Allora,
prima che iniziate la lettura. Questa fanfiction è stata scritta per il concorso 100 parole di Alisya: i termini? Dato un
elenco di parole, utilizzarle tutte in una storia, facendo sì che ciascuna di esse avesse un ruolo rilevante all'interno del racconto
stesso.
Questo è
l'elenco.
- SMAGLIANTE
- CRUDELE
- LUCCICHIO
- NOTTE
- LIBRO
- ANELLO
- FORESTA
- LUCE
- LOTO
- PORPORA
- SANGUE
- SOGNO
- MANI
- GATTO
-
NEVE
Quella
che segue, la mia storia.
Non mi
piace e non mi convince, ma pace. Risale comunque a
maggio, cioè un po' di tempo fa. Spero la prendiate un po' alla leggera, tutto
qui.
Ja ne, RoSs
White As Snow
Puntuale come un orologio, Sirius
Black s’era alzato dalla sua poltrona in Sala Comune.
Il pendolo dietro le sue spalle aveva annunciato – con
la solita pomposa eleganza – l’arrivo delle dieci di sera. Dunque,
per Sirius era arrivato il momento di dedicarsi al
suo impegno quotidiano: deliziare i suoi compagni di Casata. E
quando un Black si metteva d’impegno nel realizzare qualcosa, i risultati erano
a dir poco sorprendenti.
Questa volta Sirius pareva aver
trovato una vera e propria leccornia. La pergamena che teneva in mano sapeva
vagamente di gelsomino: l’aroma delicato del fiore si spandeva spumeggiante per
tutta l’area della Sala.
- Ehm. – si schiarì la voce, attese il silenzio. – Come solo il Loto apre i suoi petali alla notte, schiudi la tua bocca incontro al mio respiro… -
Quello di Peter Minus non fu l’unico sopracciglio ad incurvarsi. Anche James Potter
doveva aver intuito il potenziale inesploso di quella lettera romantica: per
una volta, infatti, stava cercando di interrompere il suo migliore amico.
- Ehi, Black! –
- Sì? –
- Sei a corto di roba divertente, e ti sei messo d’impegno
per inventare questa robetta? –
Messaggio recepito. James non
poteva dire d’esser convinto di aver fatto ricorso al
metodo più saggio e previdente del mondo, ma perlomeno aveva ottenuto l’effetto
sperato: due secondi dopo, le mani di Sirius erano
saldamente ancorate attorno al suo collo, e la poesiola
dimenticata in chissà quale angolo della stanza, probabilmente sotto il mobile.
- I soliti stupidi, pezzenti, idioti mocciosi. –
Quello che non aveva considerato – oltre all’occhio nero e
al labbro contuso – era l’ormai prevedibile sesto senso che Lily Ero Evans sfoderava nel
riconoscere le loro zuffe anche a metri di distanza.
- Evans! – cinguettò.
Lei lo squadrò come si squadra un
millepiedi con molte zampe nella fossa: facendolo sentire un miserabile.
L’altro ovviamente non ci fece troppo caso, ma anzi: trotterellò di fianco a
lei rovistando nella tasca destra dei pantaloni, sorridendo in maniera sempre
più imbarazzante.
- Ecco Evans, guarda! Non
stupendo? È tutto per te. –
Esibiva un anello in semplice argento – o simili – ornato
da un paio di pietruzze colorate. Lily valutò il prezzo del suddetto e
considerò che non poteva essergli costato più di un
paio di falci. Forse.
Comunque, si sforzò di mostrare un sorriso
smagliante per compiacerlo: - Oh, Potter, che dolce!
Certo, un pezzente ed idiota, ma molto dolce. –
Lui pareva non ascoltarla nemmeno. Si era fissato su quel
sorriso che pareva brillare di luce propria, emanando un alone esasperante
d’amore e felicità. Si sentì riscaldato dal profondo del suo cuore, come se il
sangue dentro le sue vene fosse improvvisamente
diventato bollente.
Si voltò un paio di volte su se stesso, cercando quella
dannatissima poesia che Sirius aveva composto: in
fondo non era nemmeno così tanto male. E chissà, avrebbe potuto usarlo per tornare ad ammirare quel
viso smagliante.
