La
coscienza
malata di un infermo sano
Il profumo
dell’aria.
Il sapore
della
pioggia.
Il rumore
della
libertà e la vita che scorre sotto le mani, spiegare le ali
davanti a un
burrone e correre, spiato solo dalla luna.
Se stesso.
Non erano
cose
che gli mancavano – aveva imparato in fretta a convivere con
la loro assenza –
ma semplicemente cose che non
c’erano.
C’era lui, c’erano loro, andava bene. Non erano
insieme, poteva sopravvivere.
Poteva pensarci, ed era quasi lo stesso che averle.
Non
chiedeva
molto, in realtà: quello che aveva desiderato lo aveva
ottenuto, avrebbe voluto
restituirlo ma non poteva, non importava. Le sue scelte avevano
determinato
quello che era, anche se di lui non rimaneva altro che un nukenin di
livello S
di cui tutti avevano vergogna a parlare perché, anni prima,
era stato uno di
loro. Non lo era più da quando era diventato altro
da quello che i suoi ex-concittadini conoscevano, un
disadattato, un reietto. Era la malattia che impestava Konoha; anche da
morto
l’avrebbe tormentata, fino a ché anche
l’ultimo residuo della sua memoria non sarebbe
andato perduto nella tradizione orale.
Un ricordo
assunto come esempio negativo per le generazioni future. Davvero non
sarebbe
rimasto altro di
Sasuke Uchiha?
~*~
«’Giorno,
teme,
ti ho portato da mangiare!»
Sasuke
ponderò a
lungo se aprire o meno gli occhi; fingere di dormire sarebbe stato
inutile,
dato che Naruto, anche credendolo addormentato, lo avrebbe svegliato e
non se
ne sarebbe andato comunque. Ignorarlo non avrebbe portato a niente e
procrastinare avrebbe solo prolungato il suo tormento. Quella voce
ormai era
arrivata e, come sempre quando succedeva, una volta sentita non si
poteva fare
a meno di ascoltarla. Era così, Naruto: ti costringeva a
prestargli attenzione.
Una piccola bomba formato ridotto.
Con un
brontolio
malcelato, Sasuke si preparò ad alzarsi dalla brandina. La
schiena dolorante
lanciava segnali d’allarme che bisognava ignorare,
perché soffermarcisi non
avrebbe portato a nulla. E poi, con Naruto nella stanza, non si poteva
badare a
quelle piccolezze: i danni che faceva lui, solo entrando in quella
cella
fatiscente, non erano paragonabili a quelli fisici. Entravano
più a fondo e le
ferite sanguinavano di più.
«Credo
che le
guardie siano stipendiate per
farlo,
baka. Non c’è bisogno che ti presenti qui ogni
dannato giorno.»
Insultarlo
era
sempre stato il metodo migliore per spingerlo ad allontanarsi, ma in
quel
momento in cui il cuore si ribella e comincia a fare di testa sua, quel
momento
che tutti gli adolescenti vivono e bollano come il passaggio
all’età adulta, perfino
il peggiore degli epiteti diventava un soprannome come un altro. E poi
quelle
parole Sasuke le rivolgeva solo a lui: allora Naruto se le teneva
strette e
conservava quel pezzo del suo migliore amico conficcato nel profondo
come il
più affilato dei coltelli. Non faceva né male,
né bene: era solo una
consapevolezza di appartenersi a vicenda, senza bisogno di dirlo o di
pensarlo.
Il biondo
arricciò il naso, offeso, e nascose l’involucro
che aveva tra le mani dietro la
schiena. Giocava come il bambino che non era mai stato, ma che aveva
sempre
ostentato; chi riusciva a guardargli dentro lo vedeva, quel vecchio
cresciuto
più in fretta, troppo per la sua età. Sasuke
tanti anni prima aveva odiato
quell’adulto camuffato goffamente, perché era la
testimonianza più lampante.
Era rimasto indietro, lui, e anche se era un bene non poteva
sopportarlo.
«Se la metti
così, allora niente pranzo.»
«Fammi
indovinare.» sbuffò Sasuke, mettendosi a sedere.
«Ancora ramen.»
«Forse»
ribatté
Naruto. «O forse potrebbe trattarsi di
qualcos’altro.»
cercò di tentarlo, ma di fronte alla sua
assoluta indifferenza fu costretto ad arrendersi. Il gelo di Sasuke non
si
scioglieva nemmeno con il fuoco, e alla fine si arrivava a considerarlo
parte
integrante della sua pelle. Naruto non si era mai stancato di scavargli
dentro,
anche se appena arrivava a inciderne la superficie il ghiaccio si
riformava
sempre più in fretta. Andava bene lo stesso: lui era
comunque quello che era
arrivato più in profondità. Gli gettò
il pacchetto tra le braccia, che
aprendosi gli rovesciò sul grembo una consistente
quantità di frutti maturi.
