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Autore: Kara    20/03/2013    6 recensioni
“Merda… i Maya avevano ragione, dopotutto”.
Genere: Commedia | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Hajime Taki/Ted Carter, Teppei Kisugi/Johnny Mason, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Sono trascorsi più di tre anni dall'ultima storia che ho pubblicato.
Tanta acqua è passata sotto i ponti da allora e tante cose sono accadute.
Nonostante i mille impegni, lo scarsissimo tempo a disposizione, la stanchezza, la voglia di scrivere qualcosa mi ha portato a buttare giù questa storiella con la quale mi stavo baloccando da dicembre scorso.
Secondo i miei programmi dovevano essere un paio di paginette, giusto per togliere la ruggine dalla penna. Ovviamente non avevo considerato la logorrea. LOL
La ruggine c'è ancora, la sento e la vedo. Per questo non sono contentissima di questa storia, anche se, al momento, meglio di così non riesco a fare.
 


 
 


 

2012 – I’ll be there

 

“Smettila Morisaki-kun! Mi stai facendo venire i brividi!”
La sedia stridette contro il pavimento quando Ryo Ishizaki si alzò di scatto, sbattendo le mani sul lungo tavolo di formica. Il brusco movimento fece ondeggiare le due bottiglie di plastica vuote davanti a lui, che caddero con un sordo tonfo sul consunto ripiano marrone.
Shun Nitta si precipitò ad afferrare il proprio bicchiere prima che venisse investito, evitando che il contenuto gli si rovesciasse addosso. Ci mancava solo quello: rientrare a casa con un alone paglierino sulla patta dei pantaloni bianchi. Al solo pensiero di quello che gli sarebbe toccato subire gli vennero i capelli dritti. I suoi fratelli maggiori non si sarebbero fatti scappare l’opportunità di prenderlo in giro e lui avrebbe dovuto ingoiare il rospo senza poter dire o fare nulla: loro erano due colossi e lui un tappetto. Anni prima aveva provato a reagire; esasperato dalle loro battute li aveva presi a pallonate, bersagliandoli con il suo Hayabusa shot. Risultato: non era riuscito a sedersi per una settimana. Inutile dire che non ci aveva riprovato. Con loro nemmeno Tsubasa con tutti i Drive shot del mondo avrebbe potuto spuntarla.
“E dai Ishizaki-kun, non dirmi che credi a queste idiozie!” Mamoru Izawa, in piedi alle spalle del numero quattordici, se ne stava comodamente appoggiato contro il muro, le braccia conserte e un’espressione ironica dipinta sul bel viso dai tratti marcati. L’angolo della bocca, leggermente incurvato verso l’alto, rivelava non solo che il centrocampista non era minimamente impressionato da quanto Yuzo Morisaki aveva appena spiegato ma che tutta quella situazione lo stava divertendo non poco.
“Certo che no!” rispose piccato il terzino, lanciandogli un’occhiataccia.  “Solo che questo discorso inizia a diventare noioso. E’ tutta la sera che parliamo di queste cose e io ne ho le scatole piene!” Sbuffò, ricadendo di peso sulla sedia che scricchiolò in modo sinistro.
“Scusa Ishizaki-kun, non volevo spaventarti.” Yuzo, seduto di fronte  a lui, rivolse un sorriso di scuse al compagno di squadra. “Ho solo risposto alla domanda di Takasugi-kun sui supervulcani e sul Monte Aso.” Raccolse le due bottiglie e si alzò per gettarle nella pattumiera.
“Non sono spaventato. Figuriamoci! Solo annoiato. Non possiamo cambiare argomento?”
Calandosi sul volto un’aria di sufficienza, Ryo afferrò un onigiri e gli diede un morso. Non l’avrebbe mai confessato, nemmeno sotto tortura, ma dentro di sé non era tranquillo come stava cercando di dare a intendere. Quel discorso iniziava sul serio ad angosciarlo: erano davvero tutte idiozie, come sosteneva Izawa, oppure avevano un minimo di fondamento? Finì l’onigiri in due bocconi e si versò un bicchiere di birra, sperando che quell’apporto di coraggio liquido gli distendesse i nervi. In mancanza, un leggero annebbiamento dei pensieri sarebbe stato ugualmente ben accetto. Tutto pur di evitare che il suo cervello continuasse a sfornare immagini degne del peggior film catastrofico in circolazione. Eh sì che ultimamente i canali tv ne erano pieni e Teppei Kisugi, patito del genere, non se n’era praticamente perso uno, coinvolgendo spesso, nelle visioni, tutta la squadra. Benché ogni volta avessero riso a crepapelle di certe scene, alcune davvero ridicole per l’assurdità delle situazioni, ora che erano giunti al dunque non si sentiva più tanto sicuro; una vocina nella sua testa continuava a ripetergli che nelle leggende c’è sempre un fondo di verità e, per quanto si sforzasse, non riusciva a farla tacere.
