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Autore: cranberry sauce    13/03/2013    5 recensioni
altrimenti conosciuta come "tentativo fallito di scrivere angst".
“Cosa ci fai qua?”
John non aveva nemmeno avuto bisogno di voltarsi per capire a chi appartenessero quei passi affrettati e quel respiro affannato, perché nessun passo e nessun respiro aveva il suono di quello di Paul.
Genere: Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Lennon , Paul McCartney
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Ma l'inverno era crudele

Pairing: John/Paul
Nota: l'ho scritta tantissimo fa, non mi piaceva e l'ho abbandonata nel dimenticatoio. Rilleggendola, un po' mi è piaciuta, quindi per celebrare la fine della mia stasi creativa (spero), ho deciso che pubblicare qualcosa fosse più che giusto. E se piace... piaciue, tesoooro *sguardo ammiccante*
Disclaimer: blablabla nessuno mi appartiene eccetera eccetera



Cosa ci fai qua?”
John non aveva nemmeno avuto bisogno di voltarsi per capire a chi appartenessero quei passi affrettati e quel respiro affannato, perché nessun passo e nessun respiro aveva il suono di quello di Paul. “Anche tu sei venuto per dirmi quanto faccia schifo come padre? Prego, prendi il biglietto, accomodati, fai come se fossi nella tua fottutissima casa… tè?”
Paul rimase sulla soglia della cucina; si era tolto la sciarpa e le sue scarpe erano sporche di neve. “No, grazie”, mormorò. Osservò John armeggiare intorno ai fornelli, posarvi il bollitore e imprecare ad alta voce senza riuscire ad accendere il fuoco. Si avvicinò e, strappando i fiammiferi dalle mani tremanti dell’altro, ne fece scorrere uno sulla superficie ruvida della scatola; una piccola fiammella scaldò per pochi attimi lo spazio che li divideva. Poi John, senza alzare lo sguardo, andò a sedersi vicino alla finestra. Dopo diversi minuti di silenzio, chiese: “Ti ha chiamato Cyn?”. Aveva appoggiato la fronte al vetro e chiuso gli occhi. “Mmmh… sì, deve essere stata lei”
“Cos’è successo?”
“Non te l’ha detto?”
“Sì. Ma voglio sentirlo da te”
John rise. “Dio, mi sembra di sentire Mimi! Mi chiedo come mai non ti sopportasse, in fondo siete-” Il bollitore fischiò, interrompendolo prepotentemente, e questi si alzò per toglierlo dal fuoco. “Siete uguali, dicevo. Latte o limone?”
“No, non voglio tè, grazie”, rispose Paul, spostandosi verso il tavolo nel tentativo di riequilibrare gli spazi. Si era fiondato in strada e aveva guidato come un pazzo fino a Kenwood nel pieno della notte, con la neve che sferzava inclemente i finestrini dell’auto, ed era stato talmente concentrato su come arrivare lì sano e salvo da essersi scordato di pensare a cosa dire una volta arrivato, a cosa fare. Maledisse il suo spirito da crocerossina.
"Va bene, ci metto del latte. Quanto zucchero? Ah no, aspetta, lo so: due cucchiaini. Tieni. E siediti, che mi sembri in prestito", continuò John come se niente fosse. Paul si abbandonò immediatamente sulla sedia più vicina, accettando la tazza fumante che gli era stata allungata senza tanti complimenti. E mentre sorseggiava piano la bevanda, con le labbra che sfioravano appena il bordo per paura di scottarsi, si ritrovò a condividere il tavolo con John, il quale, dal canto suo, si limitava a rigirare il cucchiaino in un crescendo di tintinnii cristallini, scrutando il tè con un cipiglio contrariato, come se in quel maelström in miniatura fosse scritto un destino che non gli piaceva affatto. Aveva, nel complesso, un aspetto pessimo. Era pallido, pallido come Paul non l'aveva mai visto, ed era scosso da brividi quasi impercettibili; sembrava un naufrago, un condannato al patibolo, un cane randagio annaffiato dalla pioggia. Sembrava terribilmente spaventato.
"Dimmi cos'è successo" Quello di Paul era stato poco più di un sussurro, una richiesta quasi implorante sfuggita dalla traslucida prigione della sua mente e rimasta per metà impigliata in una ragnatela di pensieri cupi e preoccupazioni. Ma John aveva sentito, doveva aver sentito per forza e non poteva assolutamente far finta che non fosse così. Sospirando, aprì e richiuse la bocca più volte senza spiccicare parola, fino a che non riuscì a dire, la voce meno salda che mai: "L'ho picchiata. Mi ha tirato una sberla e allora l'ho spinta contro il muro e credo di averla stretta troppo forte. Le ho fatto male." Deglutì, ma il nodo che aveva alla gola appariva indistricabile. Ebbe il coraggio di alzare lo sguardo per incrociare quello di Paul, in un gesto tanto immediato, tanto naturale che rimase spiazzato nel non trovare quel paio di occhi fissi nei suoi, bensì intenti ad esaminare prima un bottone della sua camicia, poi il vaso vicino alla credenza, qualsiasi cosa che non fosse nei pressi del viso di John.
