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Autore: IronicNarwhal    16/03/2013    8 recensioni
[Prima storia della serie Inscriptions]
Sherlock Holmes aveva incontrato esattamente ventiquattro John nella sua vita. Erano stati tutti lo sbagliato John. Si era stancato di aspettare, fissando la scritta sul suo dito e chiedendosi quando il suo John sarebbe apparso, se mai lo avesse fatto.
[SoulBond!AU]
[SoulMate, Anime Gemelle, Anelli simbolici]
[Sherlock/John principale, cenni di Mycroft/Lestrade]
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson , Lestrade , Mycroft Holmes , Sherlock Holmes
Note: AU, Traduzione | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Inscriptions'
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Note:

Questa storia è una traduzione di cui potete trovare l'originale qui -> AO3 oppure qui -> fanfiction.net

Non scrivo/traduco a scopo di lucro ma solo per piacere mio e nella speranza che qualcun'altro possa godersi questa storia.

I personaggi appartengono a Sir Arthur Conan Doyle, Mr Moffat, Mr Gatiss

 

 

Finding John di IronicNarwhal 

traduzione di Myreen

 


Sherlock Holmes ha incontrato esattamente ventiquattro John nella sua vita. Potrebbe elencare ognuno di essi, organizzarli per cognome, per nome e cronologicamente per incontro. Ognuno di essi era stato lo sbagliato John, ovviamente, ma questo non aveva fermato Sherlock dal registrare meticolosamente tutto quello che sapeva di loro perché, alla fine ad un certo punto, essi avrebbero potuto essere. Fino al momento in cui si rendeva conto che mostravano un troppo scarso interesse per lui, perché il suo nome potesse essere impresso all’interno del loro anulare destro.

Sua madre è sempre stata costernata per il nome terribilmente comune sul dito di Sherlock. Uno incontra un John praticamente ogni giorno, dice, e il peso di così tante delusioni grava pesantemente su suo figlio, lo sa. Quando ci pensa, fa girare l’anello che copre quello che Sherlock sa essere il nome di suo padre, all’interno del suo anulare sinistro. Qualche volta, ancora le capita di togliere l’anello e fissare tristemente le sottili lettere blu che compongono Percival. Lo aveva mostrato a Sherlock una volta, quando era molto piccolo, ma poi non l’aveva più fatto da allora. È qualcosa di profondamente privato, l’inscrizione dell’Anima Gemella di qualcuno, la Soul Bond Inscription (abbreviato SBI quando appare su documenti come censimento, certificati di nascita e passaporti) ed è un tabù sociale per chiunque, eccetto i parenti e la propria Anima Gemella, vederla.

Quando un bambino nasce, il nome è troppo piccolo per essere visto ad occhio nudo, così i dottori usano una lente di ingrandimento per riuscire a vedere il nome per le necessarie registrazioni. Quando un bambino raggiunge l’età di quattro o cinque anni, riceve il suo primo anello. Gli anelli dei bambini sono solitamente in plastica e di qualsiasi tipo di colore. È possibile che due Anime Gemelle si incontrino quando sono ancora dei bambini, il che è molto raro, ma può succedere; continueranno ancora ad indossare anelli da bambini fino al loro sedicesimo compleanno, a quel punto indosseranno gli anelli oro per le coppie Legate. In ogni caso, all’età di sedici anni molte persone cominciano ad indossare gli anelli argento, ad indicare che non sono legati, ma in fase di Ricerca.

Nel triste caso in cui una donna o un uomo diventi vedovo, indosseranno un anello nero.

Tutta la faccenda della SBI è così privata che persino i fratelli non sono soliti essere a conoscenza dell’informazione, eccetto in casi di fratelli molto più grandi. Sherlock non aveva mai conosciuto il nome dell’Anima Gemella di Mycroft finché il fratello non l’aveva incontrata, abbastanza per caso, un giorno e interamente grazie a Sherlock.

Quando Sherlock aveva sedici anni, passava l’intera estate mandando lettera dopo lettera a Scotland Yard con i crimini che aveva dedotto, e rompendo le scatole a ogni corrispondente, definendo l’intero corpo di polizia come un branco di deliranti buffoni. Un giorno, un Detective Investigativo ne ebbe le scatole piene e spedì uno dei suoi subordinati a fare una ‘chiacchierata’ con Sherlock. Greg Lestrade era un Sergente Investigativo che aveva appena raggiunto quel rango, e lo sfortunato che venne incastrato per quel compito.

Era stato Mycroft ad aprire la porta. Sherlock aveva urlato il nome del fratello nel corridoio e questo era tutto perché, onestamente, quante persone hanno nome Mycroft? Di sicuro non molte, e quando quel Mycroft ha il tuo nome impresso sul suo anulare sinistro, questo semplicemente conclude l’affare. Cacciarono Sherlock fuori dal corridoio, così che potessero rivelarsi a vicenda la propria SBI, per assicurarsi che fossero dello stesso colore (e lo erano, giallo canarino) ed una volta che fu confermato, passarono le successive quattro ore camminando in giro per il terreno di Holmes Manor, parlando incessantemente.

Greg non fece mai a Sherlock quel rimprovero.