“Non scusarti, Yuzo, non ce n’è bisogno. Siamo qui apposta” intervenne nuovamente Mamoru, stirando pigramente le labbra in direzione del portiere, che ricambiò il sorriso con riconoscenza. Il centrocampista non gli faceva mai mancare il suo appoggio in nessuna occasione e lui era contento che la loro amicizia stesse diventando stretta quasi quanto quella della Silver Combi.
“Continua pure con la tua spiegazione” lo incoraggiò il numero otto, sciogliendo le braccia e stiracchiandosi velocemente, prima di riassumere la postura indolente di prima.
“Annoiato? Ma non avevi detto di avere i brividi, Ishizaki-kun? Quella è paura altro che noia!” saltò su Hanji Urabe, non resistendo alla tentazione di stuzzicare Ryo. Erano anni, fin dai tempi del campionato delle medie, quando Urabe giocava con la Otomo, che i due si pungolavano a vicenda. Ciò nonostante erano molto legati, anche se nessuno dei due l’avrebbe mai ammesso apertamente. Piuttosto, si sarebbero fatti impallinare le chiappe.
“Io non ho paura, come te lo devo dire? E’ solo noia: N-O-I-A!” sillabò esasperato Ryo. Se i suoi occhi avessero potuto scagliare fulmini, Hanji sarebbe morto folgorato all’istante.
“Vivendo in Giappone siamo abituati ai terremoti, li studiamo e ci esercitiamo a fronteggiarli. In quanto ai vulcani… anche di quelli siamo pieni” disse Shingo Takasugi, riprendendo il discorso come se nulla fosse e ignorando Ryo e Hanji che avevano iniziato a guardarsi in cagnesco: con quei due era la normalità e ormai nessuno ci faceva più caso. Le loro schermaglie erano entrate a far parte della quotidianità della squadra e lui non aveva voglia di ascoltare i loro battibecchi. Era seriamente interessato all’argomento in discussione, al di là del motivo per cui avevano intavolato quella conversazione e Yuzo era una vera e propria miniera di informazioni. Si vedeva che la materia lo appassionava e che ne aveva una conoscenza approfondita; inoltre il suo modo di spiegare rendeva comprensibili anche i concetti più ostici.
“Eppure non conoscevo i supervulcani, né che, potenzialmente, ne avevamo uno qui in Giappone. A pensarci bene è inquietante e non mi fa certo stare tranquillo” concluse, grattandosi la tempia con un dito. Non si sentì sminuito nel fare quell’affermazione, d’altra parte non aveva la necessità di salvaguardare nessuno stupido orgoglio. Anche perché, data la sua stazza, ben pochi avrebbero avuto il coraggio di prenderlo in giro, gli sarebbe bastato uno sguardo per scoraggiare lo spiritoso di turno che avesse avuto l’infelice idea di provarci.
“Già” interloquì Hajime Taki, scostandosi la lunga frangia dagli occhi. “Non fa piacere sapere di avere un tale mostro sotto al culo, e pronto a fotterti alla prima occasione per giunta. E io non voglio essere fottuto, preferisco fottere, diglielo Teppei che il cazzo su per il culo non mi piac… Ahia!” si massaggiò il fianco destro nel quale aveva appena ricevuto una vigorosa gomitata. “Ma perché?” chiese girandosi verso Teppei, seduto sulla panca accanto a lui e pronto a colpirlo di nuovo.
“Il perché lo sai, Hajime.” L’altra metà della Silver Combi aveva le sopracciglia sollevate in un’espressione severa. “Non puoi proprio farne a meno, vero?” Non c’era rimprovero nel suo tono ma rassegnazione.
“Ma dai! Ho solo detto che a ME il cazzo su per il culo non piace, e tu che sei il mio migliore amico puoi confermarlo" puntualizzò guardandolo con un sorrisino stronzo. "Che avrò detto mai... Ahia! Va bene, basta! Basta! Farò il bravo.” Scoppiando  a ridere, Hajime allungò le mani davanti a sé per proteggersi e scivolò sulla panca, allontanandosi dal suo migliore amico e dai suoi pugni. “Sei proprio manesco, Teppei, perché mi meni sempre?” Un lampo malizioso passò nei suoi occhi neri quando aggiunse qualcosa sottovoce, in modo che solo l’altro sentisse, prima di alzarsi per scappare vicino a Mamoru.