Gli occhi
di
Sasuke si sgranarono appena, lucenti biglie nere che si ostinavano
sempre a
catturare lo sguardo di chiunque fosse nelle vicinanze. Naruto non
faceva
eccezione, e come tutti covava la segreta speranza che quelle iridi
spente
acquisissero un po’ di calore solo per lui.
«Pomodori?»
Non ne
mangiava
da quando era stato rinchiuso in carcere, poco dopo la sua cattura.
Parecchi mesi
prima, in effetti – mesi che a lui sembravano una vita
intera. Il tempo
scorreva così lentamente che non si poteva nemmeno definire
sprecato. Ne aveva
tanto a disposizione, senza sapere come riempirlo. Erano solo ore,
minuti,
secoli privi di importanza.
«Non
sai quanto
è stato difficile trovarli! Ho chiesto una mano a
Sakura-chan, ma ultimamente è
molto impegnata all’ospedale, quindi…»
Il ragazzo
lo
lasciò al suo monologo e tornò a concentrarsi sul
pranzo. Entrare in contatto
con una delle realtà che ormai, dalla sua cella, gli erano
precluse, gli faceva
uno strano effetto. Sapeva che in prigione si sarebbe perso molte delle
cose
che in passato avevano reso la sua vita piacevole (sebbene
occasionalmente), ma
non riusciva a sentirne la mancanza. Dopo aver ucciso Itachi niente gli
sembrava avere un senso, neppure le piccole esistenze che si svolgevano
nel
mondo fuori dal carcere, neppure Naruto e la sua ostinata mania di
andare a
trovarlo tutti i giorni. Naruto che entrava nel buio e, invece di
venirne
inghiottito, ci portava il sole. Naruto che sorrideva e i problemi non
c’erano
più. Naruto che se ne andava e tutto tornava come prima.
Era tutto
destinato a finire. Non aveva senso sforzarsi tanto.
Perso nei
suoi
pensieri, Sasuke quasi non si accorse dello scricchiolio della vecchia
brandina
che si curvava sotto il peso dell’amico. Non poteva stupirsi
dei suoi occhi
turbati; da tempo aveva capito che quel ragazzo era così
maledettamente
empatico da capire. Non cosa pensava – non ci sarebbe mai
arrivato – ma come si
sentiva. Era come se le sensazioni che gli uscivano dal cuore andassero
a
conficcarsi direttamente in quello di Naruto. Era strano, era scomodo,
ma non
ci si poteva far nulla.
«Sasuke-teme,
è
tutto a posto?»
Lui si
scrollò
la sua mano dalla spalla con un gesto brusco. Gli scivolava via dalle
mani così
spesso da non riuscire a capacitarsi perché non se ne fosse
andato da un pezzo,
come chiunque sano di mente faceva dopo il primo milione di rifiuti
–
dannazione, perfino Sakura l’aveva lasciato perdere. Sembrava
intenzionato a
resistere per sempre, ma più restava più Sasuke
cercava di allontanarlo.
Perversamente era attratto dall’analizzare quante coltellate
può sopportare un
cuore prima di scoppiare, ma sapeva che scoprirlo gli avrebbe inflitto
solo più
dolore. Eppure non poteva farne a meno, perché lui era
così. Metteva alla prova
chiunque tentasse di stargli vicino, anche se con Naruto non avrebbe
mai vinto.
«Perché
non
dovrebbe?»
«Hai
ragione,
sei sempre così cupo che è inutile preoccuparsi
quando lo sembri più del
solito.»
«Fatti
rinchiudere in questa topaia al posto mio, così dopo mi dici
com’è.»
Naruto
rimase in
silenzio. Perfino lui non aveva parole per rispondere a quello,
lui che affrontava il mondo con uno sguardo selvaggio negli
occhi e una risata in tasca. Di fronte alla realtà non
sapeva mai cosa dire,
non se riguardava Sasuke. Il suo ex compagno di team sarebbe rimasto
per sempre
il suo punto debole.
«Si
sistemerà tutto.»
«Non
ho chiesto
la tua opinione.»
Il
fantasma di
un sorriso gli aleggiò per qualche istante agli angoli della
bocca.
«Questo
mi fa
capire che stai bene.»
Sasuke se
lo
sarebbe ricordato, quel sorriso, perché era vero.
Non ne
avrebbe
visti più così.
~*~
«Puoi
scordartelo.»
«Sasuke,
ma…»
«Ho
detto no.»
Naruto si
lasciò
cadere sul letto, ignorando l’occhiata al veleno che
l’amico gli stava
scagliando contro. Non contavano, quegli sguardi; lui faceva attenzione
solo a
quelli che gli piacevano. Collezionava momenti e speranze che un
po’ di
umanità, nel suo animo maledetto, ci fosse rimasta. Non
aveva molto da
custodire, ma sapeva farselo bastare.
«Non
ti
capisco.»
Lui non
perse
tempo a rimarcare che non c’era mai riuscito e mai,
probabilmente, l’avrebbe fatto.