Sherlock passa due anni osservando gelosamente da diedro le quinte Mycroft fidanzato e corteggiato da Greg (il quale, come favore a Mycroft, aiuta Sherlock ad avere acceso alle scene del crimine per indagare), il tutto culminante in un matrimonio estivo, l’anno in cui Sherlock compie diciotto anni. Passa i successivi tre anni all’università, proseguendo negli studi accademici, e spende ogni notte, da quando aveva compiuto sedici anni, fissando il nome sul suo anulare, quell’unica parola vergata in lettere arancioni, chiedendosi quando il suo John l’avrebbe trovato e provato che lui era amabile, o al massimo almeno piacevole.

Stava diventando disperato. A diciotto anni si è giovani per incontrare la propria Anima Gemella, ma a questo punto Sherlock stava iniziando a dubitare che avrebbe mai conosciuto il suo John. Non quando ne aveva conosciuti dieci di essi in tre anni all’università e aveva noiosamente cercato di avvicinarsi ad ognuno di loro prima di realizzare che non erano il suo John. Non quando il nome Sherlock non faceva immediatamente allargare i loro occhi e le loro labbra non si incurvavano in un sorriso involontario, allo stesso modo in cui Sherlock non poteva far a meno di reagire tutte le volte che incontrava un nuovo John.

Subito dopo il matrimonio di Mycroft e Greg, Sherlock incontra un ragazzo di nome John Wilkes, il quale preferiva farsi chiamare con il suo secondo nome, Sebastian. Sebastian è affascinante e alto e divertente e intelligente, e tutte le cose che Sherlock aveva immaginato la sua Anima Gemella sarebbe stata. Non conferma mai a Sherlock che il suo nome sia quello sul suo dito, coperto da un anello argento ultra ornato, il quale, Sherlock deduce immediatamente, deve essere un cimelio di famiglia, come quello che Mycroft ha indossato prima di sposarsi, lo stesso che Sherlock ora indossa. Tuttavia Sherlock pensa sia implicito, poiché Seb lo porta ad appuntamenti, lo presenta ai suoi amici e gli sorride. Sherlock fluttua in un’inebriante gioia che gli da’ alla testa per tre intere settimane, finché una notte Seb cerca di prendere la sua verginità.

Fortunatamente, Sherlock rinsavisce prima che Seb abbia effettivamente un’opportunità, e gli chiede di togliersi il suo anello prima di fare sesso. Uno semplicemente non fa sesso con qualcuno che non è la sua Anima Gemella. A volte, alcuni non fanno sesso prima di essere sposati, anche se questa è diventata velocemente una pratica arcaica, seguita soltanto da persone profondamente spirituali o tradizionaliste. Sherlock sa dai fatti che Mycroft e Greg non avevano aspettato.

Quando Sherlock strappa via l’anello, per vedere il nome Lisa, in un blu notte, dove l’anulare di Seb diventava il suo palmo, lancia l’anello decorato del bastardo fuori dalla finestra, così avrebbe dovuto farsi la camminata della vergogna fuori dal dormitorio, con la SBI in bella mostra e la testa bassa con una orrenda impronta di una mano dimensioni-Sherlock-Holmes sulla sua guancia destra. Sherlock, nel frattempo, si accartoccia su un lato, attirando il cuscino a sé in un abbraccio, cercando di ignorare la stretta al cuore nel suo petto.

Passa una notte insonne, cercando di cancellare John Sebastian Wilkes dalla sua memoria. Non funziona.

Fu circa a questo punto che comincia a domandarsi se il suo John sia effettivamente là fuori, o se il suo John sia già morto, lasciando Sherlock senza Anima Gemella. Si convince che Londra non è poi così grande, e sicuramente qualcuno con un nome così strano come Sherlock impresso sul suo dito dovrebbe averlo già trovato, se ci ha provato abbastanza strenuamente. C’erano siti web interamente dedicati alla Ricerca della propria Anima Gemella. Forse, solo forse, il suo John non vuole trovarlo.

Cade in depressione. La cocaina, scopre, lo fa dimenticare. Così ne spinge nel suo corpo quanta più possibile. Comincia ad indossare un anello nero per convincere se stesso che lui non ha nessun’Anima Gemella. Si dice che il John per cui ha passato così tanti anni di ricerche era nato morto. Non aveva nemmeno mai saputo di avere il nome Sherlock impresso sul suo dito.

L’ultima goccia, evidentemente, è quando comincia a presentarsi sulle scene del crimine strafatto. Greg gli dice di andare a casa e non tornare finché non sarà lucido. Poi, alcune settimane dopo, si sveglia in un ospedale, e Mycroft lo sta fissando così arrabbiato. Gli inveisce contro, gli dice che è uno stupido, che ha solo ventidue anni e stava per uccidere se stesso, pensa alla mamma, pensa a me, pensa alla tua povera Anima Gemella. E perché, ti prego dimmelo, stai indossando un anello nero?

“La mia Anima Gemella,” dice, “è morta per me”. Poi si gira dall’altra parte e si rifiuta di avere altri visitatori. Quando scopre che uno degli infermieri che si stanno prendendo cura di lui si chiama John, chiede che venga scambiato con qualcun altro, anche se l’infermiere chiaramente indossa un anello oro e, per un brevissimo istante in cui l’anello scivola mentre gli stava sistemando la sua flebo, sa che il nome sul dito dell’infermiere è Deborah, o al massimo un nome che inizia per D.

