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Autore: Porrima Noctuam Tacet433    09/03/2013    4 recensioni
[I segreti di Nicholas Flamel, l\'immortale.]1994, Reims.
Un curioso e sfortunato giornalista si trova nel posto sbagliato al momento sbagliato.
Quanto sarà disposto a rischiare per ottenere le risposte che cerca?
Riuscirà ad avere la sua intervista?
Genere: Fantasy, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: John Dee, Niccolò Machiavelli, Nicholas Flamel, Nuovo personaggio, Perenelle Flamel
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Il Re Nero

 

Reims, 1994

<< Io… non ri…. Non posso ….>>

Il respiro del ragazzo era accelerato, il suo corpo tremava, scosso dai singulti che non riusciva a trattenere. L’uomo alto ed elegante che lo aveva accompagnato nella stanza si accorse ben presto di non poterlo guardare negli occhi, e decise di interpretare il suo tremore come una conseguenza del freddo invernale. Chiuse con premura la finestra, ma non distolse lo sguardo dalla città di Reims sotto di lui.

<< Siediti, ragazzo. >> intimò senza voltarsi.

L’ansia del giovane era quasi palpabile. Ci mise qualche secondo per realizzare il significato delle parole dell’uomo, poi fece pochi passi verso il tavolo, quasi inconsciamente.  I suoi occhi erano ancora sbarrati e puntati verso il pavimento. il più vecchio lo guardò impassibile.

<< Non è possibile… non è…. Possibile. >>

<< Per quanto ancora credi che lo ripeterai? >>

Il ragazzo alzò lentamente il capo, zittendosi all’istante. Aprì la bocca, ma la voce gli morì in gola davanti all’espressione gelida dell’uomo.

Lo vide mordersi il labbro, ignorando la sua presenza.  Guardava distrattamente i tetti delle case e i passanti.

<< Buffo. >>  sorrise, divertito. << Tu non hai la minima idea di chi io sia… eppure ti fidi ugualmente di me. >>

Il ragazzo si passò una mano sul viso, cercando di riprendere coraggio e lucidità. Strinse i pugni. Era un giornalista, uno che andava in cerca di belle storie. Mai si sarebbe aspettato una storia come quella.

L’uomo si mosse verso il fondo della sala, aprì un armadietto attaccato al muro tirandone fuori due bicchieri e una bottiglia di China. Tornato al tavolo la stappò con eleganza.

Ancora spaesato, il giovane si trovò tra le mani un bicchierino ricolmo di un liquido ramato.

<< Se fosse stato sempre così facile guadagnarsi la fiducia degli uomini non avrei mai avuto problemi. >>

E mentre lo osservava ridacchiare, il ragazzo scoprì di riuscire a riflettere con più calma sulle sue parole, anche se non poteva ignorare l’inquietudine che sentiva a stargli vicino. Era vero, si era subito fidato di quell’uomo, forse perché non aveva avuto scelta, forse a causa del suo carisma e della sincerità dei suoi occhi quando gli aveva detto di volerlo aiutare.

<< Tutto questo…. >> cercò di dire il ragazzo, la voce che tremava e lo sguardo che vagava ovunque pur di non posarsi sull’italiano seduto di fronte a lui.

<< Non è un sogno >> sorrise l’uomo.  << Né una allucinazione. >>

Il silenzio fu opprimente, anche se durò solo pochi istanti. Nella mente del giovane giornalista regnava la più completa confusione, e intanto l’uomo lo studiava.

<< Tu non sai che cos’è. >>

Parole terribilmente semplici, quasi mormorate con poco fiato, che racchiudevano un significato enorme.

Forse troppo grande, per un semplice giornalista in cerca di una bella storia.

<< Tutto questo è ….. >> il ragazzo si guardò la punta delle scarpe, mentre un’orrenda ma lucida consapevolezza gli riempiva il torace.

<< … Qualcosa che non avrei mai dovuto vedere… >>

L’uomo sembrava colpito, o almeno così si poteva intuire dal suo silenzio.

<< Sì, è così. >>

Che senso avrebbe avuto mentire? Il destino di quel ragazzo era già scritto, e non sarebbe servito a niente tenerglielo nascosto.

<< Guardami, ragazzo. >>

La sua voce si era addolcita, e il suo viso sembrava più preoccupato che ostile, ma il giovane fece comunque un enorme fatica ad obbedire.