Questo sussultò. "Ti faccio così schifo che non hai nemmeno la forza di guardarmi in faccia?"
Paul non rispose, continuando a nascondersi tra i mille dettagli della stanza. 
"Sei qua per farmi sentire ancora più una merda di come mi senta adesso? O sei qua per salvare Cyn dal suo violento consorte?"
John sputava una parola dietro l'altra con una foga tale da tradire il suo desiderio di far prevalere la sua verità, anche se era ovvio, lo sapeva che Paul non era venuto lì per quello, lo sapeva che Paul non era così stupido, così ipocrita. Paul era venuto lì per lui, e John lo odiava per questo. Odiava il fatto di avere bisogno di lui in quel momento, ma soprattutto odiava il fatto che Paul lo sapesse benissimo.
"Ero preoccupato per te"
"Sì, certo"
"Dico sul serio. Ho avuto paura"
John emise uno sbuffo divertito, ma non ci trovava niente di ridicolo. Non stava mentendo, e questa sua sincerità lo metteva a disagio. Se solo avesse avuto una scusa per alzarsi e prenderlo a pugni, e sentire le costole incrinarsi e le ossa scricchiolare e l'odore del sangue, se solo Paul avesse compiuto un passo falso, John sarebbe stato libero di dare pieno sfogo all'odio che provava verso se stesso. Ma Paul, come al solito, non commetteva un solo errore, e sembrava che la sua dote innata di trovare sempre le parole giuste fosse effettivamente infallibile.
Paul mormorò il suo nome e allungò il braccio sopra il tavolo per stringergli la mano. Quel minimo contatto, dita fredde che con delicatezza stringevano le sue, bastò a far precipitare John in uno stato di estrema tristezza. La rabbia che fino ad un momento prima era servita a coprire il suo dolore venne lavata via nel giro di pochi istanti; non era che una maschera, in fondo, una delle tante che aveva imparato ad indossare, ad amare e disprezzare allo stesso tempo. 
Si sentì improvvisamente solo, e violato in quella sua solitudine dalla stretta dolce, ma decisa, che la mano di Paul continuava ad esercitare sulla sua. Avrebbe voluto ritrarla, ma sentiva che non era la cosa giusta da fare.
Questa volta, quando alzò gli occhi, incontrò davvero quelli di Paul. Sentì il suo stomaco formicolare dolorosamente, e gli scappò un sospiro. 
"Avevi detto che le cose si sarebbero sistemate. Che dovevo solo imparare a fare il padre, che dovevo abituarmici. Avevi detto che mi sarebbe passata. Che era meglio così. Che non dovevamo pensarci"
Paul annuì appena.
"Beh, non è così. Non è passata. E non ce la faccio più a far finta che non sia così. Se solo tu capissi che...", ma John non sapeva cosa voleva che Paul capisse. "Se solo potessimo... andarcene, ecco, per un po' di tempo e pensarci su e-"
"No. No, John. Non va bene"
"Lo so, ma..."
"Ne abbiamo già parlato"
John si alzò e si diresse verso il lavandino. Mentre lavava la tazza, sperò di riuscire a trattenersi; ma una lacrima ribelle gli scappò dagli occhi, e la sentì bruciare e urlare il suo disappunto sulla sua guancia. E quando fece per poggiare la tazza, questa gli scivolò dalle mani e cadde a terra rompendosi in mille pezzi, e gli sembrò di trovarsi davanti alla sua vita, lì, sparpagliata sul pavimento della cucina, di una bellezza disadorna e malinconica. 
E poi ancora, le mani di Paul, che lo obbligavano a voltarsi, che gli asciugavano le lacrime e gli scostavano i capelli dalla fronte. Era questo che Paul faceva; raccoglieva i pezzi, li rimetteva insieme, facendo combaciare 
tutto. 
E poi ancora, le mani di Paul, che correvano sulla sua schiena e dolcemente lo consolavano, stringendolo in un abbraccio che aveva il sapore di un addio. Perchè era questo che Paul faceva; faceva la cosa giusta. 
Ma proprio Paul, quello che mai aveva avuto dubbi, che mai aveva osato cedere, in quella sera, in quella stanza, in quella vita, non era più sicuro di niente.
Continuando a tenere John, per impedirgli di cadere, per impedirgli di andare in frantumi, si chiese se forse, con lui, non avesse davvero sbagliato tutto.

   
 
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