Si disintossica. Poi ci ricade. Quindi si disintossica di nuovo, dopo un'altra overdose. Passa per lo stesso ciclo tre volte, prima che, un giorno, Greg vada a fargli visita nel suo appartamento, con una bambina piccola in braccio. Sherlock la fissa per un momento, prima di domandare: “Cos'è questo?”

“Questa è una bambina”, dice Greg, in un tono terribilmente familiare. Il tono che Sherlock assume quando parla con gli altri membri del genere umano. Sei così tremendamente stupido, quindi lo dico lentamente. Lo fa incazzare che Greg abbia assunto quel tono con lui, ma non può dire nulla perché Greg continua: “Il suo nome è Caroline”.

“E?”

“È tua nipote”.

Gli occhi di Sherlock si allargarono. “Cosa? Quando questo è successo?”

“Mmm... Circa venti mesi fa”. Greg la tira ulteriormente su sul suo fianco, e i suoi occhi sono stranamente grandi e grigi, osservano la stanza con troppa intelligenza. Sherlock si rende conto di colpo che la bambina ha occhi Holmes, il che può solo significare che Mycroft ne è il padre.

“Chi è la madre?”

“Mia cugina”. Questo spiega perché somigli tanto a Greg di viso.

“Perché l'hai portata?” chiede Sherlock, apatico. Nemmeno sapeva che suo fratello avesse una figlia.

“Due ragioni. Mycroft è nello Zimbabwe e la sua babysitter è malata, e per mostrarti il genere di cose che ti perdi quando sei così strafatto(1)”. Greg lo fissa per un momento prima di aggiungere: “Ha quasi due anni, Sherlock, e non ha ancora nemmeno mai incontrato suo zio.”

“Cosa ti fa pensare che questo potrà in qualche modo convincermi a smettere?” domanda Sherlock “Se pensi che tutto ciò si concluderà con un assalto di sentimentalismo e rimpianto così forte da ribaltare la mia intera vita, sei penosamente in errore”.

“Quante volte mi hai visto in questi ultimi due anni, Sherlock?” chiede Greg. Sherlock si limita a scrollare le spalle. “Dozzine, giusto? Se il tuo cervello avesse funzionato come era solito fare, saresti stato capace di dire cosa mi stava succedendo solo guardandomi. Che ero stato sveglio tutta la notte con la bambina, che mi aveva vomitato addosso la mattina, che aveva cominciato a mettere i denti e deciso che mordere le mie dita fosse la cosa migliore da fare. Quando io e Mycroft avevamo liti da deprivazione di sonno. Ma tu non hai notato nulla di tutto ciò. Ti dici che la cocaina ti aiuta a pensare. Caroline è la prova che non è così”.

“Mi aiuta a dimenticare”, si difende Sherlock.

Greg rotea gli occhi. “Dimenticare cosa? Onestamente, Sherlock. Hai solo venticinque anni. Hai l'intera vita d'avanti a te. Smettila di pensare a quei bastardi all'università e comincia a pensare a te stesso. Sarai morto, prima dei trent'anni, Sherlock. Per un'overdose o per non esserti preso cura di te stesso o per una lite col tuo spacciatore o per qualcosa. Per favore, non fare di me quello che dovrà dire a Mycroft che sei morto. Per favore”.

“Parla?” mormora Sherlock, invece di rispondere a quello che ha detto Greg.

“Caroline? Sì, parla”. Greg la fa rimbalzare e dice “Dì ciao, Car”

Mormora qualcosa che avrebbe potuto essere ciao, o forse solo un rumore.

“Quella non è una parola”.

“Oh sta' zitto”. Greg si acciglia con, negli occhi, la collera di un genitore arrabbiato. “È spaventata, d'accordo? Non sa chi tu sia ─e il tuo aspetto fa davvero paura, a proposito, datti una lavata, per l'amor di Dio─ ed è in questo porcile di appartamento. E non è ancora così brava a parlare. Ovviamente non sarà coerente. Santo cielo, accidenti!” Non c’è vero astio in lui, anche se, aggiunge “È intelligente. È molto, molto intelligente. È una vera Holmes, se mai ne ho visto uno.”

“Posso... tenerla in braccio?”

“No. Assolutamente no”. Greg la stringe più vicino e fa un passo indietro per buona misura. “Non lascerò che un tossico prenda in braccio mia figlia”. Quindi guarda l'ora sul suo orologio. “Devo andare, comunque. Devo lasciarla da mia mamma alle nove.”

“Bene. Vai.”

Si avvia verso la porta, quindi si ferma. Senza girarsi, dice “Datti una ripulita, Sherlock. Non voglio che il suo unico ricordo di te sia una qualche semi definita immagine di un uomo triste seduto su uno schifoso divano. E a proposito, tuo fratello vuole che tu smetta di indossare quell'anello. La tua Anima Gemella è viva, a quanto pare. Che corre in giro per l'Afghanistan da qualche parte con il RAMC(2), ma viva.”

