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Autore: Shirangel    11/03/2013    5 recensioni
E se oggi fosse il tuo ultimo giorno, Sasuke? Guarirai o morirai macchiato dal tuo peccato?
[Sasuke x Naruto]
[2° classificata al contest "Naruto's world" indetto da Chisana Kitzune sul forum di EFP]
Genere: Angst, Introspettivo, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Naruto Uzumaki, Sasuke Uchiha | Coppie: Naruto/Sasuke
Note: Lime, What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopo la serie
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La coscienza malata di un infermo sano

 

Il profumo dell’aria.

Il sapore della pioggia.

Il rumore della libertà e la vita che scorre sotto le mani, spiegare le ali davanti a un burrone e correre, spiato solo dalla luna.

Se stesso.

Non erano cose che gli mancavano – aveva imparato in fretta a convivere con la loro assenza – ma semplicemente cose che non c’erano. C’era lui, c’erano loro, andava bene. Non erano insieme, poteva sopravvivere. Poteva pensarci, ed era quasi lo stesso che averle.

Non chiedeva molto, in realtà: quello che aveva desiderato lo aveva ottenuto, avrebbe voluto restituirlo ma non poteva, non importava. Le sue scelte avevano determinato quello che era, anche se di lui non rimaneva altro che un nukenin di livello S di cui tutti avevano vergogna a parlare perché, anni prima, era stato uno di loro. Non lo era più da quando era diventato altro da quello che i suoi ex-concittadini conoscevano, un disadattato, un reietto. Era la malattia che impestava Konoha; anche da morto l’avrebbe tormentata, fino a ché anche l’ultimo residuo della sua memoria non sarebbe andato perduto nella tradizione orale.

Un ricordo assunto come esempio negativo per le generazioni future. Davvero non sarebbe rimasto  altro di Sasuke Uchiha?

 

~*~

 

«’Giorno, teme, ti ho portato da mangiare!»

Sasuke ponderò a lungo se aprire o meno gli occhi; fingere di dormire sarebbe stato inutile, dato che Naruto, anche credendolo addormentato, lo avrebbe svegliato e non se ne sarebbe andato comunque. Ignorarlo non avrebbe portato a niente e procrastinare avrebbe solo prolungato il suo tormento. Quella voce ormai era arrivata e, come sempre quando succedeva, una volta sentita non si poteva fare a meno di ascoltarla. Era così, Naruto: ti costringeva a prestargli attenzione. Una piccola bomba formato ridotto.

Con un brontolio malcelato, Sasuke si preparò ad alzarsi dalla brandina. La schiena dolorante lanciava segnali d’allarme che bisognava ignorare, perché soffermarcisi non avrebbe portato a nulla. E poi, con Naruto nella stanza, non si poteva badare a quelle piccolezze: i danni che faceva lui, solo entrando in quella cella fatiscente, non erano paragonabili a quelli fisici. Entravano più a fondo e le ferite sanguinavano di più.

«Credo che le guardie siano stipendiate per farlo, baka. Non c’è bisogno che ti presenti qui ogni dannato giorno.»

Insultarlo era sempre stato il metodo migliore per spingerlo ad allontanarsi, ma in quel momento in cui il cuore si ribella e comincia a fare di testa sua, quel momento che tutti gli adolescenti vivono e bollano come il passaggio all’età adulta, perfino il peggiore degli epiteti diventava un soprannome come un altro. E poi quelle parole Sasuke le rivolgeva solo a lui: allora Naruto se le teneva strette e conservava quel pezzo del suo migliore amico conficcato nel profondo come il più affilato dei coltelli. Non faceva né male, né bene: era solo una consapevolezza di appartenersi a vicenda, senza bisogno di dirlo o di pensarlo.

Il biondo arricciò il naso, offeso, e nascose l’involucro che aveva tra le mani dietro la schiena. Giocava come il bambino che non era mai stato, ma che aveva sempre ostentato; chi riusciva a guardargli dentro lo vedeva, quel vecchio cresciuto più in fretta, troppo per la sua età. Sasuke tanti anni prima aveva odiato quell’adulto camuffato goffamente, perché era la testimonianza più lampante. Era rimasto indietro, lui, e anche se era un bene non poteva sopportarlo.

 «Se la metti così, allora niente pranzo.»

«Fammi indovinare.» sbuffò Sasuke, mettendosi a sedere. «Ancora ramen.»

«Forse» ribatté Naruto. «O forse potrebbe trattarsi di qualcos’altro.»  cercò di tentarlo, ma di fronte alla sua assoluta indifferenza fu costretto ad arrendersi. Il gelo di Sasuke non si scioglieva nemmeno con il fuoco, e alla fine si arrivava a considerarlo parte integrante della sua pelle. Naruto non si era mai stancato di scavargli dentro, anche se appena arrivava a inciderne la superficie il ghiaccio si riformava sempre più in fretta. Andava bene lo stesso: lui era comunque quello che era arrivato più in profondità. Gli gettò il pacchetto tra le braccia, che aprendosi gli rovesciò sul grembo una consistente quantità di frutti maturi.