Il giornalista teneva il bicchiere tra le mani poggiate sul tavolo.  Le nocche stavano impallidendo per la pressione troppo forte con cui stringeva le dita, e il suo volto era cinereo, cadaverico e madido di sudore freddo. Quanto doveva apparire stupido e insignificante ad un uomo come quello che gli stava di fronte!

Eppure, nonostante l’imbarazzo e la paura, quegli occhi grigi così calmi e attenti verso il mondo lo avevano paralizzato. E non riusciva a non guardarli, perché gli sembrava che racchiudessero dentro le iridi un passato neanche immaginabile.

<< Lei… lei è… >>

<< Umano? >> completò l’uomo al posto suo, con un sorriso sarcastico.

<< Sì, io sono umano…. >> esitò, lanciando un’occhiata al tesserino che il giornalista teneva attaccato alla custodia della macchina fotografica.  << Richard Andersen. >>

Con un elegante movimento del braccio, l’uomo alto e canuto svuotò il suo bicchiere. Poi si rilassò contro lo schienale della sedia.

<< Non devi avere paura di me. >>

Per qualche assurda ragione che nemmeno lui sapeva spiegarsi,  Richard Andersen sembrò tranquillizzarsi.  Però continuava a non dire una parola.

<< Parla pure liberamente con me. Se avessi voluto farti del male l’avrei già fatto, e non ti avrei portato via da… bè, lo sai.  >>

<< No… a dire il vero non lo so. >>  mormorò in risposta il giornalista.

<< Ti starai chiedendo chi sono io. >>

Il ragazzo deglutì.

<< Immagino che lei non voglia rispondere a questa domanda. >>

L’uomo non rispose subito. La sua espressione si era rabbuiata.

<< Non c’entra che io lo voglia o no. >> i suoi occhi puntarono sul viso del giovane. << Io non posso. >>

Il ragazzo rifletté su quelle parole. Aveva ancora il nodo allo stomaco per la paura, ma la sua sfrenata curiosità quasi gliela faceva dimenticare. E poi, al momento l’unica scelta che aveva era fidarsi del suo ospite. Anche se gli sembrava di vivere in un incubo.

<< Qualcuno le impedisce di farlo? >>  chiese, la voce ridotta a poco più di un sussurro e le mani strette intorno ai braccioli di un antica sedia di epoca rinascimentale.

L’uomo fece un vago e indifferente gesto con la mano, prima di fare spallucce.

<< Non è soltanto questo.  Dirti chi sono implicherebbe non soltanto rivelarti il mio nome, ragazzo.  Non lo sai che le nostre esperienze possono dire di noi molto più di quanto noi possiamo narrare di loro? E io non posso dirti chi sono, perché sarebbe troppo complicato da spiegare. Mi capisci? >>

Il ragazzo si affrettò ad annuire, ma l’uomo si era già risposto da solo.

<< No che non capisci. Tu non puoi capire. >>

Il suo sorriso gli mise addosso una terribile angoscia. Non sapeva come definirlo.  Divertito, malinconico, arrogante, disincantato?

<< Perché non può raccontarmi la sua storia? >>

Ecco che finalmente Richard Pember dimenticava per un istante la paura e la sostituiva con la curiosità. Ecco che veniva fuori il giornalista alla ricerca di belle storie.

<< Più che altro, ragazzo… perché è troppo lunga. >>

<< Ma io sono abituato a sentire storie lunghe! >> esclamò il giornalista, per poi arrossire subito dopo, vergognandosi di essere stato tanto avventato.

I suoi occhi ardevano di interesse. Voleva sapere, voleva poter dare una risposta a tutte le sue domande. E credeva anche di meritarselo, dopo quello che era stato costretto a vedere.

La risata dell’uomo lo colse di sorpresa. Si era aspettato un atteggiamento infastidito, e invece lui rideva.

<< Non credo che tu abbia mai sentito raccontare una vita come la mia. >>

Il suo ospite fu sul punto di riempirsi nuovamente il bicchiere, ma le sue dita si fermarono prima di toccare la bottiglia.

<< Ho promesso a me stesso che non avrei esagerato. >> si giustificò a mezza voce.

<< Quando? >> chiese il ragazzo distrattamente.

<< Molto tempo fa. Dimmi, ragazzo. Quanto sono lunghe le tue storie? >>

<< Delle volte anche settant’anni. >> annunciò fiero il giornalista, esagerando apposta per impressionare il suo interlocutore.