“Morditi la lingua,” scatta Sherlock, poiché era quasi felice di pensare che non ci fosse nessun John che correva in giro con Sherlock sul suo dito. Ora che è a conoscenza della sua esistenza, non sa cosa pensare.

Si da’ una ripulita gradualmente, un processo che richiede quasi un anno e mezzo e comprende più notti passate sul divano di casa Lestrade-Holmes di quante ci tenga a ricordare. Greg, nonostante sia quello non imparentato con lui, è di maggiore supporto rispetto a Mycroft. Dandogli una pacca sulla schiena, dicendogli che ha preso la decisione giusta, che la sua vita sarà migliore ora. Portando a casa dei volantini dalla stazione di polizia, su incontri di terapia di gruppo per Dipendenti Anonimi. Sherlock li ignora tutti quanti, ma non può negare di aver apprezzato il pensiero.

Tuttavia Mycroft è di supporto in un suo proprio, silenzioso, modo. Quando Sherlock stava passando attraverso l'enorme, orribile crisi d’astinenza che lo faceva rigirare, vomitare, singhiozzare e tremare sul pavimento del salotto, Mycroft si sedette composto per tre notti e lo tenne d'occhio. Si assicurò che non ferisse sé stesso, alleviò il suo dolore con farmaci da banco, quando riteneva che Sherlock stesse provando un eccessivo  dolore. Gli teneva i capelli, che erano più lunghi ora e quasi raggiungevano le spalle, quando vomitava nei cestini della spazzatura, nei secchi e nel lavandino della cucina. I bagni sono entrambi al piano superiore e Sherlock non ha la forza di scalare i gradini, dopo diverse settimane di astinenza. Mycroft e Greg fanno a turno per portarlo di sopra così che possa lavarsi e liberarsi.

Tutto è tremendamente umiliante e lo fa notare, ma nessuno dei due uomini ha molta simpatia per lui. Mycroft lo ignora con sguardo assente, lo osserva duramente prima di tornare a qualsiasi cosa stia facendo, che sia qualcosa sul suo portatile, scartoffie o dar da mangiare alla bambina. Greg lo informa che è solo colpa sua.

Poi c’è la bambina. Compie il suo secondo anno mentre Sherlock si sta disintossicando, quindi non nota realmente l’evento, ma certe volte lei si siede, con i suoi occhi troppo grandi puntati su di lui e si domanda se sia così, essere osservati da sé stesso.

Stava da suo fratello da tre mesi, quando finalmente Caroline gli parla. Greg era uscito dalla stanza per un breve istante, lasciando Caroline, Sherlock e una pila di cubetti da soli. Caroline si allunga, porgendogli un cubetto con una C su esso e la parola CANE(3) sull'altro lato. Lui lo esamina con attenzione, quindi dice “Grazie”.

“Prego”.

Gli occhi di Sherlock scattano all'insù ad incontrare quelli della bambina. “Perché non hai mai parlato?”

Lei scrolla le spalle “Perché tu non l'hai fatto?”

“Perché nessuno parla con me”. È vero. Mycroft gli gira intorno come se cerchi di ignorare la sua esistenza e Greg gli rivolge la parola solo quando è particolarmente insopportabile o per porgli domande come “Come stai?” e “Dove ti fa male?”

“Parlerò io con te”. È molto intelligente per la media dei due-anni-e-mezzo, di sicuro. Frasi complete e corretto uso dei tempi verbali(4) sono assurdamente progrediti per qualcuno che non ha ancora nemmeno mai messo piede in una scuola.

“Ok. Bene.” Gli occhi di Sherlock si allargano mentre la guarda, si sposta verso il bordo del divano e più vicino alla bambina.

“Parla.”

Lei si acciglia, dandogli uno sguardo di disapprovazione che somiglia un po' troppo a quello di Mycroft per i suoi gusti. Alla fine dice: “Perché sembri triste per tutto il tempo? È perché sei malato?”

“In parte, sì.”

“È perché la tua persona-della-mano(5) è morta?” indica verso l'anello nero che ancora indossa, nonostante i desideri di Mycroft, e Sherlock passa un secondo a immaginare cosa intenda per persona-della-mano, prima di rendersi conto che si sta riferendo alla sua SBI. Fa girare l'anello sul suo dito e scrolla le spalle. Davvero non sa come lei faccia a conoscere già l'Etiquette degli Anelli, soprattutto perché non ha nemmeno ancora raggiunto l'età per indossarne uno, ma non fa domande. È figlia di Mycroft, dopo tutto.

“Non è morto”. Sposta l'anello, fissando il nome. Quell'odiato nome. “Ho semplicemente rinunciato a trovarlo. Ha un nome molto comune e potrebbe essere impossibile trovarlo.”

“Beh questo non è giusto.”

Sherlock si acciglia, “Qual è il tuo quindi, hmm?”

“Non lo so” dice indicandolo “È troppo piccolo.”

Sherlock si acciglia e si alza, va verso la sua borsa che, crollata, abita contro il muro dell'atrio e torna con la sua lente d'ingrandimento portatile. Si siede accanto a lei, il tavolino da caffè che scava sgradevolmente tra le sue scapole e le porge la mano per avere la sua. “Potrei?”

