Tentar non nuoce, mi
son detta.
Mi perdonino le slasher veterane.
Segreto
di Fumo
La verità è che
ci sono giorni in
cui mi manchi così tanto che ho paura di non farcela.
(I segreti di Brokeback Mountain)
A
Diagon Alley - e suoi dintorni - puoi trovare di tutto: diserbante per
lumache
carnivore, abiti all'ultima moda, animali da compagnia, collane
maledette,
calderoni d'ottone e manici di scopa, pozioni variamente dannose e chi
più ne
ha, più ne metta. A Diagon Alley puoi trovare davvero di tutto.
Questo,
ovviamente, se sai dove cercare.
E
Draco Malfoy, alla faccia di tutti coloro che l'hanno sempre accusato
di
essere un raccomandato, è un gran bravo Cercatore. Trova
sempre quello che è
andato a reclamare.
Al
di sopra del manto opaco e minaccioso di nembi fitti i tuoni
assicurano una notte di tempesta impietosa, che non
lascerà in pace, non
avrà clemenza, sarà sorda a qualsiasi richiamo di
razionalità o pietà, a
qualsiasi implorazione supplichevole. Proprio come il motivo che sta
spingendo
Draco ad aggirarsi per la strada con uno sguardo da pantera affamata:
quando da
dentro le sue viscere giunge quel richiamo, non c'è protesta
o condizione che
tenga.
Draco
deve uscire. Deve andarlo a
cercare. È un impulso enormemente,
maledettamente più forte di lui.
Nemmeno
un tempaccio come quello, nemmeno il gelido vento scandinavo che gli fa
lacrimare gli occhi, nemmeno una tazza di thè sul divano di
fronte al caminetto
con Astoria - situazione che per lui non è spiacevole come
aveva previsto
- riesce a dissuarderlo. Quando quel desiderio indecente, osceno,
inopportuno,
sconvolgente e così profondamente allettante inizia a
ruggirgli
sottopelle, butta lì una scusa per uscire di casa, prende e
parte in quarta. La
prima che ha usato, la più banale, era che stava
andando a comperare le
sigarette: alla fine, come c'era da aspettarsi, ha iniziato a fumare.
Poco,
certo: è un vizio da rozzi babbani davvero troppo stupido,
gli rovina la salute
e a lungo andare gli macchierà i denti, ma c'è
bisogno che, quando torna a
casa, la sua fidanzata gli senta addosso la puzza di nicotina,
c'è bisogno che
lei trovi in giro un paio di posaceneri con qualche mozzicone malamente
spento
all'interno, c'è bisogno che lei lo rimproveri bonariamente
e che lui, tendando
disperatamente di sentirsi un po' meno in colpa, si schernisca
sventolando una
mano ed ostentando un'espressione di sufficienza.
C'è
bisogno che non gli senta addosso quell'altro odore
inconfondibile,
che persino una mente candida come la sua classificherebbe in pochi
secondi.
Draco non se lo può permettere.
Buffo.
È stata proprio quella frase l'inizio di tutto. La fine di
tutto.
Non
ce lo possiamo permettere.
E
Draco lo sa, lo sa benissimo, lo sa meglio di chiunque altro. In fin
dei conti
è stato lui a pronunciarla. Ma ci sono momenti, momenti come
questo, in cui
vorrebbe ricacciarsi ogni parola che ha detto da oggi fino a quel
giorno,
riavvolgersele sulla lingua una per una, tornare indietro e stare
zitto.
Armarsi di un nuovo coraggio, di più faccia tosta, di forza
egoista e
indifferente ai commenti altrui.
Purtroppo
Draco, tutte quelle cose, non le ha mai possedute. E visto che
evidentemente non ne ha a sufficienza nemmeno Harry, significa che non
c'è
davvero speranza.
Ma
questo è uno di quei pomeriggi che hanno come unico
denominatore comune il
suo raptus di follia, di bisogno lacerante, uno di quei pomeriggi in
cui Draco
si mangia il suo orgoglio a grosse cucchiaiate, trovandolo disgustoso,
e se ne
va in giro, passo veloce e sguardo febbrile, a prenderselo. Ha come un
sesto
senso, un Incanto Quattro Punti innato che lo riconduce immancabilmente
a chi
lo richiama a gran voce anche dalle distanze più remote,
facendosi sentire
chiaramente nonostante l'ululare furioso del vento. Certo non
è un veggente:
l'ha sentito parlare con Weasley al Ministero, l'altro giorno, mentre
diceva
che oggi sarebbe andato a dare un'occhiata agli ultimi modelli di
scope. Ma sa
perfettamente in quale negozio entrerà, lo sguardo critico
che riserverà ai
prezzi esorbitanti e quello gentile ma venato di insofferenza per la
commessa
adorante che tesserà le sue lodi più o meno
velatamente, il modo pacato in cui
sussurrerà "ci penserò" e l'attenzione con cui si
chiuderà la porta
alle spalle per non sbatterla. Ha stampate nella memoria la piega
invitante
delle sue labbra, la sensazione sotto i polpastrelli delle sue guance
appena
pungenti e quella stuzzicante sulla lingua del suo pomo d'Adamo, il
modo in cui
le sue ciglia lunghe sfarfalleranno e quello teso in cui
irrigidirà il collo
non appena lo scorgerà.