Gli occhi di Sasuke si sgranarono appena, lucenti biglie nere che si ostinavano sempre a catturare lo sguardo di chiunque fosse nelle vicinanze. Naruto non faceva eccezione, e come tutti covava la segreta speranza che quelle iridi spente acquisissero un po’ di calore solo per lui.

«Pomodori?»

Non ne mangiava da quando era stato rinchiuso in carcere, poco dopo la sua cattura. Parecchi mesi prima, in effetti – mesi che a lui sembravano una vita intera. Il tempo scorreva così lentamente che non si poteva nemmeno definire sprecato. Ne aveva tanto a disposizione, senza sapere come riempirlo. Erano solo ore, minuti, secoli privi di importanza.

«Non sai quanto è stato difficile trovarli! Ho chiesto una mano a Sakura-chan, ma ultimamente è molto impegnata all’ospedale, quindi…»

Il ragazzo lo lasciò al suo monologo e tornò a concentrarsi sul pranzo. Entrare in contatto con una delle realtà che ormai, dalla sua cella, gli erano precluse, gli faceva uno strano effetto. Sapeva che in prigione si sarebbe perso molte delle cose che in passato avevano reso la sua vita piacevole (sebbene occasionalmente), ma non riusciva a sentirne la mancanza. Dopo aver ucciso Itachi niente gli sembrava avere un senso, neppure le piccole esistenze che si svolgevano nel mondo fuori dal carcere, neppure Naruto e la sua ostinata mania di andare a trovarlo tutti i giorni. Naruto che entrava nel buio e, invece di venirne inghiottito, ci portava il sole. Naruto che sorrideva e i problemi non c’erano più. Naruto che se ne andava e tutto tornava come prima.

Era tutto destinato a finire. Non aveva senso sforzarsi tanto.

Perso nei suoi pensieri, Sasuke quasi non si accorse dello scricchiolio della vecchia brandina che si curvava sotto il peso dell’amico. Non poteva stupirsi dei suoi occhi turbati; da tempo aveva capito che quel ragazzo era così maledettamente empatico da capire. Non cosa pensava – non ci sarebbe mai arrivato – ma come si sentiva. Era come se le sensazioni che gli uscivano dal cuore andassero a conficcarsi direttamente in quello di Naruto. Era strano, era scomodo, ma non ci si poteva far nulla.

«Sasuke-teme, è tutto a posto?»

Lui si scrollò la sua mano dalla spalla con un gesto brusco. Gli scivolava via dalle mani così spesso da non riuscire a capacitarsi perché non se ne fosse andato da un pezzo, come chiunque sano di mente faceva dopo il primo milione di rifiuti – dannazione, perfino Sakura l’aveva lasciato perdere. Sembrava intenzionato a resistere per sempre, ma più restava più Sasuke cercava di allontanarlo. Perversamente era attratto dall’analizzare quante coltellate può sopportare un cuore prima di scoppiare, ma sapeva che scoprirlo gli avrebbe inflitto solo più dolore. Eppure non poteva farne a meno, perché lui era così. Metteva alla prova chiunque tentasse di stargli vicino, anche se con Naruto non avrebbe mai vinto.

«Perché non dovrebbe?»

«Hai ragione, sei sempre così cupo che è inutile preoccuparsi quando lo sembri più del solito.»

«Fatti rinchiudere in questa topaia al posto mio, così dopo mi dici com’è.»

Naruto rimase in silenzio. Perfino lui non aveva parole per rispondere a quello, lui che affrontava il mondo con uno sguardo selvaggio negli occhi e una risata in tasca. Di fronte alla realtà non sapeva mai cosa dire, non se riguardava Sasuke. Il suo ex compagno di team sarebbe rimasto per sempre il suo punto debole.

«Si sistemerà tutto.»

«Non ho chiesto la tua opinione.»

Il fantasma di un sorriso gli aleggiò per qualche istante agli angoli della bocca.

«Questo mi fa capire che stai bene.»

Sasuke se lo sarebbe ricordato, quel sorriso, perché era vero.

Non ne avrebbe visti più così.

 

~*~

 

«Puoi scordartelo.»

«Sasuke, ma…»

«Ho detto no.»

Naruto si lasciò cadere sul letto, ignorando l’occhiata al veleno che l’amico gli stava scagliando contro. Non contavano, quegli sguardi; lui faceva attenzione solo a quelli che gli piacevano. Collezionava momenti e speranze che un po’ di umanità, nel suo animo maledetto, ci fosse rimasta. Non aveva molto da custodire, ma sapeva farselo bastare.