- Evans, davvero? –
- Ma certo che sì! – Lily si
trastullò con l’oggettino tra le mani, rigirandolo fra le dita. Infine se lo
mise all’anulare destro. – E’ davvero un pensiero così… -
Improvvisamente il suo viso – come se qualcuno l’avesse
trasfigurato – mutò. – Patetico. –
E lo colpì nel bel mezzo della
fronte proprio con l’anello adattato a provvisorio sperone. – Cinquanta punti
in meno per Gryffindor, Potter.
– sentenziò.
***
Quando James Potter si svegliò nel lettino dell'infermeria, piccole
gocce di sudore schizzarono impazzite verso i piedi del suddetto; graziose
macchie d'umido picchiettarono il lenzuolo d'un delicato azzurro.
- Uh, Ramoso, sei da buttare. -
- James, come ti senti? -
Si sentiva uno schifo. Gli pareva ancora di scorgere i
multiformi riflessi della pietruzza incastonata sulla sommità dell'anello
dipingersi sulla sua cornea, e infine infrangersi sulla sua
fronte. Percepiva chiaramente il dolore causato dalla pietra, la spaccatura
netta alla base del collo che aveva preceduto il capogiro e infine lo
svenimento.
Sangue. Il suo sangue rappreso
sul pavimento, nell'opera d'arte che la stessa Evans
aveva dipinto per lui, come ultimo regalo d'addio.
- Sangue! - urlò.
- Niente paura Jamie, hai la
testa troppo dura, per quello. -
Ma l'immagine era vivida nella sua mente, il ricordo
troppo forte per poterlo cancellare, o per poter dar
retta a Sirius - in ultima analisi, era Sirius.
Siuris che non aveva
esitato a mettergli le mani al collo qualche ora prima, Sirius
compagno di disordini e rivolte. Insomma, lui.
- Voglio dire, sangue!! -
Si rivoltò su un lato e si lasciò andare ad una piacevole
fitta che gli aveva preso lo stomaco e la gola. - Che schifo.
- commentò Peter.
- Potter. Le mie scarpe. - ne
commentò un'altra. Era più pacata, sicura, dal tono
scuro.
James realizzò di aver appena vomitato
sulle preziose scarpe di un'elegante damina bionda.
Alzò gli occhi. Li spalancò.
Il mugolio di Lupin, in sottofondo,
fu un commento così adatto e appropriato che probabilmente l'altro - se ne avesse avuta la facoltà - gli avrebbe fatto un applauso.
Se solo non fosse stato per la damina, le scarpe, e il vomito. Che
stava sulle scarpe della damina.
- Potter, voglio una spiegazione
e la voglio ora. -
Lui fece per aprire bocca, lei lo
interruppe. - E se stai per vomitare di nuovo,
sei pregato di guardare dritto davanti a te. Perché si dà il caso che le scarpe
che hai appena indelebilmente macchiato fossero un regalo per il mio
compleanno, cioè ieri. - il tono era rimasto immutato
per tutto il discorso, piatto e sibilante come un fischio asmatico.
- Wow. I polmoni. -
- Sirius. -
- Eww, scusa, scusa.
-
- Allora, Potter? -
Lei non si era mossa dalla sua posa, le mani rigidamente
strette in un nodo dietro alla schiena. Era vagamente sospetta. James inchiodò i suoi occhi dove approssimativamente
dovevano essere giunte le sue mani.
- Stai guardando la mia pancia, Potter?
Un solo commento su qualcosa di non gradito, e potrei non rispondere di me. Io sto aspettando. -
- Cosa nascondi dietro alla
schiena? -
La domanda non la colse impreparata: evidentemente doveva
aver capito che lo sguardo del ragazzo non si era fermato al davanti, ma era
filtrato fin alla schiena. Lei piegò elegantemente un sopracciglio e schiuse
appena la bocca.
- Come prego? -
- Hai qualcosa dietro alla schiena, ovviamente. -
- Ovviamente, Potter. Ma stavamo parlando di scarpe, di compleanni e di vomito.
