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Autore: Dama DeLupottis    16/03/2013    1 recensioni
Chi ha paura dell'ospedale? ovviamente un pò tutti ce l'abbiamo, ma a volte, cercare di cogliere qualche aspetto positivo di un'esperienza poco piacevole aiuta ad affrontarla al meglio. questo breve testo può essere letto da chiunque, non ho messo particolari disgustosi, anzi, potreste anche riuscire a ridere. L'avevo pubblicata nel comico, poi dopo poche ore ho cambiato, ho scelto il generale perchè pur facendo ridere dovrebbe fare anche un pò riflettere...poi beh...lascio a voi il giudizio finale!
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Premessa: questo breve testo non prende in considerazione I casi gravi, come quelli oncologici, o disturbi alimentari e via dicendo…mi riferisco a tutti quei casi in cui c’è una piccola operazione da fare, un ricovero per qualche accertamento, o che comunque non comportino il fatto di avere la vita appesa ad un filo.

PS: quello che racconto è tutto vero, e in ogni caso anche se non credo che l’ospedale sia così brutto quanto generalmente si pensa (salvo i casi riportati sopra) auguro a tutti voi che leggete di non metterci piede per ancora taaaaanto tempo! Ok? Buona lettura!



Leggendo il titolo di questa storia, avrete detto: “questa è pazza!” Già! Proprio così! Lo penso anche io! Eppure ci credo davvero.

Ho diciannove anni e nella mia vita sono già stata ricoverata sei volte, ovviamente non per cose gravi, altrimenti non l’avrei presa con così tanta filosofia, però quattro interventi li ho fatti anch’io e sono comunque esperienze che non si dimenticano!

Ma andiamo con ordine: la pediatria non si può certo descrivere come un’isola felice, ma neanche come una prigione tipo la scuola o l’asilo (a mio parere peggio della prima!) però dai…non si vive mica male: ricordo ancora i pomeriggi trascorsi a disegnare e pitturare con la dottoressa Tachipirina, noi bambini avevamo la flebo nel braccio eppure grazie a lei non sentivamo né male né fastidio, anzi sorridevamo.

Poi c’erano i pagliacci , che venivano a farti visita regalandoti un palloncino colorato a forma di cigno, di spada o di fiore e che ti facevano ridere con gli occhialoni giganti, il naso rosso, una parrucca colorata e una siringa grande come un elefante. Quando c’erano loro, le giornate erano decisamente più sopportabili.

E quando non c’erano? Beh bisognava arrangiarsi in qualche modo: qualche libretto da colorare, qualche piccolo giocattolo che poi si condivideva con il vicino di letto, oppure per i più grandicelli il cubo di rubik.

Ricordo ancora che una volta avevo portato con me due coccolotti, uno blu e uno giallo che mi aveva regalato la mamma per farmi coraggio, li appoggiavo dappertutto, pensate che tornando dalla sala operatoria, le infermiere l’avevano trovato nel posto dove si mette la bottiglietta della flebo!

Un anno c’era anche il presepio: ero triste perché avevo dovuto rinunciare a cantare a teatro con le mie amiche, ma d’altra parte dopo essere stata operata dalle tonsille, per qualche giorno non avevo più la voce… chiamare la mamma di notte era un’impresa! La buona notizia? Valanghe di gelati e coca cole, che a detta dei dottori, erano meglio dei medicinali! Dolore? Nessuno…neppure quello della puntura dell’ago grazie alla crema anestetizzante di “Mago Merlino”. Eh già! Bisognava avere una gran bella fantasia per mettere a tacere una bambina piagnucolona come me.

Ma poi, prima o poi bisogna crescere, e spariscono i pagliacci, i colori, e tutte le favole. E cosa rimane? Lezioni di latino e di matematica! Giuro, non sto mentendo! Con la febbre a 39, la professoressa di sostegno fornita dall’ospedale aveva anche il coraggio di darmi i compiti di latino, nonostante il mio soggiorno durasse solo dieci giorni! Ma la cosa più straordinaria era l’insegnante di matematica, che i conti non li sapeva proprio fare, e alla fine sembrava tanto che io dovessi dare ripetizioni a lui!