«Non ti capisco.»

Lui non perse tempo a rimarcare che non c’era mai riuscito e mai, probabilmente, l’avrebbe fatto. Si limitò a sedersi sull’unica sedia della misera stanza, premurandosi di voltargli le spalle per nascondere i suoi occhi, che non erano in grado di mentire, non a Naruto; poteva falsificare la realtà quanto voleva, ma il suo migliore amico gli avrebbe carpito la verità dallo sguardo.

«Te lo giuro, non te ne pentirai. Ti prometto che non dovrai vedere nessuno.»

Se quella proposta tentò effettivamente Sasuke, il ragazzo non lo diede a vedere. Troppe rassicurazioni in appena due frasi; aveva imparato presto a diffidare della speranza – e delle promesse; spesso erano loro, quelle che facevano più male, per come si nascondevano e si negavano e si contraddicevano a vicenda. Le odiava.

«Se vengo, mi lascerai in pace?»                                                                    

«Tutto quello che vuoi.»

Sasuke sbuffò. «Continuo a credere che sia un’idea stupida.»

Naruto gli posò le mani sulle spalle, avvicinando il viso al suo a una distanza che, lo sapeva, dall’Uchiha era definita estremamente fastidiosa. I contatti umani, per lui che di umano aveva ben poco, erano solo inutili manifestazioni di debolezza. Che lo mettessero a disagio era un’altra storia che non c’era bisogno di raccontare.

«Ho il permesso di Tsunade obaachan. Ho l’interna giornata libera. Cos’hai da perdere?»

Sasuke si scostò dalla sua presa, lanciandogli  un’occhiataccia.

Niente. Tutto. Ciò di cui ho imparato a sopportare l’assenza avrebbe voluto rispondere, ma non avrebbe capito. Non erano mai stati così diversi, nemmeno quando lui minacciava di distruggere Konoha e Naruto giurava di salvarla. Nemmeno quando, quel giorno maledetto, perfino gli abbracci non funzionavano, perché uno voleva di più e l’altro ne aveva già abbastanza.

«D’accordo, baka» disse invece. «Ora piantala di infastidirmi.»

Ma ormai l’amico non lo ascoltava più. Lo prese per un braccio prima ancora che avesse finito di parlare e corse via, trascinandolo fuori dalla cella sotto le occhiate di disapprovazione delle guardie, informate dall’Hokage in persona di quell’idea tanto bizzarra di quei ragazzi così male assortiti. Erano giovani ed erano liberi. L’addio pareva così lontano che non pensarci era un dovere.

 

~*~

 

«Sei dannatamente seccante!»

La risata cristallina di Naruto si espanse nell’aria, abbracciando tutto ciò che li circondava, specchiandosi nel fiume e risuonando nella luce del sole. Il ragazzo continuò a precipitarsi lungo la riva, sebbene fossero già lontani dal carcere e malgrado nessuno li inseguisse, perché sentire il vento tra i capelli era la cosa migliore del mondo e poter stringere le dita di Sasuke tra le sue gli avrebbe dato abbastanza fiato da correre fino a Suna.

Sasuke si lasciò trascinare, senza ben capire che cosa gli impedisse di piantare i piedi a terra e mettere fine a quell’assurda corsa. Forse il profumo della libertà dava alla testa perfino a lui, forse il calore serviva a non morire.

Naruto si fermò solo quando un sasso si pose sulla loro traiettoria; i piedi si staccarono dal suolo e la terra dura si fece improvvisamente troppo vicina. Si ritrovò con la faccia sull’erba senza nemmeno rendersene conto e una fitta acuta gli perforò la schiena, quando Sasuke franò addosso a lui. La prima sensazione non fu di dolore, ma del sollievo nel percepire il corpo che premeva contro il suo. Così pensò È così che voglio morire.

«Che idiota.» sibilò Sasuke, cercando di districarsi da quel groviglio di gambe e braccia che erano diventati. A lui quella vicinanza dava solo fastidio, perché nessuno gli aveva mai insegnato ad apprezzarla. Si alzò scrollandosi la polvere di dosso mentre Naruto ancora rideva, sebbene avesse il fiato corto per il dolore ormai arrivato a pungergli le vertebre.

«Non essere noioso!» il biondo si rimise in piedi e lo spinse fino alla riva, lasciando la sua mano solo per sfilarsi la t-shirt. Non aveva mai il permesso di toccarlo e poterlo fare lo spingeva ad approfittarne, sebbene sapesse che non sarebbe durata. Gli sprazzi di condiscendenza di Sasuke duravano sempre meno. «Dai, sbrigati.»