Più precisamente, del tuo vomito sulle mie
scarpe. Dunque, perdonami se mi riporto a questi per
incitarti. -
- Diomio. Tutto questo tuo
parlare senza fiato mi sta facendo voglia di vomitare. E
il tuo vestito è sulla traiettoria sbagliata, mia damina.
-
- Sirius!! -
- Aa, sì Remus,
sì. -
- Black. Incredibile quanto si possa
apparire irritanti con così poche parole. -
Il ghigno di Sirius si estese al
pari del broncio della ragazza. - Altrettanto, Black.
-
I due cugini si osservarono per qualche istante. Nel
frattempo, James vomitò ancora. Nell'encomiabile
tentativo di ripetere il centro precedente, cadde rovinosamente dal letto,
rotolando fino ai piedi della damina.
- E' quello, Black? Il fogliettino che nascondevi così caparbiamente? -
Lei lo fissò, il volto vagamente concentrato sull'ammasso
di gambe e braccia e occhi ai suoi piedi. - Come sei piccolo da quassù, Potter. -
- Stai evitando il discorso, Black?
-
- Ti sto ignorando. Credo sia diverso. -
- Ragazzi, ragazzi, siamo in
infermeria. - intervenne Remus, poggiando una mano
sulla spalla di Sirius, e scrutando gli altri con
fare vagamente minaccioso.
- Pensavo in un centro di recupero per minorati mentali. -
puntualizzò lei.
- E tu allora che ci fai qui? - Potter alzò gli occhi su di lei, un sorriso innocente a
condirgli il viso. Schifosamente artefatto, ma dannatamente
veritiero.
- Vengo a farmi recuperare, ovviamente. Dopo una
chiacchierata con voi, mi pare il minimo. - sembrò pensarci un attimo, infine
aggiunse - Il mio innato senso dell'umorismo mi suggerisce che stiate per chiedermi qualcosa a cui non potrei non
rispondere, se non in maniera volgare. Dunque, me ne
tornerò al mio dormitorio. -
La serpe voltò le spalle al gruppetto, silenziosa e
letale. Scomparve dietro la porta in un fruscio di stoffe - e un inquietante
rumore di sottofondo, rimasuglio della cortesia di Potter.
Sirius ghignò. - E' stato un piacere,
cugina. -
Narcissa Black
voltò la testa verso di lui ma leggermente oltre, e chinò il capo. Gli occhi
argentati scintillarono.
D'improvviso James capì che
cos'era quello che Narcissa stava così poco
tranquillamente nascondendo: era lo stesso biglietto che Sirius
aveva tenuto in mano fino a poco tempo fa.
***
- Tua cugina è spaventosa. -
- Esagerato. -
- Dico sul serio. - gli occhietti scuri di Peter fremettero sotto il peso dello sguardo di Sirius, argento brunito unito a notte. - Non credo che
potrò muovermi da qui. Quel luccichio crudele nei suoi occhi mi ha terrorizzato, mi hai inchiodato al pavimento, ridotto al
silenzio. -
- Come sempre, uh? -
- Ad ogni modo, starò qui. -
Sirius, incredibilmente, poteva dirsi
quasi d'accordo con il detestabile Peter, almeno per
quella volta. Gli occhi di sua cugina erano dello stesso colore dei suoi, ma
nascondevano l'inquietante capacità di ridurre l'interlocutore al silenzio più
assoluto.
Lui stesso ne era stato vittima
inconsapevole, quando ancora frequentava la casa in cui era nato, e si
addentrava nei labirinti oscuri del maniero. Li ricordava scintillanti al buio,
consapevoli e crudelmente reali: era sempre lei che lo ritrovava, quando si
smarriva.
Erano luce nel buio, un faro di stelle
nell'oscurità. I suoi occhi brillavano come se nella vita non avessero mai
dovuto fare altro.
Eppure Sirius sapeva quanta
crudeltà ci fosse dietro a quel viso spavaldo. Quanta ne avessero provocata, e contemporaneamente subita.