Poi… vediamo…un altro passatempo? La lettura! Possibilmente non di scuola! Ricordo che avevo da leggere “ Se questo è un uomo” di Primo Levi, ma che ben presto era stato sostituito da “Notte prima degli esami” regalatomi da una mia amica, decisamente meno deprimente e pesantone!
Passata questa fase arriva la tarda adolescenza e allora l’unica speranza che si ha in ospedale è quella di trovare un chirurgo figo, o almeno un dottore simpatico… peccato che a volte nemmeno gli infermieri sono decenti! Ma vabbè, ci si deve adeguare…finendo così a litigare con il medico perché non ci si vuole lavare i denti, rifiutandosi addirittura di cenare per non sporcarli, sentirlo ribattere che quello che vediamo non è sangue ma solo saliva rosa…e obbligare infine la mamma a farci da sostegno morale mentre eseguiamo gli ordini davanti allo specchio.

Io sono una ragazza timida ed introversa, ma quando si tratta della mia salute, non c’è nessuno che riesca a tenermi zitta: pochi mesi fa sono riuscita a far arrabbiare non uno, ma ben due medici che puntualmente ancora mi accusano di mancanza di fiducia, ma almeno non m’intrometto più nel loro lavoro! A quattordici anni contestavo alla dottoressa quella che a mio parere era un’eccessiva dose di cortisone. Ma da bambina ero molto peggio: ho tirato dei calci in sala operatoria, pensate che ci sono volute quattro persone per tener ferma una bimba di cinque anni, peraltro sotto anestesia…altro che dormire come un angioletto…io facevo il diavolo a quattro! In conclusione hanno dovuto operare prima la mia compagna di stanza, mentre aspettavano che mi addormentassi…ho cercato di non farlo, ma alla fine…è toccato pure a me!

Le situazioni ridicole e imbarazzanti poi non mancano, come rovesciarsi addosso l’intero bicchiere di the caldo nel patetico tentativo di grattarsi la schiena, o peggio, andare in bagno dieci volte mentre si aspetta il chirurgo facendo cadere il cordoncino verde del vestito sterilizzato dentro nel wc, sentire il chirurgo dire che non vuole coprirti gli occhi con una benda perché altrimenti non riesce a vedere se sei viva o morta, ma ti dice di stare tranquilla, riandare in bagno dopo l’intervento con l’infermiera che ti fa la guardia perché ha paura che tu svenga e infine…ingoiare una garza e poi dire davanti al medico che ti guarda con gli occhi da merluzzo:- E’ grave?-.

Questi sono solo degli esempi delle cazzate che ho fatto in ospedale, ma sono ancora viva e oggi ci rido sopra. E non crediate che con l’età si diventi più maturi, almeno io non l’ho fatto: l’ultimo intervento l’ho fatto neanche sei mesi fa e non volevo spogliarmi per andare in sala operatoria, constatavo che il vestitino sterilizzato (assomigliante a una rete per coprire l’insalata) era troppo trasparente per i miei gusti e pretendevo che tutti gli anestesisti e infermieri fossero donne, ma ovviamente è stato tutto il contrario! Ho chiesto al chirurgo se era mai morto nessuno per quell’operazione e ho concluso dicendo:- Speriamo di non essere la prima!-

Ah! E ciliegina sulla torta, hanno dovuto darmi dei tranquillanti per la notte successiva perché avevo paura di morire soffocata ( per ovvie ragioni che non sto qui a dirvi!) e nonostante fossi stanchissima non accennavo a chiudere occhio! A parte che il sonno in ogni caso non era dei migliori: primo perché sognavo orde di medici in camici verdi che mi rincorrevano con una maxi-siringa per tutto l’ospedale, e secondo, quando mi svegliavo non potevo certo dire di essermi riposata dato che mi ritrovavo più avvizzita e dolorante di una vecchia di 102 anni!

