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Autore: JulieMary    17/03/2013    12 recensioni
-Pensi ancora che Louis possa provare qualcosa per te? O credi di voler cambiare idea?- mi chiese la psicologa accavallando le gambe e poggiando il suo blocchetto su una coscia.
-Pensare che lui provi qualcosa per me è da stupidi- dissi. –L’ho pensato solo all’inizio, adesso invece ho aperto gli occhi- continuai e le mie labbra cominciarono a vibrare. Le lacrime stavano per scendermi sulle guance ma io provai a trattenerle.
-Spiegati meglio- mi incitò la Miller ad esplicarmi in modo più dettagliato. Le piaceva scavare in fondo alle mie emozioni, anche se ciò comportava ferirmi.
-Io non sono niente, niente per lui- dissi con voce rotta, tipica di quando cerco di trattenere le lacrime e i singhiozzi. –Louis non mi abbraccerà mai, non mi chiederà mai di uscire, non mi amerà mai- aggiunsi, quella volta liberando una goccia d’acqua salata permettendole poi di rigarmi una guancia. –Mai- ripetei.
-Devi cercare di distrarti e di concentrarti su altre persone. Forse non te ne sei accorta, ma può darsi che un ragazzo stia aspettando che tu lo noti da tempo.
Le perle di saggezza della dottoressa Miller mi hanno sempre confortata, ma quella volta nessuna frase avrebbe potuto farlo.
Genere: Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Louis Tomlinson, Niall Horan, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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I'm nothing









