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Autore: Cara_Sconosciuta    03/10/2007    5 recensioni
Vittoria è un artista, Ludovico un attore...le loro vite si intrecciano, un giorno a Piazza di Spagna, una more nasce, grande e forte...ma non tutto va come si vorrebbe
Genere: Romantico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Goodbye

Goodbye

 

É solo nelle misteriose equazioni dell’amore che si può trovare un’equazione logica.

(A Beautiful Mind)

 

Vittoria varcò lentamente il grande cancello di ferro battuto, sul quale immagini di cherubini cicciottelli si davano il cambio con ampie volute che potevano essere lo steli di fiori così come serpenti. In cima al tutto, una grossa croce barocca ricordava a tutti che quello era l’ingresso di un luogo sacro.

Eccola lì, di nuovo a Roma, la Città Eterna dove tutto era iniziato e finito, dove la sua vita aveva finalmente trovato un senso e lo aveva perso poco dopo, travolto dalle ruote dell’auto di qualche ubriaco.

Non doveva andare così, non era programmato.

Beh, a dirla tutta, nemmeno il loro primo incontro poteva essere chiamato esattamente programmato...

 

Piazza di Spagna era meravigliosa o, almeno, Vittoria era sicura che l’avrebbe trovata tale, se solo fosse riuscita a vederla.

Turisti di ogni etnia, colore e classe sociale riempivano completamente l’ampia piazza, rendendo quasi impossibile muoversi senza urtare qualcuno.

Vittoria vi si era recata per disegnare dal vivo la Barcaccia ma, a quanto pareva, non sarebbe riuscita a concludere molto quel giorno. Aveva appena deciso di tornare sui suoi passi, dritta dritta al pensionato dove alloggiava, quando si ritrovò seduta per terra, circondata da una folla di giapponesi  curiosi, tutti armati di cappellino con ventilatore e macchina fotografica.

“Tutto bene?” Chiese l’unico occidentale del gruppo, tendendole la mano.

Era un giovane all’apparenza poco più vecchio di lei, indossava grandi occhiali Ray-Ban a goccia e un berretto da baseball calato sulla fronte, come per nascondersi. In una mano stringeva o, meglio, stritolava, un sottilissimo cellulare nero.

“Sto bene, grazie.” Rispose Vittoria, afferrando la mano e alzandosi. “Anche se non capisco come ho fatto a cadere...”

“Colpa mia.” Disse lui. “Stavo...ehm... discutendo un po’ animatamente con un mio collega al telefono e ti ho urtata...diciamo un po’ violentemente. Sicura di non esserti fatta male?”

Romano.

Decisamente, inequivocabilmente romano.

Vittoria non sopportava i romani e il loro modo di fare, anche se non sapeva esattamente perché. Era un po’ come un’allergia che non dipendeva assolutamente dalla sua volontà; semplicemente, non li poteva soffrire. Era a Roma soltanto per seguire un corso che le sarebbe servito per laurearsi, non voleva avere nulla a che fare con le persone del luogo e BUM!, già il terzo giorno le era piovuto addosso un “burino” in piena regola.

“No...cioè, sì, tutto a posto.” Ripetè la ragazza, glaciale.

“Ti va un gelato?” Propose lui, che on sembrava intenzionato a lasciarla in pace. “Per farmi perdonare! Conosco la migliore gelateria di tutta Roma!”

 

Sconosciuti

tu non eri nei piani

stiam vivendo nuove complicità

[...]

ma siamo qua

fabbricanti di sogni

il mio inizio sei tu...

(Anastasia)

 

Perché avesse deciso di accettare quel gelato, Vittoria non se lo ricordava assolutamente. Forse era stato solo per togliersi di torno quel giovane invadente, per farlo felice in modo che poi se ne andasse.

Beh, non avrebbe potuto fare calcolo più sbagliato.

 

C’è fumo e odore caldo qui

Di dolci e di caffè

Ognuno pensa a sé

È il giorno più normale...

(Pooh, Dammi solo un minuto)

 

Si chiamava Ludovico, aveva venticinque anni e di mestiere faceva l’attore. Era simpatico, per essere romano. Un po’ logorroico, forse, ma decisamente simpatico.

Parlarono per più di due ore, davanti a due immense coppe di gelato, senza nemmeno rendersi conto del tempo che passava.

Il sole, che iniziava lentamente a tramontare dietro a Trinità dei Monti, era l’unico segno che il mondo intorno a loro continuava a girare.

