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Autore: Florinda_Joh    20/03/2013    1 recensioni
I quartieri londinesi i primi giorni di settembre erano molto più umidi e afosi di tutti gli altri giorni dell’anno. Le vacanze estive ormai sembravano solo un lontano ricordo. Già si potevano scorgere alcuni mattinieri sbraitanti (chi sa poi da dove la prendono certa energia a quell’ora!) accalcati nel traffico su quelle loro vetturine dai colori sbiaditi, di cui andavano tanto fieri. Nulla di anormale: erano solo le 8 di mattina di una giornata qualsiasi… Cioè, dico, una giornata qualsiasi per ogni inutile babbano medio.
Genere: Comico, Fantasy, Mistero | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Corvonero, Serpeverde, Tassorosso
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopo la II guerra magica/Pace
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Slytherpuff

Dedicato agli Hufflepuff (perché questa è una rivincita).

 

Capitolo primo: Un incontro bizzarro.


I quartieri londinesi i primi giorni di settembre erano molto più umidi e afosi di tutti gli altri giorni dell’anno. Le vacanze estive ormai sembravano solo un lontano ricordo. Già si potevano scorgere alcuni mattinieri sbraitanti (chi sa poi da dove la prendono certa energia a quell’ora!) accalcati nel traffico su quelle loro vetturine dai colori sbiaditi, di cui andavano tanto fieri. Nulla di anormale: erano solo le 8 di mattina di una giornata qualsiasi… Cioè, dico, una giornata qualsiasi per ogni inutile babbano medio. Ma qualcosa d’insolito, che anche questi ultimi notavano con aria sbalordita, era una ragazzina dai capelli corti e un po’ spettinati che correva verso la stazione spingendo un grosso carrello colmo di valigie e pacchetti, seguita da un gatto rosso che a stento le stava alle calcagna. Sembrava davvero agitata. “Non è possibile! Non posso perdere il treno! È inammissibile!” Esclamò fra sé, cercando di schivare e non investire i passanti che le capitavano a tiro. “E muoviti, Leo!” Continuò, ora rivolta al suo insolito compagno. Ad un tratto si fermò e sbuffando prese il gatto e lo buttò sul carrello, in una nuvola di peli rossi. “Se proprio non ce la fai a starmi dietro, eccoti un passaggio!” Fu la sonora risata che seguì, poi la corsa continuò. La bestiola non riuscì a trattenere un miagolio terrorizzato quando il carrello quasi si capovolse ad una brusca curva.
Le affollate e rumorose strade di Londra quella mattina avevano un qualcosa di diverso dagli altri giorni, era il primo di settembre e la sua avventura stava cominciando, pensò allora la ragazzine, ma non avrebbe mai immaginato cosa realmente l’attendeva.
Dopo pochi minuti era già in stazione, ce l’aveva messa tutta: non voleva certo arrivare in ritardo il suo primo giorno! Fermò di colpo il carrello e per poco il povero gatto non ve ne ruzzolò fuori, tirandosi indietro il ciuffo di capelli che le era caduto davanti agli occhi. “Eccoci, è qui… Binario 9 e ¾… Stai calma Florinda, calma, non agitarti!” Sospirò, cercando di mantenere la calma. Fissò per qualche istante il muro che si trovava dinnanzi a sé. 9 e 10… 9 e 10… La sua mente non riusciva a pensare ad altro, i suoi occhi non riuscivano a distogliersi da quei due cartelli bianchi. “E pensare che per di qua sono passati così tanti maghi e streghe… E ancora e ancora ne passeranno! Oh, nonna, chi sa com’è stato il tuo primo giorno ad Hogwarts…” Mormorò piano, stringendo tra le mani uno strano ciondolo di forma sferica circondato da una bizzarra spirale di bronzo. Poi sorrise: “Basta! Basta farmi tanti problemi! Ora sono qui ed entro!” Decise definitivamente. Tremando per l’eccitazione, strinse con le mani il carrello e senza nemmeno tenere aperti gli occhi, si lanciò in avanti. I suoi passi aumentarono di velocità, le sue mani si serravano sempre più forte e la velocità del carrello aumentava a vista d’occhio. Leo emise un miagolio terrorizzato: non avrebbe mai pensato che la vita di un micio potesse essere tanto pericolosa. Fu un attimo e i due vennero risucchiati dal muro.
Quando Florinda riaprì gli occhi, si ritrovò di fronte un lungo treno a vapore scarlatto, che l’attendeva pronto alla partenza. Ce l’aveva fatta! Ecco, ecco il binario 9 e ¾!
