Marcus non parlava quasi mai:
riteneva che fosse più saggio tacere.
D’altronde, cosa mai avrebbero contato quelle frasi senza che
ci fosse
stata Didyme ad ascoltarle?
Niente.
Sarebbero semplicemente state un suono vuoto, privo di significato, una
mera futilità.
Ma, una cosa doveva ammetterla, anche quando la sua amata era in
“vita”
preferiva restare in silenzio e ascoltarla; poteva ancora rammentare il
suono
della sua voce: squillante, pregno di vitalità, simile al
cinguettio di un
usignolo.
«Ovvio».
Alzò il capo di scatto, nel tentativo di comprendere la
provenienza di
quelle parole, i muscoli impercettibilmente contratti.
Aro.
Possibile che fossero così simili anche in quello?
Possibile che dopo tutti quegli anni fosse ancora come una pugnalata?
Come se una lama stesse dilaniando le sue membra?
Socchiuse gli occhi per fuggire. Per smettere di vedere.
Eppure era lì. Lei era ancora lì. I capelli
corvini che le ricadevano
sulle spalle, gli occhi color cremisi che scintillavano di una luce
genuina,
diversa, vera.
Lei era vera.
Udiva il suono sordo dei propri passi sul marmo e la voce, no, non
quella di Didyme; quella di Aro, proseguire.
Ma non aveva importanza.
Schiuse gli occhi; la ruvida superficie della carta sotto la pelle.
Lasciò le proprie dita scorrere lungo i fogli. Uno, due, tre.
Si fermò, emanando un sospiro e abbassando lo sguardo.
Chissà se
Caius l’avrebbe ucciso nell’eventualità
che fosse arrivato
senza.
Restò per qualche attimo immobile, sospeso su quei pensieri;
a suo
discapito conscio della risposta.
Avrebbe sbuffato, forse imprecato ma no, non l’avrebbe fatto.
Nessuno l’aveva
fatto, nessuno l’avrebbe
fatto.
Nessuno avrebbe acconsentito a porre fine a quel martirio.
Si voltò, ripercorrendo il corridoio, gli occhi fissi sulla
porta di
mogano che lo fronteggiava; la superficie del legno era solcata da
rientranze,
disposte in modo da formare disegni geometrici.
Suo fratello non si
lasciava mancare niente.
Protese il braccio fino a stringere la maniglia d’ottone, sul
punto di
girarla, quando un rumore lo fece bloccare.
Non era certo del perché lo fece, forse fu a causa
dell’immagine di
Didyme – fresca, radiosa, adorna di una corona di fiori; le
iridi azzurre che
scintillavano al chiaro del sole primaverile, simile a una di quelle
dee a cui
si era prostrato – che si sovrappose al locale, o
semplicemente per la
sensazione allo stomaco.
Perché lui
sapeva.
Per quanto superficiale, sciocco, frivolo, fosse quel pensiero, in
confronto al resto, lui
sapeva.
Permise ai muscoli di rilassarsi, al suo sguardo d'incontrare quello
della minuta figura che lo fronteggiava, appoggiata al muro.
«Stai bene?», ascoltò l’eco
delle proprie parole risuonargli nelle
orecchie.
Non voleva farlo. Non ne aveva alcun motivo. Ma lei, lei,
l’avrebbe desiderato. Lei avrebbe
sorriso. Lei sarebbe stata soddisfatta.
«Sì, signore». L’uomo
indugiò sul volto di Jane: spento, inespressivo.
«Benissimo».
Stava mentendo. Era evidente. Era evidente come il
dolore che traspariva da quegli
occhi che l’osservavano, incuriositi e irriverenti.
Era evidente dalle mani che tremavano, appena visibili sotto il
mantello d’ebano, il quale la faceva apparire ancor
più piccola, fragile, vulnerabile.
No, Jane, non stai
bene.
Socchiuse gli occhi;
c’era un motivo per il quale era lì, eppure non
riusciva a rammentarlo.
In quel momento c’era solo Didyme, Didyme e quella ragazzetta
dinanzi a
lui.
C’erano quelle labbra piene, rosee.
Poi rimasero unicamente i
loro fiati che si condensavano, il suo sapore
sulla lingua, le sue ciocche di capelli fra le proprie mani.
Edit 06/10/2013: in questi giorni sto
revisionando
alcune storie e “One kiss” è fra loro.
Ringrazio tutte le
persone che avevano letto e
recensito l’originale. Inoltre, un immenso grazie va anche a
chiunque passerà
di qui adesso. I pareri sono sempre ben accetti, ricordatevelo.
Non ho molto da
aggiungere: Aro ha lasciato Jane
per andare dalla moglie, ed eccovi le conseguenze.
Non credo che questa
coppia possa avere un futuro,
ma mi sono appena resa conto di esserle decisamente affezionata.
Bene, adesso smetto di
tediarvi.
Un abbraccio,
Dream.