Il centrocampista lo accolse con una pacca sulla spalla, spostandosi di lato per fargli posto. “Ma quanto ti diverti a stuzzicarlo, eh?” bisbigliò e sogghignò quando l’altro, ridacchiando, gli fece l’occhiolino.
Teppei emise un verso di disappunto ma non lo seguì, preferendo restare seduto. “Non potrai scappare per sempre…” masticò tra i denti, la minaccia chiaramente dipinta sul viso, mentre l’altro, per nulla turbato, continuava a fissarlo e a sghignazzare. “Ma perché perdo tempo con te. Sei senza speranza” sentenziò poi a voce alta, arricciando il naso con superiorità. Prese il bicchiere e lo portò alla labbra, per nasconderne il tremito. Rischiava di sbottare a ridere da un momento all’altro e solo con un grosso sforzo di volontà riuscì a trattenersi. Sapeva che Hajime lo faceva apposta e non intendeva dargliela vinta. Ovviamente non era arrabbiato, non per il turpiloquio, comunque, erano ben altre le cose nel suo amico d’infanzia a mandarlo su tutte le furie. Tutto quel punzecchiarsi, alla fine, non era altro che una sorta di gioco, del quale non riuscivano a fare a meno.
“Allora, Taki-kun non ti farà piacere sapere che in realtà qui in Giappone ne abbiamo addirittura due. Oltre al Monte Aso nella prefettura di Kumamoto, c’è anche il Kikai Caldera, nell’isola Osumi.” Yuzo portò lo sguardo oltre le spalle di Ryo, lì dove si trovavano Mamoru e Hajime. “Se non ricordo male fa parte della prefettura di Kagoshima.” Aggiunse dopo averci pensato un attimo. “Però i più famosi sono il parco di Yellowstone negli States, i Campi Flegrei in Italia e il Lago Toba in Indonesia.” Fece una pausa e corrugò la fronte. Si era ricordato qualcosa. “Aspetta, però. Takasugi-kun com’è possibile che non conoscessi i supervulcani?” chiese, spostando l’attenzione sull’alto difensore. “Kisugi-kun mi ha detto che avete visto un film sull’eruzione dello Yellowstone un paio di mesi fa. Me lo ricordo perché io e lui ne abbiamo parlato per tutta l’ora di ginnastica…”
“Quel film l’abbiamo visto solo io e Hajime, Morisaki-kun. Non credo che Takasugi-kun lo conosca. Mi sbaglio?”. Teppei annuì al cenno di diniego di Shingo. “Probabilmente è per questo che non sapeva nulla sui supervulcani. Nemmeno io li conoscevo prima di vederlo. A scuola studiamo i vulcani ma i libri non parlano dei supervulcani” spiegò il riccioluto attaccante, ignorando il commento a mezza voce di Hajime su che mazzata nelle palle era stata guardare quel film e che gli altri, quella sera, avevano fatto non bene ma benissimo a dare buca. Lui era stato uno scemo a non aver fatto lo stesso.
“Perché non è un termine usato in vulcanologia. Alla fine sono vulcani normali, solo più grandi” chiarì Yuzo.
“Magari sarà proprio uno di quei mostri a decretare la fine del mondo. Che ne pensi capitano?” Come un cane col suo osso, Hanji non mollava la presa su Ryo. Sembrava fermamente deciso a farsi quattro risate alle spalle del difensore e niente e nessuno l’avrebbe fatto desistere dal suo proposito. Era un’occasione troppo ghiotta per lasciarsela sfuggire.
“IO penso che mi sono scocciato! Ma perché vi ho dato retta e sono venuto?” chiese il difensore in tono lamentoso, senza rivolgersi a nessuno in particolare, chiudendo gli occhi e appoggiando la fronte sul ripiano del tavolo, chiaramente frustrato. La serata era iniziata sotto i migliori auspici ma aveva preso una piega che non gli piaceva e cominciava a sperare che finisse al più presto.
“Come, come? TU ci hai dato retta? A noi?!” Il tono di Kenichi Iwami era incredulo. “Ma se l’idea è stata tua!”  
“Già!” gli diede man forte Takeshi Kishida, intrecciando le mani dietro la nuca e rilassandosi contro lo schienale della sedia, gli occhi neri fissi sul numero quattordici. “Ragazzi che ne dite di passare insieme la sera del 21 dicembre? Secondo i maya dovrebbe finire il mondo, no? Approfittiamone per fare baldoria! Aspetteremo la mezzanotte mangiando schifezze fino a scoppiare e raccontandoci tutti i modi in cui il mondo potrebbe finire. Se siete d’accordo chiederò all’allenatore il permesso di usare lo spogliatoio, gli dirò che ci vediamo per parlare degli schemi di gioco della prossima partita. Non mi dirà di no, sono sempre il capitano” disse, imitando talmente alla perfezione la voce e il modo di parlare di Ryo da lasciare per un attimo gli altri interdetti su chi avesse realmente parlato, se Takeshi o lo stesso Ryo.