Si guardò attorno, vi era gente di ogni tipo: madri che piangevano disperate, scontente all’idea che per un anno sarebbero state private dei loro figli, altre che, con gli occhi lucidi, cercavano inutilmente di trattenersi, maghetti troppo piccoli per andare a scuola invidiosi dei fratelli più grandi, abbracci, baci, carezze… Insomma un’esplosione di emozioni a non finire. Lei invece era sola, non l’aveva accompagnata nessuno. Beh, non era certo colpa di Olly, sempre troppo indaffarato nel periodo di settembre, oppure di Serafina, partita per chissà dove, alla ricerca di chissà quale tessuto prezioso... Era successo e basta. “Pazienza, sarà per la prossima volta.” Sospirò Florinda, tanto niente e nessuno le avrebbe rovinato quella così tanto attesa giornata. Mentre era persa fra i suoi pensieri, ragazza la urtò. Sembrava della sua stessa età, data la sua statura. Aveva dei lunghi capelli scuri, i cui boccoli erano lasciati disordinatamente cadere sulle spalle, che facevano a contrasto con la sua pelle chiarissima. Portava un po’ impacciata una grossa gabbia con all’interno un gufo. Florinda non se ne intendeva molto di gufi, ma solo al primo sguardo sentì essere quello un animale particolarmente socievole. Aveva la testa tonda e bianca, contornata da piume marroncine, che lo ricoprivano fino alla coda. Il becco era minuto e molto appuntito, mentre i suoi occhi erano grandi, neri e particolarmente dolci (almeno così parve alla ragazzina). “Non ti avevo proprio vista, ma che ci fai qui in mezzo così impalata?” Chiese la sconosciuta in un borbottio, stringendosi alla gabbia che portava con sé. In quel momento lo strano ciondolo che Florinda portava al collo s’illuminò tutto di una forte luce smeraldo. La biondina sorrise di gusto e con una velocità sorprendente sommerse la sconosciuta di domande, senza che quella quasi avesse il tempo di respirare. Tuttavia rispose a tutto ciò che le fu chiesto, anche se dalla voce si capiva bene che avesse una certa fretta. Così Florinda scoprì che il suo nome era Lysandra, veniva dalla contea di Cheshire e che anche lei avrebbe frequentato il primo anno ad Hogwarts. Stranamente quando le domande riguardarono il grosso gufo che portava con sé, l’altra parve un po’ sorpresa e impreparata, come se fosse stata presa alla sprovvista. “Ehm.. Il nome del gufo..? Non so… Non gliel’ho ancora dato…” Florinda si stupì molto, ma poi ridacchiando cercò di rassicurarla: “Non temere, ci penserò io a trovargliene uno! Certo che è proprio un bel gufo! Che tipo è?” A quel punto sembrò che per Lysandra quella conversazione stesse proprio andando oltre. Così decise di porne fine. “E’ un barbagianni. Senti, mi piacerebbe rimanere a chiacchierare con te, - mentì: non la sopportava - ma ora devo proprio andare. Non vorrai mica perdere il treno, no?” “Hai proprio ragione! Però ecco, io ho un mucchio di domande da farti! E poi non ti ho ancora presentato il mio gatto: si chiama Leo!” Disse chinandosi per prenderlo, ma quando alzò la testa Lysandra era scomparsa.
“Ci è mancato poco!” Pensò Lysandra salendo sul treno. “Ma perché mi faceva tutte quelle domande? E poi sul… Gufo… Ma chi diavolo era?! E se mi avesse scoperta? Non posso permettermi nemmeno un errore o il mio gufo...” Con grande sforzo trascinò la gabbia fino al proprio posto. “Accidenti,” Brontolò.  “Ma quanto pesa questo dannato animale?! Devo aver sbagliato qualcosa…” Concluse sedendosi.
