Storie originali > Fantasy
Ricorda la storia  |       
Autore: Willow Gawain    30/09/2007    2 recensioni
Una Dea della Morte dal passato oscuro e misterioso, un ragazzo col cuore spezzato che sembra avviarsi verso la cattiva strada. Un mondo in pericolo, in cui i conflitti hanno costretto le due grandi stirpi, la stirpe bianca degli Angeli e la stirpe oscura dei Demoni, a convivere. Un antico potere che sembra risvegliarsi dopo millenni di attesa. Un mistero a cui nessuno ha mai trovato risposta. Tra la Luce e il Buio può veramente esserci un altro potere? Un potere mille volte più forte dei primi due messi assieme? Un potere incredibile e misterioso, da tutti dimenticato? Un potere da cui la Luce e il Buio sono nati? Qualcuno non ha dubbi sulla sua reale esistenza, e farà di tutto per ottenerlo. In mezzo a questa avventura, Selyn Van de Moon, una giovane shinigami che odia le avventure e i guai, si troverà ad essere l'ago della bilancia, colei da cui dipende il destino del mondo. In una parola: Nihil.
Genere: Romantico, Dark, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: What if? (E se ...) | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
   >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
The Nothing Power

The Nothing Power

 

Tutto ebbe inizio durante quella fredda notte di pioggia. Allora ero una ragazzina qualunque, allora ero solo me stessa. Nessun altro. Nient’altro. Solo io: Selyn Van de Moon. Ma ora… cosa sono, io?

 

Selyn

Capitolo 01: Il principio

 

Ormai in tutto il paese l’oscurità era scesa. Le campagne erano completamente spopolate, e nell’aria non si udiva suono alcuno. Da qualche parte, sotto questo infinito campo di solitudine e pace dei sensi, una vita artificiale stava per venire finalmente alla luce.

Ben rinchiuso in una sfera di vetro contenete liquido amniotico misto a sostanze nutritive specifiche, uno strano essere si stava velocemente formando, passando, in pochi minuti, ogni fase di crescita, trovandosi completamente sviluppato in un’ora circa. La creatura in questione non era molto diversa da una qualsiasi essere umano, tuttavia era spaventosamente candida in ogni parte del suo corpo, quasi anemica oserei raccontare. Capelli argentei molto tendenti al bianco e un paio di rossi occhi nei quali era possibile scorgere l’ardente fuoco delle vampe infernali…

Da dietro uno dei tanti computer una figura stranamente assomigliante alla creatura uscì allo scoperto, tuttavia a differenza di quell’essere umano artificiale, il giovane uomo possedeva un paio di occhi azzurri stranamente dolci, troppo dolci per essere quelli di uno scienziato che gioca a fare Dio.

-Finalmente ci siamo. Presto la nostra più grande opera sarà completa. La vita ora è creabile- la sua voce era eccitata e spazientita, bramosa di successo. Negli occhi color mare del giovane uomo ardeva il desiderio di nuove scoperte, di vittorie, di scoprire tutto della vita in ogni sua forma. E quella che ora Viveva davanti a lui… quella era il prodotto finale della Vita.

Poco dopo, accompagnata da un suono di passi leggeri, fece la sua comparsa, con in mano due tazze di caffè, una seconda scienziata, donna, di statura media, occhi azzurri, e con maestosi capelli color oro lunghi fino alle ginocchia. Ella era entrata nel laboratorio attraverso una piccola porta da dietro la quale un altro uomo osservava in silenzio la scena.

-Avete già deciso che cosa ne sarà di Numero Tre?-

L’uomo accolse con un sorriso la tazza di caffè portata dalla donna, quindi la sua espressione tornò seria, mentre gli occhi correvano ancora una volta all’esperimento. Era perfetto… fu quasi deliziato dalla creatura. Era stupenda… assoluta nei minimi particolari. La scienza non era mai arrivata a tanto, nemmeno nel loro avanzatissimo mondo tra i cieli e l’inferno. Sorseggiò lentamente il suo caffè, assaporando il sapore amaro e risvegliante della bevanda, anche se in effetti era così eccitato da non averne bisogno (nonostante fossero le tre di notte).