Vittoria si ritrovò a raccontare cose che non aveva mai confidato nemmeno ai suoi amici più cari, quelli che di lei e della sua vita sapevano quasi tutto. Sentiva un’alchimia particolare con quel ragazzo un po’ strano, troppo espansivo per i suoi gusti ma con quel qualcosa di particolar che la costringeva a tenergli gli occhi ben puntati addosso.

“Ohi, Vitto, mi sa che mi tocca andare, sennò poi, se ritardo, me tocca fa’n’altra litigata con Matteo e non c’ho voglia, non dopo un pomeriggio così.” Disse Ludovico, alzandosi.

“Non vi sopportate proprio, eh?”

“E che te devo di’? Non c’è chimica tra noi!”

“Cosa? Chimica?”

“Sì! Mi piaci, artista.”

Vittoria esitò un istante, per poi sorridere.

“Anche tu non sei male, attore.”

“Che dici, ci rivediamo?”

 

E fu subito insieme

In un attimo amore

(Gianni Morandi, Al primo sguardo)

 

Sì, si erano rivisti.

Si erano rivisti ogni giorno alla stessa ora nella stessa gelateria per parecchie settimane.

Ad ogni incontro avevano scoperto qualcosa di nuovo l’uno dell’altro. Si erano studiati, pensò Vittoria, con nel cuore una profonda nostalgia di quei giorni divertenti e spensierati, si erano studiati a fondo, nei minimi particolari e poi, un giorno, si erano resi conto di non poter più fare a meno di quelle loro ore nella gelateria.

Ludovico non aveva più litigato con Matteo e a Vittoria mancava sempre meno la sua Sicilia.

Si separavano, all’uscita dal locale, già pensando all’incontro del giorno dopo, già aspettandolo, desiderandolo.

Nesusno die due lo avrebbe mai ammesso –erano entrambi troppo orgogliosi- ma le loro giornate, ormai, scorrevano intorno a quei momenti passati insieme, a quelle piccole e innocenti fughe dalla realtà in compagnia di qualcuno che li ascoltava e li capiva senza fare troppe domande.

E poi,una sera, successe.

 

notte a sorpresa lontano da casa
mi prende e mi dà questa grande città:
come una donna mi tenta
e diventa qua e là
malinconia
poesia e fantasia

(Pooh, Notte a sorpresa)

 

Ludovico girò la chiave nella toppa, poi entrò ed accese la luce, facendo a Vittoria cenno di seguirlo.

Quella sera né lui né lei avevano impegni, così lui le aveva chiesto di recarsi a casa sua per aiutarlo a studiare un nuovo copione e lei aveva accettato.

L’appartamento era piuttosto piccolo e decisamente disordinato. Ovunque c’erano libri e fogli, alcuni scritti a mano, altri battuti a computer. Il piccolo televisore quasi non si vedeva, nascosto da una montagna di videocassette e CD, disposti in pile, le più alte delle quali misuravano quasi un metro e mezzo.

Era tutto molto, molto da lui: la sua casa lo rispecchiava in pieno.

Vittoria si accomodò sul minuscolo divano, scacciando il grasso gatto che vi era appisolato sopra.

“Vedo che hai conosciuto Rebus.” Constatò Ludovico, sedendosi accanto a lei e porgendole un sottile fascicolo tenuto insieme da una graffetta di metallo a forma di chiocciola.

“Che accidenti di nome è Rebus?”

“Uno meraviglioso, Vitto!”

“No, non è vero, è orribile.”

“A lui piace.”

“Ah sì?  Te lo ha detto di recente?”

“Sì, l’altro ieri.” Scherzò Ludovico, fingendosi offeso.

“Beh, mi sa che il tuo gattese ha bisogno di una spolveratina, perché sono certa che in realtà quel povero felino ti ha supplicato di cambiargli il nome in Fiocco.”

“Banale.”

“Almeno non è un gioco di enigmistica!”

I due si guardarono in silenzio per qualche secondo, poi scoppiarono entrambi a ridere.

“Ti rendi conto che stiamo litigando per il nome del mio gatto, che comunque NON cambierò, perché non otterrei altro che provocare alla povera bestiola una crisi di identità che potrebbe causare danni irreversibili al suo piccolo e grasso cervello?”

“Sì, ma ho comunque ragione io!”