Messi i bagagli nel treno (non con poca fatica) Florinda, tenendo Leo in braccio, entrò nel primo vagone che vide davanti a sé. Ovunque era pieno di gente, che la spintonava qua e là. Sembrava proprio non esserci un posto libero a sedere. Cercato bene, però, con sollievo capì di essersi sbagliata. Trovò infatti uno scompartimento semivuoto, vi entrò e vide soltanto Lysandra con il suo gufo-senza-nome. “Ehi, ciao! Chi si rivede!” Esclamò. L’altra distolse lo sguardo dal libro che stava avidamente leggendo e infastidita riconobbe proprio la ragazza da cui era scappata poco prima. Senza nemmeno chiedere il permesso, Florinda chiuse la porta dello scompartimento e si sedette, mentre Lysandra, vigile, la scrutava: era evidente che voleva essere lasciata in pace. “Ah, è proprio un bel barbagianni, mi piace!” Affermò con convinzione la nuova arrivata, osservando con curiosità il gufo ora addormentato. “Questo l’hai già detto, mi sembra.” Boffonchiò Lysandra, riabbassando lo sguardo alla lettura. “Oh, scusa… Ma sai, io sono una ripetitiva…” Rispose l’altra con una risata imbarazzata, grattandosi la testa. Poi fra le due cadde silenzio, un lungo silenzio (lungo poi per modo di dire, dato che non sappiamo quanto tempo fosse realmente passato, ma a Florinda  parve comunque un’infinità.). Era imbarazzata e a disagio in quella situazione, così pensò bene di farla finita. Ma come? Cosa dire per sovrastare tutto quel silenzio? Si guardò attorno un po’ spaesata, per cercare di capire l’inizio di quale conversazione potesse essere il migliore. Fu subito il libro che Lysandra stava leggendo ad attirare la sua attenzione. Ad un tratto dalla pagina aperta lesse una frase: Incantesimi per gufi e altri animali vi era scritto. Mentre era così intenta nella sua operazione da scrutatrice, Florinda non si accorse di aver allungato il collo e che sul suo volto si era disegnata una strana espressione dall’impegno che ci stava mettendo. Il libro fu chiuso di colpo e solo allora Florinda capì che l’altra si era accorta di tutto. “Che c’è?” Chiese Lysandra, guardandola severamente. “Ah, no nulla! Volevo solo vedere cosa stavi leggendo. So che non è affar mio, ma…” “Ecco, brava, continua per la tua strada senza darmi fastidio che siamo tutti più felici.” Fu la cruda risposta. Non scoraggiata, Florinda esclamò: “Anch’io sono una strega e come tale so fare magie!” In un lampo tirò fuori dalla propria borsa la bacchetta e con sicurezza la impugnò. Lysandra sgranò gli occhi e preoccupata chiese: “Cos’hai intenzione di fare, Florinda?!” “Chiamami Flo: Florinda mi mette in soggezione!” Ancora più agitata Lysandra ripeté la domanda: “Cos’hai intenzione di fare… Flo??!” “T’interessano gli incantesimi sui gufi, mi par di capire, allora sta a guardare!” Rispose quella, puntando la propria bacchetta contro l’animale. “No! Ferma! Non farlo! Non… Non Il mio gufo!!” Urlò Lysandra terrorizzata, ma era troppo tardi: Florinda aveva già pronunciato l’incantesimo. Una forte luce gialla si spigionò d’un tratto e l’intero scompartimento ne fu inglobato. Poi il tutto finì con la velocità com’era iniziato, ma al posto della gabbia con dentro il gufo Florinda si ritrovò difronte un ragazzo biondo, che dormiva accoccolato sulle sue gambe. Più sbalordita che spaventata, la ragazza cacciò un urlo e in quella lo sconosciuto si sveglio, mostrando i suoi incredibili occhi blu. Spaesato e senza nemmeno rendersi conto di dove fosse, anch’egli iniziò ad urlare, come se avesse visto la morte  in faccia. Prontamente Lysandra gli fu addosso, rovesciando sulla sua testa un misterioso liquido argentato. Lo scompartimento su ancora una volta invaso da una luce, questa volta di un accecante color arancio. Così forte che Florinda dovette serrare gli occhi. Quando li riaprì, si accorse che il ragazzo era scomparso e che il gufo invece aveva ripreso il suo posto. Tutto sembrava essere tornato alla normalità, se non fosse stato che sul volto di Lysandra si era disegnata un’espressione irata, irata più che mai. “Hai fatto un bel disastro, fortuna che nessuno se n’è accorto! E se mi avessero scoperta?? Che sarebbe stato di me e del mio gufo?!” Fu subito sbraitato contro Florinda, che ancora un po’ sotto shock chiese: “Ma… Ma… Che diavolo è successo..?” “Se, se te lo dico giuri di non farne parola con nessuno?” Domandò l’altra incerta. A Florinda i segreti erano sempre piaciuti, così giurò che con nessuno se non loro quattro (contando anche Leo e Il-gufo-senza-nome) ne avrebbe fatto parola. Sentendosi ancora più insicura Lysandra con un sospiro iniziò a raccontare: “Ecco, vedi… Quello non è proprio un gufo… Diciamo che apparentemente è un gufo… In verità è… è… Sì, è un ragazzo babbano.”  