Si
alza i baveri del lungo mantello blu notte e si stringe nelle spalle
quando
gli spifferi ghiacciati lo fanno tremare, infastidendolo. Non sono
quelli, i
brividi che agogna provare.
Quando
passa davanti alla vetrina sfavillante ed illuminata, pensa che forse
il
suo istinto sta perdendo colpi.
Harry
è già dentro il negozio. Ha già
osservato, giudicato, comparato, ha già
pronunciato la solita frase e salutato educatamente, e proprio in quel
momento
ha poggiato la mano sulla maniglia per uscire.
Non
c'è modo di allontanarsi senza correre e quindi risultare
ridicolo; questa
volta dovrà correre il rischio che Harry pensi che il loro
incontro non sia una
coincidenza, come invece solitamente Draco riesce a macchinare in modo
convincente affinché sembri così. Fissa gli occhi
sull'oggetto più piccolo
all'angolo opposto della vetrina, un Boccino d'oro vero con una fila di
piccoli
diamanti a delinearne la circonferenza, e si china leggermente come se
lo
stesse osservando da vicino.
Harry
esce e scende i tre gradini, mentre alle sue spalle lo scacciapensieri
appeso alla porta tintinna allegro. Due secondi dopo inspira
bruscamente ed è
solo allora che Draco, il viso tranquillo ed inespressivo - mentre
invece le
sue viscere si attorcigliano tanto da far male, lo stomaco si chiude ed
il
cuore gli implode nel petto - si rizza e lo guarda.
Ogni
volta, ogni singola volta che
le sue aspettative si avverano - e si
avverano sempre -, la gioia che prova è totale, completa,
quasi inopportuna. È
più o meno la stessa sensazione di quando gli manca solo una
goccia dell'ultimo
ingrediente per una pozione che ha già fatto mille volte: sa
benissimo che il
risultato sarà niente meno che perfetto, ma quando quella
piccola stilla cade
nel calderone e completa il procedimento non può fare a meno
di sentirsi un dio
eccelso ed onnisciente per la sua bravura indiscutibile e per il modo
sublime
in cui è riuscito a prendere tanti elementi diversi e a
sposarli nel modo
migliore, solo per merito suo. La stessa cosa è successa
adesso: le sue
previsioni si sono avverate al millesimo di secondo, l'immagine mentale
che
aveva formulato si è palesata con estrema precisione. Harry
ha le spalle
contratte e lo sguardo limpido, assolutamente eloquente di chi ha
davanti la
persona che più odia e ama sulla faccia del pianeta, la
piega delle sue labbra
si è assottigliata, la sua postura è meno
naturale e fluida. Tutto questo, per
lui. Per Draco,
unicamente per Draco, almeno
questo per
Draco, che
dal canto suo ritiene di avere tutto il diritto per appropriarsene ogni
volta
che può.
-
Potter - saluta, monocorde, mentre nella sua testa si
formulano mille
altre parole romantiche e sconce che non percorreranno mai la strada
per
giungergli sulle labbra.
-
....Malfoy - risponde Harry, dopo un momento di smarrimento.
Eccolo,
il momento decisivo.
A
questo punto, le strade che Draco ha davanti sono due.
La
prima: augurargli buona serata, dargli le spalle, passare dal tabaccaio
e
tornare a casa, accontentandosi di quel saluto rapido e formale.
Sarebbe la
cosa più giusta, più corretta da fare.
Ma
Draco non è corretto.
Il
che lo porta dritto alla seconda: continuare la conversazione e vedere
dove
porta.
-
La tua ossessione per le scope è preoccupante. Un
uomo adulto, con un
lavoro, una casa, responsabilità, che perde tempo dietro a
costosi manici lunghi
e grossi...
qualcuno
potrebbe pensare strane cose.
Harry
guarda in terra e l'angolo destro della sua bocca si increspa
leggermente, come un tovagliolo di carta abbandonato su un tavolo
all'aperto.
Nel grigiore cupo di quel cielo arrabbiato, il verde dei suoi occhi
è più
intenso che mai.
-
Il fatto che tu abbia fatto questo collegamento è
preoccupante, Malfoy.
