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Autore: Con gli occhi del cuore_    18/03/2013    4 recensioni
< Perchè piangi? >
chiese a bassa voce il ragazzo cieco disteso accanto a me.
< Ma come..? >
< Non vedo le tue lacrime, ma le sento respirare. >
Mi interruppe affondando maggiormente la testa nel cuscino.
Annuii piano, anche se lui non poteva rendersene conto e poi tornai accanto a lui sul cuscino asciugandomi le lacrime con la manica della sua camicia a quadri che avevo indosso dalla sera prima.
....
Genere: Malinconico, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Nuovo personaggio, Zayn Malik
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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-Con gli occhi del cuore;

 



In casa c'era solo il mio migliore amico.
E chi altro doveva esserci?
Sospirai e buttai la borsa in un angolo, mi sedetti su di una poltrona e strinsi il gatto forte a me.

-Cosa c'è?-
Mi chiese guardando verso un punto imprecisato della camera con i suoi occhi ciechi
-L'ho visto sorridere..-
-E quindi?-
Domandò ancora
-Ren.. Fa così male vedere qualcuno sorridere quando sai che la ragione per cui lo fa non sei più tu..-
-Ehi, fermati. Lui non sta più pensando a te, perciò smetti anche tu di farlo, è inutile. Tu non meriti uno come quello.
E' cieco, completamente. Ma non come lo sono io, lui è cieco nel cuore.-
Le sue parole mi colpirono violentemente, come un'onda che s' infrange contro gli scogli.
Mi alzai e andai a stendermi accanto a lui.

-Ren..?-
-Mhh..?-
-Grazie. Ma è il mio ragazzo, non so perchè mi abbia chiamata e forse esagero pensando che voglia lasciarmi ma..-

Non riuscii a terminare.
Lui non rispose cercò semplicemente il mio corpo dal buio del suo mondo e mi abbracciò.
Ren era così, le parole, gli sguardi... non gli servivano più.
Con un gesto era capace di sciogliere di botto anche il cuore più duro.
L'avevo visto sorridere davvero poche volte, ma potevo dire con certezza che il mio migliore amico possedeva uno di quei sorrisi che, anche se appena accennati, sono talmente puri e sinceri da poter illuminare il mondo in una notte senza stelle.
Ci addormentammo in pochi minuti, stavo così bene nel calore delle sue braccia.
Mi svegliai poche ore dopo.
Lui era sempre lì, dormiva ancora.
Mi sedetti al bordo del letto e poggiai i piedi scalzi sul marmo.
Una serie di brividi mi percorse la schiena a causa del freddo di quel contatto.
Decisi di uscire.
Nei corridoi non c'era quasi nessuno, in tutti gli appartamenti le luci erano già spente.
C'era un silenzio opprimente, l'unico rumore udibile era quello sempre uguale dei monitor che regolavano i battiti cardiaci.
Oh, no. Quelli erano ancora nella mia testa e parevano non volerne uscire dal giorno in cui avevo riportato a casa Ren dall'ospedale.
Uscii e l'aria m'investì prepotentemente alleviandomi il mal di testa.
Fuori faceva abbastanza freddo e, probabilmente, presto ci sarebbe stato un temporale.
Ma, anche se non li sopportavo, non mi importava.
Il bagliore dei lampi, le grida dei tuoni, la pioggia pesante che batteva sul corpo penetrandolo fin dentro le ossa.
In Inghilterra, ogni volta che ce n'era uno, andavo a sedermi in veranda con mia madre.
Con tutto il trambusto che gli acquazzoni producevano i pensieri non riuscivano nemmeno ad arrivarmi alla mente.
Andai dal mio ragazzo in centro, mi aveva telefonato quella mattina.

-Ehi- Dissi entrando con le chiavi di riserva che erano come sempre sotto il tappetino.
-Amore..- Sussurrò lui leggermente sorpreso.
-Che cos'hai che non va?- Domandai avvicinandomi per scrutarlo meglio.
-Mi hanno reclutato devo... partire con l'esercito-
Abbassò gli occhi mentre il mio cuore si sfracellava al suolo, distruggendosi.
-C..cosa?-
-Devo partire Evangeline, andare via, con i militari a fare la guerra in Iraq. Probabilmente starò via per un'infinità di tempo e quindi è meglio se la finiamo finchè non torno vivo da quel posto.-
-Io non posso aspettarti per sempre, anzi non posso proprio lasciarti andare.
-
I miei occhi fissavano il vuoto, la mia voce era spenta, distrutta.
-Puoi stare con altri ragazzi, tutti quelli che vuoi, non mi arrabbierò.-