Florinda era senza parole, aveva un mucchio di domande, ma non osava farne nemmeno una e con il fiato sospeso seguì per filo e per segno tutto il racconto dell’altra. “Io provengo da una famiglia a cui non piacciono i babbani… Però… Però io mi sono affezionata ad uno di loro e... Come dire, non me la sentivo proprio di partire per Hogwarts e lasciarlo... Così ho deciso di portarlo con me sottoforma di gufo. Ovviamente lui non può rendersi conto di nulla, ci mancherebbe. Mi sono esercitata tutta l’estate nel creare una pozione che funzionasse. Come penso tu sappia, il Ministero della Magia ha vietato l’uso di incantesimi a chi non ha ancora compiuto i 17 anni al di fuori delle mura scolastiche... Quindi mi sono dovuta, a mio malgrado, affidare alle pozioni. Dopo una serie di tentativi andati male, sono riuscita a trasformarlo in un gufo e questo che vedi è il risultato. Sfortunatamente c’è ancora una piccola imperfezione: infatti se gli si scaglia contro un qualsiasi incantesimo torna umano. Ecco perché sei riuscita a scoprire il mio segreto.” Si fermò un attimo, fissando minacciosamente la biondina che la guardava estasiata: “Te lo chiedo per favore,” Continuò voltando il capo verso il finestrino: qualcosa la turbava. “Non far parola con nessuno riguardo ciò che hai visto, se no potrebbero portarmelo via e…” “Non c’è bisogno che tu cerca di spiegarti!” La interruppe Florinda con convinzione. “Ti capisco perfettamente.” “Davvero..?” “Sì, e poi non bisogna nasconderlo se ti piace qualcuno, babbano o mago che sia.” Concluse sorridendo. “Ehi! Ma come ti permetti?!! Ritira subito ciò che hai detto!” Sbraitò Lysandra tutta rossa in volto. Florinda rise di gusto e poi aggiunse: “Ma l’avrebbe capito chiunque ascoltando la tua storia, se no perché portartelo dietro?” “Ma come osi??!” Urlò l’altra, cercando di controbattere. “E va bene, e va bene! Hai ragione tu: corri solo questo enorme rischio per avere un animale domestico un po’ fuori dal comune..! Che cosa dolce!” Lysandra furente stava per rispondere (o quanto meno alzare la bacchetta e trasformare Florinda in un rospo), quando la porta dello scompartimento si aprì. Una signora vestita con una camicetta a quadretti rosa, capelli corti tendenti al bianco e fare simpatico comparve spingendo un carrello colmo di bevande e dolciumi. Con voce cordiale chiese: “Qualcosa dal carrello?” Florinda con grande golosità accettò l’offerta. Cominciò così, sotto lo sguardo sconcertato di Lysandra, a riempire sempre più la borsa di cibo, fin quasi a farla esplodere. Non mancarono: un paio Cioccorane, quattro Bacchette di Liquirizia, un paio di confezioni di Tuttigusti+1 e, naturalmente, un’abbondante manciata di Mosche al Caramello (erano il punto debole di Florinda, non c’è bisogno di dirlo). Come penso si possa capire, Florinda non badava a spese se c’erano di mezzo dei dolci. Ne comprava a palate ogni volta che si mostrava l’occasione, bisognava sempre approfittarne, diceva lei.
Stava ancora arraffando le ultime Piperille, quando la signora domandò a se anche l’altra volesse favorire. “Giusto, la signora ha ragione!” S’intromise Florinda, già masticando rumorosamente le sue Mosche. “Dai che ti offro qualcosa io, Lysandra!” Ridacchiò alla fine, dopo aver ingoiato. La signora parve di colpo. In un istante i suoi occhi erano fissi e sgranati sulla ragazzina, come se avesse visto un fantasma. “Qu…Quella Lysandra?... Bl...Black??” Balbettò, come se non ne avesse la forza. Quest’ultima invece di rispondere si pettinò con tre dita i capelli scuri e voltandosi guardò fuori dal finestrino, immersa nei suoi pensieri. Florinda, non sapendo bene che cosa stesse accadendo, si preoccupò subito e chiese alla signora come stesse o se le servisse aiuto. Quella scosse velocemente il capo e, cercando di apparire più calma possibile, disse: “No… Non è niente… Mi sono solo… Solo ricordata di avere una certa cosa da fare…” Poi con tutta la forza che aveva spinse il suo carrello e se ne andò di buon passo, senza nemmeno voltarsi, nemmeno mentre Florinda la chiamava dal fondo del vagone: “Ehi! Ma non l’ho nemmeno pagata! Torni in dietro! Dove va così di corsa?” Non giunse risposta e la donna sparì pochi istanti dopo. “Che cosa strana…” Disse pensierosa Florinda, rientrando nello scompartimento dopo aver chiuso la porta. “Va beh, avrà avuto qualcosa di davvero importante da fare. Pensiamo positivo: abbiamo tutti questi dolci gratis!” Concluse tutta pimpante, divorando un’altra Mosca al Caramello. “Ma non le bastano mai..?” Si domandò Lysandra disgustata e poi, nessuno le aveva mai insegnato a masticare con la bocca chiusa?!