Un altro aneddoto divertente degli ospedali sono i cognomi: i dottori riescono a leggere più o meno bene i cognomi di tutti i figli degli immigrati, ma hanno mille varianti del mio cognome che è italiano, il che vuol dire che nella sala d’attesa non solo devo stare attenta al mio ma anche ad un “più o meno circa quasi” che ci assomiglia. Un anno mi hanno addirittura perso le lastre in qualche altro reparto, ma la colpa non era certo loro, era del cognome troppo difficile che era stato scritto in modo errato! Come al solito! Che palle! Ma vi dirò una cosa! In fondo avere un cognome piuttosto raro non è poi tanto negativo, anzi per la professione di un dottore più il cognome è raro, meglio è: mi è già capitato infatti, di non volere un chirurgo credendo che fosse parente di un altro dottore che non mi piaceva proprio per niente...ma a quanto pare il fenomeno non era nuovo dato che dopo avermi visto strabuzzare gli occhi, mi avevano subito assicurato che non aveva niente a che fare con l’altro dottore, nonostante non avessi detto ancora niente e il medico in questione fosse di un’altra regione!

Ma ora cambiamo argomento… passiamo alla moda d’ospedale! Mai fatto una sfilata in pigiama, con ciabattine abbinate e vestaglia da camera davanti alle persone che vengono da fuori per normali visite di routine? Io sì, due volte! Carino e decisamente imbarazzante, specialmente quando hai una cinquantina di occhi puntati addosso: quelli della gente normale che ti compatisce credendo che tu abbia fatto un’incidente e montandosi la testa sull’irresponsabilità dei giovani al motorino, quando in realtà sei lì per tutt’altre ragioni; gli occhi dei bambini, a palla, che ammirano la tua faccia che assomiglia più a quella di un ippopotamo, e infine quelli di tutti i medici, che anche se non hanno niente a che fare con te, ti guardano per semplice curiosità professionale, o soltanto per criticare il lavoro fatto da un collega che magari non gli va a genio! L’unica cosa che speravo, essendo ricoverata, era quella di avere la precedenza rispetto agli altri, e invece no! Il dottore è riuscito a farmi andare di traverso il mio primo schifoso pranzo dopo tre giorni di digiuno chiamandomi d’urgenza da lui per poi farmi aspettare un’ora e mezza in sala d’attesa! E non mi ha nemmeno chiesto scusa, lo stronzo!

Un’altra cosa che mi piace dell’ospedale è il cibo, a parte l’ultima volta che ho dovuto ingurgitare omogenizzati diluiti con l’acqua provando tanta pena per quei poveri bambini di pochi mesi che naturalmente li sputacchiano ovunque! Avete mai visto le banane dell’ospedale? Belle gialle, con la buccia perfetta senza nemmeno un’ammaccatura? Mai trovate al supermercato! E il purè? Io lo adoro, non è mai né troppo molle, né troppo duro. Anche la minestra è buona, e soprattutto il thè a colazione, anche se dopo due giorni che bevete quello come colazione, pranzo e cena, comincia un po’ a stufare! Poi va beh…ognuno ha i suoi gusti…personalmente i miei sono un po’ strani dato che due giorni fa di due mense universitarie, con nove primi, non c’era niente che mi andasse a genio, mentre all’ospedale o alla casa di riposo c’è sempre qualcosa di mio gradimento! Sì ok, lo so! Sono strana!

Non ho ancora detto però quali sono le cose che preferisco di più: la prima cosa, la famiglia, la mamma che sta sempre accanto al tuo letto, che ti dedica ogni minuto del suo tempo, che sta sveglia di notte per assicurarsi che tutto vada per il meglio. Poi ci sono i parenti che vengono a trovarti e ti portano sempre qualche piccolo pensiero che ti fa capire quanto ti siano vicini, il cugino che quando eri più piccola ti ha prestato il suo gameboy, nonostante ne fosse gelosissimo, e il cugino più grande che pur di entrare nel reparto di pediatria fuori dall’orario di visita si spaccia per un neo papà di soli ventidue anni che deve dare il cambio alla mamma ( e per fortuna che non si sono accorti che la figlia in questione avesse solo 14 anni!). Poi ci sono i parenti che si perdono tra i corridoi dell’ospedale, quelli che non puoi accompagnare alla porta d’uscita del reparto perché gli infermieri hanno paura che tu possa scappare e quelli che telefonano ad ogni ora e ti fanno i complimenti nonostante tu non abbia fatto praticamente nulla! E infine purtroppo, ci sono anche quei parenti che pur non essendo lì fisicamente, né telefonicamente ti proteggono dal cielo e vegliano su di te in ogni momento dandoti la forza di affrontare tutto con coraggio.