-Prima di tutto bisogna vedere se e quanto sopravvivrà. Controlla i dati immessi nelle ultime tredici ore per favore, nessuna pecca deve intasare il suo cervello-

La donna annuì, quindi si diresse al grande computer centrale nel quale erano stati inseriti tutti i dati. Premette diversi tasti a velocità sovraumana, quindi esclamò con voce gentile ed elettrizzata –Tutto perfetto-

Lui annuì, quindi prese il posto della donna al computer per dare un’ultima controllata.

-Carica i condensatori e allinea le bobine di trasmissione con la capsula, è giunto il momento di dare la svolta decisiva a questa ricerca-

Quando tutto si sistemò, un grande fascio di luci venne irradiato dall’interno della creatura, illuminando a giorno il grande laboratorio, in un’esplosione di luce che costrinse gli scienziati a coprire i propri occhi per paura di rimanere accecati. Sui volti dei due apparve la pura gioia. Ma in quel momento qualcosa andò storto e un sovraccarico del generatore portò a una serie di detonazioni a catena che coinvolsero l’intero stabile. Un incendio terribile ne seguì, portando morte e paura.

Tutto era finito lì senza nemmeno essere cominciato. O forse no…

Un’ombra uscì dalle macerie, portando con sé sottobraccio due esserini, mentre sulla sua schiena ne faceva capolino un terzo. Forse c’era ancora una speranza…

Ma nessuno in superficie si accorse mai di quello che li sotto era accaduto, e questa storia rimase immortalata nell’istante in cui la Luna calava.

 

 

L’ultimo cadde. Dei quindici bambini che quella mattina si erano addentrati nella foresta per una prova di coraggio, non ne era rimasto neppure uno. Uccisi da un gruppo di licantropi affamati…

Dall’alto di un albero due grandi occhi rossi osservavano la scena, immobili, freddi, distanti e incuranti –E’ finita-

Disse quasi in un sussurro una voce altrettanto fredda, una voce giovanile. Dall’ombra uscì una figura esile, all’apparenza molto fragile. Era ammantata di bianco, un bianco candido quanto i suoi lunghi capelli che le accarezzavano le spalle per poi scendere sui fianchi. Vestiva una sorta di divisa composta da una lunga gonna con un ampio spacco di lato per agevolare i movimenti e una maglia di cotone con lunghe maniche le lasciava scoperte solo le mani. Tra i capelli portava una rosa bianca, simbolo della purezza e della morte. Nella mano chiarissima teneva una falce, alta e piccola, bianca anch’essa, con una lama talmente nera da non distinguersi dall’ombra circostante -Ora verrete con me…-

Sibilò con una voce ora stranamente più lieve e dolce, ma allo stesso tempo ferma, che non lasciava a intendere un possibile rifiuto. Ma dopotutto, come può un’anima rifiutarsi di seguire la morte e giungere nel luogo in cui tutte le anime devono andare? La ragazza alzò la mano libera e allora, improvvisamente, dai corpi immobili dei bambini uscirono dei piccoli veli, i quali andarono a confluire nella piccola mano, diventando così una sfera risplendente di energia nera. La giovane in bianco chiuse il proprio palmo e l’oggetto scomparve, come risucchiato. Dunque scese dall’albero con un grande balzo, atterrando silenziosa dietro i mannari.

Questi appena la videro l’attaccarono, ma a pochi metri da lei si fermarono, immobili, attoniti, la fissavano spaventati. Poiché lei era una shinigami. Una dea della morte.

I mostri indietreggiarono, e quando lei mosse un passo in avanti, le liberarono la via. Pochi shinigami esistevano ancora in quel tempo, ma era meglio non suscitarne le ire se non si era in cerca di morte…

La ragazza diede un’ultima occhiata alla scena, che le si sarebbe impressa a fuoco nella memoria,  in modo che anni dopo l’avesse raccontata ad altri.

