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Autore: Flower In The Sun    14/03/2013    1 recensioni
“e se vi dicessi che c’è una porta, sul retro, nascosta tra le siepi di Alloro e Magnolie? Una porta di rami intrecciati fra loro e fiori primaverili appena visibili, una porta che non apre nulla, ma apre tutto; una porta che conduce in un mondo parallelo pieno di meraviglie,creature ed esseri incantati?
Oh! Di certo non mi credereste!”

AVVERTENZE: UNIVERSO ALTERNATIVO, HO CAMBIATO PARECCHIE COSE, MUTANDO LA REALTA' A VOI CONOSCIUTA.
Genere: Avventura, Fantasy, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Quasi tutti
Note: AU, Lemon, OOC | Avvertimenti: nessuno
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Estate 1959.   

 
“e se vi dicessi che c’è una porta, sul retro, nascosta tra le siepi di Alloro e Magnolie? Una porta di rami intrecciati fra loro e fiori primaverili appena visibili, una porta che non apre nulla, ma apre tutto; una porta che conduce in un mondo parallelo pieno di meraviglie,creature ed esseri incantati?
Oh! Di certo non mi credereste!”

 
“Yazhi[1], fa presto!” esclamò mia sorella Taima, impegnata a caricare le ultime valigie in macchina – una mercedes Benz azzurro cenere – con una tale perseveranza, da far sembrare il trasporto delle valigie, la cosa più faticosa e fondamentale della sua esistenza.  Io avevo le cuffie nelle orecchie; Symphonic Metal norvegese[2], mi riempiva di epicità il cuore. Mi sentivo come se fossi una guerriera, che stava per partire per la sua prima guerra. Feci cenno a mia sorella, alzando il pollice, per farle vedere che mi stavo impegnando a caricare ogni singolo album nella mia valigia.
Aprivo e richiudevo cassetti di quella che un tempo era stata la mia camera dei sogni. L’avevo dipinta io; il soffitto era diventato una galassia stellata, ed i muri enormi praterie e distese di boschi, completando una scena passiva di una natura incantata. Era il mio mondo, ed ora dovevo digli addio.
Un addio che mi sarebbe costato ben 17 anni di vita.
“Yazhi, diamine! Mamma ti sta aspettando per chiudere le porte, datti una mossa!!” gridò mia sorella, la potei sentire dalla finestra. Mi affacciai e mi coprii dal sole primaverile, per visualizzare meglio mia sorella, e mia madre, piuttosto innervosite. Sbuffai, e dissi addio per sempre a quella casa.
Feci per usicre, ma qualcosa mi attirò: un raggio di fioca luce, aveva evidenziato un angolo della buia stanza, inondando il laghetto della prateria da me dipinta, in un preciso punto tra l’acqua e le erbaccie giallognole. Il mio sesto senso mi disse di avvicinarmi. Con mia grande sorpresa appoggiai il palmo della mano su di esso, ed un suono sordo ed ovattato rimbombò della stanza per pochi secondi. C’era qualcosa all’interno del muro. Bussai lievemente con le nocche, e qualcosa si mosse per i troppi colpi. Nulla di vivo, era un oggetto, lo potevo capire dai rumori del legno marcio di chissà quanti secoli. Guardai con sospetto a destra e sinistra, come se avessi paura di essere scoperta da un momento all’altro, dopo di che tirai un forte pugno, che sfondò un quadrato di intonaco, facendolo sbriciolare a terra. Tra i mattoni incastonati, ve ne era uno che mancava, ed al suo posto vi era una scatolina di legno. Inarcai le soppracciglia. Tutto ciò stava divenendo pian piano un mistero, degno di Sherlock Holmes.
Sentii mia madre sbraitare, assieme a mia sorella, così non ci pensai due volte, ed estrassi lentamente l’oggetto di legno umido. Sembrava ciliegio giapponese. Vi era una targhetta dorata, sul lato frontale dell’oggeddo da gli angoli mozzati, ed un aria tremendamente gotico-medevale.
Decisi che avrei apreto e scoperto la storia del suo contenuto più tardi, ora dovevo scappare in macchina, oppure sarei finita per restarmene a casa per sempre.
“Era ora che ti decidessi!” sbottò mia sorella, ma non risposi, mi limitai ad entrare in macchina, al mio posto, a destra.
Il viaggio verso l’est della scozia fu il viaggio più lungo che affrontai. Nel mentre del viaggio, scenografie di scenari incantati cominciavano ad apparire: Laghi gelati, circondati da praterie verdi e rigogliose. Colline meravigliose, ospiti di migliaia di greature mistiche e meravigliose. Alberi secolari che avevano vissuto esperienze mondiali.
Iniziai a sentire la spiritualità di quel luogo, entrarmi nelle ossa. Il castello che ci era stato lasciato in eredità dalla famiglia di mio padre, era meraviglioso. Su di un altura che dava sul mare, vi era questo castello dai mattoni neri, circondato da siepi ed alberi meravigliosi. La Mercedes risalì il colle lentamente, giusto per osservare la meraviglia di quel mondo parallelo.
“ci siamo” sentii sussurrare Taima. Abbassò lo sguardo, avremmo condiviso il castello con un'altra famiglia, la famiglia McCartney.
James McCartney era stato adottato dal padre di mio padre, alla tenera età di sette anni, abbandonato in un orfanotrofio dalla madre. Da allora era sempre stato il favorito da mio nonno, il ciò fece soffrire ampiamente mio padre, e mia sorella Taima, era convinta che la causa della sua morte prematura, fosse stata dovuta all’insano rapporto che si era instaurato tra lui e la sua famiglia. Ecco la motivazione che aveva spinto mia sorella minore, ed odiare profondamente i McCartney.
“ Abbi pazienza, Tai, abbi pazienza…” risposi a mia volta. Si stava mangiando le unghie ad una velocità vertiginosa: era nervosa, e tesa come una corda di violino.