Con un gesto energico Florinda svuotò tutta la sua borsa e, oltre agli innumerevoli dolciumi, una lunga serie di oggetti caddero disordinatamente sul sedile affianco a lei. In particolare, un grosso libro dalla copertina blu cobalto finì sul pavimento, non senza prima aver colpito in pieno la testa del povero gatto rosso, che ebbe un miagolio di dolore. Florinda, fin troppo sbadata, non ci fece nemmeno caso e lo raccolse. “Ah, quasi me ne stavo dimenticando: sai che libro è questo?” Lysandra scosse il capo con rassegnazione: sentiva che quel giorno non sarebbe riuscita a leggere in santa pace. Tutta allegra Florinda continuò: “Tu che bacchetta hai?” “Cipresso con il nucleo di drago, perché?” Sbuffò. “Molto bene! Vedi, questo è il libro scritto da Garrick Olivander!” “E con ciò?” “E con ciò…” Continuò Florinda, giocherellando fra le dita con l’ennesima Mosca al Caramello. “Io sono in grado di delineare la tua personalità soltanto sapendo da quale bacchetta tu sei stata scelta.” “Baggianate.” Le rinfacciò Lysandra poco convinta. “Ma non è vero! Io conosco bene Olivander e ti assicuro che non scriverebbe mai menzogne! Ora te lo dimostro!” Così detto aprì il libro alle prime pagine e cominciò a leggerlo: “Allora, tu mi hai detto che la tua bacchetta ha un nucleo di drago… Ah, ecco qui dove ne parla: Dalle corde di cuore di drago si ottengono le bacchette più potenti, tendono ad imparare più in fretta delle altre e anche se possono cambiare lealtà legano in maniera molti forte con chi le possiede. E' la più facile da convertire alle Arti Oscure anche se non lo fa di sua spontanea iniziativa ed è incline agli incidenti per via del suo essere lunatica. E poi ascolta qua, questo è il legno: Cipresso. Le bacchette di cipresso sono associate alla nobiltà d'animo e un mio avo scrisse che era sempre un onore abbinarne una al suo proprietario, poiché sapeva di trovarsi in presenza di qualcuno che sarebbe morto in circostanze eroiche. Attualmente chi le possiede raramente è chiamato a sacrificare la propria vita, ma senza dubbio molti di loro lo farebbero, se necessario. La loro anima gemella è tra i coraggiosi, gli audaci e chi è pronto a sacrificare se stesso, cioè coloro che non hanno paura di confrontarsi con le proprie ombre e con quelle degli altri. Wow! Hai un profilo estremamente interessante, non ti pare?” “Credo ancora che siano baggianate, comunque sì, penso di sì.” Concluse Lysandra. Poi continuò: “E tu invece che bacchetta hai? Da qui il libro che leggo io. Tu non sai dare l’intonazione giusta, e che diamine!” Florinda glielo passò, poi disse in tono fiero e trionfante esclamò eccitata: “Ebano con il nucleo di unicorno!” Lysandra si schiarì la voce e poi lesse: “Unicorno. Il crine di unicorno produce una magia costante e poco incline a oscillazioni. Di solito queste bacchette sono le più difficili da convertire alle Arti Oscure. Sono fedeli e abitualmente restano unite al loro proprietario a prescindere dal fatto se siano o meno un Mago o una Strega esperti. Inconvenienti secondari: non sono le più potenti anche se il legno può compensare e sono inclini ad avvilirsi se maltrattate in tal caso il crine "muore" e va sostituito. Ma che schiappa!” Commentò in fine. “Ehi! Non è assolutamente vero! L’unicorno è un animale molto nobile e poi…” “Sei banale oltre che debole…” Si corresse Lysandra in una smorfia divertita, facendo una risata da cui anche Florinda fu contagiata. “E poi senti qui!” Disse con voce scherzosa. “Senti cosa dice sulla tua bacchetta:Ebano. Questo legno nero lucente ha un aspetto e una fama impressionanti; è particolarmente adatto a ogni tipo di magia da combattimento e alla Trasfigurazione. Dà il suo meglio nelle mani di chi ha il coraggio di essere se stesso: anticonformisti, diversi o fuori dagli schemi, si trovano