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Autore: _Hikari    16/03/2013    2 recensioni
Eppure era lì. Lei era ancora lì. I capelli corvini che le ricadevano sulle spalle, gli occhi color cremisi che scintillavano di una luce genuina, diversa, vera. Lei era vera.
(...)
Non voleva farlo. Non ne aveva alcun motivo. Ma lei, lei, l’avrebbe desiderato. Lei avrebbe sorriso. Lei sarebbe stata soddisfatta.
«Sì, signore». L’uomo indugiò sul volto di Jane: spento, inespressivo. «Benissimo».
Stava mentendo.

{Marcus/Jane; accenni Aro/Jane ♥; storia revisionata.}
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Crack Pairing | Personaggi: Jane, Marcus
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Successivo alla saga, Contesto generale/vago
- Questa storia fa parte della serie 'Imperium sanguis.'
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 ≈ One kiss.

Marcus non parlava quasi mai: riteneva che fosse più saggio tacere.
D’altronde, cosa mai avrebbero contato quelle frasi senza che ci fosse stata Didyme ad ascoltarle?
Niente.
Sarebbero semplicemente state un suono vuoto, privo di significato, una mera futilità.
Ma, una cosa doveva ammetterla, anche quando la sua amata era in “vita” preferiva restare in silenzio e ascoltarla; poteva ancora rammentare il suono della sua voce: squillante, pregno di vitalità, simile al cinguettio di un usignolo.
«Ovvio».
Alzò il capo di scatto, nel tentativo di comprendere la provenienza di quelle parole, i muscoli impercettibilmente contratti.
Aro.
Possibile che fossero così simili anche in quello?
Possibile che dopo tutti quegli anni fosse ancora come una pugnalata? Come se una lama stesse dilaniando le sue membra?
Socchiuse gli occhi per fuggire. Per smettere di vedere.
Eppure era lì. Lei era ancora lì. I capelli corvini che le ricadevano sulle spalle, gli occhi color cremisi che scintillavano di una luce genuina, diversa, vera. Lei era vera.
Udiva il suono sordo dei propri passi sul marmo e la voce, no, non quella di Didyme; quella di Aro, proseguire.
Ma non aveva importanza.
Schiuse gli occhi; la ruvida superficie della carta sotto la pelle.
Lasciò le proprie dita scorrere lungo i fogli. Uno, due, tre.
Si fermò, emanando un sospiro e abbassando lo sguardo.
Chissà se Caius l’avrebbe ucciso nell’eventualità che fosse arrivato senza.
Restò per qualche attimo immobile, sospeso su quei pensieri; a suo discapito conscio della risposta.
Avrebbe sbuffato, forse imprecato ma no, non l’avrebbe fatto. Nessuno l’aveva fatto, nessuno l’avrebbe fatto.
Nessuno avrebbe acconsentito a porre fine a quel martirio.
Si voltò, ripercorrendo il corridoio, gli occhi fissi sulla porta di mogano che lo fronteggiava; la superficie del legno era solcata da rientranze, disposte in modo da formare disegni geometrici.
Suo fratello non si lasciava mancare niente.
Protese il braccio fino a stringere la maniglia d’ottone, sul punto di girarla, quando un rumore lo fece bloccare.
Non era certo del perché lo fece, forse fu a causa dell’immagine di Didyme – fresca, radiosa, adorna di una corona di fiori; le iridi azzurre che scintillavano al chiaro del sole primaverile, simile a una di quelle dee a cui si era prostrato – che si sovrappose al locale, o semplicemente per la sensazione allo stomaco.
Perché lui sapeva.
Per quanto superficiale, sciocco, frivolo, fosse quel pensiero, in confronto al resto, lui sapeva.
Permise ai muscoli di rilassarsi, al suo sguardo d'incontrare quello della minuta figura che lo fronteggiava, appoggiata al muro.
«Stai bene?», ascoltò l’eco delle proprie parole risuonargli nelle orecchie.
Non voleva farlo. Non ne aveva alcun motivo. Ma lei, lei, l’avrebbe desiderato. Lei avrebbe sorriso. Lei sarebbe stata soddisfatta.
«Sì, signore». L’uomo indugiò sul volto di Jane: spento, inespressivo. «Benissimo».

Stava mentendo. Era evidente. Era evidente come il dolore che traspariva da quegli occhi che l’osservavano, incuriositi e irriverenti.
Era evidente dalle mani che tremavano, appena visibili sotto il mantello d’ebano, il quale la faceva apparire ancor più piccola, fragile, vulnerabile.

No, Jane, non stai bene.
Socchiuse gli occhi; c’era un motivo per il quale era lì, eppure non riusciva a rammentarlo.
In quel momento c’era solo Didyme, Didyme e quella ragazzetta dinanzi a lui.
C’erano quelle labbra piene, rosee.

Poi rimasero unicamente i loro fiati che si condensavano, il suo sapore sulla lingua, le sue ciocche di capelli fra le proprie mani.

 

Edit 06/10/2013: in questi giorni sto revisionando alcune storie e “One kiss” è fra loro.
Ringrazio tutte le persone che avevano letto e recensito l’originale. Inoltre, un immenso grazie va anche a chiunque passerà di qui adesso. I pareri sono sempre ben accetti, ricordatevelo.
Non ho molto da aggiungere: Aro ha lasciato Jane per andare dalla moglie, ed eccovi le conseguenze.
Non credo che questa coppia possa avere un futuro, ma mi sono appena resa conto di esserle decisamente affezionata.
Bene, adesso smetto di tediarvi.
Un abbraccio,
Dream.

   
 
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