“Ragazze, so che i McCartney non vi vanno a genio, ma è l’unico posto che ci rimane, in cui alloggiare. Abbiate pazienza finchè non troverò un posto stabile, e sicuro.” Tentò di incitarci nostra madre Rosalye – per gli amici Rose.
Rose era nata in una piccola cittadina nei pressi della capitale. Nessuno aveva mai considerato quella piccola frazione di Londra, dimenticata da Dio.
Si trovava in mezzo ai campi, dei campi aridi e giallastri. Rose odiava profondamente i campi giallastri. Diceva sempre che le ricordavano tutto, ma non la natura.
“Dio non può aver permesso di ridurre a tale bruttezza un orizzone!” ripeteva di solito, nei pressi di un campo di grano, o di erba secca dal triste color uovo; “ Dio non creerebbe mai scempi del genere. Qui c’è solo satana!” Ripeteva; e ripeteva ‘satana’ pià volte, urlando.
Ma tutti sapevamo che non era per colpa di satana, o dei campi gialli di erba morta, che Rose odiava la vita.
No. Rose disprezzava talmente tanto la vita, da trovarla futile. Le era stato impedito di proseguire la sua carriera come pittrice, per colpa della piccola città in cui viveva, e per colpa del fatto che attorno a lei, ci fossero unicamente sterpaglie di erba ammuffita.
“Come facevo a riprodurre un capolavoro, con quello schifo di orizzonte??” ogni tanto rimpiangeva al calar del sole, sulla finestra, mentre osservava con rabbia l’universo.
Mia – nostra – madre era così: Un’artista folle,alla quale era stata vietata la follia, Una donna con un profondo disprezzo per ogni creatura vivente che non fosse la sua famiglia, una donna però, con una gran fantasia – basti notare i nomi, che ci siamo ritrovate io e mia sorella! – ed una gran voglia di cambiare il mondo.
Il colle sulla quale ergeva il gran castello, a pochi minuti dal centro abitato della città, era un’altura verde, delimitata da un piccolo boschetto di siepi ed alberelli. Era stato piantato anni fa da parenti remoti, per evitare che altri figli, cadessero tragicamente dal burrone che dava sul mare.
Quattro. Erano tre, i figli che erano morti, caduti per errore. Ci volle un quarto morto, per far decidere alla mia famiglia, di prendere delle maledette precauzioni.
Ora mai mancavano pochi minuti all’arrivo, ed ancora non avevo aperto la scatola di legno. La imborsai nella tasca più grande del mio giubotto. Avrei scoperto di cosa si trattava, la serata stessa.
“Yazhi, per favore non sembrare troppo… troppo isolata, non questa sera. Voglio che instauriate un bel rapporto con i cugini acquisiti; Ci passerete degli anni assieme. E tu, Taima, evita di far effervere troppo il tuo odio verso tuo zio e la sua famiglia. Non voglio discussioni, ne altri sconvenevoli maledettamente spiacevoli. Chiaro?”  Quando mia madre diceva ‘isolata’, intendeva qualcos’altro. Intendeva “Non farti spaventare dalle persone, sono solo maledetti esseri umani, siamo tutti uguali sotto gli occhi di Dio, re e principi, Assassini e maniaci compresi. Tutti uguali!” sapeva del mio piccolo difetto autistico, legato alla paura della gente. Sociofobia, veniva chiamata. Una lieve forma di autismo che si sviluppava di solito con gli anni, principalmente nel periodo dell’adolescenza, che implicava agitazione, sudorazione, panico, palpitazioni eccessive, difronte ad una persona sconosciuta o ad un gruppo di persone, portando così alla chiusura psicologica, ed all’autoisolamento, tipico nello spettro autistico.
