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Autore: OurNamesRhymeWithForever    12/03/2013    2 recensioni
Ricominciai a correre, pregando che le gambe non mi abbandonassero. Destra e sinistra, una davanti all’altra, sempre più velocemente. Alzai gli occhi al cielo, ma la nebbia m’impediva di vedere le stelle; e ne avevo bisogno. Avevo un disperato bisogno di poter ammirare una singola stella: per essere sicuro che ciò che stavo facendo non fosse un’assoluta pazzia e per ricordarmi di dove fosse, di dove avrei desiderato essere anch’io.
Genere: Drammatico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Chiudere gli occhi e sussurrare al cielo un desiderio è ciò che di più stupido l’uomo possa fare.
Sprecare le proprie parole per qualcosa d’infinito e sconosciuto è stupido in sé.
Quella stessa stella alla quale hai affidato le tue lacrime stanotte starà raccogliendo il desiderio di qualcun altro fra pochi mesi.
Si riempirà di sogni e futili speranze, si gonfierà sempre di più fino a scoppiare, perdendo tutta la sua luce; e con essa anche i sogni.
Oppure diverrà talmente pesante da iniziare a precipitare nello spazio, raccogliendo altri desideri di bambini con gli occhi spalancati durante la sua caduta, e infine si schianterà contro l’universo. E con lei tutti i desideri.
E tutti questi desideri, queste speranze, questi sogni, si aggireranno per il cielo: spezzati, rotti, infranti, ma ancora così caparbi da voler essere realizzati. E nessuna stella li vorrà. Cammineranno insieme nello spazio. A volte correranno. Alcuni cadranno. La grande marcia dei sogni. Infine moriranno tutti, uno dopo l’altro. E con loro si chiuderanno quegli occhi che avevano silenziosamente pregato una stella.
Il campo da calcio di fronte a me era coperto da una leggera foschia. L’aria era immobile e silenziosa, fatta eccezione per il mio respiro. Mi mancava ancora un giro. Un solo giro. Dovevo farcela, per lei.
Ricominciai a correre, pregando che le gambe non mi abbandonassero. Destra e sinistra, una davanti all’altra, sempre più velocemente. Alzai gli occhi al cielo, ma la nebbia m’impediva di vedere le stelle; e ne avevo bisogno. Avevo un disperato bisogno di poter ammirare una singola stella: per essere sicuro che ciò che stavo facendo non fosse un’assoluta pazzia e per ricordarmi di dove fosse, di dove avrei desiderato essere anch’io.
Completai il giro del campo e mi sedetti sull’erba. Presi il quaderno che portavo sempre con me e sbarrai un altro di quei quadratini disegnati a matita. Sfogliai le pagine, una dopo l’altra, e mi venne da piangere. Centinaia di quadratini vuoti che sembravano prendersi gioco della mia stupidità. No li avrei mai riempiti tutti, mai. Erano semplicemente troppi, ed io non abbastanza forte. Persino quelle crocette con l’inchiostro rosso che avevo già disegnato sembravano inutili. Non era troppo tardi per fermarsi, per smettere di illudersi che ci fosse una via d’uscita; ma correre mi aiutava a tenere tutto fuori dalla mia mente. A tenere lei fuori dalla mia mente. Che poi era quasi la stessa cosa.
 
“Ciao”.
Non mi mossi.
“Scusa, sapresti dirmi dove posso trovare l’aula 3?”.
Alzai il colletto della camicia, sperando che capisse che non volevo parlare.
“Mi dispiace disturbarti, ma devo partecipare al convegno sulle droghe e…”.
“In fondo al corridoio gira a sinistra, è la quarta porta sulla destra”.
“Grazie mille”.
Sorrise. Oh cazzo, non so se sorrise, non la stavo guardando. Mi piace pensarlo però, mi piace pensare che il nostro primo incontro si sia concluso con un sorriso, forse perché il nostro ultimo è stato bruscamente interrotto.
“Aspetta”.
Allungai una mano per fermarla e lei si voltò.
Osservai imbarazzato le mie dita che stringevano la stoffa della sua gonna e mollai la presa.
“Ti accompagno, anche io devo partecipare a quel convegno”.
Sorrise. Questa volta la vidi: sorrise.
Mi alzai e m’incamminai al suo fianco.
“Come ti chiami?” chiese.
“Stephen”.
Proseguimmo ancora per pochi istanti in silenzio.
“Non vuoi sapere chi sono io?” domandò mentre voltavamo in un nuovo corridoio.
“Sei Anne, la nuova ragazza della quinta B”.
“Come lo sai?”.
“Me ne ha parlato Kevin… oh, anche Matthew e Christian”.
Rise: forte.
“Sembra che nonostante tu sia qui solo da due settimane abbia già trovato il tempo di portarti a letto tutti i miei amici”.
“Come potrei fare conoscenza altrimenti?”.
“Ci sono mille modi di intrattenere una persona”.
Anne scosse la testa.
“Sei vergine, vero?”.
Mi bloccai, sorpreso.
“Questo non dovrebbe interessarti”.
Lei alzò le spalle e aprì la porta dell’aula.
“Invece m’interessa”.
“Perché?”
“Perché sei dolce”.
“Questo cosa vorrebbe dire?”.
“Niente”.
 