Si limitò a sedersi sull’unica sedia della misera
stanza, premurandosi di
voltargli le spalle per nascondere i suoi occhi, che non erano in grado
di
mentire, non a Naruto; poteva falsificare la realtà quanto
voleva, ma il suo
migliore amico gli avrebbe carpito la verità dallo sguardo.
«Te
lo giuro,
non te ne pentirai. Ti prometto che non dovrai vedere
nessuno.»
Se quella
proposta tentò effettivamente Sasuke, il ragazzo non lo
diede a vedere. Troppe
rassicurazioni in appena due frasi; aveva imparato presto a diffidare
della
speranza – e delle promesse; spesso erano loro, quelle che
facevano più male,
per come si nascondevano e si negavano e si contraddicevano a vicenda.
Le
odiava.
«Se
vengo, mi lascerai in pace?»
«Tutto
quello
che vuoi.»
Sasuke
sbuffò. «Continuo
a credere che sia un’idea stupida.»
Naruto gli
posò
le mani sulle spalle, avvicinando il viso al suo a una distanza che, lo
sapeva,
dall’Uchiha era definita estremamente
fastidiosa. I contatti umani, per lui che di umano aveva ben
poco, erano
solo inutili manifestazioni di debolezza. Che lo mettessero a disagio
era
un’altra storia che non c’era bisogno di raccontare.
«Ho
il permesso
di Tsunade obaachan. Ho l’interna giornata libera.
Cos’hai da perdere?»
Sasuke si
scostò
dalla sua presa, lanciandogli
un’occhiataccia.
Niente.
Tutto. Ciò di cui ho imparato a sopportare
l’assenza avrebbe
voluto rispondere, ma
non avrebbe capito. Non erano mai stati così diversi,
nemmeno quando lui
minacciava di distruggere Konoha e Naruto giurava di salvarla. Nemmeno
quando,
quel giorno maledetto, perfino gli abbracci non funzionavano,
perché uno voleva
di più e l’altro ne aveva già
abbastanza.
«D’accordo,
baka» disse invece. «Ora
piantala di infastidirmi.»
Ma ormai
l’amico
non lo ascoltava più. Lo prese per un braccio prima ancora
che avesse finito di
parlare e corse via, trascinandolo fuori dalla cella sotto le occhiate
di
disapprovazione delle guardie, informate dall’Hokage in
persona di quell’idea
tanto bizzarra di quei ragazzi così male assortiti. Erano
giovani ed erano
liberi. L’addio pareva così lontano che non
pensarci era un dovere.
~*~
«Sei
dannatamente seccante!»
La risata
cristallina di Naruto si espanse nell’aria,
abbracciando tutto ciò che li circondava, specchiandosi nel
fiume e risuonando
nella luce del sole. Il ragazzo continuò a precipitarsi
lungo la riva, sebbene
fossero già lontani dal carcere e malgrado nessuno li
inseguisse, perché
sentire il vento tra i capelli era la cosa migliore del mondo e poter
stringere
le dita di Sasuke tra le sue gli avrebbe dato abbastanza fiato da
correre fino
a Suna.
Sasuke si
lasciò trascinare, senza ben capire che cosa gli
impedisse di piantare i piedi a terra e mettere fine a
quell’assurda corsa.
Forse il profumo della libertà dava alla testa perfino a
lui, forse il calore
serviva a non morire.
Naruto si
fermò solo quando un sasso si pose sulla loro
traiettoria; i piedi si staccarono dal suolo e la terra dura si fece
improvvisamente troppo vicina. Si ritrovò con la faccia
sull’erba senza nemmeno
rendersene conto e una fitta acuta gli perforò la schiena,
quando Sasuke franò
addosso a lui. La prima sensazione non fu di dolore, ma del sollievo
nel
percepire il corpo che premeva contro il suo. Così
pensò È
così che voglio
morire.
«Che
idiota.» sibilò Sasuke, cercando di districarsi da
quel groviglio di gambe e braccia che erano diventati. A lui quella
vicinanza
dava solo fastidio, perché nessuno gli aveva mai insegnato
ad apprezzarla. Si
alzò scrollandosi la polvere di dosso mentre Naruto ancora
rideva, sebbene avesse
il fiato corto per il dolore ormai arrivato a pungergli le vertebre.
«Non
essere noioso!» il biondo si rimise in piedi e lo
spinse fino alla riva, lasciando la sua mano solo per sfilarsi la
t-shirt. Non
aveva mai il permesso di toccarlo e poterlo fare lo spingeva ad
approfittarne,
sebbene sapesse che non sarebbe durata. Gli sprazzi di condiscendenza
di Sasuke
duravano sempre meno. «Dai, sbrigati.»
L’Uchiha
si concesse il privilegio di mostrarsi sconvolto
alla vista di Naruto che si denudava
davanti a lui.
«Sbrigarmi
a fare cosa,
esattamente?»
Lui lo
degnò appena di un’occhiata mentre scalciava via i
boxer e si tuffava in acqua.
