcizia di quella stanza. Così gli aprivo sempre
la finestra e riassettavo un po’ in giro.
Choji
mi guardava e sorrideva.
«Saresti
una buona moglie, Ino-chan!»
E io
arrossivo, giocherellando con l’orecchino, imbarazzata, lanciando occhiate
eloquenti a Shikamaru, che per tutta risposta abbozzava ancora quel sorriso
slavato.
Accompagnai
anche Temari a trovarlo. Insieme riordinammo la casa, la spolverammo e
preparammo da mangiare per quella sera.
Poi,
costringemmo Shikamaru a scendere dal letto e a vestirsi. Dopo molti sbuffi di
qui e «Mendokuse!» di là, riuscimmo a cenare con lui e
suo padre.
Sembravamo
una piccola famigliola, e questo sembrava fargli molto
male.
Un mese
e mezzo dalla partenza di Yoshino Nara. Ieri.
Il
giorno del sue decesso.
Dopo
essermi resa conto della gravità della situazione, mi alzai in fretta e furia,
mi vestii con i primi abiti che riuscii a trovare
nell’armadio.
Non
riuscivo a piangere, le lacrime rimanevano ferme sugli occhi, sbattevo le ciglia
e tornavano indietro, senza scendere.
Quel
giorno faceva un caldo spaventoso e il sole brillava alto nel
cielo.
In
molti racconti e fiabe, leggevo che quando una persona «Perdeva la vita» il cielo si tingeva sempre di grigio e
veniva ricoperto da nuvoloni plumbei.
Il
fatto che il sole scintillasse come oro mi dava fastidio.
Passai
da Temari, lei non era tornata a Suna, aveva preferito restare a Konoha, ad
aspettare che la madre di Shikamaru tornasse a casa, quando le dissi ciò che era
successo la vidi disperarsi silenziosamente, come solo lei sapeva fare, senza
mostrare alcuna espressione, ma sbattendomi la porta in faccia, dicendomi di
avvisarla il giorno del funerale.
Stava
piangendo, lo sentivo.
Io,
sentendo quei gemiti di dolore, non riuscii a piangere. Non scese nemmeno una
lacrima dai miei occhi.
Yoshino
Nara mi diceva sempre che il cielo quando pioveva era davvero
brutto.
Passai
da Choji e lui scoppiò in lacrime.
Non
avevo mai visto Choji singhiozzare sul serio, era uno spettacolo drammatico.
Ogni lamento che percepivo era come uno spillo al cuore per
me.
Ed io
non riuscivo a piangere.
Anche
lui non volle seguirmi, io stavo andando da Shikamaru,
dopotutto.
Suonai
al campanello.
«Chi
è?»
La voce
rotta di Shikaku. La voce gemente di Shikaku Nara.
«Sono
io, Ino!»
Mi
aprii Shikamaru, lui non stava piangendo, i suoi occhi non davan nemmeno segno
di averlo fatto prima. Era freddo, smunto e triste, ma non in
lacrime.
Ci
guardammo per del tempo interminabile. Venti minuti, forse di più, fermi su
quella porta d’ingresso. Lui in pigiama, io vestita con un ridicolo completino
lilla e giallo, un pugno negli occhi.
«È una
gara a chi piange per primo?» mi domandò a bruciapelo.
«Perderei?»
«No.»
mi sussurrò, abbassando lo sguardo in terra, lasciando che le lacrime cadessero
sulla pietra del pianerottolo. «Credo che tu abbia già
vinto.»
Feci un
passo avanti e lo abbracciai con quanto dolcezza e delicatezza avevo, e lui
pianse sulla mia spalla.
Che
scenetta buffa, un ragazzo che piange ed una ragazza che lo
consola.
Oggi.
Il giorno del funerale di Yoshino Nara.
Sono
vestita di nero. Quanto odio questo colore.
Odio
vestirmi di nero il giorno di un funerale, dopotutto chi è morto inizia una
nuova vita, perché dovremmo essere tristi?
Indosso
il mio braccialetto azzurro e arancione, quello che mi hanno regalato Choji e
Shikamaru per il mio sedicesimo compleanno.
La
mamma ha preso il ciondolo contente una foto sua e di Yoshino quando avevano
vent’anni e se l’è legato intorno al collo.
Anche
Yoshino aveva un ciondolo uguale e identico. Con la stessa foto. Ora lo porta al
collo, dentro la bara.
Esco di
casa, mi riunisco a Choji che mi stava aspettando fuori dalla porta, non sta
mangiando patatine, il che mi preoccupa.