“Ah, davvero?” Una strana luce, come di sfida, brillò per un istante negli occhi del giovane, prima che questi si alzasse dal divano e si chinasse sulla sua ospite, cominciando a farle il solletico.

“Piantala Ludo!” Strillò lei, ridendo e colpendo l’amico con il copione.

“No! Devi prima ammettere che Rebus è un gran bel nome!”

“Non dico bugie.”

“E io non smetto.”

Vittoria stava cercando di raccogliere il fiato necessario per rispondere a tono quando, all’improvviso, si ritrovò a stringere tra le dita solo la graffetta, mentre i fogli che avevano costituito il copione si sparsero con grazia su tutto il pavimento.

“Ops...”

“Stavolta l’hai fatta grossa!” Disse Ludovico, chinandosi ancora di più su di lei con aria minacciosa.

“Scusami, ti giuro che non l’ho fatto apposta...”

“Certo, dicono tutti così, ma io non ci casco. Ti aspetta una punizione esemplare, signorina artista.”

“Che paura.” Replicò lei, stando al gioco. “E che vuoi farmi?”

“Chi lo sa...” Disse lui, per poi posarle un giocoso bacio sulle labbra.

Quando tentò di allontanarsi da lei, però, si accorse di avere le sue braccia strette intorno al collo.

Vittoria lo trattenne solo pochi secondi, poi lo liberò, guardando, divertita, la sua espressione stupita.

“Artista uno, attore zero.” Biascicò lui.

“Spiegami un po’, Ludo.” Disse lei, alzandosi in piedi e portandogli di nuovo le braccia intorno al collo. “Doveva essere una punizione o un premio?”

“Beh, dipende.” Rispose lui, mettendo su un sorrisetto malizioso. “A te cosa è sembrato?”

“Una terribile, terribile punizione.” Disse Vittoria, con un finto broncio.

“Terribile? Tesoro mio, questo è solo l’inizio!”

 

Con il vestito aperto

E le labbra chiuse

Io l’ho guardata e vista

Per quel che è

Quando era notte

Dentro quella stanza

Di cose ne ho fatte

(Pooh, Rotolandorespirando)

 

Una lacrima le rigò il volto, più pallido di quanto non fosse mai stato.

Quella notte era stata davvero speciale, la più bella della sua vita e ora, nella quiete gravida di tristezza di quel luogo sacro e maledetto allo stesso tempo, si ritrovava a desiderare di non aver mai accettato quell’invito.

Se non lo avesse fatto, forse non si sarebbe così profondamente innamorata di lui e, sempre forse, non avrebbe sofferto così tanto.

 

E intanto che dormi

Arriva domani

E ancora ti svegli

Nelle mie mani

(Pooh, Se c’è un posto nel tuo cuore)

 

Vittoria aprì lentamente gli occhi, sentendo una mano che le accarezzava i capelli corti.

“Toh, guarda un po’ chi si rivede!” Esclamò Ludovico, guardandola, però, con estrema dolcezza.

“Ciao..” Salutò lei, arrossendo, man mano che i ricordi della notte appena trascorsa si facevano strada nella sua memoria.

Alla veneranda età di ventuno anni, Vittoria non poteva contare più di due ragazzi con cui era andata oltre la soglia del bacio e il fatto che nessuna delle sue precedenti esperienze fosse stata intensa anche solo la età di quell’ultima bastava ampliamente per giustificare il color aragosta bollita assunto dalle sue guance.

“Ehi, che c’è?” Chiese Ludovico, preoccupato. “Non è che ti sei pentita di questa notte, vero?”

“No!” Si affrettò a rispondere lei. “No, assolutamente! É solo che..” Un pensiero improvviso le si affacciò alla mente, gettandola nel panico. “Oddio, il corso!”

“É tardi per il corso, Vitto, sono le undici...”

“Fantastico... la mia tutor mi ucciderà. Scusa, ma tu non lavori, oggi?”

Ludovico sogghignò.

“Ho la febbre e un accenno di influenza.”

“In agosto?”

“Ehi, non ho mai detto che il mio manager fosse una cima. A quanto pare, abbiamo la giornata tutta per noi.”

Vittoria sorrise, rilassandosi sulla spalla di lui.

“Potrei anche farci l’abitudine.” Disse, richiudendo gli occhi, mentre Ludovico le accarezzava la schiena.

“Già, non sarebbe male svegliarsi così ogni giorno. Che ne pensi?”

“Penso che potremmo anche farlo.”

“Forever, baby?”

“Non so... per sempre è tanto tempo...”