«Non
vorrai fare il bagno vestito, vero?» rise di nuovo e
i suoi occhi risero con lui. Era la vita in persona.
«Tu
non hai mai parlato di…»
«Sasuke,
tu puzzi.»
lo rimbrottò Naruto, la mano che si abbatteva
sull’acqua fresca e la faceva
volare a piccole gocce di gioia verso l’amico ancora sulla
terraferma. «Quindi
sbrigati. Che problema c’é?»
Non
c’era nessun problema, ma Sasuke dovette distogliere
lo sguardo per trovare la forza di spogliarsi. Non che fosse
imbarazzato – non
aveva né difetti gravi né problemi fisici
– ma non poteva affermare con tutta
sincerità di non essere sorpreso. In fin dei conti,
però, la prigione era quello
che era e lui puzzava davvero. Non guardò verso Naruto per
non vedere i suoi
occhi che lo fissavano mentre abbandonava i vestiti sull’erba.
«Allora?
Cosa vuoi fare in questa giornata di libertà?»
gli chiese il biondo, una volta che Sasuke l’ebbe raggiunto.
«Al
momento non vorrei altro che tornare in cella.»
sibilò
lui tra i denti.
«
Sai almeno quanto è stato faticoso convincere Tsunade
obaachan a farti uscire?»
«Posso
immaginarlo.» rispose Sasuke, un po’ troppo in
fretta per fingere che non stesse aspettando da molto
l’occasione per fargli
quella domanda. «Perché l’hai
fatto?»
«Deve
esserci per forza un motivo?»
«Dimmelo.»
Naruto si
voltò dall’altra parte e l’Uchiha fu
certo che
stesse nascondendo i suoi occhi perché non erano
più azzurro cielo come prima.
Probabilmente adesso erano più simili al colore della
disperazione, ma se non avesse
detto la verità lui ci avrebbe pensato Sasuke. Era talmente
indifferente a
tutto ciò che lo circondava da non avere problemi nel
denudare la realtà.
«Mi
hanno condannato.» non si prese nemmeno la briga di
farla sembrare una domanda.
Naruto
tornò a guardarlo negli occhi e cercò di
afferragli
la mano, ma lui fu più veloce e la allontanò
dalla sua portata. Scivolato via
da lui un’altra volta, l’ennesima. Sempre
più lontano di quanto può correre,
irraggiungibile.
«Sasuke…»
L’Uchiha
alzò le spalle, come se non importasse. Come se
non gli importasse.
«Era
inevitabile. Sapevo che sarebbe successo, prima o
poi.»
«Non
è vero.»
«Chiudi
il becco, baka.»
Naruto si
lasciò andare a un mezzo sorriso e gli si
avvicinò.
«Non
sei così disperato, se hai ancora la voglia di
insultarmi.» sotto l’acqua allungò una
mano, gli sfiorò un fianco, lasciò una
carezza sulla sua pelle chiarissima. Se lo poteva toccare, era
lì. Finché
avesse potuto avere il suo corpo sotto le dita, sarebbe andato tutto
bene.
«Da
quanto lo sai?»
«Ha
importanza?»
Sasuke
ripensò al momento in cui i sorrisi avevano
cominciato ad essere finti e capì di non aver bisogno di una
risposta. Mesi e
mesi. Il tempo non contava niente.
«Non
molta.»
Il
pensiero di quanto avesse dovuto soffrire Naruto nel
sopportare tutto questo da solo non lo sfiorò nemmeno,
però si lasciò prendere
la mano da lui e gli concesse di stringerla quasi senza accorgersene.
Si rese
conto di non aver niente a cui ripensare, nessun ricordo abbastanza
importante
da giustificare l’esistenza di una vita in procinto di essere
mozzata.
«Quando?»
«Tsunade
obaachan non ha potuto fare nulla, gli altri
kage…»
Significava
domani
e non c’era bisogno di completare la frase per capirlo.
Naruto lo sapeva e la
lasciò lì a mezz’aria, incompleta.
Anche lui si sentiva così: tranciato di
netto.
«Ti
ricordi l’ultima volta che siamo venuti qui?» gli
domandò invece.
Sasuke lo
seguì con lo sguardo mentre lui gli girava
attorno, nuotando pigramente. Chiunque avrebbe notato
l’allegria forzata che
Naruto cercava di pigiare a forza dentro le sue parole –
peraltro senza
riuscirci. Cambiare argomento nei momenti in cui si trovava in
difficoltà,
tuttavia, sembrava essere rimasta la più sviluppata delle
sue latenti abilità.
«Dovrei?»
«Intendo
da soli.»
Bastarono
quelle poche parole a far sussultare Sasuke,
mentre immagini di due tredicenni accaldati, nascosti
dall’acqua alta, si
accalcavano per farsi spazio nei suoi pensieri. C’erano
voluti anni per
seppellire quell’episodio sotto strati e strati di obbligata
inconsapevolezza e
poche frasi per farlo tornare nella sua roboante luminosità.