La cosa che preferisco di più in assoluto però, sono le amicizie con gli altri degenti: non dimenticherò mai quanto è bello farsi coraggio a vicenda, regalarsi un sorriso nonostante la reciproca sofferenza, scambiarsi frasi come “non sposare mai un veneto!” o “ ti scrivo io la dieta giusta per te!” E’ straordinario pensare a come siano forti questi legami, nonostante le barriere culturali, come ad esempio il fatto di trovarsi in un’altra regione e avere la vicina di letto che ti parla in dialetto, tu che sorridi e annuisci non capendo assolutamente nulla di ciò che dice, e alla fine ci guadagni in regalo una confettura di marmellata di albicocche fatta in casa.

E’ così triste dover salutare troppo presto quelli che ormai consideravi compagni di sventura, ma non c’è niente che un numero di telefono non possa risolvere, e non c’è niente di più bello che telefonarsi a mesi di distanza per farsi gli auguri di Natale e aggiornarsi sul reciproco stato di salute.

Queste sono le cose che mi piacciono di più dell’ospedale, oltre al fatto che tu non devi fare praticamente niente, nessuno si aspetta qualcosa da te, non hai paura di deludere gli altri, l’unica cosa che devi fare è subire e affrontare tutto con serenità. E sono convinta che quando ci sono le persone giuste accanto a te, niente è mai così brutto, il tunnel è sempre meno buio rispetto a quando lo si attraversa da soli, e quando si riesce ad uscire, magari insieme a tutti quelli che sedevano nel letto accanto al tuo, la gioia è ancora più grande.

E con questo non voglio passare per la ragazza ottimista che ama gli  ospedali, dato che in ospedale come tutti ho sofferto anche io, ho pianto, ho avuto paura, ho provato dolore…ma sapete una cosa? Niente di tutto questo è peggio che vedere uno dei propri famigliari spegnersi pian piano, senza poter fare nulla per alleviare la loro pena… credetemi, io ne so qualcosa, dato che ho visto mio padre e due dei miei nonni andarsene in questo modo, ma forse è proprio per questo che piuttosto di vedere una persona che amo distesa su quel letto bianco, ci andrei io, sperando un giorno di poterne uscire di nuovo.

Con questo breve racconto,  non voglio far scoppiare una rissa tra i pro e contro, né tantomeno essere accusata di insensibilità… voglio solo dire che tutti noi abbiamo paura quando dobbiamo entrare in ospedale, anche se sappiamo benissimo di non avere niente di grave. Dobbiamo sempre trovare la forza dentro di noi di affrontare a testa alta quello a cui andiamo incontro, sforzandoci di sorridere nonostante non sia sempre facile, per noi, ma soprattutto per le persone che ci stanno vicino, che ci vogliono bene e che soffrono il doppio vedendo soffrire noi.

Alla fine, quando staremo bene, potremo ricordare quest’esperienza, che magari si è dimostrata un po’ meno di amara rispetto a come ci aspettassimo, con più sorrisi e meno lacrime, con più speranza e con più amore verso il prossimo. Magari anche con un po’ più di ottimismo, ricordandoci che dietro le nuvole il cielo è sempre azzurro o se preferite una citazione di Tiziano Ferro che “il sole esiste per tutti”.


 
Eccoci in fondo: complimenti davvero a chi è giunto all’ultima riga senza spararsi prima! Posso chiedere ai più generosi di lasciare un piccolissimo commentino? Ho riletto molto in fretta, dato che non ho molto tempo e vi prego di segnalarmi se trovate errori grossolani ( uno lo so già: ho messo un indicativo dove andava un congiuntivo…ma mi suonava meglio!) Mi è balzata in mente ieri questa stramba idea…mi piacerebbe sapere cosa ne pensate... vi pregooo! Ciao ciao!
  
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