Il nostro primo incontro. Forse avrei dovuto dirglielo subito, metterla in guardia; avrei potuto starle più vicino, farle capire che non tutti i ragazzi che si portava a letto erano in buona fede, che non tutti le avrebbero augurato la buona notte e si sarebbe addormentati al suo fianco. E forse avrei dovuto metterla in guardia da chi l’ha uccisa.
 
“Scommetto che non hai mai baciato una ragazza”.
“E io scommetto che nessun ragazzo ti ha mai invitata ad uscire”.
Sembrò pensierosa per un attimo.
“Vero” si arrese.
Alzai gli occhi al cielo.
“Facciamo un patto” propose “tu m’inviti fuori a cena ed io vengo a letto con te”.
Scoppiai a ridere.
“Non voglio venire a letto con te”.
“Davvero?”.
Spalancò gli occhi, sembrava sorpresa, ingenuamente sorpresa.
“Non… non che tu non sia carina”.
“Non importa, non posso piacere a tutti”.
Rimasi in silenzio. A chi non poteva piacere? Era fatta di quel tipo d’imperfezione che piace più della perfezione stessa.
“Domani sera?” proposi.
“Cosa?”.
“Vuoi uscire con me?”.
“Va bene, devo solo controllare se i miei genitori sono fuori casa per…”.
“No, no” bloccai la sua mano che stava per prendere l’agenda “ti porto fuori a cena”.
“Fuori?” chiese sorpresa “va bene, ma non so quanto il bagno del ristorante sia comodo”.
Le presi una mano e le sorrisi.
“Anne, ti sto chiedendo di uscire a cena; dopo cena possiamo guardare un film; dopo il film ti riaccompagno a casa, e se avrò abbastanza coraggio ti bacerò”.
“Niente sesso?”.
“Niente”.
Annuì, calma.
Fece un passo verso di me e poggiò le sue labbra sulle mie. Durò un secondo, le farfalle nel mio stomaco non fecero in tempo a svegliarsi dal loro torpore. Si staccò e fece per allontanarsi.
“Ehi” protestai riavvicinandola a me “non ho molta esperienza, ma so come si usa la lingua”.
 
Non avrei dovuto lasciare che si avvicinasse a me. Avrei dovuto permettere che vivesse nella sua felicità, nel suo piccolo mondo dove nessuno avrebbe potuto farle del male, se non lei stessa. Non avevo avuto alcun diritto di impossessarmi del suo leggero universo e di scombinarlo, ma l’avevo fatto, e non me lo sarei mai perdonato.
 
“Ti odio: non posso mangiare tutto questo gelato”.
“Non credevo fossi una di quelle ragazze che pensa alla linea… non che tu sia grassa”.
“Ti sei salvato all’ultimo”.
Afferrò la ciotola e si sdraiò sul letto.
“Sei sicuro di voler vedere un film?”.
“Sicuro”.
“Non vuoi davvero fare nient’altro?”.
“Davvero”.
“Ma oggi è il nostro anniversario, sono due mesi che siamo fidanzati: chiedimi qualsiasi cosa e…”.
“Ti chiedo di mangiare quel gelato e guardare il film”.
Alzò le spalle e si appoggiò al mio petto.
“Sei tu che ci perdi, Steph”.
Qualcosa la turbava. Lo vedevo, vedevo il modo in cui i suoi occhi non seguivano lo schermo e le sue mani stringevano con troppa forza la coppa di gelato.
“Tutto bene?” le sussurrai all’orecchio.
Lei annuì. Mi piace pensare che abbia annuito, almeno. Mi piace credere che fosse tutto perfetto, che insieme fossimo ciò che nessun altro sarebbe mai potuto essere.
“Anne…”.
“Non posso dirtelo”.
“Certo che puoi, siamo insieme”.
Insieme… che parola sopravvalutata.
“Fino a due mesi fa il mercoledì mi vedevo con Ian e il giovedì con Kevin…”.
Deglutii e le accarezzai una spalla, le mie dita a malapena la sfioravano.
“Da quando siamo insieme ho smesso, ma…”
“Non devi smettere”.
Si voltò sorpresa.
“Cosa?”.
“Non devi smettere se non vuoi”.
“Vorresti dire che…”.
“Non farmelo ripetere: se vuoi continuare ad andare a letto con loro puoi farlo”.
“Non ti da fastidio?”.
“No”.
Bugia.
“Davvero?”.
“Sì”.
Bugia.
“Perché?”.
“Perché non ti amo”.
Bugia. Ancora e ancora.
 