Un altro sintomo
della malattia che tutti sembravano bisognosi di attribuirgli.
«Non
saprei.» mentì, guardandolo storto.
«Eravamo bambini.
Me ne sono andato presto.»
Naruto lo
guardò dritto negli occhi, non era infastidito,
o esagitato come suo solito. Era tranquillo e parlava con delicatezza,
come se
tentasse di addomesticare una belva ferita. Non voleva fargli male,
voleva solo
che lui sapesse. Erano cose che non andavano dette, che bisognava
pigiare nel
buio e lasciare lì a marcire, ne era consapevole, ma se le
era tenute dentro
tanto a lungo che ora stavano per esplodere e non poteva permettere che
accadesse. Bisognava parlare, o sarebbero morti –
sì, perché anche lui avrebbe
avuto la sua esecuzione il giorno dopo, vivere senza Sasuke significava
morire
e basta – senza averlo mai fatto.
«Non lo eravamo,
quel giorno. Giocavamo a fare i grandi. Davvero non ti
ricordi?»
«Ti
ho detto di no.»
Naruto si
avvicinò ancora di più.
«E
allora perché sei arrossito?» sussurrò,
sfiorandogli il
naso con quell’aria un po’ dolce e un po’
saccente che aveva solo lui.
Sasuke gli
afferrò il dito e lo spinse da parte. Quelle
cose, per lui, non esistevano. Voleva che non esistessero e non
c’erano.
«Non
dire stupidaggini.» ribatté, e la sua voce era il
ringhio dell’animale circondato dai cacciatori. Si sentivano
i suoi denti che
stridevano gli uni
sugli altri.
«Io
me lo ricordo bene. Non ne hai mai voluto parlare, ma
è successo.»
«Fammi
passare, voglio uscire di qui.»
«È
stato bellissimo.»
L’Uchiha
alzò gli occhi al cielo e tentò di aggirarlo per
potersi mettere in salvo sulla terraferma; Naruto però gli
aveva già afferrato
entrambe le mani, costringendolo a poggiarle sulla riva dietro di loro.
Colse
di sorpresa entrambi, ma ormai le sue braccia avevano agito da sole e
indietro
non di poteva tornare. Andare avanti sembrava così giusto,
così inevitabile,
che lo fece.
Sasuke
avvertì il calore di quel corpo premuto su di lui
ancora prima di sentire la propria schiena cozzare contro un masso.
Aprì la
bocca senza nemmeno sapere cosa dire e l’amico ne
approfittò per chiudergliela
con la propria. Lo baciò come se non ci fosse stato un
domani e, in effetti,
per Sasuke non c’era. C’era un fuoco che li univa
per le labbra, li bruciava e
poi li bagnava fino alle ossa, facendoli rabbrividire, e che poi
rinasceva
dalle ceneri.
Poi il
tempo diede un brusco strattone allo stomaco di
Sasuke e di nuovo il mondo tornò a scorrere. Non
c’era più niente se non un
bacio mai ricambiato e mai portato a termine, da quel giorno sul fiume.
Forse
Naruto ci sarebbe rimasto male, se non si fosse aspettato lo spintone
che lo
mandò a gambe all’aria. Si massaggiò il
costato, là dove era stato colpito, e
alzò lo sguardo.
Gli occhi
di Sasuke erano ridotti a una fessura.
«Non
so che ti sei messo in mente, ma qualunque cosa sia
levatela dalla testa. Non ho rimpianti. Non voglio che questo sia il
miglior
giorno della mia vita. Non ho bisogno di nulla, di certo non di
te.» sibilò. «E
adesso fammi tornare in cella. È stata una pessima
idea.»
Naruto, di
nuovo, lo fermò. Di nuovo lo costrinse a
ricambiare il suo sguardo. Di nuovo se lo incatenò addosso,
perché era così,
era egoista. La sua dipendenza lo mangiava così in
profondità da fargli
desiderare che divorasse anche Sasuke, perché ne aveva
bisogno o sarebbe impazzito.
«Voglio solo che tu sia felice. Almeno per un
giorno.»
Lui rise,
ed era una risata così sardonica e amara da far
gelare il sangue.
«E
perché vorresti una cosa simile? Per farmi apprezzare
la vita proprio quando sto per perderla?» scosse la testa e
uscì dall’acqua,
chinandosi per rivestirsi. «Tu vuoi rendere felice solo te
stesso. Che diamine
vuoi da me?»
«Tutto»
mormorò Naruto, così piano da non farsi sentire.
«E tutto voglio darti.»
Ma Sasuke
era già lontano e quelle erano le cose che non
voleva sentire.
«Aspetta!»
Lui si
girò, forse solo per scoccargli un’altra delle sue
occhiate sprezzanti. Non lo fece solo perché era troppo
stupito dallo sguardo
di Naruto. C’era la disperazione pura, dentro quei pozzi blu;
c’era il terrore
e c’era la sconfitta. E una distesa infinita di dolore.