Ha
pianto ancora, lo vedo e lo sento.
Ci
dirigiamo verso la casa di Shikamaru, da lì poi c’incammineremo tutti insieme al
palazzo della Godaime, dove si terrà il funerale.
Io non
ho ancora pianto.
Siamo
quasi a metà strada quando ci vediamo venire incontro Shikamaru, a testa bassa,
con le mani in tasca. Lo raggiungiamo, ci guardiamo tutti e tre negli occhi e
prendiamo la strada più lunga che ci avrebbe portati da
Tsunade-hime.
Durante
il tragitto, Shikamaru mi prende la mano e me la stringe.
«Io ci
sono.» gli sussurro dolcemente, lui in risposta, accentua la
stretta.
È
giunto il momento di portare un giglio bianco alla tomba.
Non ho
parole per poter descrivere il momento: Shikamaru sorregge il padre, padre che
poggia con delicatezza il fiore e piange. Si copre il viso e
piange.
Il
ragazzo invece guarda semplicemente la tomba, con volto indecifrabile. Muove le
labbra: «Sayounara,
mama-chan.».
E
quando torna indietro, mi riprende la mano, bagnata da quelle lacrime del
padre.
E io
non riesco a piangere.
Incontro
lo sguardo di Choji, è paonazzo dalle lacrime. Gli faccio la linguaccia, deve
sorridere.
Abbozza
un sorrisetto e torna a guardare la tomba.
Mentre
io mi vergogno di ciò che ho fatto.
Noi
tendiamo a sottovalutare la morte di una donna quando sentiamo i resoconti
dall’Hokage, e anche noi, quando uccidiamo, non pensiamo mai che magari quella
persona potesse essere un padre o una madre di famiglia.
Ci
accorgiamo di ciò solo quando la cosa ci tocca nel
personale.
E
quando non si riesce a piangere, significa che si è forti nell’animo. O che non
si vogliono mostrare le proprie debolezze.
«Shikamaru?»
«Dimmi.»
«Mi
dispiace.»
«Di
cosa?»
«Di non
aver pianto.»
«Tu sei
forte.»
«Ho
fatto la linguaccia a Choji per farlo sorridere.»
«Sei
stata spontanea ed una buona amica.»
«Non
voglio più sorridere. Non voglio fare del torto a qualcuno quando
sorriderò…»
Shikamaru
si ferma in mezzo alla strada, siamo solo io e lui.
Si
volta e mi afferra le spalle.
«Che
cosa stai dicendo! Noi abbiamo bisogno del tuo sorriso!»
«Shika…»
«Non
smettere mai di sorridere, Ino! Mai! Anche durante un funerale! Anche dopo aver
scoperto la morte di qualcuno che ti è caro! Non smettere mai di sorridere! Non
privare Konoha del tuo sorriso. Non… non privare me del tuo sorriso! Ora ne ho
bisogno più che mai!»
Mi
lascia andare e si volta, riprendendo a camminare con le mani in tasca e il
passo strascicato.
E io,
osservando la sua schiena, sorrido, assaggiando il sapore salato di una lacrima
che mi è scivolata lungo la guancia.
A
volte, basta veramente poco per piangere.
A volte
basta veramente poco per sentirsi amati.
Non
smettere mai di sorridere, Ino! Né ora, né mai! Perché tutti, anche coloro che
sembrano aver perso ogni cosa, hanno bisogno di un sorriso dolce e
gentile.
Non
smettere mai di sorridere, perché per amare ed essere amati, bisogna prima di
tutto lasciarsi andare e sorridere allegri.
Non
smettere mai di sorridere, Ino. Perché nel mondo, c’è sempre qualcuno che ha
bisogno del tuo sorriso, per poter sorridere a sua
volta.
[Dedicato
a: I., Al., F. e C.
Dedicato
alla mia scuola.
Dedicato
a don Renzo.]
A/N
Piccolo
resoconto della mia giornata di sabato.
Io sono
Ino, la Ino della seconda parte, la Ino del funerale.
A. è lo
Shikamaru dell’ultimo dialogo, che non ringrazierò mai abbastanza per avermi
detto quelle cose.
I. e
Al. Sono lo Shikamaru del funerale.
F. e C.
Sono lo Shikamaru dell’inizio.
N. e
d.R. Sono Yoshino Nara.
Choji è
C. la mia migliore amica, a cui voglio un bene dell’anima.
So che
non ha senso e non c’è continuità, ma avevo bisogno di
scriverla.
Grazie a chiunque leggerà e recensirà.