Quest’ultimo alzò di scatto la testa, aprendo e chiudendo la bocca senza riuscire a emettere alcun suono. Cambiò nervosamente posizione sulla sedia, sembrava a suo agio quanto un pesce appena pescato che si dibatte per tornare in acqua.
“Sono o non sono parole tue?” domandò Takeshi, tornando al suo tono normale e sollevando interrogativamente il sopracciglio destro, tra gli applausi e le risate degli altri.
Hanji si alzò addirittura in piedi, spellandosi le mani per la foga che mise nel manifestare il suo entusiasmo per quella magistrale interpretazione.
“Grazie miei adorati fan, siete i migliori”. Il numero quattro incrociò le mani sul petto e si inchinò più volte, scimmiottando uno dei cantanti giapponesi più in voga del momento. Era molto bravo e si divertiva un mondo a imitare i personaggi del mondo dello spettacolo.
Kenichi gli lanciò una manciata di popcorn, simulando un lancio di petali, e l’ex giocatore della Otomo mise due dita in bocca e cacciò un fischio talmente forte da costringere Yuzo, seduto alla sua destra, a tapparsi l’orecchio con un dito. Poi iniziò a cantilenare a voce sempre più alta. “Bis, bis, BIS!”
Smise solo quando il portiere gli afferrò il braccio con fermezza e lo costrinse a chinarsi verso di lui.
“E dai, Urabe-kun, non esagerare” lo esortò Yuzo sorridendogli, in modo che il suo richiamo non venisse preso come un rimprovero. “Un po’ va bene ma così è troppo. Lo sai che Ishizaki-kun è permaloso.”
“Ma è divertente!”
“Per favore.”
Hanji tentennò, poi scrollò le spalle e si rimise seduto. Per consolarsi agguantò la ciotola delle patatine e, pescatone una manciata, se le cacciò in bocca, iniziando a masticare rumorosamente.
“Kishida-kun ti ha messo nel sacco eh?”.Hajime si sporse per allungare uno scappellotto sul collo di Ryo mentre questi cercava in tutti i modi di recuperare la parola ma senza riuscirci.
Fortuna per lui, la porta dello spogliatoio si aprì e, accompagnato da un refolo di vento gelido, entrò Taro Misaki, il regista della squadra.
“Buonasera a tutti” salutò il centrocampista, sfilandosi il giubbotto blu che indossava e avvicinandosi al tavolo. “Sono in tremendo ritardo, scusate, ma io e papà abbiamo perso il treno e abbiamo dovuto aspettare il successivo. Fortunatamente siete ancora qui, temevo di non trovare nessuno.”
“Certo che siamo ancora qui, dove vuoi che stessimo?”
“Come è andato il viaggio?”
“Hai mangiato?”
“Tuo padre farà una nuova mostra?”
Le domande fioccarono da più parti e Taro rispose mentre sistemava il giaccone sulla spalliera di una sedia.  “Il viaggio è andato benissimo e sì, grazie, ho mangiato. Io e papà abbiamo preso due bento alla stazione mentre aspettavamo. Non mi ha detto cosa intende fare però mi è sembrato contento dell’incontro con il gallerista di Tokyo.”
Sollevato per non essere più al centro dell’attenzione generale, Ryo si alzò per fare gli ‘onori di casa’. Prendeva molto sul serio il suo ruolo di capitano e anche se non avrebbe mai potuto sostituire Tsubasa come giocatore, sperava almeno di riuscire a tenere unita la squadra e far sentire meno la sua mancanza.
“Stai tranquillo, anche se sei in ritardo non ti sei perso niente” lo rassicurò, grattandosi la nuca e ridendo forzatamente.
A quelle parole si udì un sibilo e alcune risatine sommesse tra le quali spiccava, più forte delle altre, quella di Hanji.
Il difensore le ignorò e Taro lo guardò perplesso, scostando la sedia dal tavolo per sedersi.
Non fece in tempo.
Si annunciò con un cupo brontolio, come il tuono di un temporale lontano.
I vetri delle finestre tintinnarono piano, poi presero a vibrare con maggior vigore mentre gli infissi emettevano un agghiacciante scricchiolio. Il movimento si trasferì alle sedie, al tavolo intorno al quale erano seduti e al suolo, che ondeggiò sensibilmente, come se una bestia enorme e mostruosa lo stesse scuotendo in profondità.  