L’Uchiha si concesse il privilegio di mostrarsi sconvolto alla vista di Naruto che si denudava davanti a lui.

«Sbrigarmi a fare cosa, esattamente?»

Lui lo degnò appena di un’occhiata mentre scalciava via i boxer e si tuffava in acqua.

«Non vorrai fare il bagno vestito, vero?» rise di nuovo e i suoi occhi risero con lui. Era la vita in persona.

«Tu non hai mai parlato di…»

«Sasuke, tu puzzi.» lo rimbrottò Naruto, la mano che si abbatteva sull’acqua fresca e la faceva volare a piccole gocce di gioia verso l’amico ancora sulla terraferma. «Quindi sbrigati. Che problema c’é?»

Non c’era nessun problema, ma Sasuke dovette distogliere lo sguardo per trovare la forza di spogliarsi. Non che fosse imbarazzato – non aveva né difetti gravi né problemi fisici – ma non poteva affermare con tutta sincerità di non essere sorpreso. In fin dei conti, però, la prigione era quello che era e lui puzzava davvero. Non guardò verso Naruto per non vedere i suoi occhi che lo fissavano mentre abbandonava i vestiti sull’erba.

«Allora? Cosa vuoi fare in questa giornata di libertà?» gli chiese il biondo, una volta che Sasuke l’ebbe raggiunto.

«Al momento non vorrei altro che tornare in cella.» sibilò lui tra i denti.

« Sai almeno quanto è stato faticoso convincere Tsunade obaachan a farti uscire?»

«Posso immaginarlo.» rispose Sasuke, un po’ troppo in fretta per fingere che non stesse aspettando da molto l’occasione per fargli quella domanda. «Perché l’hai fatto?»

«Deve esserci per forza un motivo?»

«Dimmelo.»

Naruto si voltò dall’altra parte e l’Uchiha fu certo che stesse nascondendo i suoi occhi perché non erano più azzurro cielo come prima. Probabilmente adesso erano più simili al colore della disperazione, ma se non avesse detto la verità lui ci avrebbe pensato Sasuke. Era talmente indifferente a tutto ciò che lo circondava da non avere problemi nel denudare la realtà.

«Mi hanno condannato.» non si prese nemmeno la briga di farla sembrare una domanda.

Naruto tornò a guardarlo negli occhi e cercò di afferragli la mano, ma lui fu più veloce e la allontanò dalla sua portata. Scivolato via da lui un’altra volta, l’ennesima. Sempre più lontano di quanto può correre, irraggiungibile.

«Sasuke…»                                                            

L’Uchiha alzò le spalle, come se non importasse. Come se non gli importasse.

«Era inevitabile. Sapevo che sarebbe successo, prima o poi.»

«Non è vero.»

«Chiudi il becco, baka.»

Naruto si lasciò andare a un mezzo sorriso e gli si avvicinò.

«Non sei così disperato, se hai ancora la voglia di insultarmi.» sotto l’acqua allungò una mano, gli sfiorò un fianco, lasciò una carezza sulla sua pelle chiarissima. Se lo poteva toccare, era lì. Finché avesse potuto avere il suo corpo sotto le dita, sarebbe andato tutto bene.

«Da quanto lo sai?»

«Ha importanza?»

Sasuke ripensò al momento in cui i sorrisi avevano cominciato ad essere finti e capì di non aver bisogno di una risposta. Mesi e mesi. Il tempo non contava niente.

«Non molta.»

Il pensiero di quanto avesse dovuto soffrire Naruto nel sopportare tutto questo da solo non lo sfiorò nemmeno, però si lasciò prendere la mano da lui e gli concesse di stringerla quasi senza accorgersene. Si rese conto di non aver niente a cui ripensare, nessun ricordo abbastanza importante da giustificare l’esistenza di una vita in procinto di essere mozzata.

«Quando?»

«Tsunade obaachan non ha potuto fare nulla, gli altri kage…»

Significava domani e non c’era bisogno di completare la frase per capirlo. Naruto lo sapeva e la lasciò lì a mezz’aria, incompleta. Anche lui si sentiva così: tranciato di netto.

«Ti ricordi l’ultima volta che siamo venuti qui?» gli domandò invece.

Sasuke lo seguì con lo sguardo mentre lui gli girava attorno, nuotando pigramente. Chiunque avrebbe notato l’allegria forzata che Naruto cercava di pigiare a forza dentro le sue parole – peraltro senza riuscirci. Cambiare argomento nei momenti in cui si trovava in difficoltà, tuttavia, sembrava essere rimasta la più sviluppata delle sue latenti abilità.

«Dovrei?»