Come ogni giovedì ero ancora chiusa in quella stanza bianca con pochi mobili, quella stanza in cui aspettavo di poter parlare con la dottoressa Miller, la mia psicologa. Sentivo la sua voce pacata attraverso il muro in cartongesso parlare con un cliente mentre io stavo seduta sulla solita sedia verde accanto alla porta.
Avevo capito chi era quel cliente. Un po’ mi faceva paura, sapevo che una volta aveva tentato il suicidio ma la madre l’aveva bloccato poco prima che lui procedesse.
Era affacciato al balcone , non osavo immaginare la scena. E dopo l’intervento della mamma, trovavo spesso Dylan nell’ufficio della Miller. Aveva sempre il turno prima del mio ma non lo vedevo tutti i giovedì.
A volte c’era qualcun altro, persone che vedevo al massimo una sola volta al mese.
-Facciamo che per i prossimi giorni tu provi a scacciare via tutti i pensieri negativi che affollano nella tua mente- sentii la Miller consigliare al povero Dylan, ragazzo depresso e quasi suicida.
-Ci proverò- rispose egli, ma non era poi così convinto. Il suo tono di voce la diceva lunga.
Intuii che la seduta di Dylan stava per terminare e a momenti sarebbe arrivato il mio turno.
Non sono mai riuscita bene a capire perché, ma ogni volta che dovevo cominciare una delle mie sedute venivo assalita dall’ansia. Mi strinsi nelle spalle e poggiai le mie mani chiuse a pugno sulle mie cosce. Gettai un respiro profondo e cercai di rilassarmi.
Quando sentii Dylan e la dottoressa Miller salutarsi, le mie gambe cominciarono leggermente a tremare.
La porta dell’ufficio si aprì e l’alta figura del ragazzo sbucò fuori da essa. Guardai Dylan dirigersi verso l’uscita della sala d’attesa e tutta la tristezza che lui mi trasmetteva era qualcosa di mostruoso.
Forse erano il suo viso pallido, il suo abbigliamento dai toni scuri e la sua camminata ad angosciarmi. Anzi, togliamo il “forse”.
Povero ragazzo. Avrei fatto così anch’io se fosse morto mio padre, ma per fortuna i miei problemi erano altri e soprattutto meno gravi.
-Leslie McGrey, vieni pure!- mi chiamò la Miller dal suo ufficio.
Mi alzai sistemandomi la gonna beige che portavo lunga fino alle ginocchia, respirai a fondo chiudendo e riaprendo subito dopo gli occhi ed entrai in quella stanza azzurra, arredata in modo migliore rispetto a quella in cui aspettavo l'ora della mia seduta.
-Salve- salutai la dottoressa sorridendole e chiudendo la porta alle mie spalle.
-Ciao Leslie, accomodati- mi accolse la Miller indicandomi il solito divanetto su cui io mi sdraiavo prima di cominciare a parlare. Posai la borsa a terra, vicino ai piccoli piedi lignei del mobile e mi sedetti composta.
La donna, dopo aver sistemato alcune carte sulla sua scrivania, prese un blocnotes e una penna nera.
-Allora, tutto bene cara?- mi chiese ella con quel solito sorriso che sapeva leggermente placare la mia ansia pre-seduta.
Annuii con la testa mentre lei si sedette sulla sua poltrona posta vicino al divanetto su cui dovetti poi sdraiarmi. Mi distesi lentamente e cominciai ad osservare il soffitto.
-Sei ancora ansiosa?- domandò la Miller notando come le mie gambe tremavano.
-Sì, non riesco a non esserlo.
-Devi rilassarti Leslie, sai che non c’è nulla per cui agitarsi. Dobbiamo solo parlare- mi rassicurò ella come ogni volta.
-Lo so, ma è più forte di me- mi giustificai.
-Sai che non ti mangio, vero?- ironizzò la Miller. Sorrisi sospirando, sapendo perfettamente che la mia psicologa non mi avrebbe mai aggredita. Anzi, lei era là per ascoltarmi, per comprendermi.
-Non sono ansiosa per lei- confessai.
-E per cosa?
-Esternare le mie emozioni è diventato un problema per me.
La Miller cominciò a scrivere sul blocnotes.
-L’altra volta abbiamo detto che esternare ciò che ci passa per la testa fa bene, ricordi? Sei qui per questo- mi ricordò ella.
-Ha ragione- concordai. –Ma ultimamente se penso a ciò che mi passa per la testa sto male e pur di non soffrire evito di riflettere- aggiunsi e chiusi gli occhi. Gettai un respiro profondo e rialzai le palpebre. Nella mia mente apparve Louis, quel ragazzo che sapeva sconvolgermi la vita solo con degli sguardi e dei sorrisi, elementi semplici che però davano sempre  un effetto decisivo alla mia emotività.
-Louis- disse la dottoressa Miller capendo subito a chi mi riferii con quella frase. D’altronde quel ragazzo era il nucleo dei nostri discorsi e non passava nemmeno un giovedì senza parlare di lui.
-Esatto, penso ancora a lui- confessai.
-Allora sta diventando davvero un’ossessione- disse la donna continuando a scrivere su quella pagina giallognola a righe.
-Già- affermai. -Non riesco a togliermelo dalla testa, nonostante lei mi ha consigliato di lasciar perdere- dissi scuotendo la testa e portandomi una mano sulla fronte.
-Vi è capitato ancora di parlare in quest’ultima settimana?
-Sì, un paio di volte.
-E cosa vi siete detti?
A quella domanda spremetti le meningi e cercai di ricordare perfettamente ciò che io e Louis ci dicemmo quella volta in biblioteca.

 