Il terremoto durò per quella che ai presenti sembrò un’eternità ma, in realtà, non si protrasse che per pochi secondi. Il tempo di un lungo respiro.
Poi l’immobilità.
E il silenzio.
I ragazzi espirarono quasi all’unisono, lasciando andare l’aria che inconsapevolmente avevano trattenuto. Benché come giapponesi fossero costretti a convivere con i terremoti, sentir tremare la terra sotto i piedi era una cosa alla quale difficilmente avrebbero fatto l’abitudine.
Ryo Ishizaki fu il primo a muoversi.
Lentamente, quasi al rallentatore, si sedette sulla prima sedia che gli capitò a tiro. Le forti gambe da calciatore, in grado di sostenerlo durante i duri scontri di gioco, sembravano ora incapaci di sorreggerlo. Ma più che sotto il peso del corpo, si piegavano sotto il carico della paura che, ormai, non riusciva più a tenere a bada.
“Merda… i Maya avevano ragione, dopotutto.” La stessa debolezza che sentiva nelle gambe si era avviluppata anche alla sua voce, che uscì flebile e strozzata.
Kenichi, Takeshi e Hanji non dissero nulla ma nelle occhiate smarrite che si scambiarono potevano leggersi gli stessi timori di Ryo.
Nemmeno Shingo aprì bocca, lo sguardo fisso sulle proprie mani intrecciate sul tavolo mentre Shun sembrava aver perduto la parola. I suoi occhi vagavano per la stanza senza posarsi su un punto in particolare.
Nessuno di loro aveva mai creduto a quelle che Izawa aveva ripetuto fino alla nausea essere idiozie, parti di menti malate, stronzate all’ennesima potenza.
Ma ora… qualcosa era successo o stava accadendo e il dubbio che la profezia potesse essere vera divenne un tarlo che iniziò a rosicchiare la loro iniziale incredulità, lasciandoli scossi e frastornati, preda di una insicurezza che fino a pochi istanti prima non avrebbero mai creduto possibile.
Teppei si strofinò il collo con una mano e si riscosse, prendendo una postura più eretta. Le sue iridi color cioccolato balzarono oltre il tavolo e le teste dei compagni. Un affettuoso sorriso spuntò sulle sue labbra quando si accorse che lo sguardo di Hajime era puntato su di lui. Capì che il numero sette aveva avuto la sua stessa preoccupazione, accertarsi che l’altro fosse al sicuro. Si rilassò, tranquillizzato, e gli fece cenno con la testa che andava tutto bene, rispondendo alla sua silenziosa domanda.
Dandosi una spintarella con la spalla, Mamoru si raddrizzò e si allontanò dal muro. Girò intorno al tavolo e andò a sedersi vicino a Yuzo, allungando un braccio sulla sedia del portiere. Non sembrava spaventato né preoccupato, sul viso aveva stampata la solita espressione spavalda.
“Ah certo! I Maya! Sono loro i responsabili di questa scossa. Il fatto che il nostro sia un paese sismico non conta. E’ arrivata la fine del mondo, scappiamo tutti” disse con una buona dose di ironia. “Che poi… non mi è sembrata così forte. Ne abbiamo sentite di peggio” considerò, girandosi verso il portiere in cerca di conferme. Dopotutto era Yuzo il secchione sull’argomento.
Il numero uno annuì. “Sì, hai ragione. Nemmeno a me è sembrata forte, anche se questo non significa nulla. Dipende tutto dall’epicentro. Potrebbe anche essere stata più forte ma lontana da qui” spiegò in tono preoccupato. “Fortunatamente è durata pochissimo e dubito che una scossa così breve possa aver fatto danni. Una scossa molto forte sarebbe stata più lunga perché ci vuole più tempo per disperdere energia. Però posso chiamare a casa e sentire…”
Mamoru assentì, versandosi da bere. “Aspetta qualche minuto però, tanto al momento non ci saranno informazioni sufficienti.” Poggiò la bottiglia sul tavolo e in quel momento sembrò rendersi conto del silenzio che lo circondava. Si guardò intorno, la fronte corrugata.
“Beh? Perché siete così silenziosi?”
“Ma Izawa-kun… i Maya…” Ryo sembrava veramente spaventato ora. Il suo orgoglio aveva  capitolato e lui non si preoccupava più di mostrare un coraggio che non aveva. “Forse questa scossa era solo un’avvisaglia. Forse il vero terremoto sta per arrivare…”
“Cazzo Ishizaki-kun! Non dire stronzate. E’ stata una scossa come tante, in un altro momento nemmeno ci avresti fatto caso. Non farti suggestionare!” intervenne Hajime con uno sbuffo, roteando gli occhi con insofferenza. Se  ne stava con le braccia incrociate e un piede appoggiato al muro. Come Mamoru, nemmeno lui sembrava particolarmente impensierito dal terremoto.