Subito dopo due piccole e bianche ali fecero la loro comparsa sulla schiena della giovane, ed ella si alzò in volo, lieve e placida come il vento estivo. La lunga falce scomparve dalle sue mani. Chiuse gli occhi e si lasciò trasportare dalla brezza, direttamente verso la sua città, la magnifica Londra…

 

 

Un fulmine cadde non troppo lontano, illuminando a giorno l’intera zona, in modo che, finalmente, ella potesse squadrare da capo a piedi il grande edificio che le si ergeva innanzi. Un grandissimo castello in stile gotico. Dal cancello di entrata fino al grande portone nero d’ingresso si estendevano colorati e ricchi giardini ricolmi di ogni varietà di fiore, ma lei era troppo lontana per poterne sentire l’odore… grandi archi e volte decoravano la facciata della scuola, la grande Angel Devil Academy, la più grande e prestigiosa accademia per Angeli e Demoni del mondo. Quella sarebbe stata la sua nuova casa?

 

 

Fuori pioveva a dirotto, e il vento ululante, nonostante le finestre fossero ben chiuse, faceva da sottofondo inquietante al dormitorio demoniaco. Era finita in mezzo ai Demoni, come aveva previsto. “Non capisco perché proprio «Demone della Morte», potrei benissimo essere anche l’Angelo della Morte!” La stanza era la 120. La trovò facilmente, dando uno sguardo intimorito all’ennesima torcia appesa al soffitto. L’unica illuminazione proveniva dal fuoco delle pile, ma man mano che si scendeva nelle profondità del dormitorio queste diventavano sempre di meno, finché la ragazzina non si trovò innanzi ad una porta completamente buia ed inquietantemente nera. Guardò l’insegna su infissa. Camera 120. “Ovviamente…”

Infilò la chiave nella toppa, per poi spingerla piano, con l’intenzione di non fare troppo rumore. Funzionò, e la ragazza poté finalmente ammirare la grande stanza che per un bel po’ di tempo sarebbe stata la sua. Era molto grande, con due enormi porte-finestre che davano su un balcone. Un armadio accanto alla porta, tre letti messi in fila, due comodini in mezzo a questi e infine un mobile sopra su cui vi era una lampada accesa, che mostrava l’unico segno di vita della camera. I colori predominanti erano il nero e il rosso sangue. C’erano tre valigie poco distanti dall’armadio, e due dei tre letti presentavano segni d’uso. Beh, doveva aspettarselo essendo arrivata dopo l’inizio dell’anno scolastico. Era già stato incredibile che la preside, una ragazza molto bella e gentile, avesse accolto una sconosciuta bagnata fradicia, senza nemmeno un avere, con una pettinatura che la faceva sembrare un’assatanata e la pelle più bianca di quella di un vampiro, senza fare domande.

-E’ permesso?- la voce del Demone risuonò piccola, quasi impercettibile. Nessuno rispose alla chiamata. Ella si fece avanti, tremando un po’. Si guardò intorno con fare timido, arrossendo visibilmente mentre allungava il viso verso una porta che probabilmente conduceva al bagno –C’è… c’è n-nessuno?- ma nemmeno lì vi era alcun anima viva. D’un tratto la ragazzina si fermò in mezzo alla stanza. “La porta era chiusa… quindi non c’è nessuno… almeno credo  

-Chi diavolo sei tu?- una voce maschile la fece sobbalzare, e la ragazza trattenne a malapena un urlo. Si voltò verso la direzione da cui proveniva la voce, incontrando gli occhi glaciali di un uomo più grande di lei, ma non troppo. Più o meno sui vent’anni…

-Ah… ah! M-mi scusi! I-io sono nuova… e la preside mi ha detto d-di venire qui!- balbettò scuotendo la testa mentre cercava di calmarsi.

-…- Il ragazzo davanti a lei rimase a fissarla in silenzio, poi d’un tratto la sua espressione si colmò d’ira mentre urlava –TU!-

 

 