E a questo punto nella sua fantasia già si delineava il viso dell’uomo contorto in un espressione stupita. Sentì un fiotto di soddisfazione salirgli alla gola.

Aprì la bocca per aggiungere qualche dettaglio, ma dovette richiuderla immediatamente, mordendosi nervosamente il labbro inferiore.

Inutile descrivere la stizza e lo sconcerto che provò nel non vedere realizzate le sue speranze.

<< Come pensavo. >> commentò pacatamente il padrone di casa, con un sorriso a metà tra il sarcastico e lo scettico.

<< Ora, se vuoi scusarmi… >> il ragazzo continuava a guardarlo come se fosse un alieno, ad occhi sbarrati.

L’uomo lo ignorò e si alzò dalla sedia.

<< Vado a riposare un po’. È stata una giornata stressante. >>

Prima di arrivare alla porta, voltò appena la testa verso il giornalista ancora impietrito sulla sedia.

Era terribilmente pallido, le labbra esangui e le sopracciglia aggrottate.

<< Anche tu hai bisogno di una dormita, ragazzo. Le chiavi della stanza degli ospiti sono accanto alla porta, in fondo al corridoio. >>

*

<< Non vuole dirmi nemmeno il suo nome? >> chiese il giornalista con la gola secca.

Era prima mattina, e lui era già in piedi, le occhiaie viola ben marcate sotto gli occhi e i capelli spettinati. Non aveva chiuso occhio quella notte. Una miriade di domande continuavano ad affollargli la testa, incessantemente.

Ma quel che era peggio era che continuava a rivedere le immagini del giorno prima come se ce le avesse davanti agli occhi in ogni istante.

Un uomo basso e dai tratti irregolari nascosti sotto la corta e ispida barba grigia, che tendeva una mano in avanti sprigionando scintille gialle contro una creatura che sembrava arrivata direttamente da un girone infernale. Le sue zanne  micidiali, l’enorme testa di coccodrillo che pareva quasi incastrata nella parte anteriore del corpo da leone.

Il giornalista rabbrividì e tornò a guardare colui che, per qualche ignota ragione, aveva deciso di ospitarlo, nel disperato tentativo di distrarsi.

L’uomo aveva sicuramente sentito la domanda che Richard gli aveva posto, ma non si era nemmeno voltato, continuando ad armeggiare con i fornelli e le tazze per la colazione. Fischiettava.

Erano più le volte che Richard veniva ignorato, che quelle in cui si degnava di rispondere con frasi evasive o cambiando argomento.

<< Io devo sapere. >>

La voce del ragazzo si era fatta più convinta e aveva alzato il tono, come per sovrastare il fischiettio dell’uomo.

<< Che cosa è successo ieri? Che cosa era quella creatura? E chi era quell’uomo che la ha aiutata a fermarla? >>

Fece una pausa, riprese fiato, e subito dopo riattaccò, deciso più che mai a far parlare il suo interlocutore.

<< E lei, chi è, esattamente? Che cosa è? >>

L’uomo volse lentamente il capo, i suoi occhi grigi si posarono con una pacata imperscrutabilità sul ragazzo.  Per un attimo, Richard temette con un brivido di orrore di averlo in qualche modo offeso. La freddezza del suo sguardo lo spaventava, e fu presto costretto ad abbassare gli occhi.

<< Quanto zucchero vuoi? >>

La voce calma dell’uomo stonava, in un certo senso, con quelle sue iridi che sembravano due pozzi senza fondo.

Richard ci mise qualche secondo per trovare il fiato per rispondere.

<< Du… due zollette… grazie… >>

Dopo avergli servito una tazza di caffè, l’uomo si sedette di fronte a lui.

Richard, malgrado tutti i suoi sforzi, non riusciva a ritrovare la quiete perduta. Osservò ammirato il riflesso del sole sulle tendine bianche ricamate, la grande cucina chiara, semplice ma raffinata.

Dopo vari minuti, Richard prese fiato.

<< Sa, signore… >> disse, facendo distogliere l’attenzione dell’altro dal giornale posato sul tavolo e staccandosi la tazza dalle labbra.

<< Adesso sembra tutto così tranquillo…. Sembra troppo tranquillo…. Questa calma è falsa, non è reale…. Non può esserlo, dopo quello che ho visto ieri. >>

L’uomo alto e dai grandi occhi grigi lo ascoltò in silenzio, il volto impassibile.