proprietari di bacchette di ebano sia tra le fila dell'Ordine della Fenice che tra i Mangiamorte. Il padrone ideale di una bacchetta di ebano, a dispetto delle pressioni esterne, resta aggrappato alle proprie convinzioni e non si lascia distogliere dai suoi propositi. Sei una snob che gioca a trasformare le cose in altre, non c’è altro da dire.” “Uhm, non so, penso che la mia trasfigurazione potrà servirti un giorno… O anche subito.” Costatò Florinda, indicando il Gufo-senza-nome, “Non mi pare di essere io a girare con un barbagianni fittizio!” “Ehi! Parla piano! Ma che ti salta in testa! Vuoi che ci scoprano?!” “Ci? Come sarebbe a dire ci? Questo animale non è mica mio!” Rise Florinda “A proposito, non avevo detto che gli avrei dato un nome?” “Sì, l’avevi detto” Sospirò Lysandra guardando fuori dal finestrino con fare annoiato. “Ehi, guarda, Florind… Cioè, Flo, siamo quasi arrivate: la stazione è laggiù, tra pochi minuti saremo lì!” “Oh, miseriaccia! Ma non abbiamo ancora messo le divise! Presto muoviamoci!” Disse più eccitata che mai, cercando disperatamente i vestiti nel grande baule che si era portata dietro.
Come Lysandra aveva predetto, dopo pochi minuti il treno si fermò ed i passeggeri scesero, lasciando i bagagli sul treno: quelli sarebbero stati trovati già dagli studenti nel proprio dormitorio. Il più alto e grosso omone che i maghetti del primo anno avessero mai visto li stava attendendo.  Rubeus Hagrid era il suo nome, quello del custode delle chiavi e guardiacaccia di Hogwarts. Aveva una folta barba nera, che gli caratterizzava il volto, risaltando i suoi occhi luccicanti e gentili. Era un tipo rozzo, vestito malamente e con gesti un po’ impacciati continuava a far segno ai nuovi studenti di seguirlo. Questi ultimi, intimiditi, gli stavano dietro senza discutere, come contraddirlo? L’uomo era così immenso che con un suo solo passo avrebbe potuto raggiungere persino quelli dell’ultima fila e chissà poi cosa fargli.
Florinda si guardò attorno agitata, tenendo stretto Leo al petto. Con una mano strinse il suo bizzarro ciondolo e, cercando di tranquillizzarsi, bisbigliò: “Calma, calma, stai calma: sei quasi arrivata… Non c’è nulla da temere…” “Ehi, ma ora parli pure da sola?” La interruppe bruscamente Lysandra, dopo averla raggiunta alle spalle assieme al suo gufo. “Dai, non stare lì impalata: vuoi arrivare ad Hogwarts o no?” Continuò, passandole affianco. “Sì, sì! Arrivo!” Disse Florinda dopo essere saltata in aria dallo spavento.
Gli alunni con le bocche spalancate e i nasini rivolti all’insù videro per la prima volta, come quasi una visione, Hogwarts. Era un enorme castello con cento e cento torri tutt’intorno di ogni possibile forma e dimensione. Ovunque si potevano scorgere finestre illuminate, dalla luce delle candele. La merlatura dava un’aria davvero maestosa a tutto l’edificio, sembrava che il tempo si fosse fermato all’epoca dei cavalieri e delle dame, come se da allora nessuno avesse più osato ricondurre il luogo alla realtà. Sebbene la scuola sembrasse enorme, non la si era ancora paragonata a cosa vi era attorno. Un enorme lago la cingeva con la sua costa (abitato dalla Piovra Gigante, i maridi e altre creature marine). Da un lato invece vi era la Foresta proibita (un folto bosco pieno di creature non tutte amichevoli, come centauri, lupi mannari, acromantule, unicorni, trol, ecc…), mentre dall’altro c’era un bel campo da quidditch, con tanto di tribune. Questa visione faceva mancare il fiato, nessuno aveva mai visto qualcosa di simile. Nel silenzio colmo di stupore creatosi Lysandra si sentì tirare per la manica della divisa, era Florinda che le bisbigliò all’orecchio: “Pantofolo…” “Eh? Come?” Chiese stupita l’altra. “Il tuo gufo: da oggi in poi lo chiameremo Pantofolo.”

Capitolo secondo: L’arrivo ad Hogwarts.