-No è qui che ti sbagli. Non posso. Non ci riesco a usare le persone e poi buttarle via dopo esserci andata a letto. Non posso perchè so come ci si sente. Le persone non sono bambolotti, Malik. Hanno dei sentimenti. E dopo essere state usate non si fideranno più di nessuno, avranno paura di essere amate. Hai mai pensato a questo? Ora tu te ne andrai in guerra, a combattere per l'esercito e io rimarrò qua, sola. A piangere. Sento già il rumore delle mine che esplodono nella mia testa, riesci a capirlo? Ho appena perso mio padre e riportato a casa il mio migliore amico il quale è rimasto cieco a causa di un incidente e ora tu mi vieni a parlare di ragazzi? Mi sto sentendo morire, vedo già sangue, urla e volti incappucciati, scie di dolore e di disperazione-
Urlai scoppiando a piangere.

Lo avevo sicuramente lasciato senza parole, tant'è che non rispose e se ne andò in cucina.
Scappai, mi parve la cosa più semplice, uscii velocemente da lì senza dar conto alle sue urla che mi chiedevano di fermarmi.
Guardai l'ora sul display del mio cellulare.

Le undici e dieci.
Nonna Rose stava sicuramente già dormendo da un pezzo, perciò decisi di non andare a riprendere il gatto, quella sera.
Salii fino al secondo piano cercando di fare il minor rumore possibile, per non svegliare quell'isterico del cane della mia vicina.

Uno di quegli affaretti piccoli e pelosi che quando abbaiano saltellano come se avessero le convulsioni.
Finalmente entrai e mi chiusi la porta alle spalle.
Il mio appartamento non era nulla di speciale, in quel momento sembrava più un magazzino che un luogo abitato da qualcuno.
C'erano scatoloni ovunque, per la maggior parte merce rubata nei negozi, nel periodo in cui mi costringevano a farlo.
I muri erano spogli e non c'erano nemmeno le tendine.
Gli unici mobili presenti erano un letto matrimoniale, un tavolo, due sedie e un piano da cucina su cui era appoggiato un fornelletto da campeggio.
Ma per il momento non ci serviva altro.
Mi tolsi le scarpe e le gettai in un angolo dell'ingresso.
Appoggiai tutti i vestiti su una sedia ed andai a farmi una doccia.
Non poteva venirmi idea peggiore.
Di colpo mi tornarono in mente tutti i nostri momenti, le risate, come in un flashback.
Le mie lacrime presero a scorrere mescolandosi con l'acqua calda.
Dovevo dimenticare le condizioni in cui era la mia vita al momento, dovevo dimenticare che i miei genitori non c'erano più, almeno per una notte.
Mi misi il pigiama e asciugai i miei lunghi capelli senza averne voglia.
Poi andai in cucina e misi sul fornello un pentolino d'acqua per fare il tè.
Non ci misi neanche lo zucchero, ero già grassa abbastanza ci mancava solo quello.
Finii il contenuto di quella tazza quasi automaticamente, increspando ad ogni sorso le labbra infastidita dalla condensa umidiccia che mi si formava intorno alla bocca a causa del vapore.
Poi mi distesi in quel letto troppo grande, che mi faceva sentire troppo sola.
In una casa troppo silenziosa.
Lo pensai giusto per rendermi conto che la parola “troppo” capitava decisamente spesso quando si parlava della mia vita.
Non c'era mai niente che era poco, o abbastanza.
Nulla di perfetto.
Pensai alla mia nuova casa, non mi apparteneva affatto.
Non c'era nessuna traccia dei miei genitori, della mia infanzia.
Non aveva il sapore del pregiato tabacco russo fumato da mio padre.
Il suono dei tacchi della mamma che si spostavano sul pavimento pulito e fresco di cera.
Le grida e l'allegria quando giocavamo nel cortile assieme a Dawson.
Il rumore del tagliaerba che John, il giardiniere, passava una volta a settimana nel giardino.
Si lasciava sempre dietro quel disgustoso odore di benzina che impregnava i polmoni.
Ma io amavo tanto quell'odore, avevo imparato a non disgustarmene più.
Mi riportava continuamente ad un concetto ormai distrutto, rovinato e senza senso: “casa”.