Estende il suo braccio esitando e lo posa sul suo palmo. Sherlock la guida per allargarle le dita, quindi esamina con attenzione le lettere verdi. Sono tenui, poiché la SBI si scurisce con l'età, può solo appena distinguere il nome.

John.

“Oh” dice a bassa voce.

“Cos'è?” chiede, cercando di vedere.

“È... troppo piccolo. Non riesco a leggerlo”. Richiude la sua lente d'ingrandimento e la fa scivolare nella tasca. Poi si appoggia al tavolo da caffè strofinandosi gli occhi. Passa qualche minuto guardando Caroline, come impila i cubetti e canticchia, poi borbotta “Allora perché è ingiusto? Smettere di cercare la mia persona-della-mano?”

“Perché” mormora.

“Quella non è una risposta”.

“Non avevo finito!” insiste lei, muovendo di colpo la sua manina per coprirgli la bocca. Gli lancia un'occhiataccia, ma lei semplicemente lo ignora dicendo: “Perché anche se ci sono molte persone che hanno lo stesso nome della mia persona-della-mano, c'è una sola persona-della-mano che è la mia. E lei ha bisogno di me tanto quanto io ho bisogno di lei”. Quindi gli libera la bocca e torna ai suoi cubetti. Ne sta scegliendo alcuni e mettendoli insieme sul tavolo. Sherlock non si accorge di quello che sta facendo finché non borbotta, quasi colloquialmente “Sai, non sono stupida.”

“Non ho mai detto che fossi­─” inizia a lamentarsi Sherlock, irritato. Si ferma poiché Caroline ha composto John sul tavolo e si rende conto di colpo di esser stato fregato da una di due anni troppo intelligente.

“Quaranta uomini su mille si chiamano John” dice Caroline “Questo è ciò che Papà(6) mi ha detto” -suo fratello era ‘Papà’- Sherlock questo lo sa bene.

“Cos’altro ti ha detto tuo papà?”

Lei si acciglia. E, come stesse citando qualcosa, dice: “Che tu devi smetterla di rammaricarti per te stesso. Lo sai quanto è difficile trovare un Greg in tutta l'Inghilterra?” quindi scrolla le spalle e spazza via i suoi cubetti verso il pavimento. “Il nome di Papi è Greg”. Come se lui non lo sapesse.

Sherlock si sfrega la faccia, quindi posa le braccia sulle ginocchia, le gambe piegate e fissa davanti a sé. Si domanda da quanto tempo il suo John era in Afghanistan. Se fosse questo il motivo per cui Sherlock aveva fallito nel trovarlo. Si chiede, per la prima volta, se ci sia un uomo, la fuori, disteso su una branda sabbiosa a Kandahar o Kabul e sogna di qualcuno che lenirà il suo dolore. Qualcuno che sia appena tanto disperato di amore e accettazione quanto lo è lui, che ha tutto, ma ha perso la speranza, perché non ha mai incontrato nessuno con il nome Sherlock.

È come la differenza tra troppe informazioni e non abbastanza. Entrambi i casi sono nocivi per la soluzione.

Passa altri tre mesi con suo fratello, sia per convincere se stesso, una volta per tutte, che non ci sarebbe ricaduto, sia perché Mycroft vuole tenerlo d'occhio per lo stesso motivo. Rimane nei paraggi abbastanza a lungo da trovare un appartamento migliore, in Montague Street, e da completare metà anno di astinenza, prima di muoversi. Quindi si trasferisce in Montague Street, si sistema, ed avvia un’attività come Consulente Investigativo.

Continua ad indossare l’anello nero, principalmente perché non vuole che gli venga indirizzato qualche interesse. Il suo John è ancora in Afghanistan, Mycroft è scrupoloso nel dirglielo mensilmente, così davvero non vuole essere coinvolto in appiccicosi affari relazionali. Gli evita di dover essere gentile e socievole, se indossa l’anello nero, poiché chiunque avrebbe dato la colpa al suo lutto. Non è insolito cadere in depressione quando la tua Anima Gemella muore, soprattutto se entrambi sono giovani al momento dell’accaduto. Sherlock sa di sembrare più giovane di quello che è in realtà. La gente pensa di aver di fronte un ventitreenne vedovo quando, in realtà, hanno davanti in ventinovenne circonstanziatamente a-romantico.

In ogni modo, fa sì che le persone lo lascino abbastanza da solo, senza i loro pietosi interrogativi e commenti.

Ha appena compiuto trent'anni quando, un certo 29 gennaio, due cose accadono. Una al mattino, prima ancora che si svegli. Mycroft gli manda un sms con scritto: Per l'amor di DIO Sherlock, smetti di usare quell'anello ora. Sherlock non sa perché da’ ascolto a suo fratello proprio quel giorno, soprattutto dopo anni in cui loro due hanno continuato il circolo vizioso della stessa discussione, ma lo fa. Tira fuori il suo vecchio anello argento, quello che indossava prima di Seb, e se lo infila. Gli va ancora bene.

La seconda: dopo pranzo Mike Stamford arranca nel laboratorio che Sherlock ha sequestrato come proprio durante gli anni (di fatto è il laboratorio della Dottoressa Hooper, ma a Molly non importa se lo usa) con alle calcagna un uomo basso e tozzo. Capelli biondi che cominciano ad ingrigirsi, bastone, claudicante, abbronzatura, segni d'abbronzatura, sembra stanco, spossato, non spossato da lavoro, spossato da malattia, del tipo molto familiare a Sherlock.