Tutti gli studenti furono riuniti nella Sala Comune. Un’ampia stanza di circa 35 metri imbandita a festa. All’interno c’erano quattro lunghi tavoli che sembrava non finissero mai, ognuno appartenente ad una delle case degli studenti: Gryffindor, Slytherin, Hufflepuff e Ravenclaw. In fondo alla sala su di una piattaforma rialzata vi era il tavolo dei professori, con al centro il posto d’onore della preside. Era una donna di una certa età, vestita con un mantello verde smeraldo, portava i capelli, ormai tendenti al grigio, in uno chignon nascosto da un grande cappello a punta, anch’esso verde. Ed era lì, in piediche scrutava i nuovi alunni con occhio calmo e severo. Tra le mani stringeva un vecchio cappello sgualcito e dismesso che sembrava quasi stesse respirando, cosa che non poteva essere possibile, dato che i cappelli non respirano. Eppure quel così logoro oggetto che sembrava fosse molto importante, si stava proprio muovendo lentamente su e giù, quasi fosse davvero vivo. Ma le sorprese non erano ancora finite: quando i maghetti alzarono lo sguardo si resero conto che il soffitto era stato stregato in modo tale che si vedesse il cielo, dando così l'impressione di trovarsi in uno spazio aperto. Per rendere la sala ancora più sorprendente, essa era illuminata (oltre che dalle torce) da migliaia di candele sospese a mezz’aria. Ma com’era possibile tutto questo? Stavano forse sognando? Erano questi i pensieri che fluttuavano nelle teste dei maghetti che increduli continuavano a proseguire.
Ad un tratto la preside parlò e la sua voce sonante invase la sala, tutti si zittirono: “Cari ragazzi, benvenuti nella scuola di magia e stregoneria di Hogwarts. Io sono la vostra preside, la professoressa McGranitt. Prima di iniziare a smistarvi nelle vostre rispettive case, vorrei fare un paio di annunci, quindi aprite bene le orecchie: a voi del primo anno è severamente, e dico SEVERAMENTE, vietato entrare nella Foresta proibita, che, come avrete di certo notato, circonda il castello nella sua parte est. Inoltre è anche vietato girare per i corridoi della scuola dopo le  23.30. Ogni studente, e dico OGNI, è pregato di trovarsi per quell’ora nel proprio dormitorio. Non vorrete mica recar fastidio agli insegnanti, dico bene? E per finire, mi hanno gentilmente pregato di dirvi che non vi è permesso per alcun motivo, e dico ALCUNO, recarvi sulla riva del lago dopo il tramonto e questo vale per gli studenti di qualunque età. Cose assai spiacevoli possono capitare a chi disobbedisce a queste tre piccole regoline.” Disse con un sorriso strano. “Ovviamente se vi comporterete male alla vostra casa verranno tolti dei punti e ne verranno aggiunti per premiarvi se vi sarete comportati bene. Tutto chiaro? – nessuno fiatò – Molto bene, detto questo, possiamo iniziare!” Gli sguardi preoccupati di Florinda e Lysandra s’incrociarono per un istante, quella era una scuola o una specie di prigione militare?
“Ed ora” Continuò la professoressa McGranitt, “Verrete smistati nelle vostre case, professoressa Starfin può per piacere preoccuparsi lei di questo compito?” Una signora magrissima dall’aspetto elegante con un lungo abito color crema, che le arrivava fino ai piedi, fece qualche passo avanti. Portava i capelli in un caschetto nero, mentre al collo le pendeva un foulard rosso, quasi color del sangue, in tinta con le sue labbra sottili. Non si poteva dire che fosse una brutta donna, ma i suoi occhi cerulei e la sua carnagione pallida contrastati dal colore dei capelli e delle labbra, le donavano un’aria inquietante. Con un movimento lento, ma sicuro, afferrò il cappello sgualcito e parlò: la sua voce era secca e inespressiva, come il suo sguardo. “Cari ragazzi, io sono la professoressa Starfin, vostra insegnante di trasfigurazione. Mi è stato affidato il compito di smistarvi ognuno nella propria casa, quindi ora vi chiamerò per nome, voi verrete qui e vi farete mettere il Cappello Parlante sulla testa, così che lui possa decidere in che casa apparterrete per gli anni a venire.” I maghetti deglutirono e un brivido gli passò loro per la schiena: stare alla presenza di quella professoressa era raggelante come il Grand’inverno degli Stark.