Perché casa per me non significava solo “tetto sopra la testa” significava sentimenti, felicità, famiglia.
Quel posto, invece, era vuoto.
Nessun sapore, nessun suono, nessun colore.
Eravamo solo io, Ren e un vecchio gatto persiano.
Che fra l'altro russava come un trattore perchè soffriva d'asma.
Mi addormentai senza neanche accorgermene.
Dormii circa un'ora, erano le quattro meno dieci del mattino quando mi svegliai.
Avevo freddo, il caminetto doveva essersi spento.
Mi alzai per andare in bagno, passando accesi tutte le luci che mi capitavano a mano.
Non che ce ne fosse bisogno, i miei occhi erano in grado di vederci benissimo anche al buio.
Forse lo feci per sentirmi meno sola.
O magari per rendere quella casa più viva.
Sapevo benissimo che non sarei riuscita a riprendere sonno, così decisi di andarmene di lì. Presi le chiavi del motorino, notando Ren appisolato sul divano e decisi di uscire dall'appartamento.
Quella mattina il vuoto e il silenzio della casa mi opprimevano.
Dovevo uscire, ne avevo la necessità.
Riempii la ciotola di Shine, ricordandomi poi che il cibo non gli serviva dato che era ancora al piano di sotto con nonna Rose.
Mi cambiai, indossai il cappotto e entrai nell'ascensore.
A
rrivai nei garage.
Li avevo sempre odiati, già anche quelli.
Quella puzza di chiuso e quell'umidità che entrava fin dentro le ossa.
Cercai di fare il più in fretta possibile.
Presi il motorino e mi diressi all'esterno.
Salii in sella sciogliendo la coda e lasciando che i capelli mi ricadessero lungo la schiena.
I miei occhi erano persi nel vuoto, scrutavano fra le idee, decidevano la destinazione.
Non misi il casco, non lo avevo mai messo.
Ero così, del casco me ne fregavo.
Volevo essere libera, avere la lunga chioma a solleticarmi il viso e l'aria dritta addosso, senza protezioni.
Ren e Zayn avevano paura che mi facessi male e mi sgridavano spesso, ma io non ne volevo sapere.
E se, prima o poi, avessi preso una multa non mi sarebbe importato.
Tanto, almeno per quella notte, il motorino era senza targa e io ero senza nome.
Ero ribelle, già.
O almeno ci provavo, tentavo con tutte le mie forze di esserlo.
Di non essere solo un altro clone in mezzo a questo schifo di mondo.
Volevo soltanto che l'alba si sbrigasse, quel buio era sinistro, non mi faceva sentire tranquilla.
Partii senza precisamente sapere dove sarei arrivata.
La nebbia mi si insinuava bastarda tra i vestiti facendomi raggelare.
Senza neppure accorgermene mi ritrovai davanti al bar della stazione.
Fu in quel momento che mi resi veramente conto di non aver mangiato dal giorno precedente a pranzo.
Così entrai, mi lasciai cullare dalla musica classica in sottofondo e dal calore delle stufette a gas sparse un po' in giro per la stanza.
Mi diressi al bancone e ordinai un cappuccino con doppia schiuma.
Al barista Marco, un uomo sveglio che mi conosceva bene, bastò guardarmi per un attimo.
-Notte in bianco eh? E' qualcosa di grave?-
Scossi la testa e feci un gesto con la mano come per minimizzare o, forse, cacciar via quel pensiero.
Lui annuì comprensivo e si sbrigò a darmi ciò che avevo chiesto.
Mi sedetti al mio solito tavolino, attaccato alla stufa.
Ero una tipa molto freddolosa.
Mi soffermai a osservare quell'ambiente che conoscevo come le mie tasche, giusto per vedere se c'era qualcosa di diverso.
Ma era molto improbabile, Marco teneva quel posto così da più di trent'anni.
C'era la stessa moquette rossa per terra che arrivava a ricoprire anche metà dell'altezza del muro, la cui restante parte era spoglia e tinteggiata di bianco.
Il solito lampadario un po' soffuso che pareva offuscare la vista e il bancone in granito che faceva la sua bella figura con la vetrata di alcolici.
Sorseggiai distrattamente la colazione pensando che quel posto aveva un'aria davvero molto natalizia.
Chissà perchè, non c'avevo mai fatto caso prima.