L’idea
che quello fosse non solo il suo ultimo giorno, ma
anche quello di Naruto, era troppo assurda per sembrare vera. Eppure
guardandolo era l’unica che potesse apparire logica; il suo
era il viso di un
condannato a morte.
Oppure
quello di chi sta per perdere tutto ciò che ha.
Sasuke.
«Tieni.»
L’Uchiha
abbassò lo sguardo sulla proprio mano, ancora
disturbato da quel lampi di uomo distrutto che aveva appena visto. Vi
trovò un
quaderno, piccolo e dalla copertina blu, apparentemente nuovo. Spiccava
violentemente sulla sua mano privata del sole per tanto tempo.
«Cosa
dovrei farci?» gli domandò, impaziente.
«Scriverci
le mie memorie? Non credo di riuscirci in tempo, dovrei chiedere al
boia di
spostare il nostro appuntamento.»
Naruto si
conficcò le unghie nei palmi delle mani. «Quello
che vuoi. Qualsiasi cosa desideri. Alla fine della giornata ti prometto
che
avremo fatto tutto ciò che avrai scritto.»
«Quello
che voglio è tornare in quella dannata prigione.»
sbuffò. «Devo scriverlo per fartelo
capire?»
Lui gli
concesse un sorriso indulgente che lo mandò fuori
di testa.
«Sì,
se vuoi. Ma sarà l’ultima cosa che
faremo.»
Sasuke gli
lanciò un’imprecazione mentre si lasciava
cadere sull’erba, ancora bagnata di rugiada e protetta dalle
fronde di un
albero, ma non gettò il quaderno né lo
restituì. Naruto si chiese cosa vedesse
in quelle pagine bianche, mentre le sfogliava come se stesse leggendo
parole
invisibili. Forse cercava la sua vita con tutti i se
e tutti i ma che
l’avrebbero resa diversa.
Non lo
raggiunse. Gli lasciò il suo tempo, aspettò che
alzasse il viso e chiudesse il quaderno prima di andarsi a sedere
accanto a
lui. Ci vollero minuti interminabili, perché Sasuke
– lo vedeva persino da
quella distanza – brontolava e sbuffava, sembrava ancora
indeciso se piantarlo
lì e tornarsene in prigione oppure rimanere a vedere quello
che succedeva.
Però
alla fine prese la penna che gli aveva fatto trovare
tra le pagine e scrisse. Non sapeva cosa, non sapeva quanto, ma
scrisse. Naruto
sorrise senza fingere, anche se solo per un secondo.
Sasuke lo
sentì arrivare alle sue spalle molto prima che i
suoi passi fossero udibili, soffocati dall’erba che ne
attutiva il rumore. Si
gettò il quaderno alle spalle, facendo in modo che
atterrasse ai suoi piedi.
Le prime
due pagine erano riempite da una fitta ragnatela
di kanji nella sua scrittura precisa e minuta.
Cosa vuoi
nel tuo ultimo giorno di
vita, Sasuke?
Il sorriso
di Naruto si cancellò dalle sue labbra come una
macchia che scompare sotto una spugna.
Morire.
Morire. Morire. Morire.
Morire. Morire. Morire. Morire. Morire. Morire.
«Perché?»
«Perché
dovrei volere qualcos’altro, se tanto accadrà
questo?» sembrava assente, quasi annoiato, mentre
giocherellava con i fili
d’erba che gli accarezzavano la pelle nuda dei polpacci.
Naruto
deglutì saliva e bile.
«Non
ce la faccio.»
Sasuke non
lo guardò nemmeno. Non ce la faceva nemmeno
lui, o forse – più probabilmente – non
era interessato a nulla, se non a se
stesso.
Lui
guardò ancora quelle pagine sporcate
dall’inchiostro.
Avrebbe voluto sparire dentro esse, non riusciva a distogliere lo
sguardo.
Erano quasi ipnotiche, con tutto il loro dolore espresso in sottili
linee di
colore. Impiegò alcuni minuti per individuare
l’unica parola che si discostava
dall’asfissiante litania composta da tutti quei presagi di
morte.
«Casa»
lesse, quasi senza fiato.
«Vuoi tornare al quartiere Uchiha?»
Sasuke non
rispose, ma girò il capo dall’altra parte.
Stupide
emozioni.
~*~
«Te
la ricordavi così?»
Sasuke
fece qualche passo in avanti, tra i mobili
impolverati e i muri fatiscenti.
«Non
esattamente» mormorò. Posò la mano
pallida sul
ritratto appeso alla parete, ormai ingiallito dal tempo. Itachi gli
sorrideva
da un mondo precedente a cui lui non apparteneva più.
Naruto si
grattò la nuca, imbarazzato. Giusto qualche
settimana prima avevano sottoposto all’Hokage il progetto di
demolire il
quartiere ormai disabitato per costruire delle strutture moderne, ma
Tsunade
aveva accettato di rinviare i lavori sotto sua esplicita richiesta. Non
avrebbe
mai potuto permettere che Sasuke fosse privato delle sue radici ancor
prima di
morire.