Mi ero innamorato di lei, terribilmente e irrimediabilmente. Dio, l’avrei seguita in capo al mondo se me lo avesse chiesto, e una volta giunti dove mi aveva pregato di portarla l’avrei ricondotta a casa in braccio, sussurrandole quanto la amassi. Ma non era mia, non lo era mai stata. Era di Matthey, Ian e Kevin, ma non mia. Miei erano i pomeriggi che avevamo passato insieme, mie tutte le risate che le avevo procurato, miei tutti i baci che mi aveva dato, non lei. Mi bastava? No. La volevo? Sì. Avevo paura? Sì. Perché? Non lo so.
 
“Perché non sei mai andato a letto con nessuno?”.
Alzai le spalle.
“Non ho ancora trovato la ragazza giusta per me”.
“E come deve essere?”.
“Deve fare sesso con quattro ragazzi diversi a settimana, avere una risata troppo forte per non essere amata e essere più bassa della media…”.
Si poggiò un dito sotto il mento e assunse una finta aria pensierosa.
“No, mi dispiace, non conosco nessuno così”.
“Peccato, se una ragazza simile se fosse qui con me ora …”.
Si avvicinò a me e gemetti piano quando appoggiò la sua mano in mezzo alle mie cosce.
“Se fosse qui con te ora cosa faresti?”.
“Le direi che la amo”.
La fissai, la guardai negli occhi e pregai di potervi scorgere qualcosa, di riuscire a capirla.
“Direi che è un peccato che io non piaccia al ragazzo di fronte a me… perché in caso contrario gli direi anch’io che lo amo”.
Strinsi forte le braccia attorno alla sua vita e poggiai le labbra sul suo collo.
“Per te andrei ovunque Anne”.
“Fino alle stelle?”.
“Fino alle stelle”.
 
Ripresi a correre. Avevo voglia di urlare, di sbattere i pugni a terra, di strapparmi le membra una ad una e di odiarmi. Non avrebbe dovuto così, non avrebbe dovuto finire e basta. Perché i “per sempre” esistono solo nelle favole? Perché per fare una fiaba serve il per sempre, per fare la vita occorre una fine. Senza la fine, senza la morte, la vita non è possibile.
 
“Cos’è questo?”.
Alzai lo sguardo.
Anne era di fronte a me, un pacchetto in mano.
“Ferma, dove l’hai trovato?”.
Mi alzai e glielo strappai di mano.
“Nel tuo comodino; complimenti, non fai sesso con me però a quanto pare ti diverti con qualche altra ragazza…”.
“Non è come pensi”.
“Allora come stanno le cose? Se non ti piaccio abbastanza…”.
“Non è quello il problema”.
“Stephen, non mentirmi”.

“Sono per te, va bene?”.
“Per me?” chiese alzando un sopracciglio “forse non lo sai, ma io non uso preservativi…”.
“Non per te… per te” sbuffai “per te… per noi”.
Mi osservò, attendendo spiegazioni.
“Ho pensato, insomma… visto che sono sei mesi che siamo fidanzati… credevo che se… solo se vuoi…”.
“Sai, è terribilmente divertente stare qua e guardarti balbettare perché non hai la minima idea di come chiedermi di fare sesso”.
“Potresti darmi una mano” proposi sorridendo.
Incrociò le braccia al petto.
“Direi che questo conferma i miei sospetti: sei vergine”.
“La prima volta che me l’hai detto suonava meglio”.
“Forse perché avevo aggiunto che sei dolce”.
“Sono ancora dolce?”.
“Sei in assoluto ciò che preferisco al mondo”.
 
