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Autore: shiratori_chan    26/09/2007    2 recensioni
"Te lo ricordi?
Che stupida, come potresti dimenticare quella serata così importante per entrambi?
La vuoi ricordare con me?"

Tributo ad un'amicizia finita, per non dimenticare quei momenti speciali.
E per salvare i sogni dall'oblio.
Genere: Malinconico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Questa è la prima storia che pubblico, scritta parecchi mesi fa in un momento di malinconia dopo aver visto alcune foto.

In realtà non avrei voluto farlo, ma dovevo: altri racconti su cui lavoravo da tempo avrebbero dovuto avere la precedenza rispetto a questo, ma un evento improvviso mi ha convinto della priorità che aveva questo lavoro.

Questa storia è un tributo ad un'amicizia che ormai si è persa.

E' l'ultima cosa che dovevo nei confronti di questa amicizia.

Tutto ciò che ho raccontato è realmente accaduto e i protagonisti sono a conoscenza e favorevoli alla pubblicazione di questo scritto, solo il finale è inventato: quello che è stato un mio piccolo sogno senza tante pretese è naufragato assieme a tanti altri, trascinato sul fondo dal passare del tempo, dalla lontananza e dalla consapevolezza che non sempre un rapporto cresce e cambia con te.

Anche le riflessioni contenute in quel finale non sono reali, in quanto, quando le avevo scritte, non ero ancora riuscita a vedere la realtà delle cose, eppure non le ho volute cambiare per non infangare quel sogno lontano e per non dimenticare quanto volevo bene a quella persona nonostante mi usasse.

 
Dedico questa storia a due persone che, forse, erano unite solo perché troppo sole.
Dedico questa storia a Federico, perché ti ho voluto bene anche se mi ferivi continuamente.
Dedico questa storia a tutti coloro che credono nell'amicizia, sperando che i loro sogni non vengano infranti.

 

 

 

 

Puoi accompagnare un amico sulla sua strada per migliaia di miglia, ma è inevitabile che un giorno le vostre strade si separino.

Proverbio cinese

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Te lo ricordi?

 

Che stupida, come potresti dimenticare quella serata così importante per entrambi?

La serata che ha sancito la nostra definitiva uscita dall’infanzia…

 

Non che prima fossimo dei bambini, anzi, ma a quindici anni secondo me rimane ancora qualcosa della bella illusione dell’infanzia… io forse ero già un po’ troppo grande per la mia età, ma mi piaceva ancora pensare che prima o poi il mondo sarebbe stato di nuovo perfetto anche per me, che sarei riuscita in qualche modo a supplire a quel vuoto dentro di me che mi accompagnerà sempre; tu invece mi sembravi un simpatico bambinone casinista con cui andavo molto d’accordo.

 

Ma quella sera, che rimarrà scolpita nel mio cuore come una delle più belle e sicuramente intense della mia vita, noi abbiamo iniziato a diventare seriamente grandi: non sto parlando degli squilibri ormonali che ti fanno diventare un lunatico di prima categoria, né tantomeno di cambiamenti fisici o dilemmi esistenziali, ma di qualcos’altro.

 

Me ne accorgo solo adesso, da giovane adulta, di quanto sia stata realmente importante quella serata: prima la consideravo già molto importante, ma adesso è tutta un’altra cosa.

 

La vuoi ricordare con me?

 

 

 

 

 

 

 

Sicilia, primavera del 2003.

 

La prima gita delle superiori.

 

Quando ci avevano detto che ci avrebbero accompagnato in Sicilia i dubbi e le incertezze erano tante e si mescolavano alla gioia per un viaggio così importante: innanzitutto, con chi avrei dormito? Non era un segreto che le altre ragazze della classe mi considerassero tra lo zero e meno di zero… secondo: con chi sarei stata seduta prima in aereo e poi in pullman? Tenendo conto il primo dubbio e che i compagni maschi li consideravo dei deficienti privi di cervello, anche quello non era un problema da niente. E poi c’eri tu.

 

La prima volta che ci siamo conosciuti eravamo in saletta durante la visita della scuola con quelli di quinta e tu avevi iniziato a tarmarmi chiedendomi se mangiavamo insieme in mensa: altamente irritante… durante il periodo che seguì non ci calcolammo molto, tu perché avevi legato particolarmente con una tizia che a me non andava molto a genio e io perché giravo con altri compagni di classe, ovviamente maschi (ero decisamente un maschiaccio, a quei tempi!).

