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Autore: Hi Ban    18/03/2013    1 recensioni
[Crows Zero]
Era anche vero, però, che Serizawa lo aveva notato, o non si sarebbe ricordato di lui incrociandolo sul tetto; dal quel giorno, comunque, sarebbe ufficialmente stato quello che gli aveva fatto cadere l’acqua in testa.
Sulle labbra di Tamao aleggiava l’ombra di un sorriso e solo in quel momento Tokio si rese conto che il suo petto si alzava e si abbassava con più frequenza. Correva davvero prima, allora.
«Scappavi?» chiese Tatsukawa con tranquillità, senza battere ciglio.
Il sorriso dell’altro si allargò un po’.
«Sì, questa volta ne ho fatti arrabbiare un po’ troppi» confessò portando le braccia sopra la testa per poi stiracchiarsi rumorosamente. Nonostante quella considerazione, Tokio non poteva dire con certezza se si fosse battuto o se fosse solo corso via.
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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«Jump!» he said. And he jumped.





Il cielo era di un monotono grigio pioggia e negli ultimi cinque minuti era rimasto sempre di quella tonalità. Né si era schiarito né si era oscurato; Tokio lo sapeva, perché lo osservava da almeno un quarto d’ora prima, quando aveva deciso che di starsene dentro non ne aveva voglia e il tetto si era rivelato un posto più che accettabile.
Era sdraiato sulla schiena, con le mani dietro la testa e guardava dritto sopra di sé; non che si aspettasse di vedere qualcosa, oltre alle nubi che promettevano un acquazzone tremendo, ma continuava a tenere lo sguardo fisso. Non stava nemmeno riflettendo, se era per quello. Le uniche considerazioni che si susseguivano nella sua mente erano quelle sulla noia che un simile cielo gli suscitava.
Non pioveva e non c’era il sole; si poteva prevedere che di lì a poco sarebbe scoppiato un temporale, ma c’era anche la possibilità che le nubi si diradassero ed uscisse qualche raggio. Quella, per Tokio, era sicuramente una prospettiva noiosa; non c’era niente di certo, per scoprire cosa sarebbe successo a quel cielo grigio avrebbe dovuto attendere tutto il pomeriggio. O forse solo cinque minuti, quella storia delle possibilità era, più o meno, come un cane che si mordeva la coda. Nonostante lo stare lì non lo entusiasmasse poi molto, preferiva stare sul tetto piuttosto che scendere giù. Non conosceva nessuno e non sapeva che fare tra quelle mura in cui c’era solo gente che si picchiava per ogni minima cosa. Non che lui disdegnasse qualche bella rissa, ma non c’era nessun elemento che stimolasse la sua attenzione.
C’era quel Rindaman, ma aveva abbastanza istinto di sopravvivenza per decidere di non provare nemmeno a mettersi contro di lui. Anche se fosse stato abbastanza forte di suo, la corporatura massiccia dell’altro non lo invogliava a tentare il suicidio, immaginando fin dal principio che non sarebbe riuscito a sferrargli un pugno prima che lui lo stendesse senza troppe cerimonie.
E allora tanto valeva stare sul tetto.
Non gli interessava conoscere gente, nella Scuola dei Corvi, ma starsene a vagare per il corridoio come un’anima in pena non gli interessava particolarmente. Sicuramente era una prospettiva che lo attraeva meno dello stare a contemplare un cielo grigio.
Poi Tatsukawa chiuse gli occhi, concedendogli un po’ di riposo; quel grigio era abbastanza chiaro da fargli venire il mal di testa, eppure aveva continuato a guardarlo. Forse non c’era nemmeno una vera motivazione per quello.
Sentiva un gran baccano sotto di lui; probabilmente due tizi a caso avevano preso a picchiarsi senza ragione e il resto degli studenti aveva seguito l’esempio, senza avere un motivo.
A quanto aveva capito era davvero una cosa che facevano spesso; non gli ci era voluto molto per capire il funzionamento di quella scuola, anche se bastava solo la fama a farne intendere l’andamento.
Sentì delle urla arrabbiate e poi altri sconnesse grida, forse era giusto un po’ più caotico del solito, ma in breve tempo smise di sentirle; dopo un po’, un rumore continuo diveniva prima un costante accompagnamento musicale e poi scompariva.