«Intendo da soli                                                                               

Bastarono quelle poche parole a far sussultare Sasuke, mentre immagini di due tredicenni accaldati, nascosti dall’acqua alta, si accalcavano per farsi spazio nei suoi pensieri. C’erano voluti anni per seppellire quell’episodio sotto strati e strati di obbligata inconsapevolezza e poche frasi per farlo tornare nella sua roboante luminosità. Un altro sintomo della malattia che tutti sembravano bisognosi di attribuirgli.

«Non saprei.» mentì, guardandolo storto. «Eravamo bambini. Me ne sono andato presto.»

Naruto lo guardò dritto negli occhi, non era infastidito, o esagitato come suo solito. Era tranquillo e parlava con delicatezza, come se tentasse di addomesticare una belva ferita. Non voleva fargli male, voleva solo che lui sapesse. Erano cose che non andavano dette, che bisognava pigiare nel buio e lasciare lì a marcire, ne era consapevole, ma se le era tenute dentro tanto a lungo che ora stavano per esplodere e non poteva permettere che accadesse. Bisognava parlare, o sarebbero morti – sì, perché anche lui avrebbe avuto la sua esecuzione il giorno dopo, vivere senza Sasuke significava morire e basta – senza averlo mai fatto.

 «Non lo eravamo, quel giorno. Giocavamo a fare i grandi. Davvero non ti ricordi?»

«Ti ho detto di no.»

Naruto si avvicinò ancora di più.

«E allora perché sei arrossito?» sussurrò, sfiorandogli il naso con quell’aria un po’ dolce e un po’ saccente che aveva solo lui.

Sasuke gli afferrò il dito e lo spinse da parte. Quelle cose, per lui, non esistevano. Voleva che non esistessero e non c’erano.

«Non dire stupidaggini.» ribatté, e la sua voce era il ringhio dell’animale circondato dai cacciatori. Si sentivano i suoi denti che stridevano gli  uni sugli altri.

«Io me lo ricordo bene. Non ne hai mai voluto parlare, ma è successo.»

«Fammi passare, voglio uscire di qui.»

«È stato bellissimo.»

L’Uchiha alzò gli occhi al cielo e tentò di aggirarlo per potersi mettere in salvo sulla terraferma; Naruto però gli aveva già afferrato entrambe le mani, costringendolo a poggiarle sulla riva dietro di loro. Colse di sorpresa entrambi, ma ormai le sue braccia avevano agito da sole e indietro non di poteva tornare. Andare avanti sembrava così giusto, così inevitabile, che lo fece.

Sasuke avvertì il calore di quel corpo premuto su di lui ancora prima di sentire la propria schiena cozzare contro un masso. Aprì la bocca senza nemmeno sapere cosa dire e l’amico ne approfittò per chiudergliela con la propria. Lo baciò come se non ci fosse stato un domani e, in effetti, per Sasuke non c’era. C’era un fuoco che li univa per le labbra, li bruciava e poi li bagnava fino alle ossa, facendoli rabbrividire, e che poi rinasceva dalle ceneri.

Poi il tempo diede un brusco strattone allo stomaco di Sasuke e di nuovo il mondo tornò a scorrere. Non c’era più niente se non un bacio mai ricambiato e mai portato a termine, da quel giorno sul fiume. Forse Naruto ci sarebbe rimasto male, se non si fosse aspettato lo spintone che lo mandò a gambe all’aria. Si massaggiò il costato, là dove era stato colpito, e alzò lo sguardo.

Gli occhi di Sasuke erano ridotti a una fessura.

«Non so che ti sei messo in mente, ma qualunque cosa sia levatela dalla testa. Non ho rimpianti. Non voglio che questo sia il miglior giorno della mia vita. Non ho bisogno di nulla, di certo non di te.» sibilò. «E adesso fammi tornare in cella. È stata una pessima idea.»

Naruto, di nuovo, lo fermò. Di nuovo lo costrinse a ricambiare il suo sguardo. Di nuovo se lo incatenò addosso, perché era così, era egoista. La sua dipendenza lo mangiava così in profondità da fargli desiderare che divorasse anche Sasuke, perché ne aveva bisogno o sarebbe impazzito. «Voglio solo che tu sia felice. Almeno per un giorno.»

Lui rise, ed era una risata così sardonica e amara da far gelare il sangue.

«E perché vorresti una cosa simile? Per farmi apprezzare la vita proprio quando sto per perderla?» scosse la testa e uscì dall’acqua, chinandosi per rivestirsi. «Tu vuoi rendere felice solo te stesso. Che diamine vuoi da me?»

«Tutto» mormorò Naruto, così piano da non farsi sentire. «E tutto voglio darti.»

Ma Sasuke era già lontano e quelle erano le cose che non voleva sentire.

«Aspetta!»