 

E poi arrivò la seconda: i tizi con i quali stavo l’anno precedente erano stati bocciati, e la tua amicona se n’era tornata tra i monti dai quali proveniva (Heidi 2 la vendetta…). Per me significava ricominciare faticosamente da capo, tra le ragazze che mi snobbavano e i maschi che mi sfottevano… e tu ti eri attaccato a me. Come una sanguisuga, oserei dire (Non te la prendere, sarò sincera durante questa reminiscenza!). Le tue attenzioni per me erano troppo, come dire, espansive per i miei gusti: non davo baci sulle guance alle mie amiche e non abbracciavo nessuno al di fuori dei parenti, secondo te potevo accettare che me le facesse un maschio? Ad un certo punto, per niente abituata ai tuoi modi di fare affettuosi, ero arrivata a credere che tu mi stessi addirittura dietro, ma tu non mi piacevi e quindi cercavo di mantenere le distanze, in modo da non “illuderti”! Mi stavi simpatico, per carità, e ti consideravo una specie di amico, ma questa ambiguità mi impediva di legarmi a te sinceramente e di fidarmi completamente: che ci vuoi fare, sono un essere sospettoso di natura! Premesso questo, si può capire con che spirito io sia partita per quella gita.

 

In pullman eravamo sempre seduti accanto, alla fine anche il problema stanza si era risolto in modo poco doloroso (anche se non del tutto soddisfacente, a dir la verità!) ed ero riuscita a sopravvivere nonostante gli attacchi di cuore seguiti a certe esternazioni deficienti nella Valle dei Templi (come, ad esempio, “Che accozzaglia di pietre! E ci siamo fatti tutta questa strada per vedere questo? A ‘sto punto ci andavamo a vedere il greto del Tagliamento ed era uguale!” [avrò pietà del/la deficiente che ha fatto questa uscita e non ne dirò il nome…]… quando l’ho raccontata ad una mia amica agrigentina e nipote del sovrintendente ai beni archeologici della provincia per poco non mi sveniva!!).

 

Una sera, forse la seconda o forse la terza della gita, a cena scoppiò un casino, che non ho mai ben capito e che non intenzione di comprendere ora: da quello che mi riferirono in seguito, un cretino della nostra classe, un tipo col quale ho sempre avuto un rapporto altalenante tra odio profondo e disprezzo ma che solo adesso inizio ad apprezzare e ad avere con lui una certa complicità, in seguito ad una delle uscite che ti hanno reso famoso, ti avrebbe aggredito violentemente dandoti del gay. A quel punto scoppiò il finimondo: tu ti mettesti a piangere scappando via dal tavolo della cena e un’orda di persone, molte accorse solamente per farsi vedere come misericordiose, ti “inseguirono”, desiderose di mostrarti la loro solidarietà e per confortarti... ancora oggi sono sicura che forse solo un paio di quelle “anime pie” fossero realmente interessate a cosa ti stesse accadendo in quel momento, ma si sa, io sono sospettosa di natura e giusto un pochettino cinica e cattivella, quindi ritengo che il mondo sia popolato di stronzi infami (me compresa, ovviamente!).

 

Ritornando a quella memorabile sera, io fui forse l’unica della classe a non alzarsi da tavola. Non era che me ne fregassi, era solamente che pensavo tu volessi rimanere da solo per un po’, e comunque non mi andava di fare la figura della falsa tutta moine e mossette che veniva da te con gli altri per dimostrare di essere la tua amicona: io ho sempre sostenuto che la vera amicizia non abbia bisogno di dimostrazioni pubbliche, ma di piccoli gesti discreti ma colmi di affetto.

 

Così rimasi là, il cellulare sulle gambe (perché, non so se ti ricordi la mia prima “cabina telefonica”, quel telefono era decisamente troppo grande per qualsiasi tasca!!), sapendo che, se avessi avuto bisogno di me, mi avresti sicuramente chiamato. Vidi la folla diradarsi e tornare alla spicciolata ai tavoli, con la coscienza pulita (“Dio, che falsi!” era il mio pensiero fisso in quel momento, insieme a “Adesso penserà che sono una stronza perché sono stata l’unica a non essermi mossa!! Ti prego, comprendimi!!”), e tu rimanere con quel coglione che ti aveva offeso e che adesso cercava di rimediare al casino che aveva tirato su… e continuavo a rimanere al mio posto, a cercare di cenare (se non sbaglio quel giorno c’era pasta ad una specie di ragù…) mascherando la tensione e il senso di colpa come faccio da una vita, dicendomi di continuo che sarei andata da te non appena quello stronzo avesse finito.