“Insomma, smettetela!” sbottò Kenichi, scostando la sedia con foga e alzandosi. Prese a passeggiare su e giù, apparentemente incapace di stare fermo. “Non cercate di farci passare per coglioni! Vorresti dire di non aver avuto nemmeno un briciolo di paura?” chiese ad Hajime, fermandosi davanti a lui con le mani sui fianchi.
L’attaccante si passò una mano sulla frangia, scostandola dalla fronte e socchiuse le palpebre, chiaramente seccato. “E’ ovvio che non mi faccia piacere sentire la terra tremare sotto i piedi” ammise a malincuore, dopo un istante. “A chi piacerebbe… però no, non sono spaventato” confermò, fissandolo con decisione.
“Non hai nemmeno un dubbio sulla profezia?”
“Secondo te?”
E nell’espressione determinata del suo volto, Kenichi lesse che no, non aveva alcun dubbio. Si girò verso Mamoru, che gli rispose con una smorfia strafottente, mentre al suo fianco Yuzo esibiva un sorriso sereno.
“Scusate, credo di essermi perso” disse al quel punto Taro, attirandosi gli sguardi dei compagni di squadra. Si sedette e, con un dito, sistemò la montatura degli occhiali neri che indossava. Aveva l’aria confusa di chi, pur impegnandosi al massimo, non riusciva proprio a far quadrare i pensieri.  
“Ma la profezia dei Maya non riguarda il 21 dicembre?” domandò, poggiando i gomiti sul tavolo e incrociando le mani davanti al naso. Fu Ryo a rispondere.
 “Certo!”
La confusione di Taro divenne ancora più evidente. “E allora perché vi preoccupate tanto? La mezzanotte è passata da un pezzo, non è più il 21 dicembre.”
“Ti sbagli, Misaki-kun, guarda. Sono le 23:30.” Shun additò il tondo orologio di plastica bianca che campeggiava in alto, su una delle pareti.
“Ma quell’orologio va indietro” lo informò Taro con un sorriso. “Ne abbiamo parlato un paio di giorni fa io e Ishizaki-kun. Doveva avvisare il custode per farlo riparare. Io sono arrivato oltre la mezzanotte, tanto che pensavo di trovarvi in procinto di andare a casa o addirittura di non trovarvi…”
Diverse paia di occhi si puntarono con un truce sguardo accusatore su Ryo, che ebbe l’impressione di essere trafitto da molteplici frecce nere, tanto le pupille degli altri si erano ridotte a punte di spilli.
“Aehm… me l’ero dimenticato.”
“Questa è arteriosclerosi galoppante Ishizaki-kun!” lo accusò Shun, puntandogli contro l’indice. La smorfia irosa che gli irrigidì le labbra mise ancora più in evidenza i suoi canini appuntiti.
“Macchè arteriosclerosi, è vera e propria demenza!” rimarcò Hanji, appallottolando un paio di tovaglioli per tirarglieli addosso.
“Vai a farti vedere va!” Takeshi prese uno dei sacchetti di carta con i quali avevano portato il cibo e lo accartocciò, facendone una palla. La lanciò in aria, la riprese e la scagliò contro Ryo.
“Sì ma da uno bravo eh?” fece eco Kenichi, mentre Shingo afferrava, a sua volta, un’altra busta.
Nel volgere di un secondo Ryo fu tempestato da molteplici colpi. I proiettili arrivavano da tutte le direzioni e al difensore non restò altro che portarsi le mani sulla testa e piegarsi su se stesso per proteggersi, continuando a scusarsi e a implorarli di smettere. E mentre Mamoru sghignazzava, assegnando punteggi a seconda della precisione dei tiri e Taro osservava la scena con un mezzo sorriso, Yuzo estrasse il cellulare per chiamare casa e chiedere chiarimenti sul terremoto. Come aveva correttamente ipotizzato la scossa non aveva causato alcun danno.
Hajime, dal canto suo, continuava a restarsene immobile nella stessa identica posizione: braccia incrociate e piede contro il muro. Solo i suoi occhi guizzavano, facendo la spola tra il gruppetto che bersagliava Ryo e la finestra sulla parete più lontana.
Fu per questo che vide solo all’ultimo momento uno dei bolidi lanciati da Hanji.