*circa sei anni dopo*

Mi sedetti sul bordo del letto stringendo forte il cuscino.
Le coperte, attorcigliate al mio corpo, scivolavano lentamente verso il liscio pavimento di ciliegio.
-Perchè piangi?-
Chiese a bassa voce il ragazzo cieco disteso accanto a me.
-Ma come...?-
-Non vedo le tue lacrime, ma le sento respirare.- Mi interruppe affondando maggiormente la testa nel cuscino.
Annuii piano, anche se lui non poteva rendersene conto, poi tornai accant a lui sul cuscino asciugandomi le lacrime con la manica della sua camicia a quadri che avevo indosso dalla sera prima.
-Piango perchè mi manca, Ren. Mi manca baciarlo, vederlo ridere, sentirlo respirare lentamente quando si addormenta... Mi manca con tutta l'anima e non so dov'è, nè cosa sta facendo..-
Ren cercò la mia mano per stringerla; La avvicinai, in modo che la trovasse più facilmente.
-Lui si sentirà solo, finchè tu ti sentirai allo stesso modo. Sono passati sei anni, Eve. E' come se fosse chiuso al centro del tuo cuore e si sentisse come te, è il tuo piccolo riflesso.-
-Se è così.... perchè non è ancora tornato?-
-Immaginati un germoglio di rosa e paragonalo a lui, durante un litigio o una separazione è come se venisse estirpato. E ad un fiore serve tempo per ricrescere. Tornerà.-

Non dissi niente e cercai con la mano libera il pacchetto di sigarette appoggiato a terra al lato del letto.
Me ne accesi una e restai immobile, in uno stato di semi incoscienza espirando il fumo dal naso.
La cenere ricadeva in piccole quantità sulle lenzuola lasciando macchie di polvere grigiastra.
-Non dovresti fumare, fa male, soprattutto nelle tue condizioni.-
-Si, papà.-

Ridacchiai poggiando la sigaretta sul posacenere senza però spegnerla del tutto.
-Vado a farmi una doccia-
Dissi, dopo qualche minuto di silenzio per poi dargli un bacio sulla guancia.
Al contatto con il mio viso freddo, rabbrividì.
Entrai in bagno per poi appoggiarmi alla vetrata del finestrone.
Osservavo attentamente le strade illuminate di New York, ventidue piani sotto di me.
Mi immaginavo una storia per ogni macchina che passava, benchè fosse mattina presto e ce n'erano davvero poche.
< Il tipo che guida quella Bmw dev'essere un rappresentante, probabilmente quarantenne. E' andato fuori città per pubblicizzare la sua ditta e ora sta tornando nel suo loft a sud di Brooklyn, probabilmente a Coney Island, fra la spiaggia, affacciata sull'Oceano Atlantico e il grande Luna Park. A casa, sua figlia di otto anni e sua moglie sono a dormire già da molto. Arriverà e si toglierà prima le scarpe, poi la giacca e la cravatta e si stenderà, ancora vestito, accanto alla moglie facendo meno rumore possibile. Ma, come ogni volta, la sveglierà lo stesso.>
Pensai con un sorrisetto.
A distrarmi fu la suoneria del cellulare: qualcuno mi stava chiamando? a quell'ora di notte?
Era lui.
Deglutii rumorosamente sentendo il respiro bloccarsi.
Era un sogno, si, doveva decisamente essere così.
-P..Pronto?-
Sussurrai con un filo di voce mentre delle lacrime, nascoste per troppo tempo, scivolavano sulla mia pelle.
-Cosa ci fa un angelo affacciato ad una finestra alle tre di notte?-
Non risposi.
Alzai lo sguardo, lui era lì.
Nell'appartamento davanti al mio, come ai vecchi tempi, dopo sei anni che non lo vedevo.
-Finalmente puoi smettere di aspettarmi, io sono qui piccola. Sono qui e non andrò mai più via, perchè ti amo e non ho smesso un istante di pensarti per tutto questo tempo, ti pensavo ogni volta che un mio compagno veniva colpito da un proiettile, ogni volta che qualcuno diceva "presto torneremo a casa", sempre.-
Continuai a non dire niente, il mio cuore e il mio cervello erano troppo sconvolti anche solo per formulare una lettera.
Semplicemente fissai i miei occhi nei suoi e non potei fare a meno di sorridere.
Dimenticai tutto quel tempo, la rabbia e il dolore.
Era lì, adesso.
Potevo di nuovo perdermi dentro all'oro delle sue iridi e questo era tutto ciò di cui mi importava.
-Ti amo.-
Fu tutto quello che riuscii a dire.
Poi chiusi la chiamata, non ero nelle condizioni di parlare.
Almeno non senza una doccia ghiacciata.


-Note-
E rieccomi, già sembra proprio così.
Spero che possa piacere a qualcuno, davvero.
Recensite, vi prego, ci tengo troppo a leggere ciò che pensate.
Con amore x
-Faith



 

 

 

 

 

 

   
 
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