 

Finì la cena, tutti tornarono a far casino nelle camere e tu sembravi scomparso, perché nella hall non c’eri più, così mi diressi anch’io verso i piani superiori, sicura che ti avrei trovato in camera tua: mentre percorrevo il corridoio mi arrivò un messaggio nel quale mi imploravi di raggiungerti. Ricordo che da quel corridoio si vedeva il giardino posteriore dell’albergo, con quell’orripilante piscina piena di acqua stagnante… ti risposi immediatamente, chiedendoti dove ti avrei potuto trovare, e, non appena mi rispondesti, corsi fuori dal palazzo, preoccupata come poche altre volte. Appena fuori, sul lato sinistro dell’edificio c’era un alto e ampio scalino che percorreva tutto il fianco della struttura, distante pochi metri dal muro di cinta che nascondeva una delle tante discariche abusive che avevamo visto in quei giorni, con qualche pianta a coprire la bruttura del cemento armato, e tu eri lì.

 

Seduto su quello scalino, rannicchiato con la testa tra le mani e con quel deficiente ancora tra i piedi, in piedi accanto a te, c’eri tu, e piangevi: vedendo te, sempre sorridente e allegro, ridotto in quello stato mi si strinse il cuore e corsi da te.

 

Rammento che, sedendomi accanto a te, ti chiesi cosa fosse accaduto, e a rispondere fu quell’altro essere indefinibile; ricordo che lo zittii, e che tu mi chiedesti di mandarlo via… rispettai la tua richiesta e lo spedii via. A quel punto tu mi dicesti che dovevi dirmi una cosa importante.

 

Panico. Il mio povero cervellino, già abbastanza sconvolto di suo, elaborò tale frase come un “Oddio mio, adesso non vorrà mica dichiararsi! Oh merda!! Come faccio adesso?”: immaginati come fossi  agitata a quel punto!!! Avrei dato qualsiasi cosa per scappare lontano, eppure rimasi lì, immobile, col cuore in gola per l’ansia e la paura. Quello che mi dicesti dopo però mi turbò molto di più.

 

 

 

-Sono gay.

 

Detto tra le lacrime, singhiozzando, balbettando, spaventato da quello che avevi rivelato.

 

Una vera e propria bomba.

 

Non ci potevo credere. E mentre il mio cervello si picchiava da solo, io combattevo contro un certo senso di delusione (“Non è giusto, anche l’unico a cui pensavo di piacere in realtà non mi caga… vabbè che non mi piaceva, ma lo stesso!!”, pensavo) e l’oppressione che il tuo segreto portava con se.

 

Ti chiesi da cosa l’avevi capito, indagai un pochino e forse ti aiutai un attimo a schiarirti le idee, iniziai a conoscere le sofferenze e i dubbi che ti attanagliavano ogni giorno… dopo un po’ mi chiedesti di mia mamma, seriamente, e allora piansi anch’io, perché iniziai a raccontarti tutto della mia sofferenza, di quel peso che mi accompagna sempre. Quella notte noi condividemmo il profondo delle nostre anime.

 

Parlammo di tutto ciò che ci opprimeva, dei nostri segreti più celati, e quella sera forse intuii che noi due saremmo diventati amici, ma amici per davvero: perché tu ti eri fidato di me fino al punto di rendermi la custode di un segreto che avrebbe potuto rovinarti, e perché io avrei potuto fidarmi di te allo stesso modo.

 

Ricordo il cielo stellato, reso un po’ fosco dalle lacrime, ricordo che per distrarti un secondo dal tuo dolore ti mostrai Cassiopea… seduti su quel gradino, a cuori aperti, conoscemmo un po’ più di noi stessi e scoprimmo che forse non eravamo soli al mondo.

 

Dopo un lasso di tempo che mi parve un’eternità, ci alzammo, passeggiammo per un po’ nel parcheggio dell’albergo e lì discutemmo se avevi intenzione di rivelare tutto al resto del mondo ma, visto che, intelligentemente, avevi intuito che avrebbero finito per emarginarti, mi chiedesti di mantenere il segreto. Penso di esser stata la prima a saperlo, e questo mi riempie di riconoscenza nei tuoi confronti, perché sei stato il primo a fidarti a tal punto di me.

 

 

 

Continuammo a camminare sotto il cielo siciliano, incontrammo anche qualche compagno, finché non ci decidemmo a ritornare dentro.

 

Qui i ricordi si fanno vaghi: tu mi invitasti ad andare in camera tua ma io, adducendo come scusa il fatto che fossi stanca, mi rinchiusi nella camera che dividevo con le altre ragazze. Quando finalmente mi resi conto di quello che era in realtà successo, mi misi a piangere, oppressa dal tuo segreto e pensando egoisticamente al fatto che così ero senza nessun spasimante, la solita brutta sfigata cessosa che non piaceva a nessuno… ma in realtà mi sbagliavo, perché come persona piacevo a te, che ti eri fidato a tal punto di me da affidarmi quella che potrebbe essere stata la chiave per comprenderti, la tua identità, il tuo segreto.