Di quel passo, quei tre anni sarebbero diventati i più noiosi della sua vita; non che avesse alternative migliori, ma la sua era solo una considerazione. Si poteva dire che Tokio rifletteva davvero su un sacco di cose.
Aveva lasciato la porta aperta, perciò ora sentiva con estrema chiarezza i passi veloci che si susseguivano sconnessi uno dopo l’altro. Qualcuno stava salendo; una sola persona, andava anche piuttosto di fretta. Forse scappava.
Perciò non pioveva, non c’era il sole, era nuvoloso e qualcuno stava salendo. Altri due minuti e qualcos’altro sarebbe dovuto succedere per forza.
La porta sbatté con forza contro il muro, segno che chi era salito l’aveva spinta con forza, immaginando fosse chiusa. Era qualcuno che andava di fretta.
Tokio avrebbe potuto aprire gli occhi e scoprire chi fosse l’intruso – se fosse stato giusto un po’ meno maturo, avrebbe potuto attaccare briga per rivendicare il fatto che lui c’era arrivato per primo sul tetto –, ma decise di non farlo. Preferiva immaginare. In più, chiunque fosse stato le cose non sarebbero cambiate.
Non gli interessava, ecco tutto.
Sentì dei passi muoversi nella sua direzione ed ora non erano più aritmici, ma lenti e cadenzati. Li strisciava leggermente, segno che forse era stanco. O forse, semplicemente, era uno che strisciava i piedi perché camminava così.
Tatsukawa probabilmente era una delle poche persone che tendeva a scomporre le situazioni in infinite ed infinite possibilità, senza concentrarsi su una più probabile delle altre.
Ad un tratto una goccia gli cadde sulla guancia.
Pioveva?
Quando aprì gli occhi per controllare, ciò che vide dinnanzi a sé fu lo stesso cielo grigio di prima; e l’acqua non era pioggia, ma l’acqua che gocciolava dalla bottiglia che Serizawa Tamao stava bevendo.
I piedi del ragazzo erano a due millimetri dalla testa di Tokio e i due si osservavano senza una particolare emozione in volto. Serizawa bevve un altro sorso dalla bottiglia e, in contemporanea, una goccia d’acqua cadde sulla fronte di Tokio.
«È bucata» commentò solo il ragazzo, ma era una semplice spiegazione, non voleva avere un tono di scuse.
Non che Tatsukawa se le aspettasse.
Serizawa finì quel poco d’acqua che era rimasta nella bottiglia e poi la buttò giù dal tetto; non se ne sarebbe accorto nessuno, tolto il malcapitato a cui sarebbe potuta finire in testa.
Tokio si tirò a sedere e poi si alzò in piedi. Era proprio di fronte a Tamao e si osservavano senza dire nulla. Ora non vedeva più il cielo grigio, ma era più interessante lui.
Non lo conosceva per niente, probabilmente erano in classe insieme, se quella che avevano poteva definirsi classe. Da due settimane che tutto era iniziato, non avevano fatto nemmeno una lezione, non essendo mai stati in classe; il che lo portava a non sapere nemmeno chi fossero i suoi compagni. Non che la cosa gli creasse particolari fastidi. Non gli interessava proprio.
Era anche vero, però, che Serizawa lo aveva notato, o non si sarebbe ricordato di lui incrociandolo sul tetto; dal quel giorno, comunque, sarebbe ufficialmente stato quello che gli aveva fatto cadere l’acqua in testa.
Sulle labbra di Tamao aleggiava l’ombra di un sorriso e solo in quel momento Tokio si rese conto che il suo petto si alzava e si abbassava con più frequenza. Correva davvero prima, allora.
«Scappavi?» chiese Tatsukawa con tranquillità, senza battere ciglio.
Il sorriso dell’altro si allargò un po’.
«Sì, questa volta ne ho fatti arrabbiare un po’ troppi» confessò portando le braccia sopra la testa per poi stiracchiarsi rumorosamente. Nonostante quella considerazione, Tokio non poteva dire con certezza se si fosse battuto o se fosse solo corso via.