 

E invece no

È proprio come dici tu

Se c’è amore

Ogni giorno è già per sempre

(Pooh, Per sempre)

 

No, per sempre non era tanto tempo.

Almeno per loro non lo era stato.

Vittoria continuò a camminare sugli stretti sentieri di erba rasata alla perfezione, quasi che a chi andava in quel posto importasse qualcosa dell’erba.

Beh, forse a qualcuno sarebbe anche importato ma a lei no di certo.

Ludovico, al contrario, ci avrebbe fatto caso, ne era sicura. Nei pochi mesi in cui erano stati insieme, aveva imparato che lui amava i dettagli, era capace di apprezzar le piccole cose che la vita gli metteva davanti e vedeva sempre il lato positivo di tutto.

Anche quando, alla fine del corso, Vittoria aveva fatto ritorno in Sicilia, lui era riuscito a farla smettere di piangere e l’aveva addirittura fatta tornare di buon umore.

 

Via

Torno a casa mia

(Pooh, Buona fortuna e buon viaggio)

 

Vittoria si guardò intorno per la trecentesima volta da quando era rrivata in aereoporto, due ore prima.

Perché non si era ancora fatto vedere?

Aveva promesso che sarebbe andato a salutarla.....

Il suo volo sarebbe decollato tra meno di mezz’ora...se voleva vederla gli conveniva darsi una mossa!

Ad un tratto, un paio di mani coperte da guanti neri da motociclista le si posarono davanti agli occhi.

“Indovina chi è!” Disse, alle sue spalle, una voce in falsetto.

“Uno che è arrivato in ritardo a salutare la sua ragazza che non vedrà per minimo un mese.”

“Scusa, lo so...” Disse Ludovico, restituendole il senso della vista e girandole intorno, in modo da trovarsi di fronte a lei. “Ma le otto del mattino sono ora di punta, gioia mia. Sai cosa vuol dire ora di punta a Roma? Vuol dire che, se non mi spostassi con la mia donna, probabilmente sarei arrivato tra un paio d’ore.”

“Non chiamarla la tua donna.” Disse la giovane, accigliata.

Ludovico ridacchiò.

“Sei gelosa della mia moto?”

“Sì, se la chiami come dovresti chiamare me.” Rispose lei, malamente.

“Ehi, c’è qualcuno di cattivo umore, qui?”

Vittoria sospirò.

Le veniva da piangere ma non voleva sembrare una bambinetta che fa i capricci per tornare a casa dopo le vacanze.

“Vitto...” La incitò lui, guardandola negli occhi.

“É che... io non voglio tornare in Sicilia. Voglio restare qui con te. Non potrò tornare prima di dicembre... non resisto così tanto!”

“Proprio di questo ti volevo parlare.” Disse lui, facendosi serio. “Non dovrai tornare a Roma a dicembre.”

Vittoria spalancò gli occhi scuri, nei quali iniziavano a farsi strada le lacrime.

“Mi stai lasciando? Perché se è così vedi di fare in fretta... l’aereo parte.”

Ludovico la guardò, stupito. Non era certo quello l’effetto che aveva pensato di provocare!

“a no, amore!” Esclamò, dandole un bacio. “Non dovrai tornare a Roma perché tra quindici giorni inizio le riprese di un film vicino a Catania. Sarò lì per circa nove mesi!”

La ragazza rimase immobile, senza dire una parola.

“Non sei contenta?” Chiese lui, un po’ preoccupato.

Vittoria si riscosse improvvisamente dalla specie di stato vegetativo in cui era caduta.

Gettò le braccia al collo la suo ragazzo, rischiando di farlo cadere.

“Certo che sono contenta! Non potrei esserlo di più! É solo che mi hai colta di sorpresa!”

“Pensi di resistere due settimane senza di me?”

La giovane annuì, sorridendo.

“Non un giorno di più, mi raccomando.”

“Promesso.” Rispose lui, baciandola.

Nessuno dei due sapeva che quello sarebbe stato il loro ultimo incontro e nemmeno ci avrebbero creduto. In quel momento, il loro sogno, un sogno d’amore e gioia, era l’unica cosa che contava davvero.

 

Forse sognare è un difetto

Ma chi lo conosce il domani?

Precipitare ci insegna a volare

Domani

(Pooh, Domani)

 

Si erano lasciati con tante speranze e tante promesse che non ebbero mai occasione di essere mantenute.

