Era una splendida mattinata di fine maggio. L’ideale per
saltare la scuola e conoscere un uomo di venticinque anni
più grande! Non riuscivo ancora a capacitarmi del
perché avessi accettato quell’invito. Sapevo
soltanto che era la prima volta che qualcuno mi aveva chiesto di
uscire, anche se era uno sconosciuto quarantenne. Mi rendevo
perfettamente conto che la differenza d’età fosse
eccessiva, ma non avevo alcuna intenzione d’ intraprendere
una relazione con lui, né tantomeno di rivederlo dopo quella
mattinata.
Tutto aveva avuto inizio quando mi aveva mandato un messaggio,
chiedendomi se mi ricordavo chi fosse. Avevo il suo numero salvato in
rubrica, ma non ricordavo nulla di lui. Cominciammo comunque a
messaggiare e mi raccontò di come qualche mese prima, dopo
avermi chiamato sbagliando numero, ci fossimo sentiti per telefono e di
come avessimo chiacchierato. Non mi ricordavo di aver mai fatto una
cosa del genere, ma lui si ricordava il mio nome, la mia età
e dove abitassi.
Stavo in piedi vicino al muro di cinta del parco comunale, stando bene
attenta a non appoggiarmi, così da evitare di sporcarmi la
camicetta beige o i blue jeans che indossavo e di non fare una
figuraccia, obbligandolo ad aspettare che mi pulissi. Un mare di
macchine sfrecciavano sulla strada che osservavo e da cui Pasquale
sarebbe dovuto arrivare e cominciavo a chiedermi come avrei fatto a
riconoscerlo, quando il telefono squillò. Era naturalmente
lui, che mi chiedeva dove fossi. Mentre glielo spiegavo, vidi un uomo
in una macchina parcheggiata poco distante da me, che mi sorrise.
- Sei tu?- disse la voce al telefono, e così senza esitare
chiusi la chiamata ed entrai nell’auto.
Finalmente lo vedevo! Aveva un viso regolare, segnato da qualche ruga e
incredibilmente sorridente.
L’unica cosa che quasi mi gelò il sorriso sulle
labbra fu vedere che i suoi capelli erano in parte
bianchi…sembrava anche più vecchio della sua
età!
- Ciao- dissi sorridendo come era mio solito
- Ciao, tu sei Claudia, vero?- chiese, stringendomi la mano.
Che stupido! Chi altri sarei potuta essere? Non esternai questo mio
pensiero, ma annuii, senza dire nulla.
L’euforia iniziale lasciò il posto ad un certo
imbarazzo: non sapevo cosa dire, come comportarmi. Per mia grande
fortuna, fu lui a rompere il silenzio che era calato
nell’auto.
- Hai fame?- mi chiese gentilmente.
La sua voce era anche più profonda e matura di quanto
sembrasse al telefono.
Forse troppo matura.
- No, stamattina ho già fatto colazione-
- Oh…- disse incerto – Allora forse potremmo
andare al mare, che ne dici?- propose con un sorriso enorme e luminoso.
Aveva dei bellissimi occhi verdi, cui non avrei mai potuto dire di no.
Erano troppo simili a quelli di un’altra persona. Solo ora lo
notavo. Somigliavano a quelli di un ragazzo che amavo, a cui ero andata
dietro per parecchio tempo.
Gli avevo mandato un messaggio, il giorno appena prima di accettare di
uscire con Pasquale. Ero stanca di aspettarlo. Stavo troppo male, nello
stargli accanto ogni giorno e nel cercare di capire i suoi pensieri, i
suoi sentimenti.
Il messaggio diceva:
Ciao. Forse ti sarai accorto da tempo che tu mi piaci.
Vorrei sapere se tu, anche un po’, ricambi i miei
sentimenti. Scusa della schiettezza, ma non vorrei
perdere
tempo con te, se questa storia è una causa persa.
Baci. Risp.