Lui si girò, forse solo per scoccargli un’altra delle sue occhiate sprezzanti. Non lo fece solo perché era troppo stupito dallo sguardo di Naruto. C’era la disperazione pura, dentro quei pozzi blu; c’era il terrore e c’era la sconfitta. E una distesa infinita di dolore.

L’idea che quello fosse non solo il suo ultimo giorno, ma anche quello di Naruto, era troppo assurda per sembrare vera. Eppure guardandolo era l’unica che potesse apparire logica; il suo era il viso di un condannato a morte.

Oppure quello di chi sta per perdere tutto ciò che ha. Sasuke.

«Tieni.»

L’Uchiha abbassò lo sguardo sulla proprio mano, ancora disturbato da quel lampi di uomo distrutto che aveva appena visto. Vi trovò un quaderno, piccolo e dalla copertina blu, apparentemente nuovo. Spiccava violentemente sulla sua mano privata del sole per tanto tempo.

«Cosa dovrei farci?» gli domandò, impaziente. «Scriverci le mie memorie? Non credo di riuscirci in tempo, dovrei chiedere al boia di spostare il nostro appuntamento.»

Naruto si conficcò le unghie nei palmi delle mani. «Quello che vuoi. Qualsiasi cosa desideri. Alla fine della giornata ti prometto che avremo fatto tutto ciò che avrai scritto.»

«Quello che voglio è tornare in quella dannata prigione.» sbuffò. «Devo scriverlo per fartelo capire?»

Lui gli concesse un sorriso indulgente che lo mandò fuori di testa.

«Sì, se vuoi. Ma sarà l’ultima cosa che faremo.»

Sasuke gli lanciò un’imprecazione mentre si lasciava cadere sull’erba, ancora bagnata di rugiada e protetta dalle fronde di un albero, ma non gettò il quaderno né lo restituì. Naruto si chiese cosa vedesse in quelle pagine bianche, mentre le sfogliava come se stesse leggendo parole invisibili. Forse cercava la sua vita con tutti i se e tutti i ma che l’avrebbero resa diversa.

Non lo raggiunse. Gli lasciò il suo tempo, aspettò che alzasse il viso e chiudesse il quaderno prima di andarsi a sedere accanto a lui. Ci vollero minuti interminabili, perché Sasuke – lo vedeva persino da quella distanza – brontolava e sbuffava, sembrava ancora indeciso se piantarlo lì e tornarsene in prigione oppure rimanere a vedere quello che succedeva.

Però alla fine prese la penna che gli aveva fatto trovare tra le pagine e scrisse. Non sapeva cosa, non sapeva quanto, ma scrisse. Naruto sorrise senza fingere, anche se solo per un secondo.

Sasuke lo sentì arrivare alle sue spalle molto prima che i suoi passi fossero udibili, soffocati dall’erba che ne attutiva il rumore. Si gettò il quaderno alle spalle, facendo in modo che atterrasse ai suoi piedi.

Le prime due pagine erano riempite da una fitta ragnatela di kanji nella sua scrittura precisa e minuta.

Cosa vuoi nel tuo ultimo giorno di vita, Sasuke?

Il sorriso di Naruto si cancellò dalle sue labbra come una macchia che scompare sotto una spugna.

Morire. Morire. Morire. Morire. Morire. Morire. Morire. Morire. Morire. Morire.

«Perché?»

«Perché dovrei volere qualcos’altro, se tanto accadrà questo?» sembrava assente, quasi annoiato, mentre giocherellava con i fili d’erba che gli accarezzavano la pelle nuda dei polpacci.

Naruto deglutì saliva e bile.

«Non ce la faccio.»

Sasuke non lo guardò nemmeno. Non ce la faceva nemmeno lui, o forse – più probabilmente – non era interessato a nulla, se non a se stesso.

Lui guardò ancora quelle pagine sporcate dall’inchiostro. Avrebbe voluto sparire dentro esse, non riusciva a distogliere lo sguardo. Erano quasi ipnotiche, con tutto il loro dolore espresso in sottili linee di colore. Impiegò alcuni minuti per individuare l’unica parola che si discostava dall’asfissiante litania composta da tutti quei presagi di morte.

«Casa» lesse, quasi senza fiato. «Vuoi tornare al quartiere Uchiha?»                                               

Sasuke non rispose, ma girò il capo dall’altra parte.

Stupide emozioni.

 

~*~

 

«Te la ricordavi così?»

Sasuke fece qualche passo in avanti, tra i mobili impolverati e i muri fatiscenti.

«Non esattamente» mormorò. Posò la mano pallida sul ritratto appeso alla parete, ormai ingiallito dal tempo. Itachi gli sorrideva da un mondo precedente a cui lui non apparteneva più.