Fulmineo spostò la testa di lato, dimostrando un’ottima prontezza di riflessi, e l’onigiri si infranse contro la parete, evitandolo per un soffio. “Ehi attento! Non sono mica io il bersaglio” protestò, poggiando il piede al suolo e girandosi a guardare la poltiglia di riso e pesce spiaccicata sull’intonaco. “Ma cosa stai tirando?” Con la fronte corrugata spostò lo sguardo sull’ex giocatore della Otomo, che brandiva ancora due onigiri, uno per mano.
“Urabe-kun!" Fu l’intervento deciso di Taro a convincere il difensore a posarli, evitando che altro riso volasse in giro per lo spogliatoio.
Alzando gli occhi al cielo, Hajime distolse l’attenzione dai compagni per rivolgerla di nuovo verso la finestra, davanti alla quale, già da diversi minuti, stazionava Teppei.
Le sue iridi d'onice percorsero con affetto, in una lenta carezza, la schiena dritta e le spalle larghe dell’amico, messe in rilievo dalla maglia a collo alto che indossava. Una volta ancora, come aveva già fatto tante altre volte negli ultimi tempi, si soffermò ad osservare i cambiamenti avvenuti nel suo fisico. Già da tempo il suo corpo aveva perso  le forme magre e ossute dell’infanzia in favore di quelle più piene e muscolose dell’adolescenza, ma ultimamente le sue spalle avevano assunto una forma ancora più squadrata e il petto appariva più ampio. Adulto. E lo era diventato veramente adulto, ancora pochi mesi e avrebbe compiuto diciannove anni. Chissà se avrebbero potuto festeggiarlo insieme quel compleanno, come avevano sempre fatto da che si conoscevano. Non sapeva dove sarebbe stato quel giorno, se al mondiale o in qualche squadra di J-league, ma avrebbe fatto di tutto per poterlo trascorrere con lui. Ormai la loro era una tradizione consolidata e non ci avrebbe rinunciato per nulla al mondo.
Si mosse e con calma, senza affrettare il passo, attraversò la stanza e lo raggiunse.
“Ciao” disse piano, poggiando una spalla contro il telaio della finestra e agganciando i pollici alle tasche dei jeans.
“Ciao.” Le labbra morbide di Teppei si incurvarono verso l’alto ma l’attaccante non si girò verso di lui. Il suo sguardo rimase fisso all’esterno.
“Cosa stai guardando con tanta attenzione?” gli chiese incuriosito, sbirciando oltre il vetro.
“La fine del mondo” rispose l’amico, continuando a guardare fuori. La curva delle labbra più accentuata.
“Mi spiace doverti dare una delusione ma non ci sarà.”
“Davvero?”
“No.”
“Ne sei sicuro?”
“Sì.”
“Proprio sicuro?”
“Mh-mh.”
“Allora me ne farò una ragione.” Si strinse nelle spalle e gli lanciò una breve occhiata. Un sorriso divertito aleggiò sul suo viso, prima che l’espressione assorta ne riprendesse possesso. Sembrava stesse rimuginando su qualcosa e Hajime attese pazientemente, carezzandogli il profilo con lo sguardo.
“Sai… se anche ci fosse stata non me ne sarebbe importato. La fine del mondo, dico. Perché sarei stato con te.” Teppei poggiò l'indice sul vetro, fissandolo senza realmente vederlo. “Non c’è nessun altro posto in cui vorrei stare in quel momento se non con te.” Il dito prese a vagare con un lento movimento, lasciando dietro di sé astratti ghirigori.
Hajime trattenne il fiato a quelle parole, sentendosi invadere da una dolce sensazione di calore e si raddrizzò, facendo un passo avanti.
Ecco cosa aveva avuto in mente Teppei per tutto il tempo. Tra tutte le ipotesi che aveva formulato quando, dopo la scossa, l’aveva visto alzarsi e allontanarsi dal tavolo per indugiare poi nei pressi della finestra, quella non l’aveva assolutamente considerata. Eppure… a pensarci bene era così semplice e ovvio… sarebbe stato il suo stesso pensiero se si fosse fermato a riflettere. Ma la fine del mondo, lui, non l’aveva proprio contemplata, ritenendo quel giorno esattamente uguale agli altri. Teppei, al contrario, sembrava pensarla diversamente e questa scoperta non lo meravigliò. Conosceva bene la sua tendenza a rimuginare e avrebbe dovuto immaginare che l’avrebbe fatto anche in quel caso.
Sospirò, rilasciando il fiato adagio e tentò di incrociare il suo sguardo, senza avere successo. Non capitava spesso che Teppei si lasciasse andare a simili dichiarazioni. Il suo migliore amico era un tipo allegro ed espansivo, parlava tranquillamente di tutto, ma i pensieri più intimi e i sentimenti più profondi li teneva chiusi a chiave in fondo al cuore. Lui era l’unico con cui li condivideva. E nemmeno tanto spesso.