«Vuoi
che ti lasci da solo?» domandò, preparandosi a
uscire dalla stanza.
Sasuke lo
sorprese.
«Fai
quello che vuoi.»
Di meglio
non sapeva fare, per chiedergli di rimanere con
lui. Andava bene così.
L’Uchiha
si sedette e appoggiò le mani sui braccioli della
poltrona che, se non ricordava male, era stata la preferita di suo
padre.
Carezzò con le dita il legno tarlato, spazzando via la
polvere accumulata negli
anni. Nessuno aveva mai pensato di tenere in ordine una casa abitata
solo dai
fantasmi. Uscì in cortile per non essere costretto a
sopportare un momento di
più le voci dei suoi parenti che lo chiamavano. Non aveva il
permesso di
soffrire, lui era il malato, era il
pazzo, il traditore. Konoha lo aveva condannato come peccatore di un
male
perpetrato alle fondamenta dallo stesso villaggio.
Naruto lo
raggiunse di corsa, afferrandogli un braccio per
spingerlo a rallentare il passo.
«Ehi»
mormorò. «Come ti senti?»
«Come
uno che morirà domani.» replicò.
«Come dovrei
sentirmi, secondo te?»
Non
rispose perché non lo sapeva, lo abbracciò per
dirgli
tutto ciò che si era sempre tenuto dentro. Non si aspettava
di venire
ricambiato e non successe, ma Sasuke non lo scansò e questo
bastò a scaldargli
il cuore.
«Non
vuoi sapere cosa scriverei io, su quel quaderno?»
Il respiro
di Naruto gli portò le sue parole fino
all’orecchio, lentamente e con dolcezza.
«Dovrebbe
interessarmi?»
Lui rise,
amaro.
«Immagino
di no. Però te lo dico lo stesso.»
Il
silenzio li avvolgeva come una bolla di sapone.
L’abbraccio che li univa era sempre più stretto,
più soffocante. Toglieva
ossigeno ed energia, però senza di esso non si sopravviveva.
«Ci
scriverei il tuo nome.»
Cosa vuoi
nel tuo ultimo giorno di
vita, Naruto?
Sasuke
Uchiha.
Non si
trattenne: lo baciò di nuovo. Questa volta fu
veloce e meno intenso, gli sfiorò le labbra con le sue,
carezzandole appena con
la punta della lingua.
«Siamo
circondati da una squadra di ANBU.» mormorò al suo
orecchio.
«Me
ne sono accorto appena siamo usciti di prigione.»
sibilò Sasuke, stizzito e vagamente imbarazzato.
Naruto
appoggiò il viso sulla sua spalla, senza allentare
la stretta con cui gli circondava la schiena. «Se entrassimo
in casa, non ci
seguirebbero. Sono lì solo per controllare che non ci
allontaniamo dal
villaggio, non devono spiarci.»
«Cosa
dovrebbero spiare,
esattamente?»
«Per
favore. Non posso pensare di lasciarti andare via
così, ho bisogno di…»
«Domani
sarò morto.»
«Lo
so, è per questo che io…»
Sasuke
schioccò la lingua, impaziente, e si allontanò
dal
suo abbraccio.
«No,
evidentemente non capisci. Qualsiasi cosa accadrà
oggi, domani non avrà senso.»
Gli occhi
di Naruto si allargarono a dismisura, come se si
stessero sciogliendo sotto il sole.
«Sei
davvero un idiota.» concluse lui.
«Dimmi
che non mi vuoi.»
Quella
frase cadde talmente a bruciapelo da lasciare
entrambi interdetti per qualche istante. Si specchiarono
l’uno nell’anima
dell’altro e capirono tutto ciò che volevano
entrambi ignorare. Le domande non
avevano più bisogno di essere espresse a parole.
«Non
ti voglio.» e Naruto seppe che era totalmente
sincero. Sasuke sarebbe rimasto se stesso fino alla fine, autonomo e
indipendente e testa di cazzo. Non erano riusciti a cambiarlo
né Orochimaru, né
l’Akatsuki, né Naruto stesso. Sarebbe morto senza
piegare la testa di fronte al
biasimo dei suoi concittadini, con quell’aria indisponente e
il sogghigno sulle
labbra. Il rimpianto lo avrebbe nascosto bene, al sicuro in un cuore
che era
così facile scordare di avere.
Non era
rimasto nient’altro da maledire, sotto il sole che
stava per tramontare e per mettere fine a tutto. Nemmeno loro stessi.
Non c’era
tempo per nulla. Nemmeno per finire quello che, tanti anni prima,
avevano
iniziato. La loro era una storia destinata a rimanere sospesa sul filo
più
sottile della ragnatela. Né un lieto fine, né una
coltellata al petto; era
ancora più straziante non sapere cosa sarebbe potuto
succedere se. Lasciava il sapore
amaro della
delusione, che inacidiva una vita troncata di netto e che sembrava
davvero
senza senso, se era destinata a rimanere incompiuta.