Finalmente, Vittoria giunse davanti a quell’orribile pietra color fumo sulla quale campeggiava un’ancor più odiosa scritta in caratteri dorati. Lettere eleganti, piene di svolazzi che non gli si addicevano per niente. Per non parlare, poi, di quella pomposa cornice....

Come erano arrivati a quel punto?

Perché era lì a Roma davanti ad una fredda lapide e non in Sicilia, con lui, a mangiare un gelato in quel minuscolo chiosco sotto a casa sua, quello dove andava da quando era bambina e dove il gelataio la faceva sempre pagare solo con un sorriso.

“Un gelato per un sorriso” le diceva sempre...

Per quanto si ripetesse continuamente che non avrebbe comunque potuto farci nulla, Vittoria non riusciva a perdonarsi di non essere stata presente quando lui se n’era andato.

Era a Catania, Vittoria, mentre lui moriva.

Era a Catania a guardare la televisione, quando il telefono aveva iniziato a suonare.

 

Forte la mano teneva il volante

Forte il motore cantava

Non lo sapevi che c’era la morte

Quel giorno che ti aspettava

(Nomadi, Canzone per un’amica)

 

“Secondo me, finisce che Julie sposa Charles.” Disse la madre di Vittoria, on appena iniziò la pubblicità.

Il telefono prese a squillare prima che la ragazza avesse il tempo di rispondere.

“Pronto?” Disse, stupita dall’insolito orario della chiamata.

“Parlo con la signorina Vittoria Priolo?” Chiese una voce fredda e calma, che metteva inquietudine.

“Sono Alessandro Martelli, maresciallo dei Carabinieri di Roma Centro. Temo di doverle dare una brutta notizia, signorina.”

“É successo qualcosa a Ludovico?” Chiese lei, d’impulso, non riuscendo a pensare ad altre ipotetiche conoscenze romane.

“In che rapporti era con il signore?”

“Stiamo insieme.... ma cosa è successo?”

“Abbiamo chiamato tutti i numeri segnati nel suo cellulare come importanti e lei è stata la prima a rispondere.”

“MI VOLETE DIRE COSA É SUCCESSO?” Gridò Vittoria, decisamente spaventata.

Sua madre si alzò e le si affiancò, guardandola preoccupata.

“Mi dispiace, signorina, il suo fidanzato ha avuto un incidente sulla strada per Cinecittà. Purtroppo non è sopravvissuto.”

“É uno scherzo, vero? Sei Matteo? Vedi di piantarla, perché non mi sto divertendo.”

“Mi dispiace, ma non è uno scherzo.”

“Mi sta dicendo che lui è... è morto?” Chiese Vittoria, stringendo forte la mano della madre.

“Gliel’ho detto, mi di...” Vittoria attaccò. Rimase per un attimo immobile davanti al telefono.

Non era vero.

“Mi dispiace, tesoro...” Sua madre fece per accarezzarla ma lei l’allontanò bruscamente.

“Basta con questo mi dispiace! Non è vero che vi dispiace!” Urlò la ragazza, gli occhi pieni di lacrime. “Voi non capite niente, non sapete niente! Lo amo! Io lo amo e lui non è morto!”

 

He was my North, my South

My East and West

My working week

And my Sunday rest

My noon

My midnight

My taught

My song

I thought love would last forever

I was wrong

(Wystan Hugh Auden, Funeral Blues)

 

Le ci erano voluti quattro mesi per accettare il fatto che lui non c’era più.

Non era andata alla veglia, né al funerale e ora, ora che veniva a visitarlo per la prima volta, si sentiva terribilmente in colpa.

Si chinò a guardare la foto.

Lui, sorridente come sempre, la guardava da quel pezzetto di ceramica stampata. Sembrava non avercela con le....

“Perdonami, amore....” Posò un bacio delicato sulla fotografia.

E poi pianse.

La gente passava dietro di lei, scuotendo la testa, mormorando frasi come “povera ragazza” o “Non è giusto che se ne vadano così presto.”

Lei, però, nemmeno se ne accorgeva.

“Sei Vittoria?” Chiese una voce alle sue spalle.

Era una voce di donna, dall’accento milanese e dal suono fragile come un alito di vento.

Vittoria sollevò il capo e vide un’anziana signora un po’ cicciottella con una nuvola di capelli argentati in testa.

Annuì, asciugandosi una lacrima.