- Sirius? - Remus
lo risvegliò dal suo torpore. - Sirius, dobbiamo
andare. L'infermeria sta per chiudere i battenti. Lasciamo qui James e Peter, torneremo a
trovarli domani mattina. -
- Sì. -
- A cosa pensavi? -
- A mia cugina. -
Il volto di Remus ebbe un
fremito inconsapevole, o forse eccessivamente trattenuto. Black
lo guardò con espressione a metà tra il seccato e il perplesso. L'altro,
immediatamente consapevole della propria mimica, si ricompose in meno di un
attimo. - Narcissa? -
- Già. -
- E' stato strano, vederla fuori dal
contesto in cui vive solitamente. -
Si stava sicuramente riferendo al viso meno teso e rigido
rispetto al normale. Narcissa era nata in un mondo in
cui la perfezione e il modo d'essere potevano e dovevano contare molto, fin
troppo. Per cui, l'aspetto che la ragazza ostentava era
sicuramente figlio dell'ambiente in cui era nata e vissuta.
- Mia cugina è come un gatto. Adattabile: rinchiudila in un
appartamento, e dormirà sui cuscini. Ma falla vivere
all'aperto, ed ecco che girerà a muso alto ovunque, dormendo nei peggio
anfratti della terra. Lei non è mai quello che sembra. L'hai vista in
infermeria più sciolta, perché sa bene che noi Gryffindor
non sappiamo reggere il comportamento tipico degli Slytherin. Ma aspetta solo di
ritrovarla tra le sue serpi, e vedrai il volto che vuole mostrare in
quell'occasione. -
- Cane e gatto. -
- Cosa, Remus?
-
- Cane e gatto non vanno d'accordo, vero? -
Sirius alzò le spalle, ignorando volutamente
l'espressione triste e abbattuta del suo amico. Per qualche strano motivo,
aveva sentito l'urgenza di allontanarsene, di schivare il discorso. Si sentì in
colpa, ma non così tanto per costringersi a ritornare
sulla questione. Alzò gli occhi al soffitto e si concesse un sospiro. - Chissà che ci faceva qui. -
- Doveva portarmi questi. -
Tra le mani c'erano due libri antichi, dalle copertine
porpora rovinate dal tempo e dall'umidità della
libreria in cui dovevano esser stati custoditi.
- Narcissa Black
ti ha portato dei libri? -
- Sì, gliel'ho chiesto io. - Remus
alzò le spalle. - Mi serviva un libro sui mannari, e uno sull'assideramento. Ed eccoli qui. -
- Tu sei pazzo, LunaStorta. Chiedere un favore a quella… quella serpe. -
- Sai benissimo che la biblioteca della tua famiglia è la
migliore di tutto il continente, Sirius. E poi non vedo perché dovrebbe chiedermi qualcosa in cambio.
-
- Ma potrebbe sospettare
qualcosa! -
- Sciocchezze, Sirius. Sai
benissimo che la fama di studente modello mi precede di qualche chilometro quando cammino, ormai. Non sospetterà nulla: dove
sta il segreto, se un alunno capace vuole documentarsi più attentamente che può
sui lupi mannari? -
Il luccichio dei suoi occhi spaventò Sirius,
che arretrò. - Sei solo un idiota, ecco cosa. - sibilò. - Accidenti a te, LunaStorta, dopo tutto quello che
abbiamo fatto per aiutarti! -
- Sirius… -
- No, niente Sirius! Niente Sirius, Sirius per niente! -
Era agitato, e Remus non
riusciva a capire che cosa esattamente nel suo discorso lo avesse messo così tanto in fibrillazione. - Adesso Sirius
se ne va a dormire, ecco cosa! -
- Aspetta! - niente da fare: il tempo di
tendere una mano per cercare di afferrarlo, e quello se n'era già andato,
sbattendo i piedi per terra come un bambino offeso. Sospirò. Doveva
ancora capire che diavolo gli era preso.
Tanto, cercare di farlo ragionare in quel momento sarebbe
stato assolutamente inutile. Con la testa quadra che si ritrovava, prima che un
raggio di luce potesse tornare a fendere quel buio ostile, ci sarebbero volute delle ore, se non dei giorni. Con buona pace della riottosa anima Black, Remus non aveva alcuna intenzione
di farsi picchiare a sangue per un motivo che gli appariva - sebbene non
sapesse esattamente cosa fosse - futile e sciocco.