<< Sarebbe anche…. Piacevole, bere il caffè insieme a lei. >> continuò Richard, il capo chino. << se sorvoliamo il fatto che ieri ho visto una creatura mostruosa che non dovrebbe esistere, e un uomo che non avrebbe dovuto fare quelle cose… >> prese un respiro, accorgendosi di aver detto il tutto troppo velocemente.

<< E lei…. Lei che …. Le sue mani…. >>

Il ragazzo osservò le mani dell’uomo, che ancora reggevano il giornale, come se potessero sprigionare volute di fumo bianco da un momento all’altro.

E ancora una volta ebbe paura, una paura folle, ma allo stesso tempo non riusciva a fare niente di concreto, e continuava a farsi manovrare dagli eventi, troppo impietrito dal terrore per prendere in mano la situazione.

Guardò con orrore l’uomo che gli stava di fronte, con la terribile consapevolezza che non era un uomo normale. Era sovrannaturale. Nonostante ciò che gli aveva detto il giorno prima, Richard non poteva credere che fosse umano.

L’altro dovette leggergli tutti quei pensieri in faccia, perché ripiegò il giornale con la calma e l’atteggiamento di un adulto che ha il noioso compito di spiegare qualcosa a un bambino.

Lo guardò impassibile, poi allungò una mano verso il vassoio di brioche e glielo porse.

Richard afferrò la colazione quasi con timore e spaesamento. Alzò appena gli occhi in direzione del suo salvatore, in una domanda muta.

<< Non posso rispondere alle tue domande. >>  constatò questi, laconico.

<< Ma io ho bisogno di sapere…. >>

<< Forse non mi sono spiegato, ragazzo. >> l’uomo accompagnò la sua voce brusca con un gesto stizzito.

<< Tu non puoi sapere. Nulla. >> poggiò i gomiti sul tavolo e congiunse le punte delle dita davanti alla bocca.

<< Ascolta. Non voglio essere sgarbato con te. Ma tu non puoi permetterti di fare domande, perché, perdona la franchezza, dovresti già essere morto.  >>

Richard deglutì, sgranando gli occhi, ma cercò di darsi coraggio e di rispondere con più lucidità possibile.

<< Lei mi ha trascinato qui, in casa sua! Ero andato in periferia per scattare foto, e mi sono ritrovato di fronte a dei.... >>

Mostri, aggiunse dentro di sé, istintivamente. Quando vide l’espressione gelida dell’uomo si sentì mancare.

<< Mostri? >> completò quest’ultimo, una traccia di sorriso nel volto e la voce incolore.

<< Fenomeni sovrannaturali. >> lo corresse Richard, dei brividi fastidiosi che gli correvano lungo la schiena.

<< Come può pensare che adesso io non faccia qualche domanda? >>

Il sorriso sul volto di quel sempre più misterioso personaggio si allargò.

<< Essere curiosi è un pregio. >>

Poi si sporse sul tavolo, del suo ghigno non c’era più nessuna traccia, i suoi occhi erano più seri e penetranti del solito.

<< Ma tu non esserlo.  >>

Nella cucina cadde improvvisamente un silenzio opprimente che il giornalista non aveva la forza di spezzare.

<< Ti faccio paura, non è così? >>

L’uomo sembrava sinceramente interessato allo stato d’animo del ragazzo, che continuava a torturarsi le mani e il labbro inferiore, con lo sguardo basso.

Al suono di quella domanda, sobbalzò leggermente.

<< N…no…. Lei… mi ha salvato, dopotutto… >> provò a rispondere, cercando di dare al suo tono una certa sicurezza.

<< Invece dovresti averne, di paura. >>

Richard lo osservò per un lungo momento, gli occhi distanti e assorti in pensieri e domande irrisolte.

<< Perché mi ha salvato? Perché l’ha fatto, anche se non avrei mai dovuto sapere niente? >>

L’uomo sospirò annoiato.

<< Lo vuoi un consiglio, ragazzo? Vattene di qui. Cambia stato. Cambia nome, fa quello che vuoi, ma non cercare la verità. È pericolosa, per quelli come te. >>

 Rivelò i denti bianchi in un rapido ghigno, accavallò le gambe e rilassò la schiena poggiandola contro la sedia.