E quando quelle due possibilità si biforcarono nella sua mente, si rese conto del perché solo Tamao, oltre a pochi altri, fosse uno degli studenti della Scuola dei Corvi che gli fosse rimasto impresso, senza scivolare fuori dalla sua mente con la stessa velocità con cui era entrato. Era stato sia per quello sguardo furbo, quasi sempre ironico, sia per la calma che si trascinava dietro anche quando mollava un pugno a qualcuno. Ma era stato principalmente perché lui era quello che prima attaccava briga e poi combatteva, senza mai tirarsi indietro. Lui iniziava e lui finiva ed era il solo altro della Suzuran, oltre a Rindaman, contro cui non si sarebbe mai scontrato.
Ah, sì, era per quello. Allora c’era una terza possibilità, per quanto riguardava quello che era successo sotto: ne aveva picchiati un bel po’, ma poi si erano rivelati troppi. Certo, lui combatteva sempre, ma era anche abbastanza intelligente da capire quando darci un taglio e salvarsi le palle. «Tu cosa ci fai quassù?» chiese di rimando, probabilmente seguendo la tacita legge per cui gli era concesso porre una domanda, visto che aveva risposto alla sua. O forse voleva solo sapere cosa ci facesse sul tetto ad occhi chiusi.
«Mi rilassavo» ribatté senza nemmeno pensarci, perché la verità non aveva bisogno di preamboli. Anche Serizawa non ci aveva messo più del dovuto a parlare, prima.
Ad un tratto, poi, il silenzio che si era creato tra di loro venne rotto da uno scalpiccio confuso e da un vociare roco e confuso.
«I tuoi amici ti hanno trovato» commentò divertito Tokio, che voleva proprio vedere quanti ne aveva fatti arrabbiare e come avrebbe gestito la situazione.
Non poteva fare molto se non affrontarli.
«Mh, mi hanno trovato. Sono più intelligenti di quel che credevo» borbottò divertito ed annoiato Tamao, affondando le mani nelle tasche e fissando lo sguardo sulla porta spalancata. I rumori erano sempre più vicini, infatti in un attimo una fiumana di studenti di un’altra scuola si riversarono sul tetto.
«Che scuola è?» chiese Tokio, giusto per sapere con chi avevano a che fare. Ovviamente anche lui si sarebbe rimboccato le maniche: non aveva un motivo preciso, ma non si faceva molti problemi a fare qualche rissa. In più, uno o due motivi generici li aveva – era una scuola rivale a prescindere quella che varcava i cancelli della Suzuran con spranghe in mano, perciò aveva un territorio da difendere. E poi si era semplicemente abituato ai modi della scuola, non l’aveva trovato minimamente difficile.
«Housen. È per questo che non avevo confidato troppo sulla loro intelligenza» disse senza muovere un passo, mentre i tizi sconosciuti si facevano avanti un po’ alla volta.
Non avevano l’aria sveglia, in effetti.
«Sono tanti» disse Tokio, affermando l’ovvio.
«Noi siamo due» gli fece eco Serizawa, che si passò una mano tra i capelli e alzò lo sguardo al cielo.
«Piove» soffiò un attimo dopo, con la testa completamente piegata verso l’alto, come se davanti a sé non avesse schierati trenta o più studenti pronti a staccargli anche gli occhi nell’impeto della rissa. In quel momento una goccia si infranse sulla punta del naso di Tatsukawa, che si mise a guardare il cielo con il compagno. Stava davvero iniziando a piovere.
Probabilmente era uno di quei temporali di stagione, poiché prendeva intensità di secondo in secondo, e probabilmente sarebbe sfociato in un gran temporale. Tempo cinque minuti e sarebbe terminato tutto.
Entrambi fissavano ancora il cielo; Serizawa aveva le labbra leggermente dischiuse ed emise un sospiro annoiato. Tokio lo guardò con la coda dell’occhio e sul suo volto si dipinse un sorriso rilassato.
«Serizawa!» gridò uno di quelli in prima fila; probabilmente era anche lui del primo anno, perché oltre ad emanare un’aura parecchio violenta non si muoveva nemmeno.
«Ok» disse a bassa voce Tamao e Tokio non seppe dire, sul momento, se stesse parlando rivolto a se stesso o a lui.
