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Autore: OurNamesRhymeWithForever    15/03/2013    5 recensioni
Non sapevo se sarebbe venuta. Una parte di me desiderava più di ogni altra cosa vederla salire la collina, le guance rosse per il caldo di metà agosto; la mia razionalità però mi gridava che non sarebbe stato così, che non si può perdere qualcuno due volte e sperare di riaverlo indietro anche la seconda. Strappai un ciuffo d’erba e fissai l’orizzonte. Sotto di me si estendeva Los Angeles, non me la ricordavo così bella. Mi sdraiai e fissai il cielo, di un azzurro pallido.
Dieci minuti, Nick. Se non arriva entro dieci minuti smetti di prenderti in giro.
Genere: Fluff, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nick Jonas, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Non sapevo se sarebbe venuta. Una parte di me desiderava più di ogni altra cosa vederla salire la collina, le guance rosse per il caldo di metà agosto; la mia razionalità però mi gridava che non sarebbe stato così, che non si può perdere qualcuno due volte e sperare di riaverlo indietro anche la seconda. Strappai un ciuffo d’erba e fissai l’orizzonte. Sotto di me si estendeva Los Angeles, non me la ricordavo così bella. Mi sdraiai e fissai il cielo, di un azzurro pallido.
Dieci minuti, Nick. Se non arriva entro dieci minuti smetti di prenderti in giro.
Era la settima volta che me lo promettevo, ma non ero mai stato bravo con le promesse. Non era quello il motivo per il quale non avevamo funzionato? Non ero riuscito a mantenere una piccola e stupida promessa che le avevo fatto: “per sempre”. Lanciai un’occhiata all’orologio, erano le cinque, tra non molto il sole sarebbe tramontato. Chiusi gli occhi e persi il conto di quanto tempo rimasi così, immobile, senza piangere né sentire niente, perché piangere non mi sarebbe servito a niente e avevo già consumato qualsiasi tipo di sentimento avrei potuto provare per lei in questi anni. Quando aprii nuovamente gli occhi era di fianco a me, seduta alla mia destra, le gambe rannicchiate al petto e il mento appoggiato sulle ginocchia.
Non mi sorpresi. La stavo aspettando, l’avrei sempre aspettata.
“Scappare dal ricevimento del proprio matrimonio quanti punti vale?”.
Non mi stava guardando, i suoi occhi fissavano con insistenza il vuoto.
“Come?”
“Mio papà diceva che ogni nostra azione ci porta un punteggio tanto più alto quanto più ciò che facciamo è pericoloso: mi ricordo che quando andai in bicicletta per la prima volta mi assegnò cinque punti… battei Trace quel giorno”.
Sorrise. Non a me, non a Los Angeles, forse alla stupidità della vita.
Seguii la linea del suo volto, le labbra ancora aperte in un sorriso, il suo collo, il lungo vestito bianco che ancora indossava, i suoi piedi nudi.
“Ho lasciato le scarpe al ricevimento” sussurrò intuendo i miei pensieri.
Scostai lo sguardo e mi misi seduto, fissando Los Angeles come lei.
“Credo non valga punti”.
Strinse ancora di più la presa attorno alle sue gambe.
“Abbandonare il mio ricevimento vale meno che imparare ad andare in bici?”.
“Abbandonare il ricevimento è da stupidi, non da coraggiosi”.
“Però sapevi l’avrei fatto”.
“Facciamo sempre cose stupide”.
Rimanemmo in silenzio a lungo, ma probabilmente sarebbe stata l’ultima volta che l’avrei vista, perché sprecare parole?
“Come hai fatto a sapere dove fossi?”.
Iniziò a torturarsi il bordo del vestito, riuscivo ancora a metterla in difficoltà.
“Se fossi stato tu a un altare in questo momento sarei venuta qua anch’io”.
“Te ne sei pentita?”.
“Di cosa?”.
“Di avermi baciato qua, per la prima volta, sette anni fa”.
Sembrò pensarci.
“Se potessi tornare indietro non ti bacerei”.
Me lo aspettavo, non mi fece male.
“Perché sei venuta?”.
“Perché volevo essere sicura di aver fatto la scelta giusta sposando lui”.
“E credi che lui sia la scelta migliore?”.
“La mia scelta migliore ha passato la sua mattina su questa collina invece che fermare il mio matrimonio e impedirmi di commettere l’errore più stupido della mia vita”.