Gli ANBU,
invisibili assassini di sogni appostati sui
tetti, si scambiarono un cenno d’intesa e piombarono accanto
a loro come una
nuvola di uccelli rapaci. Due di loro avanzarono in silenzio e si
disposero ai
lati di Sasuke. Non servivano parole: lo sapevano entrambi che era ora.
L’accordo con Tsunade durava fino al tramonto. Tempo di
calare il sipario.
«Non
ce la faccio.» ripeté Naruto, ridendo
perché stava
per piangere. «Perché non ci riesco? Non
posso.» gli occhi andarono a posarsi
sugli shinobi accanto a loro. La testa cominciò a calcolare
il loro numero e i
minuti che poteva guadagnare. La mano andò a tastare la
tasca del pantaloni per
contare i kunai che conteneva. Era così chiaro che
attaccarli sarebbe stato
folle da rendere quell’idea irresistibile, impossibile da
ignorare perché unica
soluzione di tutto. Si chiedeva se era in grado di vincere, non cosa
avrebbe
fatto dopo. Quello non importava: importava solo Sasuke.
«Naruto»
sibilò lui, perché gli occhi non mentono e quelli
di Naruto erano limpidi come l’acqua.
«No.»
Ma lo
sguardo del jinchuuriki vagava ancora da un ANBU
all’altro, disperato, perché non poteva posarsi su
Sasuke. Ignorarlo rendeva
tutto più semplice, lui e quelle sue occhiate di biasimo non
potevano tangerlo
se non lo guardava. Non doveva rinunciare ai suoi sogni se continuava a
fissare
gli shinobi che incombevano su di loro come uno stormo di avvoltoi.
Aspettavano
le loro carogne.
«Ascoltami.»
Lo fece.
«Va
bene così. Sono pronto.»
Sei
abbastanza.
«Non
venire, domani.»
Non mi
guardare mentre ti lascio.
«Vattene
a casa.»
Ti amo.
Addio.
Erano solo
parole, che potevano significare tutto oppure
niente. Naruto scelse tutto
perché
altrimenti sarebbe impazzito. Chiuse gli occhi per smettere di guardare
gli
ANBU, prima di prendere una decisione sbagliata. Alzò il
pugno e sentì quello
di Sasuke cozzare contro il suo, come ultimo gesto di
un’amicizia iniziata e
finita nel peggiore dei modi. Rimasero sollevate per qualche istante,
quelle
mani, poi Naruto aprì le dita e le intrecciò con
quelle del suo migliore amico.
Per la
prima volta, avvertì che Sasuke stava ricambiando
la sua stretta. Durò pochissimo, forse se lo
immaginò e per non rovinarsi quel
momento – che sarebbe stato la sua unica consolazione per il
resto della vita –
non aprì gli occhi. Li tenne chiusi mentre sentiva gli ANBU
bloccare i polsi di
Sasuke e scortarlo via. Li tenne chiusi mentre davanti a lui rimaneva
solo una
promessa infranta.
Spiò
dalle palpebre serrate un’unica volta, nel momento in
cui Sasuke, lo sapeva, si stava girando verso di lui appena prima di
sparire.
Intercettò il suo ultimo sorriso, il primo da tanti anni.
Non
sarebbe mai guarito, Sasuke Uchiha. Era riuscito a
contagiarlo del suo male, che improvvisamente appariva come ultimo
brandello di
sanità in quel villaggio accecato dalla rabbia. Un villaggio
che odiava la malattia
che lo faceva avvizzire dall’interno, che pretendeva di
curare quel morbo affibbiandolo
a un qualsiasi capro espiatorio. Sasuke Uchiha non era il cattivo, non
era il
buono, era solo Sasuke Uchiha. Lui era solo Naruto Uzumaki, che
piangeva sotto
la luna vergine e non riusciva a vergognarsene. Che il mattino dopo
sarebbe
andato al patibolo senza farsi notare e se ne sarebbe pentito,
perché sapere e
vedere sono due cose diverse.
«Andrà
bene», aveva detto, e doveva andare bene sul serio,
perché gliel’aveva promesso. Il dolore uccide, ma
si continua a vivere. Amare
un malato è sempre peggio, non ti compatirà
nessuno. Ma «andrà bene», doveva
crederci almeno lui.
Sei
abbastanza anche tu, Sasuke.
Anche ora, basti così tanto che servi solo tu.
Note
dell’autrice:
Salve :D
eccomi con un’altra shot a deturpare
deliziare questo fandom <3 penso che sia la cosa più
brutta che io abbia mai
scritto in vita mia, ma lasciamo perdere. Odio le cose dolci, e questa
è un po’
troppo zuccherosa per i miei gusti ç___ç
Presto
inonderò questa sezione di angst con una mini-long
in arrivo u_u Temetemi u_u
Quindi,
alla prossima!
shirangel