“Mi ero seduta ad uno dei tanti tavoli della biblioteca con il libro e il quaderno di filosofia tra le braccia. Il giorno dopo avrei dovuto affrontare la prova e volevo cominciare a studiare almeno le prime pagine.
Quel pomeriggio non volevo dedicarmi intermante allo studio, così ho deciso di imparare i primi paragrafi a scuola.
Dopo aver letto la prima pagina, ho alzato lo sguardo e ho scorso la figura di Louis camminare tra i tavoli.
A giudicare dai libri che teneva stretti a sé, ho intuito che doveva fare qualche compito e così ho cominciato a sperare che si sedesse vicino a me. Sono morta di gioia quando l’ho visto avvicinarsi al mio tavolo. Mi stava guardando, mi sorrideva. Sembrava tutto frutto di un’allucinazione, ma Louis stava venendo da me per davvero.
-Ehi Leslie!- mi ha salutato ma non si è seduto. È rimasto là in piedi fermo a guardarmi.
-Ciao Louis, come va?- ho risposto al saluto e stranamente la mia voce non stava tremando.
-Bene grazie, tu?
-Anch’io.
-Che studi?- mi ha chiesto dando una sbirciatina al mio libro aperto.
-Filosofia, domani ho un compito in  classe- gli ho risposto, ma non riuscivo più a guardalo in faccia, così ho abbassato lo sguardo sulla superficie del tavolo.
-Capisco.
Tra noi due si erano creati dei secondi di silenzio imbarazzanti. Non sapevo più che dire e l’unico rumore che riuscivo a sentire era il battito accelerato del mio cuore. Sì, era così forte che mi sembrava di sentirne il rumore.
-Comunque volevo chiederti se sai dove posso trovare un libro su Oscar Wilde- mi ha detto lui rompendo quel silenzio. Purtroppo non ho saputo rispondergli e dopo esserci salutati se n’è andato via senza un libro che parlasse di Wilde. Non era colpa mia se non sapevo in che scaffale poteva trovarsi, ma mi sono sentita inutile per quello. Forse se avessi saputo rispondere a quella domanda avrei reso felice Louis e gli avrei risolto il problema. Invece per colpa mia doveva perdere altro tempo per cercare quel libro e se l’avesse trovato in seguito, di certo non sarebbe stato per merito mio.”

 

Mi sfogai con la dottoressa Miller mentre lei annotò tutti i minimi dettagli del mio racconto sul blocnotes.
-Non dovresti dare troppa importanza a queste piccolezze- mi consigliò la donna con tono calmo, tipico di lei.
-Non sono io che scelgo di dar loro importanza, mi è automatico- esplicai gesticolando con le mani.
-Tu prova a non ascoltare i tuoi impulsi.
Certo, la Miller la faceva facile. A volte sentivo che lei era la donna che sapeva capirmi meglio al mondo, altre invece avevo la strana sensazione che non riuscisse a comprendere i miei comportamenti.
-Non ci riesco.
-Potresti metterci più impegno- mi disse, ma io non aprii bocca. –E un altro episodio in cui vi siete parlati? Qual è stato?- mi domandò infine.

 

“L’ho visto durante l’intervallo tre giorni fa. Ero giù in cortile con una mia amica e stavamo parlando del più e del meno. All’improvviso, però, siamo state interrotte da Louis, il quale è venuto da me per chiedermi se avevo una sigaretta da prestargli.
-Io non fumo- ho risposto timidamente, un po’ vergognandomi.
-Tu ne hai una?- Louis ha provato a chiedere anche alla mia amica ma nemmeno lei fuma.
-Che palle, non so più a chi chiedere- si è lamentato lui. Evidentemente nessuno era disposto a cedergli una sigaretta, dato che ormai tutti si tengono i propri pacchetti ben stretti, con quello che costano. Sono diventati tutti tirchi, ma per fortuna io sono fuori dal giro del fumo.
-Grazie lo stesso, ciao eh- si  è allontanato Louis da noi mettendo le mani nelle tasche del giubbino e poi, dopo averci dato le spalle, se n’è andato.
L’ho seguito con lo sguardo come se i miei occhi e il suo corpo fossero due calamite ad alta attrazione e ho visto anche Vivien, la sua ragazza. Vivien è bellissima, anche lei dell’ultimo anno come Louis, ma non fa parte della stessa classe di lui. Vederli insieme, per me, equivale a sentire una lama trafiggermi il petto. E può sembrare un’esagerazione, ma è proprio così che mi sento. Esageratamente male.
Spesso mi chiedo io stessa perché sono così ossessionata da Louis, ma non riesco mai a trovare una risposta chiara che mi dia una certezza. Io so solo che lo amo, anche se lui per me non ha mai fatto nulla di speciale. Lui ha Vivien e pensa costantemente a lei, non a me.
Mi ritrovo tutti i giorni a maledire quella sera del ballo scolastico di inizio anno in cui ho rivolto la parola a Louis per la prima volta. Non dovevo fermarmi così a lungo al banco del rinfresco, non dovevo mettermi in disparte e imbottirmi di cupcake e bicchieri di punch. Invece l’ho fatto e proprio lì ho parlato con Louis, quel ragazzo che stava riempiendo un piattino di dolcini per la sua fidanzata.
Mi aveva chiesto solo se c’erano cupcake alla crema ma da quella richiesta abbiamo cominciato a scambiarci qualche parolina e ci siamo presentati. Per me è stato come un colpo di fulmine, anche se avevo adocchiato Louis già dagli anni precedenti. Ma no, prima di quell’incontro al ballo non ero così ossessionata, non ero innamorata. Riuscivo a vivere serena, ad essere la ragazza spensierata che sono sempre stata. Louis è riuscito a cambiare tutto di me pur non facendo nulla. Sono bastate solo delle piccole chiacchiere ad accendere il mio fuoco, accompagnate da sorrisi e da due occhi blu.”