<< E un’altra cosa. Cambia mestiere. Fare il giornalista ti fa male. >>

Richard aprì la bocca per ribattere, ma la richiuse di colpo, colpito e intimorito dalla figura appena comparsa sulla soglia. Portava un cappello ampio quanto bastava per gettargli ombra sugli occhi, e quando parlò lo fece muovendo impercettibilmente le labbra, a capo chino.

<< Signore. È qui. >>

L’uomo annuì imperturbabile. Richard aveva la sensazione che fosse successo qualcosa di importante, di molto importante, anche se l’espressione del suo salvatore non lo dava a vedere.

<< Grazie. Arrivo subito. >> lanciò una rapida occhiata a Richard, come per avvertirlo di non fiatare.

<< Ora parlerò con una persona. Tu devi stare in silenzio, e fare tutto ciò che ti dice lui >> e indicò con un pacato gesto della mano la figura sulla soglia, ancora immobile. Richard capì in un lampo che non avrebbe potuto disobbedire, e fu assalito da un terrore folle, che lo impietrì. Non riusciva più a pensare a niente di sensato. Voleva solo dimenticarsi di tutto, ricominciare quei due giorni d’inferno da capo, svegliarsi da quell’incubo.

L’uomo si alzò, lanciò un’occhiata significativa a quello che doveva essere il suo segretario, e uscì con tutta calma dalla stanza.

Richard non perse mai divista i suoi movimenti con gli occhi febbrili. Non fece in tempo ad inghiottire la saliva in eccesso che il segretario lo afferrò, si calò ancora una volta il cappello sugli occhi e lo afferrò saldamente per un braccio. Con ben poca grazia trascinò via il giornalista verso la parte opposta rispetto a quella dove era sparito l’uomo, e lo infilò in uno stanzino con una velocità impressionante.

Richard si sbilanciò e riuscì a fatica a rimanere in piedi, quasi inciampando nelle sue stesse caviglie.

Il segretario non lo degnò più nemmeno di uno sguardo, ma chiuse la porta e ci appoggiò l’orecchio sopra.

Richard lo guardò incredulo, ma si trattenne dal pronunciare qualunque parola. Ma cosa sperava di sentire, quel tipo? L’uomo alto e canuto doveva aver attraversato almeno due stanze per raggiungere lo spazio riservato agli ospiti. Non era possibile sentire…

Oppure no?

*

Il dottor John Dee sembrava essere la tranquillità personificata. Anche lui, dopotutto, aveva avuto un sacco di tempo per imparare a nascondere le proprie emozioni.

Ma Niccolò Machiavelli lo conosceva troppo bene per non percepire la sua rabbia. Si sentiva vagamente a disagio. Non era abituato ad agire con imprudenza, senza avere un’idea precisa di ciò che si apprestava a fare. Eppure, quando aveva salvato quel ragazzo, era esattamente questo che aveva fatto.

Si era aspettato una visita del Mago. Dee sospettava di lui in ogni occasione, per principio, e qualche volta capitava che avesse anche ragione.

Adesso più che mai, devo confidare nell’aiuto di Dagon, rifletté Machiavelli, con lucidità.

Salutando con un sorriso di circostanza l’altro immortale, si trovò a pensare se fosse davvero una buona idea lasciare in vita il giornalista. C’erano cose che dovevano rimanere nascoste per l’umanità, questo era nell’interesse degli Oscuri Signori che lui serviva.

Eliminare i testimoni. Non era la prima volta che lo faceva.

Non si soffermò troppo a pensare sulle ragioni che lo avevano spinto a quel gesto, forse perché non voleva darsi delle risposte, o forse perché al momento la priorità era liberarsi del Mago.

<< Machiavelli, dov’è il figlio degli homines?>>

Niccolò scosse appena la testa con un sorriso. Passano i secoli, ma alcune cose non cambiano proprio mai.

<< Buongiorno anche a te, dottore. Sì, in effetti è una bellissima mattinata. Posso offrirti del caffè? >>

Il viso del Mago si contorse in una smorfia di rabbia mista a disgusto.

<< Non sopporterò il tuo sarcasmo, non oggi.  Rispondi! Dov’è il ragazzo? >>

Niccolò si scompigliò i capelli e si lasciò cadere su una sedia con uno sbadiglio.

<< Se ti dicessi che non so di cosa parli, mi crederesti? >>

<< No. >>

<< È davvero un peccato. Perché, vedi, dottore…. >>  Niccolò voltò la testa in modo da guardarlo in faccia con gli occhi gelidi.