-
Dici? - sussurra, un ghigno inequivocabilmente tentatore sul
volto, gli
occhi socchiusi, gli incisivi che appena appena fanno capolino sul
confine tra
il lato interno e quello esterno del labbro inferiore. Harry li nota e,
forse
inconsciamente, fa lo stesso.
Qualche
goccia inizia a cadere.
-
Dico.
Molte
gocce iniziano a cadere.
-
Non vorresti, per caso, scoprire se hai ragione?
La
furia del temporale precipita sulle loro teste, sfidata dal battito
frenetico di due cuori in attesa: in una ipotetica battaglia
perderebbero per
disparità di dimensioni, non di
intensità.
-
Perché? Perché lo fai? - domanda Harry,
alzando la voce per farsi
sentire sotto il fragore della pioggia, e Draco vorrebbe che non lo
facesse.
C'è una nota disperata, in quella voce, così
dolorosa che non sentirsi
colpevole è impossibile, e Draco ha troppi conti in sospeso
per accollarsi
anche quello, pur sapendo che è indiscutibilmente suo.
Decide
di non rispondere. Più comodo per entrambi.
Non
c'è nessuno, per strada. Solo loro due stanno lì,
zuppi come pulcini, a
fissarsi con due paia di occhi pesanti come cemento: troppo pieni di
domande,
rimpianti, recriminazioni, incomprensioni. Desiderio.
A
Draco fa comodo concentrarsi su quello, che c'è
ed
in fondo è il
motivo principale che l'ha spinto lì. Non c'è
bisogno di scavare o di applicare
chissà quale profonda Legilimanzia: Harry è
limpido, pulito come un ruscello di
montagna, di quelli ghiacciati e rinfrescanti dove si riescono a
scegliere i
ciottoli da collezionare semplicemente immergendo la mano. È
Draco la
pozzanghera scura e sporca, piena di fango, asfalto, merda e mozziconi
aspirati
con disgusto, quella dove solo Harry ha avuto il coraggio di tuffarsi.
Malfoy
lo afferra per il bavero del mantello e lo sballottola in avanti come
se
fosse un pupazzo inanimato. Harry gli ficca le unghie nella parte
interna degli
avambracci, sperando di fargli più male, e strilla un "no!"
deciso,
ma non viene ascoltato. Un paio di passi scoordinati, quasi di lotta,
con cui
Draco lo spinge senza tante cerimonie in un vicoletto stretto e
puzzolente
pieno di bidoni per la spazzatura, il retro di uno dei bistrot
più raffinati
della via; un gatto, disturbato, soffia loro contro e poi corre via
lontano,
facendo cascare un coperchio. Sbatte Harry contro il muro, gli infila
una
coscia tra le sue sfiorandolo verticalmente, gli mangia la bocca con
violenza
tenendolo per i capelli, per le orecchie, per qualsiasi tipo di
appiglio che
riesce a trovare sul suo corpo. Il tessuto bagnato non è
altro che un elemento
più eccitante, i rivoli congelati che gli si infiltrano nel
collo della camicia
sono richiami evocativi di ben altri liquidi che Harry potrebbe
impegnarsi a
fargli scivolare in quei punti.
Ma
non accadrà mai. Draco deve accontentarsi di quei momenti, e
per ora se ne
sazierà, sperando che poi il richiamo della pantera taccia
almeno per un po'.
Harry,
dopo un iniziale momento di ribellione, gli afferra con la stessa
violenza i capelli e gli pianta le unghie nella spalla, cercando di
capovolgere
le posizioni, incontrando una fiera resistenza; è quasi una
colluttazione per
vedere chi riesce ad avere la meglio, per riuscire a fare male
all'altro pur
senza smettere di baciarlo.
Alla
fine Potter si arrende rimane lì inchiodato ai mattoni
scuri, gli morde le
labbra con lussuria palese ma senza davvero fargli male, senza
lamentarsi per
il modo brutale con cui il biondo gli ha fatto urtare la testa al muro.
Draco
sa com'è fatto Harry. Preferisce prendere su di
sè il dolore, anche se
ormai non ce la fa ad andare avanti così, anche se ogni
volta quegli incontri
lo straziano e lo macerano, anche se, fosse per lui, non si vedrebbero
mai più.
È Malfoy l'egoista, il vigliacco che gli ha detto chiaro e
tondo che non ci
sarà mai un futuro per loro e che invece, contraddittorio ed
insensibile, lo
cerca a regolari scadenze; è Malfoy l'incoerente, che non si
accontenta di
salutarlo ma che si accontenta di quelle carezze selvagge in piedi,
sotto il
temporale, con un freddo cane e una disperazione ancora più
canaglia che lo fa
singhiozzare sul collo di Harry.