Non era la prima volta che la Miller sentiva delle parole simili uscire dalla mia bocca, ma in quel momento sentii il bisogno di esternare quei pensieri ancora una volta. Mi era concesso, perché non farlo di nuovo?
Quei ricordi furono come uccelli che prendono il volo quando la gabbia in cui erano rinchiusi viene aperta.
Fu davvero una liberazione.
-Pensi ancora che Louis possa provare qualcosa per te? O credi di voler cambiare idea?- mi chiese la psicologa accavallando le gambe e poggiando il suo blocchetto su una coscia.
-Pensare che lui provi qualcosa per me è da stupidi- dissi. –L’ho pensato solo all’inizio, adesso invece ho aperto gli occhi- continuai e le mie labbra cominciarono a vibrare. Le lacrime stavano per scendermi sulle guance ma io provai a trattenerle.
-Spiegati meglio- mi incitò la Miller ad esplicarmi in modo più dettagliato. Le piaceva scavare in fondo alle mie emozioni, anche se ciò comportava ferirmi.
-Io non sono niente, niente per lui- dissi con voce rotta, tipica di quando cerco di trattenere le lacrime e i singhiozzi. –Louis non mi abbraccerà mai, non mi chiederà mai di uscire, non mi amerà mai- aggiunsi, quella volta liberando una goccia d’acqua salata permettendole poi di rigarmi una guancia. –Mai- ripetei.
-Devi cercare di distrarti e di concentrarti su altre persone. Forse non te ne sei accorta, ma può darsi che un ragazzo stia aspettando che tu lo noti da tempo.
Le perle di saggezza della dottoressa Miller mi hanno sempre confortata, ma quella volta nessuna frase avrebbe potuto farlo.
-A me non importa niente degli altri ragazzi perché i miei occhi vedono solo Louis- dissi aumentando le lacrime e provai ad asciugarmi gli occhi con il dorso di una mano. La psicologa mi passò un fazzoletto e io mi pulii le guance dal trucco sbavato con esso. Lo passai piano sulla pelle, poi lo accartocciai e lo tenni stretto in un pugno.
Alzai il busto dal divanetto e mi misi seduta, stanca di vedere proiettate le immagini di Louis sul soffitto bianco della stanza.
-Leslie, vedrai che prima o poi questa tua ossessione per Louis svanirà, non preoccuparti.
Annuii in silenzio e tirando su con il naso. Sistemai una ciocca di capelli dietro un orecchio e cominciai a fissare il vuoto. La lacrime continuavano a scendere piano sul mio volto ringandolo di grigio.
In quel momento avrei voluto tanto ricevere il calore di una persona, sentire la presenza di qualcuno che sapesse calmarmi non solo con le parole.
-Posso abbracciarla?- chiesi alla Miller alzando lo sguardo su di lei.
-Certo Leslie- accettò ella e allargò subito le braccia per accogliermi. Mi alzai dal divanetto e mi chinai sulla dottoressa per poi stringerla a me. Le sue braccia avvolsero con dolcezza la mia schiena e cominciai a piangere più intensamente. Sapevo che un abbraccio avrebbe aumentato la produzione delle mie lacrime, ma sapevo anche che mi avrebbe fatta stare meglio.