Mike lo presenta come un suo vecchio amico. John Watson.

John.

“Mike posso prendere in prestito il tuo telefono? Il mio non ha segnale”. Sbagliato. Il segnale laggiù è buono, e Mike comunque non ha il suo cellulare poiché ha la cattiva abitudine di dimenticare perfino di averne uno e lo tiene sempre nel suo cappotto, ammesso si ricordi di portarlo al lavoro, in primo luogo. Ma questo sconosciuto ne ha uno ─Sherlock può vederlo premere contro il tessuto dei suoi jeans. Troppo aderenti sulle cosce, troppo allentati sulla vita, ha messo su muscoli, non peso. Attività fisica, e molta, per un lungo periodo di tempo. In seguito corrotta da malnutrizione. Conferma la teoria della malattia. Conferma anche la teoria del militare.

“Cosa c’è che non va nel fisso?” chiede Mike. Fastidioso, ultra sospettoso uomo. A Sherlock non è mai piaciuto molto.

“Preferisco gli sms.” Non una bugia.

“Uh, ecco. Prenda il mio.”

“Oh, grazie.” Sherlock deve nascondere il suo immediato piacere, poiché tutto si è svolto secondo i suoi piani. Gli si avvicina, prende il telefono e chiede, mentre lo fa scorrere per aprirlo, “Afghanistan o Iraq?”.

John sbatte gli occhi e borbotta “Scusi?” in modo calmo, con un tono di voce che sottintende non parliamo di questo, ma Sherlock lo fa comunque. È un Holmes. Parlare di ciò di cui è meglio non parlare è quello che la maggior parte di loro fa per vivere. Così guarda in alto, stabilendo un contatto visivo. Quest’uomo ha gli occhi blu più limpidi che Sherlock abbia mai visto.

“Afghanistan” dice lentamente, quasi in modo intimo. Oh, come desidera che Stamford se ne vada. “o Iraq?”

“Afghanistan” rivela John, infine, ma il momento per l’aha! di Sherlock si è frantumato velocemente quando Molly rotola attraverso la porta, portando con sé l’aria dolorosa del culto dell’eroe, e gli porge il suo caffè. Molly è dolce e un po’ troppo ossessionata dal fatto che lui veda che la sua SBI è James. All’inizio, aveva cercato di calmarla verso una direzione completamente diversa, ma ci aveva rinunciato e aveva cominciato a trattarla come una vagamente noiosa sorella minore. È l’unica cosa che può fare, davvero.

Molly se ne va tanto veloce com’è arrivata, dopo un rapido scambio di battute, circa il make-up, che conteneva tra le righe un “ti sta bene, ma per favore smetti di cercare di far colpo su di me”. Molly, come sempre docilmente, sembra aver capito il suo significato nascosto e sgattaiola via, per riapplicare il rossetto oppure per dirigersi tristemente verso l’obitorio. Sherlock conosce bene il dolore di essere prossimi ai trent’anni senza aver ancora incontrato la tua Anima Gemella.

Sorseggiando il suo caffè, si gira indietro verso il suo computer, appoggia la tazza e chiede “Cosa ne pensa del violino?”

“Scusi, cosa?”

Sherlock lancia uno sguardo in su, lievemente divertito, e continua “Suono il violino mentre penso”.

Fuori è calmo, indifferente, raccolto. Dentro, sta urlando. John. John, appena tornato dall’Afghanistan. John, che indossa un anello argento al suo dito. John, che sembra così sperduto e solo al mondo, un vuoto nei suoi occhi che Sherlock conosce bene.

“A volte non parlo per giorni interi. Le darà fastidio? Dei potenziali coinquilini dovrebbero conoscere i rispettivi difetti”. Sorride in modo leggermente goffo e leggermente forzato. La mamma diceva sempre che aveva l’abitudine di parlare decisamente troppo, quando era nervoso.

“Gli hai detto di me?” Un sopracciglio alzato diretto a Stamford.

“Non una parola”. Stamford scrolla le spalle, sembra tremendamente divertito. Sherlock non può far a meno di accigliarsi, poiché sa cosa l’uomo stia pensando. Venite a vedere lo strambo. Può dirvi cos’avete mangiato la notte scorsa guardando le vostre dita.

“Quindi chi ha parlato di coinquilini, allora?”

“Io” replica Sherlock, girandosi per mettersi il proprio cappotto. Vuole allontanarsi da Stamford, non può pensare in presenza di qualcuno che lo annoia tanto, ma allo stesso tempo non ha ancora abbastanza informazioni su John. Dio, spera che John vada a Baker Street per dare un’occhiata all’appartamento con lui. Poi potrà presentarsi senza l’occhio curioso di Stamford. Valutare la reazione di John. Se il nome di Sherlock è, davvero, scritto sul suo dito, la reazione sarà immediata ed evidente. John non può aver incontrato troppi Sherlock nella sua vita da aver avuto il tempo di imparare come imporre la neutralità alla sua espressione, come Sherlock ha fatto.