“Se volevi che interrompessi il tuo matrimonio avresti solo dovuto chiedermelo e l’avrei fatto”.
“Io però non ti avrei seguita: non volevo che interrompessi il mio matrimonio perché ti amo, volevo che lo facessi perché mi piace pensare che tu tenga ancora a me”.
“Io ti amo, Miley Ray, lo sai”.
“Non conta più da molto tempo”.
“Da quando l’amore non conta?”.
“Da sempre, Nicholas. Se l’amore contasse qualcosa ora sarei tua”.
Allungò un braccio e appoggiò la mano sull’erba, a pochi centimetri dalla mia gamba.
Volevo toccarla, ma non sapevo come avrebbe reagito.
“Come stai?” mi chiese.
Alzai le spalle.
“Non molto bene”.
“Fa tanto male?”.
“No, ora che sei con me non tanto. Tu invece?”.
“Io?”.
“Sei felice?”.
Non disse niente, non si mosse.
“Ti ho chiesto se sei felice”.
“Non posso dirtelo”.
“Perché?”.
“Perché se dicessi di no inizieresti a lottare per riavermi con te, e se dicessi di sì smetteresti di lottare per stare con me, e non voglio che nessuna delle due cose accada”.
“Cosa vuoi veramente?”.
“Molte, troppe cose”.
“Qualcosa che io possa darti?”.
Rise, gettò la teste indietro e rise.
“Potresti darmi tutto ciò che desidero, ma forse è meglio così: io con lui e tu da solo”.
Mi voltai e presi lo zaino che avevo portato con me.
“Ci sono una mia maglietta, una tuta e un paio di scarpe da ginnastica: a me non vanno più bene, dovrebbero essere giuste per te”.
Si alzò e mi diede la schiena.
“Puoi aiutarmi a togliere il vestito?”.
Avrei dovuto rifiutare, dirle che se l’avessi toccata un’altra volta non l’avrei più lasciata andare, invece obbedii e abbassai lentamente la zip, mostrando la sua schiena nuda. Smisi di respirare e allungai la mano verso la sua pelle, senza toccarla. Desideravo sfiorarla, sentire la sua soffice pelle a contatto con le mie dita, le stesse dita con le quali fra poche ore avrei composto una canzone al piano su questo giorno.
“Hai paura?”.
Scossi la testa sebbene non potesse vedermi.
“No”.
Deglutii e mi voltai.
“Cosai fai?” mi chiese.
“Puoi cambiarti”.
“Mi hai vista nuda più di una volta, puoi guardarmi”.
“Non ne ho più il diritto”.
Non protestò, aspettai, gli occhi chiusi, fino a che non mi diede il permesso di girarmi.
La maglietta bianca era troppo larga, i pantaloni erano arrotolati. Sorrisi, intenerito: era sempre stata più piccola di me, ed io protettivo nei suoi confronti. Il vestito era a pochi metri, la fede nuziale sopra.
“Mi piaci, sembri meno sua e più mia”.
Miley scosse la testa.
“Sai qual è la cosa peggiore? Non voglio scendere da qua. Se potessi starei su questa collina per sempre, ti bacerei, farei finta che tutto quello che abbiamo passato sia solo un incubo e ricomincerei tutto, con te, come se fosse la prima volta”.
“Puoi farlo se vuoi”.
“No, non posso e lo sai”.
Allungò nuovamente il braccio verso di me.
“Mi prendi per mano, Nick? Per favore?”.
C’era qualcosa di così disperato nella sua voce, e strinsi forte le mie dita con le sue prima che potesse dire qualcos’altro. Fu in quel momento che me ne resi conto, di come stesse stringendo la sua piccola mano con tutta la sua forza attorno alla mia, di come si stesse aggrappando all’inafferrabile idea che potessimo ancora riuscire ad amarci.
“Dove abbiamo sbagliato?” mi chiese, la voce ridotta a un sussurro.
Stava per piangere, e per colpa mia.
“Abbiamo sbagliato tutto dall’inizio, Miles, fin dal momento in cui ti ho mentito per la prima volta. Ho sbagliato a lasciarti andare, a pensare che ci fosse qualcun’altra come te, a permettere che piangessi per me a non combattere per riaverti indietro”.
“Non può essere solo questo, giusto?”.
“Le persone che più si amano sono destinate a soffrire, perché sono le uniche che continueranno ad amarsi nonostante la sofferenza”.
“Non è giusto”.
“C’è qualcosa di giusto a questo mondo, Miles? Pensaci”.