Naruto si grattò la nuca, imbarazzato. Giusto qualche settimana prima avevano sottoposto all’Hokage il progetto di demolire il quartiere ormai disabitato per costruire delle strutture moderne, ma Tsunade aveva accettato di rinviare i lavori sotto sua esplicita richiesta. Non avrebbe mai potuto permettere che Sasuke fosse privato delle sue radici ancor prima di morire.

«Vuoi che ti lasci da solo?» domandò, preparandosi a uscire dalla stanza.

Sasuke lo sorprese.

«Fai quello che vuoi.»

Di meglio non sapeva fare, per chiedergli di rimanere con lui. Andava bene così.

L’Uchiha si sedette e appoggiò le mani sui braccioli della poltrona che, se non ricordava male, era stata la preferita di suo padre. Carezzò con le dita il legno tarlato, spazzando via la polvere accumulata negli anni. Nessuno aveva mai pensato di tenere in ordine una casa abitata solo dai fantasmi. Uscì in cortile per non essere costretto a sopportare un momento di più le voci dei suoi parenti che lo chiamavano. Non aveva il permesso di soffrire, lui era il malato, era il pazzo, il traditore. Konoha lo aveva condannato come peccatore di un male perpetrato alle fondamenta dallo stesso villaggio.

Naruto lo raggiunse di corsa, afferrandogli un braccio per spingerlo a rallentare il passo.

«Ehi» mormorò. «Come ti senti?»

«Come uno che morirà domani.» replicò. «Come dovrei sentirmi, secondo te?»

Non rispose perché non lo sapeva, lo abbracciò per dirgli tutto ciò che si era sempre tenuto dentro. Non si aspettava di venire ricambiato e non successe, ma Sasuke non lo scansò e questo bastò a scaldargli il cuore.

«Non vuoi sapere cosa scriverei io, su quel quaderno?»

Il respiro di Naruto gli portò le sue parole fino all’orecchio, lentamente e con dolcezza.

«Dovrebbe interessarmi?»

Lui rise, amaro.

«Immagino di no. Però te lo dico lo stesso.»

Il silenzio li avvolgeva come una bolla di sapone. L’abbraccio che li univa era sempre più stretto, più soffocante. Toglieva ossigeno ed energia, però senza di esso non si sopravviveva.

«Ci scriverei il tuo nome.»

Cosa vuoi nel tuo ultimo giorno di vita, Naruto?

Sasuke Uchiha.

Non si trattenne: lo baciò di nuovo. Questa volta fu veloce e meno intenso, gli sfiorò le labbra con le sue, carezzandole appena con la punta della lingua.

«Siamo circondati da una squadra di ANBU.» mormorò al suo orecchio.

«Me ne sono accorto appena siamo usciti di prigione.» sibilò Sasuke, stizzito e vagamente imbarazzato.

Naruto appoggiò il viso sulla sua spalla, senza allentare la stretta con cui gli circondava la schiena. «Se entrassimo in casa, non ci seguirebbero. Sono lì solo per controllare che non ci allontaniamo dal villaggio, non devono spiarci.»

«Cosa dovrebbero spiare, esattamente?»

«Per favore. Non posso pensare di lasciarti andare via così, ho bisogno di…»

«Domani sarò morto.»

«Lo so, è per questo che io…»

Sasuke schioccò la lingua, impaziente, e si allontanò dal suo abbraccio.

«No, evidentemente non capisci. Qualsiasi cosa accadrà oggi, domani non avrà senso.»

Gli occhi di Naruto si allargarono a dismisura, come se si stessero sciogliendo sotto il sole.

«Sei davvero un idiota.» concluse lui.

«Dimmi che non mi vuoi.»

Quella frase cadde talmente a bruciapelo da lasciare entrambi interdetti per qualche istante. Si specchiarono l’uno nell’anima dell’altro e capirono tutto ciò che volevano entrambi ignorare. Le domande non avevano più bisogno di essere espresse a parole.

«Non ti voglio.» e Naruto seppe che era totalmente sincero. Sasuke sarebbe rimasto se stesso fino alla fine, autonomo e indipendente e testa di cazzo. Non erano riusciti a cambiarlo né Orochimaru, né l’Akatsuki, né Naruto stesso. Sarebbe morto senza piegare la testa di fronte al biasimo dei suoi concittadini, con quell’aria indisponente e il sogghigno sulle labbra. Il rimpianto lo avrebbe nascosto bene, al sicuro in un cuore che era così facile scordare di avere.

Non era rimasto nient’altro da maledire, sotto il sole che stava per tramontare e per mettere fine a tutto. Nemmeno loro stessi. Non c’era tempo per nulla. Nemmeno per finire quello che, tanti anni prima, avevano iniziato. La loro era una storia destinata a rimanere sospesa sul filo più sottile della ragnatela. Né un lieto fine, né una coltellata al petto; era ancora più straziante non sapere cosa sarebbe potuto succedere se. Lasciava il sapore amaro della delusione, che inacidiva una vita troncata di netto e che sembrava davvero senza senso, se era destinata a rimanere incompiuta.