La luce di un nuovo giorno illuminava la scuola, ma non riusciva a penetrare attraverso le tende della stanza. La ragazzina dai capelli bianchi si era alzata sbuffando. Aveva sempre detestato la scuola per un solo motivo: devi alzarti presto se vuoi essere puntuale. E, ormai i suoi compagni di stanza lo sapevano, il peccato di Selenity Van de Moon era proprio l’accidia. Selenity, o Selyn come si faceva chiamare, si alzò dal letto sbadigliando, dando un rapido sguardo ai letti accanto al suo. Come sempre Zato era uscito presto, e il suo letto era perfettamente in ordine. Zato era il professore di magia nera, aveva vent’anni e stava in camera con lei per costrizione. Il dormitorio degli insegnanti era andato a fuoco, e la parte di scuola in cui si trovava era inagibile, dunque per un po’ di tempo sarebbe dovuto stare nel dormitorio degli studenti. Si trovava lì da un mese, eppure non era ancora riuscita a trovare la stabilità con lui. Si era sempre mostrato sospettoso, iracondo e soprattutto molto cattivo con lei. La attaccava senza motivo, durante le lezioni non mancava di farle fare brutta figura. Selyn non ne capiva il motivo, ma notava che pian piano anche lui si stava acquietando. Forse finalmente aveva capito quanto lei fosse debole e quindi non le interessava più di tanto ingaggiare liti con lei. Ma ella poteva immaginare per quali motivi lui la attaccasse così: o gli faceva irritazione vedere una ragazza così debole e “voleva spronarla” (solita scusa dei professori), oppure semplicemente cel’aveva a morte con lei. Ma oltre questo, Selyn non sapeva assolutamente niente di Zato.

Da sotto il letto accanto al suo faceva capolino una chioma nera –Larisse, forza. E’ tardi e Zato ci aspetta…- mormorò piano la ragazzina per paura di dare fastidio all’altra.

-Che ora è?- da sotto il lenzuolo un lamento si espanse con fare annoiato.

Selyn diede un rapido sguardo alla sveglia sul comodino –Le otto…- non ebbe il tempo di dire altro che una folata di vento si alzò, investendola, mentre la porta del bagno si chiudeva di scatto. Sorridendo nervosamente, la ragazza si diede uno schiaffetto leggero sul capo, doveva andare prima lei in bagno, Larisse aveva la capacità di perdere ore intere davanti allo specchio. Larisse LaCroix era la sua compagna di stanza assieme a Zato. Vampira, diciassette anni apparenti, discendente della famosa famiglia LaCroix, grandissimi alchimisti sin dai tempi di Dracula. Grazie alla bizzarra ed esuberante vampira, Selyn aveva scoperto molte cose sulla “razza dei non-morti”. Innanzitutto alcuni, come Larisse, avevano sviluppato la capacità di assumere sembianze diverse a seconda del tempo. Di notte vampira dalla pelle bianchissima, i capelli rosso fuoco e gli occhi provocanti, di giorno fredda ragazza della Romania dai lunghi capelli neri e gli occhi azzurri. Nella scuola molti le andavano dietro, ma lei, spirito libero per eccellenza,  rifiutava ogni rapporto. Era troppo impegnata a divertirsi. Larisse LaCroix era una di quei pochissimi vampiri che riescono davvero a godersi la vita, e Selyn la invidiava per la sua infinita allegria e l’ottimismo, la invidiava un po’ meno quanto a gusti in fatto di cibo. Quanto a sangue, Larisse preferiva berlo invece che farlo spargere all’avversario.

“Che strano trio…” sorrise la ragazzina apprestandosi a rifare il proprio letto e poi quello della compagna. La vampira era anche molto disordinata, e da quanto Selyn era giunta in quella scuola, era toccato a lei occuparsi delle faccende domestiche. Ma non le dispiaceva, ci era abituata…

Aveva vissuto da sola per un po’, e aveva già conosciuto le crudeltà della vita. Lei, la più piccola ed imbranata della stanza, la gracile demonietta dai lunghi capelli bianchi e i dolci occhi rossi, si sentiva un po’ fuori luogo. Probabilmente era solo il bisogno di ambientarsi. Si trovava molto bene con Larisse, molto meno con Zato, aveva solo bisogno di tempo… “Sì… bisogno di tempo”, si ripeté per la nona volta mentre tornava a sorridere, stavolta più tranquilla, verso lo specchio. Aveva un sorriso strano, brutto. Sembrava più una smorfia che un sorriso, ma non riusciva a permettersi nulla di meglio. Non dopo tutto quello che aveva visto…

-Sely! Sei ancora in pigiama!- Larisse spalancò la porta del bagno con uno spazzolino sporco di dentifricio in bocca, i capelli scompigliati e la divisa scolastica tutta stropicciata.