“Ho detto a Mike questa mattina che sarà difficile per me trovare un coinquilino” rimugina mentre si lega la sciarpa al collo “E ora eccolo qui, appena dopo pranzo, con un vecchio amico chiaramente appena tornato a casa dal servizio militare in Afghanistan. Non era un salto difficile”.

“Come sapeva dell’Afghanistan?” chiede John, assottigliando gli occhi come Sherlock si fa più vicino. Sherlock immagina che il sospetto sia la cosa che più probabilmente lo intrigherà, così glielo lascia. Dopo tutto, vuole che John abbia quante più domande possibili quando si separeranno. Forse avrebbe aumentato le possibilità che John accetti la sua offerta.

“Ho messo gli occhi su un bel posticino in centro a Londra. Insieme dovremmo essere in grado di permettercelo. Ci vedremo lì domani sera, alle sette in punto”. Sorride, dimenticando, nella sua chiacchiera nervosa, di dare a John un indirizzo che è, in ultima analisi, come è finito per dover rivelare tutto di fronte a Mike Stamford. “Scusi, sono di fretta, ho dimenticato il mio frustino da fantino in obitorio”.

“Tutto qui?” dice John prima che esca dalla porta.

“Tutto qui cosa?” lascia andare la porta, tornando sui suoi passi, mani in tasca. Fissa John ed alza un sopracciglio.

“Ci siamo appena incontrati e andremo a vedere un appartamento?”

“È un problema?” È confuso. Ha dato a John tutte le informazioni di cui ha bisogno, eccetto il nome, il quale avrebbe davvero preferito rivelarlo quando sarebbero stati soli.

John emette uno sbuffo sarcastico e scuote leggermente la testa. “Non sappiamo nulla l’uno dell’altro. Non so dove ci dovremmo incontrare, non so neppure il suo nome”.

Per un momento, Sherlock si limita a fissarlo. Si chiede come mai John non ha lasciato perdere e semplicemente preso la sua stranezza come un dato di fatto, come chiunque altro avrebbe fatto. È interessante, tuttavia, più di chiunque altro abbia mai incontrato. Immediatamente, sente il bisogno di dare a John una dimostrazione.

“So che lei è un medico militare invalido di ritorno dall'Afghanistan. So che ha un fratello che è preoccupato per lei, ma non andrà a chiedergli aiuto perché non lo approva. Forse perché è un alcolizzato, più probabilmente perché di recente ha rotto con sua moglie. E so che il suo terapista pensa che il suo zoppicare sia psicosomatico, abbastanza corretto, temo”. Fa vagare i suoi occhi in giro, cercando qualcosa che possa aver dimenticato di menzionare. Ma no, questo è tutto ciò che ha dedotto dal telefono e dall'aspetto esteriore di John, nei pochi minuti che ha passato in sua compagnia. “Questo... è abbastanza, per iniziare, non crede?”

John appare completamente stupito. Si aspetta un “levati dalle palle” o un “come osi” o possibilmente perfino un “che razza di mostro”. Ma nessuno di essi viene. John continua semplicemente a stare lì, sembrando stupefatto e vagamente impressionato.

È allora che Sherlock si rende conto che John non l'avrebbe lasciato andare senza un nome. Fa un passo verso la porta, sperando di scappare prima che John processi tutto ciò che sta per dirgli, e aggiunge: “Il nome è Sherlock Holmes e l'indirizzo è il due-due-uno-bi di Baker Street”.

“Sherlock?” chiede John, prima ancora che abbia la possibilità di muovere un muscolo. Lo sputa fuori sopra l'ultima sillaba di 'Baker Street' e Sherlock lascia andare la porta. Ora o mai più(7).

“Sì”. Non permetterti di sperare. Sherlock è un nome strano, è pieno di John in Afghanistan. Potrebbe semplicemente star chiedendo della stranezza dell'intera faccenda.

Oh, chi vuole prendere in giro? Le sue speranze sono già da qualche parte nella stratosfera, non c’è modo di riportarle sulla terra ora.

“Esse-acca-e-erre-elle-o-ci-cappa?” John ne fa lo spelling.

“Così è come si scrive, sì.” Gli occhi di Sherlock si allargano e lascia uscire un “Perché?” lievemente senza fiato.

“Qual è la tua SBI?”

“John” dice Sherlock, oh-così-calmo. “La mia SBI è John. E la tua?”

“Sherlock”.

“Ti mostrerò la mia” dice bisbigliando le parole che non avrebbe mai pensato di pronunciare, ma che aveva sentito in così tanti film e commedie romantiche e perfino nella vita reale, nei bar e per le strade. Le persone incontrano la loro Anima Gemella ogni giorno e tutto comincia sempre con queste nove parole. “Se tu mi mostri la tua”. Stamford si eclissa dalla stanza, rendendosi conto che è una cosa privata e che la sua presenza non è più richiesta o apprezzata. Sherlock se ne accorge appena, comunque, poiché sta guardando John togliersi il suo anello, mentre allo stesso tempo lui rimuove il proprio. Non ha bisogno di alzare lo sguardo per sapere che gli occhi di John stanno viaggiando sulle sue dita, così come i suoi su quelle di John.