Oltretutto - se ne ricordò solo ora - quella notte ci
sarebbe stata luna piena: sentì il panico invadergli fastidiosamente la mente.
Non riusciva a ragionare con la solita freddezza che gli
era usa in ogni situazione: e senza la sua arma letale
e smagliante, la mente, era come perduto.
L'unica cosa che emerse dal buio
della sua razionalità fu che doveva allontanarsi dal castello il prima
possibile, e mettere al sicuro i suoi compagni di scuola. Cercò di capire chi avrebbe
potuto aiutarlo, ma niente. James e Peter erano chiusi in infermeria.
Sirius di certo non l'avrebbe aiutato,
ora come ora.
Si slanciò fuori dal castello in
una corsa senza alcun riposo, lasciandosi alle spalle ogni traccia di civiltà
umana, cercando disperatamente di ritrovare la strada per il nascondiglio alla
Stamberga, sotto il Platano picchiatore.
Nulla: era solo e vulnerabile.
All'improvviso un luccichio argentato richiamò la sua
attenzione. Proveniva dall'interno della foresta, ed era lì che stava
scomparendo.
Immediatamente, lo seguì. Lo seguì col cuore a mille. Solo
quando si accorse di non poterlo più riconoscere, capì di essersi perso.
La notte gli aveva confuso il pensiero. Il suo olfatto da
lupo seguiva altre tracce che non erano quelle che il suo
cervello voleva e poteva seguire. Non gli rimase che addentrarsi all'interno
della foresta, e accucciarsi in un piccolo avvallamento ricco di foglie ormai
marce.
Chiuse se stesso dentro la propria mente.
Poi iniziò il dolore.
***
Nel sogno, il luccichio tornò a
far visita alla sua mente, brillante come solo una proiezione mentale poteva
essere. Nonostante tutto, non riuscì a convincersi totalmente di
quell'illusione, e rimase ancorato alla luce, mentre fitte di dolore gli
scuotevano tutto il corpo.
Era lì, era presente.
Tutto d'un tratto, nella
penombra, vide spuntare un gatto dal pelo bianco e gli occhi d'argento. Quel
luccichio tanto amato…
Gli occhi del gatto soffrivano, lo
riducevano ad un impietoso stato emotivo. Aveva paura per quel gatto. Perché lui, i n quanto lupo, sentiva il bisogno di
cacciarlo.
- Vai via! - urlò a pieni polmoni, il fiato rotto dagli
spasmi. - Stammi lontano, ora! -
Il felino lo fissava con pietà. L'argento dei suoi occhi,
crudele e brunito, scintillava nel buio come le stelle nel cielo. Era l u c e pura, fatta di piccoli diamanti.
Al suo collo, un collare porpora,
tempestato dai rubini più preziosi a brillanti che avesse mai visto. Quel dettagliò
lo catturò. Poi tornò a fissare i suoi occhi.
- Oh… - rantolò lui. - Ti prego, scappa… -
Il sogno cambiò di nuovo, e davanti a lui ci fu Narcissa, bella e algida come una regina. E quella collana, con un rubino porpora a forma di cuore che
pendeva sul suo collo. Gli occhi d'argento erano come
quelli del gatto, erano quelli del gatto.
- Noi non siamo come cane e
gatto, Remus. - sussurrò nella notte. - Noi siamo
affini per nostra natura. Non importa cosa sei… -
- Narcissa… -
- Svegliati! Remus! -
Remus si svegliò.
- Remus, vecchio scimunito! Remus! - la voce che lo chiamava non era così melodiosa come
quella che l'aveva indotto alla tentazione. Eppure era
così profonda che l'aveva scosso dal sonno.
- Remus, muoviti. Dobbiamo andarcene, sta nevicando. Moriresti
di freddo, lo sai, forza! -
- James…? -
- Certo che sono James! Chi è
l'unico amico fidato e cretino che viene a salvarti nel mezzo di una foresta, e
del fango? -
La voce di Potter risuonava
furente tra gli alberi, amplificata dall'eco. Remus
si scosse, alzandosi in piedi. - Ma… mi hai seguito? -
James roteò gli occhi. - Ovvio che ti
ho seguito. Ho visto in mano a Narcissa Black quel biglietto che solo tu potevi aver scritto, così
mi sono incuriosito e sono sgattaiolato via dall'infermeria per seguirti. Ti ho
sentito litigare con Sirius, ma poi ho perso le tue
tracce, fino a che un dannato gatto bianco non mi ha morso alla caviglia,
convincendomi a seguirlo. E mi ha portato fin qui. -
Un gatto bianco? Le coincidenze erano decisamente
troppe.