 

 

 Uscii in strada e cominciai a camminare sul marciapiede, pronta per tornare a casa con la mente libera e il cuore più leggero. Sì, leggero. Lo sfogo di quel pomeriggio mi servì molto e anche se versai tante lacrime, stavo finalmente bene con me stessa. Non al cento per cento, ma avvertivo già in me un miglioramento.
Mentre tornavo a casa, pensavo alla frase della Miller che continuava a risuonarmi in testa: “Leslie, vedrai che prima o poi questa tua ossessione per Louis svanirà, non preoccuparti”.
Non sapevo se esserne felice o triste. Ne sarei stata felice se un giorno fossi riuscita a liberarmi di un masso così grosso che mi schiacciava il cuore, ma allo stesso tempo ne sarei stata triste perché non avevo alcuna intenzione di distogliere la mia attenzione da Louis, anche se il mio umore ne risentiva.
Il fatto era che vedere Louis amare un’altra ragazza mi faceva stare male, ma era più forte di me non pensare a lui e a tutti quei piccoli particolari a cui io davo troppa importanza.
Il mio unico desiderio era quello di valere, di essere importante per lui, di esser Vivien. Ma no, ciò che mi spettava da fare era osservare Louis da lontano, accontentarmi delle minuscole chiacchierate e di immaginare i suoi occhi e il suo sorriso brillare per me.
Col tempo, però, scoprii che la dottoressa Miller aveva ragione e che la mia ossessione per Louis non era destinata a durare a lungo.
Dopo qualche mese conobbi un ragazzo splendido, Niall Horan, ad una festa di amici comuni. Grazie a lui scoprii nuove emozioni e riuscii finalmente a placare la mia pazzia per Louis.
Niall mi insegnò non solo ad amare ciò che potevo avere, ma ad amare anche me stessa. È  per merito suo se adesso non mi considero più una ragazza vuota e senza alcun valore; lui mi fa sentire piena e io adoro questa sensazione.
Io e Louis, dopo che lui ebbe finito l’ultimo anno, non ci siamo più rivisti e ad accompagnare lo svolgimento della mia vita ci fu, e c’è ancora, il mio ragazzo Niall, l’unico e il solo che ha saputo farmi capire quanto è bello essere amati.

FINE

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IO NON SONO NIENTE PER LUI.

quante volte ci siamo dette questa frase pensando al ragazzo per cui ci siamo prese una bella cotta?
io, personalmente, TANTISSIME.
e la sensazione è davvero brutta, ci fa sentire vuote e inutili, forse anche pò stupide.
questa oneshot non è nata solo ripensando ad alcune mie vicende personali, ma tutto è cominciato con la gif che sta sopra.
quando l'ho trovata mi sono detta: "qui ci sta una storia!".
..ed ecco questa oneshot ricca di emozioni, ma soprattutto riflessioni.
amare qualcuno senza essere ricambiati è una delle cose più dolorose al mondo e, sapendo che MOLTE ragazze sono passate per questa esperienza, ho pensato di scrivere e pubblicare questa storia.
nonostante il tema sia triste, ho cercato comunque di far finire bene questo racconto, sperando che possa portare il SORRISO e un pò di SPERANZA a chi, in questo periodo, sta passando una storia molto simile a quella di Leslie.
voi che ne pensate? vi è piaciuta?
vi ringrazio per aver letto e per essere arrivate fin qui! GRAZIE MILLE.
see you soon, Julie❤

ps: molto probabilmente la gif da cui mi sono ispirata è una scena tratta da un film, ma io ammetto di NON averlo mai visto.
se l'avete riconosciuto, sapreste dirmi il titolo? grazie in anticipo c:

twitter: @JulieMary_x
   
 
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