«Tokio» lo chiamò poi e ciò fece presente al ragazzo che anche Serizawa si era accorto di lui. Era evidente che in mezzo al grigio uniforme di quella scuola – come quello del cielo che l’aveva fatto attendere un bel po’ per la pioggia – c’era del grigio più chiaro e del grigio più scuro. Non si arrivava mai al nero o al bianco, però.
«Mh?» mormorò, palesando la sua attenzione.
«Credo sia il caso di andare» continuò e a quel punto Tatsukawa si voltò completamente verso di lui.
In risposta, Tamao si girò e si diresse verso il cornicione del tetto, da cui si poteva vedere il cortile posteriore.
«Eh?» fu la sola domanda posta da Tokio, prima che Serizawa tornasse indietro e lo afferrasse per un braccio.
Era sicuramente la prima volta che Tokio si trovava in una situazione del genere, tanto che il massimo che riuscì a fare fu fissare interrogativamente Serizawa. Quest’ultimo aveva un leggero sorriso che gli increspava le labbra e guardava avanti.
Tamao osservava il cielo di fronte a lui e Tatsukawa lo guardava senza comprendere.
Fu davvero questione di pochi secondi, benché nella mente di Tokio furono eterni minuti.
«Andare dove?»
«Giù. Ci buttiamo» fu la risposta e si voltò per sorridergli.
Gli studenti della Housen gridarono inferociti e si diressero correndo verso di loro.
«Cosa?» chiese vagamente sconcertato da una tale presa di posizione. Forse a sconvolgerlo di più fu la calma con cui glielo propose.
«Loro sono troppi, io sono stanco e dubito tu voglia farti buttare giù di peso… tanto vale che ci buttiamo noi» rispose come se nulla fosse.
«Tu sei pazzo» gli fece presente con vaga ironia, anche se ancora non riusciva a credere che fosse serio.
«No, la trovo solo una soluzione fattibile.»
Quando ormai quelli della Housen erano dietro di loro, Serizawa lo afferrò nuovamente per il polso e disse: «Saltiamo.»
Tokio non oppose resistenza e non urlò nemmeno, ancora vagamente incredulo da quel che aveva sentito. Serizawa doveva avere un concetto tutto suo di pericoloso e letale o non si sarebbe gettato ritenendola una soluzione logica e attuabile. Chiuse gli occhi, chiedendosi solo che diavolo stavano facendo, mentre il suo pensiero veniva espresso ad alta voce dagli studenti che li avevano visti volare di sotto.
Si sarebbero rotti qualche osso, se non tutti.
L’atterraggio, invece, fu piuttosto morbido, per quanto lo concessero i cartoni che riempivano il camion in cui finirono.
Tatsukawa non si sentiva più le gambe, infatti si lasciò cadere a peso morto, cosa che fece anche Serizawa.
Aveva il respiro corto, i capelli incollati alla fronte per l’acqua e le ginocchia che gli facevano incredibilmente male, ma in un certo senso aveva voglia di ridere; si lasciò andare ad un mezzo sbuffò, una risata trattenuta, notando che anche Tamao sorrideva leggermente.
«Ma tu lo sapevi che c’era questo sotto, no?» chiese pacatamente Tokio guardando di sottecchi Serizawa.
«No» fu la tranquilla risposta del ragazzo, che l’accompagnò con una scrollata di spalle.
Anche se non lo conosceva particolarmente bene, Tokio poteva dire che era serio, dannatamente serio, non stava mentendo.
Lui si era fidato senza pensarci due volte.
Forse, a quel punto, che Serizawa lo sapesse o no non aveva poi tutta quell’importanza.
E poi ebbero tutto il tempo per scappare da quelli della Housen, mentre l’acquazzone ne copriva il vociare confuso.



Non potevo non scrivere su Serizawa e Tokio: io li amo, individualmente e insieme, sono troppo... troppo *,*
E' ambientata prima di Crows Zero, ma suppongo si sia ampiamente capito... mi è venuta in mente notando il rapporto che hanno quei due nei film, Serizawa che blocca Genji dal tirare un pugno a Tokio e quando aveva quello sguardo... ah, ho perso per sicuro una ventina d'anni di vita, ma non ho dubbi nel credere che ne sia valsa la pena! Mh, beh, a questo punto potete benissimo vederci tutti gli accenni slash del caso, perché io li vedo ovunque, ma comunque non li ho accennati troppo :/
Au revoir :D
  
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