Selyn annuì, sentendo il cuore farsi più leggerlo al quel dolce “Sely”. Da quanto tempo non la chiamavano con un abbreviativo? Passò accanto all’amica –Faccio subito-

 

 

La sala era piccola, molto più simile ad uno stanzino. Molti scatoloni vi erano dentro, ammassati l’uno sopra l’altro, intrisi di polvere vecchia secoli. Nessuno entrava in quella stanza senza un motivo preciso, dunque non vi erano stati dubbi quando l’uomo ammantato di nero si era addentrato lì dentro: novità in arrivo. Come tutti sapevano, in quella sorta di stanzino era contenuta una reliquia degna dei più prestigiosi musei. Ovviamente però, un normale ed inetto essere umano si sarebbe rifiutato di esporre una cosa simile in un museo. Gli umani non conoscono gli Specchi Mystici, per fortuna. Antiche lavorazioni risalenti ai tempi della civiltà greca antica, questi veri e propri specchi hanno la capacità di rivelare qualcosa sul presente di cui non si è ancora a conoscenza. Ovviamente pagando un prezzo… adeguato. Ma la cosa che l’uomo cercava era talmente tanto importante e preziosa, che dare in cambio due o tre schiavetti era un affare più che conveniente.

-Venite dentro, forza!- ordinò con voce evidentemente anziana, ma ferma e piena di tono. Dietro di lui fecero ingresso tre ragazzini. Nessuno dei tre poteva avere più di tredici anni. Erano spaventosamente magri, con una folta chioma incolta e occhi vuoti. Più che ragazzini apparivano come zombie. Ma la cosa più spaventosa in loro era l’enorme sorriso che adornava il volto di ognuno, come se stessero andando a fare un’allegra gita piuttosto che a morire –La procedura è semplice, fate tutto velocemente-

I tre fanatici annuirono –Signore- si azzardò con voce piccola ma eccitatissima uno dei tre –davvero il nostro sacrificio contribuirà alla salvezza del mondo?- chiuse le mani a pugno, con occhi ora stranamente impazienti.

Il vecchio annuì con aria solenne –Le vostre vite ne salveranno migliaia. Siate fieri di voi- Quanto erano stupidi i bambini. Bastava così poco a convincerli…

I tre si voltarono, correndo in direzione del grande Specchio Mystico che si ergeva in mezzo alla stanza. Era interamente fatto d’oro, ornato con raffinate decorazioni raffiguranti scene di epiche battaglie. Sulla sua superficie scivolosa si rifletteva solamente un abisso nero. Bastò il tocco di uno per trascinarli dentro tutti e tre, mentre un fortissimo vento si alzava e lo specchio si apriva, rivelando il mondo che viveva al suo interno. I bambini, capendo di essere stati ingannati, si dimenarono nell’intento di fuggire. Ma ormai era troppo tardi. E così, tra le urla isteriche e disperate dei piccoli e il sorriso sadico dell’uomo, lo specchio ebbe i suoi sacrifici, illuminandosi poi, per rivelare i segreti che solo lui conosceva.

Il vecchio si avvicinò, gli si leggeva l’emozione in volto. Quel che intravide nell’accecante luce dell’oggetto fu un castello. Il sopracciglio destro dell’uomo si piegò, mentre egli cercava di trovare una logica a quell’apparizione. La visuale cominciò a girare attorno all’edificio, rivelandone i vasti giardini e la serra. Ma quello che più colpì l’uomo fu la gente. Tantissima gente girovagava per il cortile o per i corridoi all’aperto. Erano tutti ragazzini… che fosse una scuola?

Improvvisamente, con uno scatto in avanti, apparve il portone dell’edificio. Su vi era inciso “Angel Devil Academy”

-Un’accademia?- mormorò piano –Fammi vedere di più!- esclamò, ma al suo urlo tutto si interruppe, e lo specchio tornò nero, mentre il vento di poco prima si calmava improvvisamente. Tutto era tornato alla normalità. Il vecchio si guardò intorno, abbassando poi il capo.

-Angel Devil Academy… Che ciò che cerco sia davvero lì?-

  
Leggi le 2 recensioni
Ricorda la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
   >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Fantasy / Vai alla pagina dell'autore: Willow Gawain