Gli ANBU, invisibili assassini di sogni appostati sui tetti, si scambiarono un cenno d’intesa e piombarono accanto a loro come una nuvola di uccelli rapaci. Due di loro avanzarono in silenzio e si disposero ai lati di Sasuke. Non servivano parole: lo sapevano entrambi che era ora. L’accordo con Tsunade durava fino al tramonto. Tempo di calare il sipario.

«Non ce la faccio.» ripeté Naruto, ridendo perché stava per piangere. «Perché non ci riesco? Non posso.» gli occhi andarono a posarsi sugli shinobi accanto a loro. La testa cominciò a calcolare il loro numero e i minuti che poteva guadagnare. La mano andò a tastare la tasca del pantaloni per contare i kunai che conteneva. Era così chiaro che attaccarli sarebbe stato folle da rendere quell’idea irresistibile, impossibile da ignorare perché unica soluzione di tutto. Si chiedeva se era in grado di vincere, non cosa avrebbe fatto dopo. Quello non importava: importava solo Sasuke.

«Naruto» sibilò lui, perché gli occhi non mentono e quelli di Naruto erano limpidi come l’acqua. «No.»

Ma lo sguardo del jinchuuriki vagava ancora da un ANBU all’altro, disperato, perché non poteva posarsi su Sasuke. Ignorarlo rendeva tutto più semplice, lui e quelle sue occhiate di biasimo non potevano tangerlo se non lo guardava. Non doveva rinunciare ai suoi sogni se continuava a fissare gli shinobi che incombevano su di loro come uno stormo di avvoltoi. Aspettavano le loro carogne.

«Ascoltami.»

Lo fece.

«Va bene così. Sono pronto.»

Sei abbastanza.

«Non venire, domani.»

Non mi guardare mentre ti lascio.

«Vattene a casa.»

Ti amo. Addio.

Erano solo parole, che potevano significare tutto oppure niente. Naruto scelse tutto perché altrimenti sarebbe impazzito. Chiuse gli occhi per smettere di guardare gli ANBU, prima di prendere una decisione sbagliata. Alzò il pugno e sentì quello di Sasuke cozzare contro il suo, come ultimo gesto di un’amicizia iniziata e finita nel peggiore dei modi. Rimasero sollevate per qualche istante, quelle mani, poi Naruto aprì le dita e le intrecciò con quelle del suo migliore amico.

Per la prima volta, avvertì che Sasuke stava ricambiando la sua stretta. Durò pochissimo, forse se lo immaginò e per non rovinarsi quel momento – che sarebbe stato la sua unica consolazione per il resto della vita – non aprì gli occhi. Li tenne chiusi mentre sentiva gli ANBU bloccare i polsi di Sasuke e scortarlo via. Li tenne chiusi mentre davanti a lui rimaneva solo una promessa infranta.

Spiò dalle palpebre serrate un’unica volta, nel momento in cui Sasuke, lo sapeva, si stava girando verso di lui appena prima di sparire. Intercettò il suo ultimo sorriso, il primo da tanti anni.

Non sarebbe mai guarito, Sasuke Uchiha. Era riuscito a contagiarlo del suo male, che improvvisamente appariva come ultimo brandello di sanità in quel villaggio accecato dalla rabbia. Un villaggio che odiava la malattia che lo faceva avvizzire dall’interno, che pretendeva di curare quel morbo affibbiandolo a un qualsiasi capro espiatorio. Sasuke Uchiha non era il cattivo, non era il buono, era solo Sasuke Uchiha. Lui era solo Naruto Uzumaki, che piangeva sotto la luna vergine e non riusciva a vergognarsene. Che il mattino dopo sarebbe andato al patibolo senza farsi notare e se ne sarebbe pentito, perché sapere e vedere sono due cose diverse.

«Andrà bene», aveva detto, e doveva andare bene sul serio, perché gliel’aveva promesso. Il dolore uccide, ma si continua a vivere. Amare un malato è sempre peggio, non ti compatirà nessuno. Ma «andrà bene», doveva crederci almeno lui.

Sei abbastanza anche tu, Sasuke. Anche ora, basti così tanto che servi solo tu.

 

 

 

Note dell’autrice:

Salve :D eccomi con un’altra shot a deturpare deliziare questo fandom <3 penso che sia la cosa più brutta che io abbia mai scritto in vita mia, ma lasciamo perdere. Odio le cose dolci, e questa è un po’ troppo zuccherosa per i miei gusti ç___ç

Presto inonderò questa sezione di angst con una mini-long in arrivo u_u Temetemi u_u

Quindi, alla prossima!

shirangel

   
 
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