Ma quando lo faceva… lui toccava il cielo con un dito. Perché, anche se sapeva di essere la persona più importante per Teppei, era bello sentirglielo dire.
“Però sono contento che non sia arrivata.” Finalmente Teppei si girò a guardarlo, con il sorriso caldo e avvolgente che riservava solo a lui e che aveva il potere di fargli seccare la gola e rimescolare il sangue nelle vene.
“Anche io sono contento” mormorò, alzando una mano per accarezzargli una guancia in un gesto complice e familiare, così come familiare sarebbe stata la sensazione del calore della sua pelle contro il palmo della mano. Ma Teppei gli fece impercettibilmente cenno di no con la testa, e lui si bloccò. Per un attimo aveva perso il contatto con la realtà, rischiando di compiere un gesto avventato. Soppresse un sospiro di frustrazione e contrasse la mascella, odiava non poterlo toccare come avrebbe voluto. Fece per abbassare il braccio ma poi ci ripensò e glielo strinse intorno al collo, in un gesto amichevole sul quale nessuno avrebbe avuto nulla da ridire ma che gli permetteva di abbracciarlo davanti a tutti.
“Non credere di potermi dire certe cose e poi andartene tranquillamente a dormire, mh?” gli sussurrò muovendo a malapena le labbra con una luce pericolosa nelle iridi nere, dandogli un leggero buffetto sulla guancia.
“Ehi! Voi due! Finalmente avete fatto pace?” L’interruzione di Ryo distrasse Hajime, permettendo a Teppei di sgusciare dal suo abbraccio e allontanarsi di qualche passo.
“Vedremo…” rispose il centravanti a bassa voce, scoccando al compagno un’occhiata assassina e ignorando l’interruzione del terzino. “Sai… forse certe cose non piacciono nemmeno a me…”
“Ah sì? E da quando? Mh, resta un altro po' con me stasera e ti farò cambiare idea.”
“Allora?” Ryo si sbracciò per attirare la loro attenzione.
“Allora cosa Ishizaki-kun? Guarda che non abbiamo litigato.” Il tono di Hajime grondava ironia e Teppei si lasciò sfuggire una risatina sottile, portandosi disinvoltamente fuori portata delle sue braccia. Rise ancora quando l’altro sospirò, esasperato per non poter agire liberamente.
“Allora ci state?”
“A fare cosa?”
“Ma non hai sentito cosa ho detto? A giocare ovviamente!”
“Ovviamente” fece eco Hajime con lo stesso sarcasmo di prima. Il pallone era l’ultima cosa che aveva in mente ma aveva le mani legate e gli toccava fare buon viso a cattivo gioco.
“E allora andiamo! Che aspettate?” lo esortò Ryo, seguendo gli altri che avevano già indossato i giacconi ed erano usciti nel cortile. Il tonfo sordo del pallone che veniva calciato, insieme alle risate dei compagni, arrivò fino a loro.
“Arriviamo, arriviamo” mugugnò Hajime alla stanza ormai vuota. “Tecchan aspetta!”
Quel vezzeggiativo tutto loro fermò Teppei, bloccandolo sulla porta. L’attaccante si girò di trequarti bisbigliando con fare ammonitore. “Non qui…”  
Hajime scosse il capo, dando a intendere di aver capito. “Scusa… è solo che… volevo dirti…” Era diventato improvvisamente serio e lo stava guardando con una tale intensità da indurlo a tornare sui suoi passi.
“Che c’è?” sussurrò, fermandosi davanti a lui e inclinando la testa di lato, in attesa.
E questa volta non protestò quando Hajime gli posò la mano sulla guancia, ma la coprì con la sua, intrecciando le loro dita. “Cosa volevi dirmi?”
“Che ci sarò. Per la fine del mondo, ci sarò. Sarò con te.”
E la sua era una promessa.
La promessa che qualunque cosa il destino avrebbe avuto in serbo per loro, fosse anche la fine del mondo, l’avrebbero affrontata insieme.
Teppei non rispose, ma il bacio leggero con cui gli sfiorò il palmo della mano, prima di lasciarla andare e raggiungere i compagni, valse più di mille parole.

 




Note di chiusura:

I personaggi di CT appartengono al suo leggittimo proprietario.

Ringraziamenti:

A Eos, anche se non ha avuto il tempo di betare

A Melantò per la consulenza su vulcani e terremoti. E, dal momento che lei e Yuyu sono legati, è stato naturale mettere certe parole in bocca a Yucciolo.


  
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