Sorrise e mi diede un pugno alla spalla.
“Gli hamburger, sono perfetti”.
Questa era la Miley che volevo al mio fianco.
“Oh, davvero?” chiesi sarcastico.
“Sì. Sai che riesco a mangiarne uno in sei morsi?”.
“Non ci credo. Quanto riesci a contenere nella tua bocca?”.
Alzò un sopracciglio e scoppiò a ridere.
“Metterla sul sesso è sempre la scelta migliore Nick, non cambi mai”.
Alzai gli occhi al cielo.
“Non intendevo quello”.
Si passò una mano sugli occhi e lanciò una veloce occhiata ai miei pantaloni.
“Direi comunque che sono abituata a contenere poco nella mia bocca”.
Tirai fuori la lingua.
“Molto divertente Cyrus”.
Non me lo aspettavo, ma lo fece. Mi buttò le braccia al collo e affondò la faccia nel mio petto.
“Prometti che lo faremo di nuovo”.
“Sesso?” chiesi sorridendo.
Mi tirò un pugno e scosse la testa.
“Sai a cosa mi riferisco. Prometti che fra dieci anni, non importa dove saremo, cosa faremo delle nostre vite e quanto ci odieremo, riusciremo sempre a tornare su questa collina, a ridere per qualsiasi cosa e a pensare che tutto sia perfetto”.
“Perché non facciamo di più? Perché non rimaniamo insieme per sempre?”.
“Per sempre è una parola così sopravvalutata”.
“Ma possiamo farcela, lo sai che possiamo”.
Miley strinse la presa attorno al mio collo.
“A volte arrendersi è la scelta migliore, lo sai vero?”.
“Non sono abituato ad arrendermi”.
“Lo faresti se te lo chiedessi? Smetteresti di lottare?”.
“No”.
Si allontanò da me e raccolse il vestito.
“Devo andare”.
Allungai la mano e la bloccai.
“Stai con me, ti prego”.
“Solo per altri cinque minuti, poi…”.
“Intendevo per sempre”.
Lasciò cadere il vestito e si passò le mani sul viso.
“So che potrai non credermi, ma è difficile anche per me. Cosa credi che si provi quando il ragazzo che ami di più al mondo soffre a causa tua? Quando sei combattuta fra un sì e un no? Quando vorresti cancellare tutta la tua vita ma non lo fai per paura di cancellare anche tutti i ricordi che hai di lui? Quando passi un’ora intera a guardare le porte della chiesa sperando, pregando, che entri e ti fermi?”.
“Non lo so, Miley, ma so cosa si prova a stare sulla collina dove hai dato il tuo primo bacio all’unica ragazza che abbia mai amato mentre la vedi allontanarsi da te per sempre”.
“Il per sempre non esiste, né in positivo né in negativo”.
“Non voglio passare più un singolo minuto lontano da te, Destiny”.
“Sono sposata, non puoi più comparire dal nulla quando ti fa più comodo e portarmi via con te, non lo puoi più fare”.
“Allora vuoi che finisca tutto qui?”.
Si morse il labbro e fissò il terreno.
“Sì, voglio che finisca tutto”.
“Guardami in faccia mentre mi parlai”.
“Non posso”.
“Ti ho detto di alzare lo sguardo”.
Alzò il viso lentamente, e mi odiai nell’esatto momento in cui vidi che stava piangendo.
“Voglio che finisca tutto, Nicholas. Voglio che tu stia fuori dalla mia vita, voglio amare solo lui e vivere con lui, non voglio più vederti e soprattutto non voglio più sentire la tua voce”.
La sua voce tremava, ma i suoi occhi erano sicuri.
“Va bene, spero tu sia felice. Ti amo”.
Staccai la presa dal suo braccio e sorrisi, triste.
“Puoi andare se vuoi”.
“Non vieni anche tu?” mi chiese sorpresa.
“No, preferisco rimanere qua ancora per un po’”.
“Prometti che starai bene”.
“D’ora in avanti voglio fare solo promesse che riuscirò a mantenere”.
Mi guardò, sembrava indecisa, poi sorrise.
“C’è qualcosa che devo fare prima di dirti addio”.
Si avvicinò e prese un respiro.
“Now I’m the king of the swingers, oh, the jungle VIP…”.
“Miles, cosa stai…”.
Mi poggiò un dito sulle labbra.
“Non parlare Nick”.