“Bene. Avevo promesso al mio pinin (lombardo: piccolino) che saresti passata. Ci hai messo un po’ più del previsto ma l’importante è che, alla fine, tu ce l’abbia fatta.” Disse la donnina, sorridendo.

“Chi... chi è lei?” Chiese Vittoria, alzandosi.

“Sono la nonna di Ludovico, Nini (vezzeggiativo dialettale lombardo). Sai, diceva che eri speciale... non vedeva l’ora di arrivare in Sicilia. Ti ama. Ti ama davvero tanto.”

Vittoria rimase in silenzio.

Avrebbe tanto voluto dire che anche lei lo aveva amato con tutto il cuore ma non riusciva a parlare.

“Era bello, vero, il mio nipotino?” Disse la donna, con tenerezza. La ragazza annuì.

“Perché è andato via?” Sussurrò. “Mi aveva promesso che ci saremmo rivisti...”

“Dopo due settimane.” Completò la nonna. “Non un giorno di più, me lo ha detto. Mi diceva tutto, il mio piccolo Ludovico. E sai cosa mi ha detto tante, tantissime volte?”

Vittoria scosse la testa.

“Che tu sei la cosa migliore che gli fosse mai capitata. Non ti avrebbe voluta lasciare mai e poi mai, lo sai, vero?”

“Perché mi fa questo?” Chiese la giovane, guardando negli occhi la sua interlocutrice. “Non le sembra che io stia già male abbastanza?”

“Ti sto solo dicendo quello che lui sente per te.” Rispose l’altra, calma.

“Sentiva.”

“Prego?”

“Lui sentiva qualcosa per me. Ora no, perché non c’è più, non esiste più, se n’è andato!” Esplose Vittoria, riprendendo a piangere.

“Non è vero, piccolina, non è vero. Te ne accorgerai.”

Ma che voleva quella donna da lei ?

Non capiva che così le faceva solo più male?

“Senta, io me ne vado.” Disse Vittoria, ricomponendosi. “Arrivederci.”

“Arrivederci, cara.” La salutò allegramente la donna.

“Ti sei scelto proprio una gran bella ragazza, caro el me fieou (caro il mio bambino). Non glielo dovevi fare, questo scherzo... mi sarebbero piaciuti tanto dei bisnipoti mezzi siciliani... Oh, beh, ormai il danno è fatto, no? Però, Ludo, stalle vicino... almeno stanotte, stalle vicino.”

***

 

Vittoria sedeva per terra, di fronte alla Barcaccia.

Era colpa sua, di quella maledetta fontana se era successo tutto quel caos.

“Colpa?” Le sussurrò all’orecchio una voce più simile al vento che a qualcosa di umano.”Credevo che fossi felice di stare con me.”

Vittoria si guardò intorno, spaventata. Due innamorati, un paio di drogati... nessuno vicino a lei.

“Aho, amo’, me senti o no?”

“Ludo...” Sussurrò lei.

“Eh già. Come si sta in Sicilia? Fa caldo?”

Fantastico.

Un morto le stava parlando del tempo.

Doveva proprio essere uscita di testa.

“Tu non sei reale.”

“Sì che lo sono.”

“No.”

“Ok, forse no...ma sei un’artista, fidati della tua fantasia, fingi che io sia qui e ci sarò davvero.”

“Sicuro?”

“Prova!”

Vittoria chiuse gli occhi, li riaprì ma non successe nulla.

“Non sei qui.”

“Ops... ho mentito.”

“Nemmeno da morto sai essere serio!”

Vittoria sorrise, suo malgrado. Forse era un’allucinazione ma, a quel punto, le importava davvero?

Tutto ciò che voleva era trascorrere ancora un po’ di tempo con lui, salutarlo, almeno.

“Ho conosciuto tua nonna... simpatica.”

“Già.” Disse la voce di Ludovico. Poi fece una risatina. “Mi ha mandato lei, sai? Mi ha detto che sarebbe stato carino passare un’altra notte insieme, io e te.”

“L’ultima notte...” Sussurrò Vittoria. Si sentiva strana. Era triste, certo, ma anche felice per quella strana visita.

“L’ultima in cui tu starai con me ma io per te ci sarò sempre. Non mi scapperai così facilmente!  Ora godiamoci questa serata, che è tutta per noi.”

 

Questa notte forse è l’ultima

Teniamola per noi

Se c’è un fuoco non lo spegnere

Io ti ritroverò

Goodbye

(Pooh, Goodbye)

 

 

 

   
 
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