<< Io non so di cosa parli >>

John Dee rimase rigido, in piedi in mezzo alla sala, la sua figura trasudava tutto il suo furore.

<< Tu… >> Niccolò osservò a gambe incrociate il suo sorriso di scherno. << Non puoi immaginare quanto ti disprezzo. >>

<< Sicuro? Ho un immaginazione molto fertile. >> sorrise Machiavelli, ironico.

<< Che cosa vuoi, John, questa volta? >>

Dee sbuffò.

<< Finiscila con questa farsa, italiano. Pensi che non mi sia accorto dell’umano sbucato fuori da quel vicolo, ieri? Un attimo prima c’era, l’attimo dopo non più. Sei stato tu. >> sentenziò il Mago con una sicurezza ferrea.

Niccolò rimase impassibile, sospirando con sufficienza.

<< Dottore, dottore. È mai possibile che non riesci a vedere oltre ciò che vorresti fosse vero? >>

Niccolò gli lanciò un’occhiata divertita, che fece fiammeggiare di rabbia gli occhi di John Dee.

<< Ho combattuto quella bestia al tuo fianco. Spiegami come avrei potuto portare in salvo un ragazzo. Perché è qui che vuoi arrivare, vero? >>

Alzò le spalle, indifferente.

<< Non bisogna per forza essere il più grande manipolatore al mondo per capire che è scappato. >> aggiunse con ironia.

John Dee lo studiava, non trovando sul suo volto alcuna traccia di menzogna. Eppure, quando c’era di mezzo Niccolò Machiavelli, non si fidava nemmeno dei suoi stessi occhi. Ed era sicuro che fosse lui la mente dietro la scomparsa del figlio degli homines.

<< Comunque… >> andò avanti Machiavelli << se vuoi che ti dia una mano a ritrovarlo, possiamo metterci d’accordo. Ovviamente sarai in debito con me. >>

Dee strinse i pugni davanti alla sua mezza risata.

<< È un tuo dovere servire gli Oscuri Signori tuoi padroni! >> sbraitò, furioso, puntando il dito contro di lui.

E anche se Machiavelli continuava a non battere ciglio, per il Mago era troppo tardi per fermarsi e riprendere il controllo di sé.

<< Se davvero non sei stato tu a farlo scappare e a nasconderlo, allora dovresti già essere sulle sue tracce! Non comodamente seduto in poltrona a farti gli affari tuoi! >>

Niccolò si alzò lentamente. Si mosse fino in fondo alla sala e prese dallo scaffale una vecchia scacchiera che poggiò sul tavolo.

<< John.. >> cominciò, con pazienza, disponendo i pezzi di legno sulla scacchiera.

<< Io faccio sempre ciò che mi viene richiesto. Tu hai più volte sottolineato che dovevo sparire subito dopo averti aiutato a completare la missione. Ti sei vantato, hai detto che eri tu l’immortale a cui era stato ordinato di guidare la missione. Gli Oscuri Signori mi hanno ordinato di aiutarti a uccidere la creatura, ed è quello che ho fatto. Hai detto che avresti ricevuto tutti gli onori tu soltanto. >>

Fece una breve pausa, sedendosi, prendendo un alfiere bianco fra due dita e portandoselo davanti agli occhi.

<< E allora, dottore… a te sono riservati anche gli oneri. Io ho svolto il mio dovere, perché la bestia è stata distrutta. >>

Si avvicinò con passo calmo e col sorriso sulle labbra, portandosi vicino all’inglese. E nascondendo qualcosa in una sola mano, dietro la schiena.

<< Io servo i miei padroni, John, non te. >>

Niccolò Machiavelli tese il braccio in avanti, e John Dee seguì per un secondo l’ondeggiante pedina del re nero davanti al suo viso, con le iridi grigio ferro.

Angolo Tacet
E io sono ancora qui a pubblicare storie sui Segreti e ad interessarmi di questa saga, con quei pochi ma specialissimi fan della serie.
Questa long sarà una grande sfida per me, me lo sento. Sarà un traguardo più ambizioso da raggiungere. Ringrazio tutti quelli che la leggeranno e se c'è qualcosa che non vi piace o non vi convince fatemelo sapere. Mi aiutate a migliorare.
Grazie : )
tacet
  
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