 

Quella notte noi abbiamo iniziato a diventare veramente grandi, prendendoci le nostre responsabilità, imparando a fidarci l’un l’altro, ma soprattutto affrontando noi stessi, il nostro essere, il nostro passato e quello che avremmo potuto essere…

 

Quella notte noi, sotto quel manto di stelle e aprendo i nostri cuori seriamente, senza maschere o doppi fini, suggellammo la nostra amicizia, che ci ha accompagnato fino ad oggi.

 

 

 

 

 

 

 

 

Sono passati quasi quattro anni da quella serata che cambiò la mia vita e forse anche la tua… ho ancora negli occhi il cielo stellato siciliano, e non è tanto diverso da quello che ci sovrasta stasera. Quella volta ti mostrai Cassiopea e lei è ancora lì davanti a noi.

 

Come al solito non ti ricordi questo particolare… non è un mistero, alla fine diamo importanza a dettagli diversi, ma questo mi è appena tornato in mente.

 

Mi giro verso di te e vedo che stai guardando anche tu le stelle: non sei diversissimo da com’eri a quel tempo, ma hai il viso più adulto (tra l’altro, te ne sei accorto vero che dovresti farti la barba?) e probabilmente sei cresciuto ancora in altezza… dico probabilmente perché, essendo cresciuti assieme e visto che sei sempre stato tu più alto, non riesco a rendermene bene conto; invece sei molto diverso dentro.

 

Porto alle labbra una bottiglia: era un mio piccolo sogno, trovarci una sera e bere assieme una birra mentre rivivevamo questi ricordi custoditi gelosamente nella memoria… sorrido mentre il liquido fresco, dolce e amaro allo stesso tempo, mi scende lungo la gola.

 

Ritorno a fissare il cielo: quante similitudini tra oggi e allora… siamo seduti uno accanto all’altra, la testa per aria, i cuori aperti e milioni di parole… Ma oggi è diverso.

 

Ieri eravamo ragazzini.

 

Oggi siamo adulti.

 

Ieri eravamo sempre assieme, compagni di banco e di cazzate, tu che mi portavi a fare cose impensabili per la sottoscritta.

 

Oggi siamo divisi, con centinaia di chilometri tra noi.

 

Ieri la nostra amicizia stava sbocciando lentamente.

 

Oggi la difendiamo strenuamente, nonostante la lontananza e le difficoltà, pronti a lottare pur di non perderci.

 

Ieri mi prendevi in giro per le mie manie e abitudini, io mi offendevo e fingevo di non parlarti.

 

Oggi continui a sfottermi allegramente, e io ti rispondo per le rime, pepata come al solito.

 

Ieri vivevamo in zone lontanissime, e litigavamo sempre per i nostri dialetti completamente diversi.

 

Oggi vorremmo abitare un giorno assieme, per cementare quella complicità che si è formata in questi anni e che tanto ci ha aiutato.

 

Ieri condividevamo le lotte quotidiane contro prof e materie insopportabili, uniti contro tutto.

 

Oggi dobbiamo combattere i nostri casini divisi, ma ci sosteniamo lo stesso, manco fossimo ancora alle superiori.

 

 

 

Ti stringo la mano.

 

 

Il gesto più semplice del mondo, ma lo sai che quattro anni fa non l’avrei fatto con nessuno? Anche adesso i miei gesti sono sempre molto controllati (tranne quando parlo, è ovvio!! È noto a tutto il mondo che non posso comunicare senza gesticolare!), e certe dimostrazioni d’affetto le concedo solo a coloro di cui mi fido, e a te affiderei la mia anima. Ti voglio un mondo di bene, e forse solo questa stretta può dimostrarti tutto il mio affetto…

 

Ripenso per un attimo allo sfogo che ti ho sentito fare tante volte e che mi ha portata a ricordare con te quella magica serata: “Morirò giovane, non raggiungerò mai la vecchiaia!”, hai detto, e, come al solito, ho sentito una stretta al cuore. Brutto deficiente che non sei altro, non ti azzardare a dire una cosa del genere: come potrei fare a tirare avanti senza te? Senza sapere che ci sei, da qualche parte, a sostenermi, a rincuorarmi, a sfottermi? Sei troppo importante, sei il mio fratello maschio che non ho mai avuto e non ti lascerò scomparire dalla mia vita adesso che ci sei! Ricordati che la tua sorellina ci sarà sempre per te, e che sarà sempre dalla tua parte.

 

Poggi la testa sulla mia spalla, e io poso con cautela la guancia contro il tuo capo.

 

Non ti lascerò abbandonare le tue battaglie, perché con te ci sarò sempre io, ad aiutarti e a combatterle con te.

 

Noi due.

 

Insieme.

 

Come sempre.

 
 
 
 
 

 

   
 
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