Le
luci
sono fioche. Non fa freddo, ne è sicuro, ma i brividi gli
percorrono la
schiena, le braccia. Le mani tremano e sembrano essere incontrollabili.
L’odore
è acre, ma forse sta immaginando anche quello.
Cammina
piano tenendo la punta delle dita sulla parete alla sua destra,
all’altezza del
suo viso. Deve tenere il contatto, deve tenere il controllo.
Cerca
di respirare piano ma non riesce a concentrarvisi.
“Dentro
e fuori, Kurt, dentro e fuori. Respira”.
Quando
è diventato tutto così buio? Cerca un
interruttore – è casa sua, dopotutto, sa
dove sono i pulsanti per accendere la luce – ma ancor prima
di tentare a
premerne uno, sa che non funzionerà. Infatti è
così. Stringe i pugni per
evitare di urlare e continua a camminare. Piano.
“Dentro
e fuori, Kurt, respira. Uno e due, un passo dietro l’altro,
Kurt. Cammina”.
Pensa,
respira e cammina come una nenia.
Ha
paura.
Un
rumore forte ma soffocato lo scuote dal torpore. Non sa se ha
immaginato anche
quello, spera vivamente di sì. Si volta cercando di capire
da dove fosse
arrivato quel tonfo ma non ci riesce, ha paura, non vuole dare le
spalle al
corridoio davanti a lui.
Da
quando Sebastian ha lanciato quell’urlo e il suo cuore si
è lacerato, ha deciso
di uscire dalla camera in cui suo marito l’aveva pregato di
restare, qualsiasi
cosa fosse successo. Restare lì ad aspettare la sua fine,
senza nemmeno lottare
per salvare il suo uomo, che invece non aveva esitato ad affrontare i
loro
aggressori – probabilmente coloro che avevano inviato tutte
quelle lettere
anonime ed inquietanti la settimana precedente – e che ora
era tra le loro
mani, magari subendo qualche orrenda tortura era a dir poco
improponibile. Deve
reagire, deve percorrere il corridoio che lo porta alle scale e quindi
giù, all’ingresso.
Da
Sebastian.
Da
suo
marito.
Kurt
fa
un altro passo, cercando di concentrarsi su quello che deve fare.
Cercare di
raggiungere il telefono, chiamare il 911, chiedere aiuto. Tentare di
afferrare
una mazza da golf (e dire che aveva tenuto il muso a Sebastian per una
settimana per aver comprato quel set da tremila dollari, piazzato sotto
le
scale come un elemento decorativo) e cercare di usare tutti i muscoli
delle
braccia di cui si vanta tanto con suo marito.
Un
altro
urlo, disperato, di Sebastian. Uno strillo acuto, sintomo di un dolore
lancinante.
Lo
stanno
aspettando, ne è sicuro. Ma Kurt non può
trattenersi dal continuare a camminare
e sperare che il suo cuore non emetta davvero quel rumore che gli
rimbomba
nelle orecchie. Controlla che non ci sia nessuno alle spalle e inizia a
scendere le scale, entrambe le mani al corrimano, cercando di non
cadere.
Sente
delle parole soffocate e dei rumori forti ma smorzati provenienti dalla
cucina.
Si accuccia dietro la colonna in fondo alle scale e cerca di capire.
Tutto ciò
che riesce a vedere è la schiena di un uomo, poi il suo
piede che prende lo slancio,
piegandosi all’indietro e poi, trovata la forza, si scaglia
in avanti. Un altro
urlo di Sebastian.
Lo
stanno prendendo a calci.
Kurt
cerca di trattenere un singhiozzo ma il suo cuore sta esplodendo, la
nausea gli
causa un dolore alla testa che rischia di farlo svenire. Ma non
può, non adesso…
deve cercare di guardare avanti, deve aiutarlo, deve vincere lui.
Quando
trova la forza di alzarsi, è per accorgersi che le gambe non
reggono. Tutto sembra
ancora più buio e il respiro è corto. Un altro
urlo, un altro calcio, altre parole
confuse.
La
testa gira.
Kurt
fa
qualche passo e si aggrappa allo stipite della porta della cucina
pregando che nessuno
lo veda.
“Dentro
e fuori. Solo questo, Kurt”.
Non
riesce
ad ascoltare un altro urlo di Sebastian e non fare niente. Con due
lacrime
silenziose che gli rigano il volto perfetto, anche se colmo di paura,
Kurt si
sporge per guardare.
E
lì si
sente mancare.
Sebastian
è per terra, riverso in una pozza di sangue. Il suo stesso
sangue. Né è ricoperto:
ne ha sul viso, sulle mani. Accanto a lui, una figura robusta,
incappucciata, senza
volto. Continua a chiedergli qualcosa che Kurt non riesce a capire,
Sebastian
non risponde, forse ha perso i sensi. Altri calci, dritti nella pancia.
Kurt
vuole urlare. Non può.
Si
volta
e con una mano tremante tenta di prendere qualcosa di pesante da usare
come
arma. Riesce ad afferrare un vaso, e quando ritorna a guardare in
cucina, trova
solo Sebastian, che a malapena muove il petto per respirare.
L’uomo
non c’è più.
Kurt
ha
paura. Più di prima. E non vuole voltarsi. Il vaso cade.
-
Sai,
- una voce dietro di lui lo lascia paralizzato. È
inquietante, è terribile, è
inaspettata. Morirà. – Potresti andare da lui
adesso, se vuoi. Ma forse è
inutile. Vi vedrete presto nell’altro mondo.
Quando
Kurt urla, lo fa per davvero. E ci mette un po’ a
capire di essere nel suo letto. Ci mette le mani di Sebastian, i suoi
baci
sulla mandibola e sulla guancia e le parole dolci
all’orecchio, più che altro.
Ma
stavolta non gliela fa passare liscia.
-
Smythe, la prossima volta che mi porti a vedere un film
horror, - riesce a dire tra i singhiozzi, - Giuro che ti lascio morire
in cucina,
hai capito?
Angolino!
Oh well well well. Questa fic è stata scritta per la challenge di “I Call Him Mine . Kurtbastian Italian Group” (si cui sono un fierissimo membro) per la prima settimana, il cui tema è: horror movie. *you don’t say, Vals?*
Bene, è abbastanza evidente che io non abbia mai visto un film horror, vero? Shame on me, sono una di quelle cagasotto di altissima qualità. Avevo paura anche mentre scrivevo, per dire. Ma ci tenevo a farne parte, so.
Spero di non aver scritto scempi, ma ho trovato un paio d’ore tra tutto quello che ho da studiare (maturità, t’avessi preso prima…) e così posto adesso o mai più.
Ringrazio i Keane che mi hanno accompagnata nella stesura. :D
Vals