“Ragazzo, scusami, la palestra sta per chiudere: devi andartene”.
Lo ignorai e continuai a correre. Non potevo permettergli di cancellare quel flusso di ricordi che mi stava invadendo.
 
Entrare in lei era stato bellissimo. Ero agitato, forse troppo: stava per diventare anche mia.
“Ehi, Steph, calmati: sono solo io, sono solo Anne”.
Concentrai i baci sul suo collo mentre iniziavo a entrare e uscire lentamente da lei.
Gettò la testa indietro e gemette, le sue mani sulla mia schiena.
Non sapevo quasi cosa fare, ero inesperto e lei lo sapeva, ma le sue mani sulla mia pelle mi davano sicurezza.
“Sei agitato?”.
“No” sussurrai.
“Allora perché le tue mani sono sudate?”.
“Ti amo Anne”.
Venni poco dopo, da solo.
“Posso migliorare” le assicurai mentre mi toglievo il preservativo.
“E io posso far finta che non mi sia piaciuto”.
“Ti è piaciuto?” chiesi, orgoglioso di me stesso.
“Sì, grazie”.
Quella notte dormii con lei al mio fianco, e quando giunse l’alba era ancora troppo felice per accorgermi del fatto che stessimo per cadere. Avevamo camminato sul bordo del burrone fino a quel momento, e le rocce sotto di noi ci attendevano, fredde e appuntite.
 
Mi bloccai e mi sdraiai in mezzo al prato. Era stata la prima ragazza con la quale avevo fatto l’amore.
 
“Non puoi essere così stupido!”.
“Credevo avessi smesso!”.
“Mi avevi detto che per te non era un problema se continuavo a vedermi con altri ragazzi”.
“Te l’ho detto dieci mesi fa, Anne. Cazzo, pensavo avessi smesso: manca solo una settimana al nostro primo anniversario”.
“Li vedo ancora se capita, è davvero un problema?”.
“Sì, sì che lo è”.
“Perché?”.
“Perché mi ami, non dovresti volere nessuno tranne me”.
“Infatti sei l’unico che voglio”.
“Allora non dovresti andare a letto con altri!”.
Si portò le mani fra i capelli e scosse la testa, frustrata.
“Perché non me l’hai detto subito?”.
“Perché voglio che tu sia felice, ma ora non ce la faccio più”.
“Non sei l’unico per me, Stephen, fattene una ragione. Ce ne sono stati cento prima di te e ce ne saranno altri cento quando uscirai dalla mia vita”.
“Io credevo…”.
“Non sei diverso, non sei speciale, mi tratti come se fossi una principessa, ma non lo sono”.
“Lo sei invece” protestai.
“Non conta più”.
“Basta, ti prego, smettila. Sei perfetta”.
“Sono solo una…”.
La strinsi a me prima che potesse parlare e lasciai che piangesse.
“Ti amo Anne”.
Le passai una mano sulla schiena mentre le baciavo i capelli.
“Ti amo davvero tanto”.
“Mi prometti che raggiungerai le stelle per me?”.
“Promesso”.
 
Non è incredibile? Come la vita metta sulla tua strada creature che non vorresti mai aver incontrato e tolga quelle che vorresti poter tenere per sempre accanto a te.
 
“Mi dispiace, è morta. L’hanno trovata stamattina nella sua vasca da bagno, è deceduta per overdose: era la prima volta che assumeva droghe, il suo corpo non ha retto”.
 
Perché? Non me l’ero ancora saputo spiegare. Erano passati tre anni e non l’avevo ancora capito. L’amavo, l’amavo da morire, avevo accettato i fantasmi del suo passato ed ero stato pronto ad accogliere le difficoltà del nostro futuro. Se me l’avesse chiesto sarei morto con lei.
Presi il quadernetto e lo chiusi. Le avevo promesso che avrei raggiunto le stelle, e l’avrei fatto. La stella più vicina al nostro pianeta è Proxima Centauri, a 4,22 anni luce dalla terra. E io correvo, correvo ogni giorno in quel campo da calcio per coprire quella distanza.
 
“Sai cosa credo? Credo che tu sia un bugiardo”.
“Perché?”.
“Mi hai promesso che raggiungerai le stelle per me, ma non lo farai mai: soffri di vertigini, non potrai mai andare nello spazio”.
“Troverò un altro modo”.
“Bugiardo”.
“Te lo prometto”.
“Bugiardo”.
“Ti amo”.
“Davvero?”.
“Sì”.
“Ti amo anch’io”.
  
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