Ed eccolo lì. Sherlock, il suo nome, scritto in lettere arancioni. Il suo viso deve aver fatto qualcosa di bizzarro perché John alza l'altra mano e la appoggia sulla sua spalla. “Stai bene? Hai bisogno di sederti?” Incontrare la propria Anima Gemella può essere un'esperienza shoccante, per qualcuno. È più che normale per una persona svenire.

“Io, uhm, non penso di─”

“Sì. Sì, penso che tu ne abbia bisogno. Avanti, abbassati”. John lo guida verso il pavimento. Sherlock si chiede se si sia accorto che il suo bastone riposa contro il tavolo a più di un metro di distanza. Evidentemente no, perché sembra perfettamente saldo mentre si inginocchia a terra e prende le pulsazioni di Sherlock, poi controlla anche i suoi occhi.

“Respira profondamente”.

“Questo non è da me” lo avverte velocemente Sherlock, scuotendo la testa. “Di solito non sono così... debole”.

“È tutto ok”, assicura John sorridendo. “Credimi, è ok...” come per dimostrare la sua tesi, stringe tra loro le sue stesse mani che stanno tremando. “Questo è normale”.

Sherlock ridacchia e fissa davanti a sé per un secondo, prima di tentare un altro sguardo a John. Non è ciò che Sherlock si è sempre aspettato, ma va bene. Va molto, molto bene.

John tende una mano. “Potrei?”

Sherlock non ha idea di cosa intenda fare con quella mano, ma, a questo punto, non gli importa. Annuisce. La mano di John preme contro la sua guancia, molto gentilmente, poi si muove lieve per toccare i suoi capelli. Sta osservando, catalogando, memorizzando. È bellissimo.

“Così,” mormora John. “Penso che tu sia la mia Anima Gemella”.

Sherlock annuisce “E io penso che tu sia la mia”.

“È... davvero bello conoscerti, Sherlock” dice John.

“Anche conoscere te, John.”

John, John, John.

 


 


Note della traduttrice:

(1) High as a kite letteralmente 'alto come un aquilone', qui usato come slang per indicare una persona che è sotto effetto di stupefacenti.

(2) Royal Army Medical Corps: come traduzione ho trovato ‘regio servizio medico dell’esercito’

(3) Nell’originale era la C di CAT, per mantenere l’iniziale ho sostituito l’animale, penso che sia rilevante la C in quanto iniziale di Caroline e non il gatto.

(4) Nell’originale Caroline dice “I’ll talk to you” e Sherlock nota “complete sentences and contractions” cioè la contrazione di I will in I’ll, non essendoci l’equivalente italiano, ho pensato che per una bambina di due anni l’uso del futuro sia sinonimo di intelligenza spiccata e che magari il bambino medio avrebbe potuto dire “Parlo io con te” senza coniugare il futuro, limitandosi al presente. Ora io non ho idea di cosa sia nella media e cosa al di sopra di essa per dei bambini di due anni, quindi se avete qualche suggerimento in merito che possa funzionare meglio fatemelo sapere! :)

(5) Hand-person: ho cercato un modo per dirlo senza articoli in mezzo, ma non mi suonavano; sono anche stata indecisa tra della e sulla, alla fine ho optato per “della” poiché “sulla” mi sembrava riferirsi troppo al luogo-mano piuttosto che genericamente al nome dell’Anima Gemella.

(6) Nell’originale Mycroft è Papa, mentre Greg è Daddy, li ho rispettivamente tradotti in Papà e Papi, ho pensato eventualmente a Papino per Greg, però non mi convince del tutto, suggerimenti? *picchia la testa contro lo spigolo della scrivania, ripetutamente*

(7) Nell’originale era no time like the present, ora questa espressione idiomatica mi ha fatto arrovellare poiché le sfumature di significato cambiano a seconda del contesto. Ho scovato una discussione su questa frase –con anteposto un ‘this is’– tratta da un film, e ci sono diverse possibilità: ‘se non ora quando’, ‘adesso o mai più’, ‘chi ha tempo, non aspetti tempo’, ‘carpe diem (cogli l’attimo)’, ‘non c’è tempo come il presente’, ‘è il momento buono per cominciare’, ecc; in generale è usato per dire che è una buona idea fare qualcosa immediatamente.

Spero che la storia vi sia piaciuta e che la mia traduzione non vi abbia allontanato.

Questa OneShot fa parte di una serie Inscriptions (qui l’originale; mentre qui la traduzione), la quale prevede una seconda storia, Unlocking Sherlock (qui l’originale; mentre qui la traduzione), di più capitoli, ancora in corso (l'autrice ha progetti per questa storia e vuole aggiornarla, ma potrebbe volerci del tempo). Ho cominciato a tradurre anche questa, se a qualcuno può interessare, spero che le mie traduzioni siano comprensibili cosa di cui non sono del tutto certa.

Comunque questa era la mia prima traduzione e temo che l'assenza di una beta si noterà pesantemente, se avete critiche/suggerimenti/consigli/ecc ditemi pure! :)

Ovviamente tradurrò all'autrice tutte le recensioni che vorrete lasciare e vi ritradurrò le sue risposte. E ora smetto di tediarvi... ^-^

Baciotti :3

Myreen

  
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