Era stato decisamente un gesto avventato. Ma ero fatta così:
sempre e solo impulsiva. Facevo cosa mi passava per la testa, senza
fermarmi a pensare alle conseguenze.
Avevo almeno evitato di dirgli quanto lo amassi e che sarei stata
malissimo se lui mi avesse rifiutata. In quella maniera, dopo
l’arrivo del suo messaggio, ho provato a convincere me stessa
che non era altro che una cotta.
Ciao! Sono davvero dispiaciuto, ma vorrei che rimanessimo
solo buoni amici, senza rovinare questa fantastica
amicizia che abbiamo costruito insieme. Preferisco anch’io
essere schietto. Scusa.
Ciò voleva dire, nel misterioso linguaggio dei ragazzi:
“Mi fai pena! Ma non lo vedi che fai schifo?!”
Quella sera non mangiai nulla e quella notte fu la più lunga
che avessi mai vissuto. Il silenzio, il buio e la mancanza
d’impegni e di sonno m’ indussero a pensare, a
rimuginare su ciò che era accaduto. L’iniziale
dispiacere d’averlo perduto, o meglio, di non averlo mai
ottenuto, di non aver mai potuto godere dei suoi occhi verdi che
fissavano i miei, si trasformò in vergogna per avergli
rivelato così apertamente i miei sentimenti. Lo immaginavo a
leggere il mio messaggio ai suoi amici, immensamente divertito.
- Quella stupida racchia! Pensava forse di piacermi?-
Forse avrei dovuto star zitta, continuando certamente a soffrire, ma
non avrei dovuto sopportare la delusione e il rimpianto del mio gesto.
Inoltre mi ero nuovamente illusa. Era quella la cosa peggiore. Ero
davvero convinta di potergli piacere. M’ero immaginata tra le
sue braccia, avevo scritto il suo nome sui banchi di scuola e sui muri
della stazione.
Mi detestavo perché ero una sognatrice. Ogni giorno avevo un
sogno nuovo, una lieve speranza che si affacciava nel mio fragile
cuore. Speranza che veniva puntualmente distrutta, schiacciata
violentemente dagli avvenimenti quotidiani e più stupidi.
Quella notte, tra le lacrime, giurai a me stessa che non avrei sognato
mai più. Sarei diventata davvero superficiale. Non lo sarei
solo sembrata. La mia vita non avrebbe più compreso
né amore, né progetti fantasiosi, né
racconti, né frivolezze. Sarei cresciuta, cosa che, ormai da
un po’ di tempo, tutti sembravano pretendere da me. In quel
periodo, pensavo che non avere illusioni equivalesse a non avere dolori.
Guidò lentamente fino al mare. Durante il tragitto
scherzammo tranquillamente, come se fossimo stati vecchi amici. Mi
aveva totalmente messo a mio agio. Forse erano cose che
s’imparavano a fare, a quarant’anni.
Il suo viso, nel giro di venti minuti, mi era diventato familiare, la
sua voce simpatica, i suoi capelli brizzolati tollerabili.
Nonostante fosse già maggio, quel giorno faceva freddo,
sulla spiaggia.
Osservavo le sue spalle larghe, vestite di una leggera camicia azzurra,
che si gonfiava ritmicamente per il vento.
Camminava davanti a me, a testa china, preso da chissà quali
pensieri, con le mani in tasca e la schiena leggermente curva.
Forse anche lui pensava ad una donna, amata, desiderata, e che
l’aveva deluso, abbandonato.
Io avevo tante voglie, tanti desideri, nonostante soffrissi per una
storia finita male. Avevo la vita davanti a me. Lui, forse si sentiva
finito, forse vedeva solo il passato, senza scorgere alcuna luce
all’orizzonte, senza scorgere alcun futuro.
Non volevo finire come lui.
Dovevo svegliarmi, riprendermi.
Il futuro era davanti a me, qualunque esso fosse.
Dovevo solo correre e abbracciarlo.
Corsi e gli lo strinsi con forza.
Ero sempre stata troppo impulsiva.