Una singola lacrima le attraversò la guancia, e la fermai col pollice prima che potesse raggiungere il collo. Mi accarezzò il viso e sorrise, riprendendo a cantare.
“I’ve reached the top and had to… stop, and that’s… what… botherin’ me…”.
Iniziò a singhiozzare, la sua fievole voce s’incrinò.
“Non ce la faccio”.
La abbracciai e le accarezzai i capelli, iniziando a cantare a mia volta.
“I wanna be a man, mancub, and stroll right into town and be just like the other men, I’m tired of… com’era quella parola Miles?”.
Sorrise.
“Monkeyin’ around…”.
Risi.
“Forza, riesci a cantare con me il ritornello?”.
Annuì e cantammo, questa volta insieme.
“Oh, oobee doo, I wanna be like you, I wanna walk like you, talk like you, too, you’ll see it’s true, and ape like me can learn to be human too”.
Mi fermai e la strinsi forte.
“Perfetto come karaoke”.
“Se te ne fossi ricordato sette anni fa ora non mi sarei dovuta coprire di ridicolo”.
“Se me ne fossi ricordato sette anni fa ora non staresti piangendo fra le mie braccia per colpa di una stupida canzone”.
“Non è stupida, è il nostro primo duetto mancato e la tua prima promessa non mantenuta”.
Fece due passi indietro e raccolse di nuovo il vestito.
“Vuoi che ti baci?” chiese.
Era seria.
“No”.
Miley sorrise e mi diede un ultimo veloce abbraccio.
“Spero tu sia felice, Nick, e ti ringrazio per tutto quello che hai fatto per me”.
Si voltò e si allontanò. Non la bloccai, aveva ragione: a volte arrendersi è l’unica cosa da fare. La seguii con lo sguardo fino a che non sparì dalla mia vista. Mi sdraiai nell’erba ancora una volta e non mi rialzai fino a che non giunse la notte. Non ero triste, non avevo pianto: semplicemente, per la prima e ultima volta, avevo messo la sua felicità prima della mia. Era quasi mezzanotte quando m’incamminai e scesi dalla collina, una torcia in mano. Quello che era successo quel giorno l’avrei visto solo come un insegnamento, e quando la persona giusta per me sarebbe arrivata mi sarei ricordato di questo pomeriggio, di questi sette anni, e avrei fatto la scelta giusta. Ero arrivato quasi alla base della collina quando qualcosa catturò la mia attenzione: un’ombra scura era appoggiata a un albero, immobile, a pochi metri da me. Scrutai nel buio ma non riuscivo a distinguere cosa fosse. Feci alcuni passi verso l’ombra e quando mi resi conto di chi fosse sorrisi. Mi avvicinai fino a raggiungerla e la sollevai, prendendola in braccio.
“Miles” sussurrai “stai bene?”.
Lei non aprì gli occhi, si limitò a stringersi a me.
“Pensavo non saresti più arrivato”.
“Cosa ci fai qua?” le chiesi.
“Stavo scendendo, io ci ho provato Nick, lo giuro, ma non ci sono riuscita. Mi è tornata in mente la volta in cui abbiamo preparato i biscotti, quando mi hai detto di avere il diabete, quando abbiamo scritto quella canzone, e mi sono detta se valesse la pena davvero abbandonare tutto quello che abbiamo avuto solo per la mia stupidità”.
“E?”
“E mi sono resa conto che non ne vale la pena”.
“Perché non sei tornata?”.
“Perché non volevo dartela vinta”.
“Quindi ti sei addormentata contro un albero al freddo solo per non ammettere che avevo ragione?”.
“Sì, ma non dirlo a nessuno”.
Scossi la testa e risi.
“Dove vuoi che ti porti?”.
“A casa tua”.
“Sei sicura di…”.
Alzò il viso e mi baciò.
“Zitto e cammina, Jonas, prima che cambi idea”.
“Sai, potrei abituarmi” dissi sorridendo.
“Ai miei baci?”.
“No, al fatto di avere ragione”.
Mi tirò un pugno. Di nuovo.
“Non illuderti, dovrai aiutarmi a cucinare, a lavare i piatti e dovrai dirmi ‘ti amo’ almeno cento volte al giorno”.
“Quando posso iniziare?”.
“Quando vuoi”.
“Ti amo”.

N.d.A.: di solito non chiedo di lasciare recensioni, ma non amo i lettori silenziosi. Qualsiasi cosa abbiate da dire, anche negativa, è ben accetta. 
  
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