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Autore: diamantrouge    10/03/2013    5 recensioni
[SPOILER seconda stagione]
Non erano altro che strumenti nelle mani di una Dea crudele. Moira non avrebbe risparmiato nessuno di loro, lo sapevano – o quantomeno ci si augurava che lo sapessero.
Eppure, insistevano con una certa qual frenesia a volersi sottrarre alla loro stessa natura. A voler essere umani.
Genere: Angst, Song-fic | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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F a t a l i t à
 

F a t a l i t à
Ha il tuo destino in mano

Non erano altro che strumenti nelle mani di una Dea crudele. Moira non avrebbe risparmiato nessuno di loro, lo sapevano – o quantomeno ci si augurava che lo sapessero.
 Eppure, insistevano con una certa qual frenesia a volersi sottrarre alla loro stessa natura. A voler essere umani. Anche chi aveva incominciato la Guerra con dei continui rimandi alla propria natura effimera pareva volersi ribellare, stringendo legami con i nemici come fossero fratelli o compagni d’armi.
 Ah, quale follia! Quale stoltezza in simili gesti! Avrebbero soltanto sofferto di più. Il peso delle loro vite gravava sui loro animi impetuosi senza lasciare scampo. Non riuscivano a dimenticare ciò che erano stati e a dedicarsi alla propria missione, accettando il loro ruolo di mere pedine.
 Era uno spettacolo triste, a guardarsi. Per gli sfortunati attori di quella così grande tragedia doveva essere frustrante non potersi neppure considerare esseri umani oltre che macchine da guerra.
Da lontano, le scintille delle lame che cozzavano e le esplosioni e i fuochi e i lampi sembravano fuochi artificiali
 
 

F a t a l i t à
La trovi sulla tua via

 
 
Alessandro non avrebbe mai visto l’oceano ai confini del mondo.
 In compenso, sarebbe morto annegato nei suoi sogni e nelle sue ambizioni. Quelle catene che lo costringevano immobile, sotto il tiro di Ea – e sì che doveva essere davvero un osso duro per costringere il Re degli Eroi a sfoderarla, peccato che tenergli testa non sia bastato – erano un simbolo di dominio, quasi una beffa alla sua persona. Si era lanciato contro Gilgamesh con così tanto impeto da rasentare la bestialità, incurante della pioggia di armi a cui andava incontro.
 E poi era svanito così, in un batter d’occhio.
 Come se si stesse svegliando da un lungo sonno dogmatico.
«Ti sei finalmente risvegliato dal tuo lungo sogno, Re dei Conquistatori?», gli aveva domandato Archer nell’atto di trafiggerlo.
 Non si era sentito umiliato, però. Pur con l’immagine di quell’immensa distesa azzurra davanti agli occhi, poteva dirsi felice di aver condotto quella battaglia, con soldato valoroso come Waver al proprio fianco.
«Questa campagna militare è stata davvero capace di far vibrare il mio cuore in ogni istante…», disse.
 Le immagini dei sette giorni passati gli si pararono davanti agli occhi, veloci fotogrammi, prima che si dissolvesse.
 Solo quando  il re dorato si allontanò, Waver si lasciò andare ad un pianto liberatorio.
 
 
 
 

F a t a l i t à
Tu sei nessuno o sei un dio

 
 
Gilgamesh ammirava soddisfatto le rovine di Fuyuki.
 Regale, pur privato della sua armatura e di qualsiasi altro suo possedimento, se ne stava su un cumulo di materiali indefiniti a fissare l’incendio che aveva devastato le vite di molti. Bambini e donne urlanti, poveri derelitti che arrancavano, cercando in qualche modo la salvezza. Pregavano, piangevano, si battevano il petto, inconsapevoli di essere confinati in una gabbia di morte e disperazione. Quale delizia i loro lamenti, per le sue orecchie.
 A ben pensarci, non si era mai annoiato nel corso della guerra per la conquista del Graal. E qualora si fosse annoiato, aveva sempre delle nuove marionette con cui giocare, Master o Servant che fossero.
 Il suo burattino preferito giaceva ai suoi piedi, ancora privo di sensi
In quello scenario di desolazione e rovina – così adatto alla sua sposa, che già gli mancava –, era l’unico ad aver conservato un sorriso intatto ogni qual volta infliggeva dolore a terzi. Persino a lei. Gli dava quasi un senso di estasi frenetica, quel suo riuscire a trarre il meglio da ciò che quei poveri sanguemisto definivano una vera tragedia
(Il vino sa rivestire gli antri più sordidi
d’un lusso miracoloso )
e nuovamente ricordava quanto fosse meraviglioso vivere nel proprio mondo di perfezione col solo scopo di impadronirsi di tutto il resto.
«Io sono il vostro Dio…», sussurrò, per poi chiudere gli occhi.
Kirei guardò in alto e la prima cosa che vide fu, come in una sorta di visione mistica, il suo salvatore illuminato dalla luce delle fiamme, colui che di un uomo da niente aveva fatto un mostro.
 

 
F a t a l i t à
Tu sei puttana o sei re

 
 
Saber era stanca.
 Stanca di dover ripetere tutto. Stanca di dover essere costretta a danzare a forza in quell’illusione, più simile ad un ricordo. Stanca di avere gli occhi pieni di immagini di morte, tanto più se i suoi fantasmi dolorosi erano persone che aveva amato, nell’atto di maledirla.
 Mi hai tradito

Non è così

Possa il tuo corpo essere consumato dalla mia rabbia
 Quelle grida disperate erano il suo supplizio. La collina di Camlann il suo eterno carcere. Gli sguardi di Lancillotto e Diarmuid i suoi carcerieri invisibili. Cadeva su di lei una pioggia che non la bagnava, si abbatteva sulle sue membra una tempesta inoffensiva. Quel luogo serviva solo a ricordarle che era destinata a soffrire in eterno. La dannazione infernale sembrava un sollievo, in confronto.
 Eppure, si diceva, lei era stata un Re. Qualcuno da rispettare, a cui guardare, una guida per molti. Un re indegno, si ripeteva, perché corrotto da sentimenti che aveva tentato con ogni mezzo di soffocare. Aveva sopportato, taciuto, negato – e ancora non bastava. Sentiva la sua umanità scalpitare contro la coltre ghiacciata entro cui l’aveva relegata; scavava con le unghie e con i denti per emergere e sgorgare dalle sue parole, dalle sue lacrime, dai suoi lamenti rivolti al nulla.
 In ogni momento, Arturia Pendragon si odiava per essere chi era. Un sovrano incapace, contaminato dalla propria femminilità – perché sentiva di non aver pianto i suoi compagni caduti semplicemente come re, ma come una madre a vengono strappati dal grembo i figli.
 Nessuno era lì a sostenerla. Era sola, come era sempre stata, d’altronde.
 Ripercorrendo nuovamente la pagina più nera della sua storia, Saber si accasciò, la forza nelle gambe che veniva meno.
 
 

F a t a l i t à
La vita la devi a lei
 

 
Quella guerra non lasciò nessun sopravvissuto, alla fine. Il destino aveva deciso di richiamare a sé tutti i suoi figli, quasi a voler impedire che la storia prendesse una piega inaspettata.
E nonostante tutti sappiano quali atrocità sono state compiute, essa continua a ripetersi.
 
 

 
 
 
 
 
 
 
 
  
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