Ma
non è questo il momento di lasciarsi prendere dal rimorso
per il suo
comportamento mostruoso: quello lo farà stasera, sotto la
doccia, quando il
pensiero colpevole e i perdonami,
Harry che gli
risuoneranno in testa
coincideranno con un'attività ad essi molto poco attinente
che la sua mano
intraprenderà sul suo corpo.
Adesso
Draco, completamente fuori controllo, massacra il collo di Harry mentre
gli slaccia i pantaloni. Potter cerca di fermarlo, sussurra qualche
altro
"no" troppo eccitato e fremente per essere davvero credibile, ma non
fa in tempo a prenderlo da sotto le ascelle per tenerlo in piedi. Draco
si
inginocchia ai suoi piedi e si dedica anima e bocca all'azione che
questa notte
ha sognato di compiere e che ha fatto svegliare lui, sudato e
appiccicoso, alle
tre spaccate, insieme alla bestia nel suo cuore, ruggente ed
inarrestabile.
Quanto
dev'essere squallido, in ginocchio tra le gambe di Harry in un
vicolo puzzolente, umido e melmoso di Diagon Alley.
Pidocchioso,
miserabile, degradante.
Eppure,
mentre lo sente ansimare e quasi guaire tanto sono forti piacere e
rifiuto mescolati, mentre lo accarezza energicamente ed accompagna gli
scatti
scoordinati dei suoi fianchi, non riesce proprio a classificare quello
che sta
succedendo con aggettivi negativi. Al contrario.
È
meraviglioso.
È
con Harry.
Draco
si rialza, indolenzito ed intirizzito, mentre Harry, gli occhi serrati
e
le lacrime che non riescono a mescolarsi con la pioggia, tenta
disperatamente
di sistemare la biancheria con una mano sola. Draco lo aiuta, quasi
premuroso,
gli allaccia di nuovo i calzoni, gli sfiora le braccia, gli richiude il
mantello. Quando sono faccia a faccia Harry lo spintona rabbiosamente
con due
mani, così forte da farlo urtare contro la parete opposta,
mozzandogli il
fiato.
-
Sei solo uno stronzo! - è il suo urlo,
più un ringhio. Gli tirerebbe
volentieri un pugno, se non lo amasse tanto.
Draco
sfrutta biecamente quell'amore, sperando che prima o poi
sarà capace di
attingere solo un sorso in più di coraggio per il suo. Ogni
volta crede di
esserci riuscito, che è stata quella buona, ma poi torna a
casa e la sua
tranquilla dorata routine di cachemire e velluto lo fa ricredere.
È troppo
vigliacco per operare un cambiamento di quella portata, in una vita per
cui
cambiamento ha sempre significato dolore, paura, sottomissione,
emarginazione.
Si racconta di rifiutarlo per non sottostare a un qualcosa che
inevitabilmente
lo controllerebbe; si illude di mantenere lui, il controllo, andando a
cercare
Harry solo quando ne ha voglia.
Stronzate.
Stronzate raccontate da un povero debole.
Harry
lo fissa con odio feroce, l'odio che ha in faccia quando la foia
è
passata e gli resta addosso solo il sudiciume, la vergogna,
l'umiliazione, i
pugni serrati, il respiro pesante.
Draco
gli si avvicina con cautela, gli posa la propria mano sulla sua
contratta. Lo bacia così lieve che una goccia di pioggia si
insinua tra le loro
labbra.
Lo
guarda per un paio di secondi, ne memorizza l'espressione stravolta, le
narici dilatate, i capelli fradici, gli occhiali schizzati - tutti
dettagli che
gli torneranno utili quando sarà solo. Quando l'altro apre
la bocca per parlare
si volta e se ne va.
Harry
non lo segue.
Draco
si trova di fronte al portone di casa sua. Ha smesso di piovere, ma
sicuramente entro stasera si ammalerà.
Si
ricorda all'improvviso di essersi scordato di comperare le sigarette.
Si
tasta l'interno del mantello e ne tira fuori un pacchetto, l'ultima
rimasta
umida ma integra.
Si
siede a terra, l'accende. Quel sapore acre lo disgusta, come sempre.
Quante
cose ha dimenticato. Persino Harry in quel vicolo. Lo ha abbandonato
lì,
frustrato, usato, sconvolto, solo.
Quanto
di sè ha lasciato con lui.
Forse
troppo.
Dà
l'ultima boccata, porta la sigaretta davanti agli occhi, osservando le
lente
volute di fumo, il bordo rosso che avvampa quando una folata di vento
più
intensa la colpisce.
Fumare
fa schifo. E lui ne ha abbastanza di fare cose che non gli piacciono.
Inizia
da quelle piccole: la getta lontano, si rialza e infila le chiavi nella
toppa. Oggi, per Astoria, inventerà una nuova scusa.
Magari
un giorno, se troverà il coraggio, avrà una verità da confessarle.