In pratica non ero capacie di socializzare. Balbettavo, e non riuscivo a spiccare parola, difronte a sconosciuti.
Annuii in risposta a mia madre, mia sorella fece lo stesso. Non aveva intenzione di causare discussioni inutili, secondi prima di arrivare alla nuova casa.
Ad accoglierci vi erano Zio James, la badante – senza un ruolo preciso, nel castello – ed Alphonse, il maggiordomo. I cugini non si erano nemmeno presentati.
“Stronzetti” sussurrò mia sorella, rivolta a quest’ultimi. “Shh, Tai, taci. Hai sentito mamma?” la rimproverai, mentre scendavamo dall’auto.
“Benvenute, Benvenute! È sempre un piacere!” esclamò Zio James, facendo cortesemente un bacia-mano a mia madre.
“Rose,” salutò poi, cortesemente. “James,” ricambiò mia madre.
“Come sono cresciute in fretta, queste ragazzine!” esclamò poi, rivolto a noi due. Tentai di abbozzare un sorriso, mentre Taima si limitò ad un ghigno serioso e cupo.
“Q…quanti anni hanno, le ragazze?” domandò imbarazzato dalla scena piuttosto patetica, che si era venuta a creare.
“Sedici entrambe”  rispose mia sorella, anticipando il fatto che, essendo la domanda stata rivolta a me, avrei balbettato stupidamente o in qualche modo errato nel rispondere.
“Molto Bene. Paul, Michael! Sono arrivate le cugine!” esclamò poi, rivolgendosi all’interno del castello.
Mia sorella alzò gli occhi al cielo, disturbata. “Arrivano i damerini!” mi sussurrò all’orecchio, strappandomi una risata. “Damerini è un complimento, per caso?” domandai ironica in risposta, provocando la risata dell’altra.
In quel preciso istante uscì un ragazzo. Era alto, sul metro e settanta, oserei dire. Aveva un gran ciuffo di capelli mossi, neri, ed impomatati. Soppracciglia arquate, occhi cadenti, ed un odioso sguardo altezzoso.
Indossava un giubbotto di pelle nero, una maglia bianca, e dei blue jeans a vita alta, tenuti in vita da una cintura.

[continua]







Note dell'autrice!!
Ecco a voi Yaghi e Taima, le due gemelle testa-rossa. Ancora non si vede la comparsa dei Fab, in questa storia, ma abbiate pazienza, deve ancora cominciare.
Voglio solo che sappiate che questa storia avrà contenuti altamente Fantasy, ed altamente surreali. Non rispetterò quasi per niente la realtà conosciuta sui Beatles, anzi. I Beatles nemmeno esisteranno, ma esisteranno solo quattro ragazzi - che tra l'altro non saranno nemmeno titti di Liverpool! - e due gemelle, pronte a salvare il loro universo parallelo.
Buon proseguimento della lettura, se avrete il coraggio di affrontarmi! HAHAHA


Flower In The Sun.


[1]Si legge “Yasé” con la S marcata.
[2]Il “Synmphonic Metal” nasce chiaramente negli anni Ottanta, e non negli anni Cinquanta, in ogni caso non dateci importanza, la storia è ambientata in un Universo Alternativo, per cui ho tutti i diritti di inventare pienamente il tutto. Per cui, se qualche oggetto, o qualche cosa di valore storico non corrisponde alla datazione, non badateci. E’ la scrittrice che s’improvvisa xD
  
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