- Ah. - scivolò nel fango. - Aiutami, James…
ho visto una luce e mi sono perso, forse erano lucciole.
-
- Tutto per colpa di un fiore di loto. - imprecò l'altro.
- Dannazione, non sarò mai più romantico, in tutta la mia vita. -
Remus, per quanto improbabile che
fosse, rise. - Uno scrittore italiano antico chiamava il fango loto. Non è…
curioso? -
- Da morire. - l'ironia era evidente, e Remus decise saggiamente di chiudere la bocca. - E adesso? -
L'altro si scosse nelle spalle, lasciando che i fiocchi di
neve si scuotessero dal suo mantello, cadendo infine a terra. Se non fossero stati nei guai, probabilmente Remus l'avrebbe trovato un momento stupendo. - Adesso
seguiamo le tracce che ho lasciato per venire e -
Se non fosse che la nevicata aveva
cancellato ogni forma di traccia sul terreno in meno di cinque minuti. I due si lasciarono andare ad una colorita serie di imprecazioni.
La notte era scura e minacciosa. James,
infastidito, cominciò a trascinare l'amico dietro di sé, camminando a passo
spedito. - Forza, prima di morire assiderati… -
- James, attento all' -
Il suono dello scontro fra la testa di James
e il tronco dell'albero nascosto dal buio risuonò violento all'interno della
piccola radura. Il Gryffindor si accasciò al suolo
senza emettere un singolo lamento. Probabilmente, aveva ribattuto la testa
proprio nello stesso punto in cui
Che destino crudele.
Poi sentì le membra intorpidirsi, e gli occhi chiudersi.
Si lasciò andare al suolo.
***
- Remus? -
Aprì un occhio di controvoglia. Il soffitto bianco della
stanza l'accecò per qualche breve istante. Serrò le palpebre. - Remus, apri gli occhi. -
Era Sirius. Il tono petulante e
spavaldo poteva essere solo il suo. Stranamente, non era più in collera con
lui.
- Mhh, Sirius…?
-
- Avanti, Remus. Degnaci della
tua presenza. - alla fine, si costrinse ad aprire gli occhi, per posarli su
quelli argento di Sirius, che stranamente gli sorrise. Un sorriso gentile che lo rincuorò e lo
convinse a rilassarsi.
- Ma come…? -
- Vi ha trovati lei. -
Con una mano, indicava alla sua sinistra. L'altro fece
scivolare lo sguardo sulla figura elegante di Narcissa
Black che sorrideva sorniona, come un gatto, verso di
lui. - Buongiorno. -
Lui ricambiò il saluto.
Sirius continuò. - Stava passeggiando
nel bosco e vi ha trovati, tu e James,
praticamente assiderati. Vi ha guarito con non so quale pozione maledetta, e ha
chiamato rinforzi. -
- Era veleno, ma è grazie a quello che sono
salvi. - la voce di lei era controllata, così diversa
da quella nel sogno. - Le lacrime di gatto sono un potente veleno riscaldante.
- sussurrò.
Remus sorrise. Avrebbe dovuto capirlo
prima.
- Come nel libro, vero Remus? -
- Certamente, Narcissa. -
Lei si chinò su di lui, sporgendosi oltre il letto per
afferrare i due libri che gli aveva prestato. Remus piantò lo sguardo sulla copertina porpora.
Come il collare.
E la sua collana.
- Allora, a presto.
- disse.
- Sicuro. -
Sirius osservava la scena con l'evidente
convinzione che qualcosa non stesse andando per il verso giusto. Peccato che il qualcosa continuasse a sfuggirgli.
Remus ghignò
soddisfatto. Quando lo sguardo gli cadde sulle coperte, vi trovò poggiato
con delicatezza un pelo di gatto.
Bianco come la neve.
Owari.