Lo sguardo di Lysandra cadde per caso su Florinda, che aveva di nuovo cominciato a parlare da sola, stringendo con entrambe le mani il suo bizzarro ciondolo. “Ehi,” le disse tirandole un’amichevole (per quanto possa sembrar strano) pacca su una spalla. “Stai calma, che hai?” “No, niente… È solo che sono così preoccupata! Chi sa in che casa mi metteranno!” Rispose lei frettolosamente. “Ma che cos’è quel ciondolo che ti porti sempre dietro?” Chiese l’altra, allungando la mano per sfiorarlo. Non sapeva bene il perché, ma ne era profondamente interessata. Florinda stava per rispondere, quando la loro conversazione fu interrotta dall’indistinguibile voce della professoressa Starfin: aveva cominciato a chiamare gli alunni.
L’operazione di smistamento era semplice: i ragazzi venivano chiamati per nome, fatti sedere su di una sedia davanti a tutti, gli veniva messo il Cappello Parlante sulla testa, il quale magicamente prendeva vita e decideva dove collocarli, senza aver quasi mai un attimo di esitazione. Il tutto con un pesante brusio di voci eccitate. Ogni volta che veniva smistato un primino gli altri componenti di quella casa lo accoglievano esaltati. C’era chi applaudiva, chi gridava, chi fischiava o chi soltanto agitava le braccia in modo un po’ impacciato. Ormai nessuno era più agitato per l’esito di questa prova: comunque sarebbe andata c’era un forte applauso d’incoraggiamento e questo dava non poca sicurezza. Il clima era quindi molto allegro e nessuno avrebbe potuto sentirsi escluso, abbattuto o triste.
Ad un tratto la voce inespressiva della professoressa Starfin ebbe una quasi impercettibile esitazione: “Ly…Lysandra Black?” Chiamò e un amaro silenzio invase la Sala Comune, spentasi di colpo l’allegria che fino a quel momento scoppiettava come il caldo fuocherello di un camino. Lysandra si avvicinò guardando fisso negli occhi la professoressa che ricambiò lo sguardo. “Oh, no! Ora quella Black la uccide! Non posso guardare!” Commentò sottovoce una strega non poco lontano, mentre la sua amica continuava: “Scommetto che finisce in Slytherin: tutti i maghi divenuti cattivi erano Slytherin...” A quelle parole Florinda si girò di scatto e tentò di esclamare qualcosa, ma la voce cordiale del Cappello Parlante la interruppe: “Una Black, eh?.. Uhm, che fare con te? Vedo del coraggio, ma anche un certo talento per i guai… Più guai che coraggio a dire il vero, anche se… Avrai una certa compagnia nelle tue marachelle.” Rise poi. “Ma sì, ho deciso: Slytherin!”
Soltanto un applauso ruppe il silenzio della sala: quello di Florinda. Tutti la fissarono increduli, ma chi era? Continuavano a domandarsi. Lei non ci fece caso, guardando l’amica con ammirazione. Quello sguardo così sincero sembrò quasi smuovere gli animi dei presenti, che subito dopo iniziarono a battere istintivamente le mani, in quello che fu l’applauso più travolgente. Lysandra si alzò, con un quasi impercettibile sorriso dipinto sul volto, non riuscendo però a capire a cosa realmente fosse dovuto.
Ma cos’era successo? Perché quando il nome di Lysandra veniva pronunciato succedeva qualcosa di strano? Come poteva un nome provocare tanto trambusto? O non era solo quello? Quest’intenso vortice di domande da cui Florinda cercava in tutti i modi di trovare una risposta, fu interrotto quando la solita, fredda e inespressiva parlò nuovamente: “Florinda Johnson?” Era il suo turno. Con cautela si avvicinò alla professoressa, ma paura era svanita: ora ciò che più la preoccupava era la risposta a tutte le sue domande. Il Cappello Parlante cadde delicatamente sui suoi capelli dorati: “Hufflepuff.” Disse, senza nemmeno pensarci.
Ormai tutti i nuovi studenti erano stati smistati nelle rispettive case ed erano seduti ai lunghi tavoli della sala complimentati ed ormai conosciuti da tutti. Per Florinda sembrava di essere entrata in una grande famiglia: sembrava che tutti fossero come lei, ma qualcosa le rendeva tutto questo imperfetto. Ad un tratto si girò e vide il tavolo degli Slytherin. Con lo sguardo cercò Lysandra, la vide: non sembrava molto interessata a ciò che le stava in torno, era tornata indifferente come al solito. Dopo essere stata un poco pensieroso il volto di Florinda s’illuminò: aveva un piano.
Qualche minuto dopo la preside chiese silenzio, picchiettando il suo calice con la bacchetta. “Bene, ora che tutti gli studenti hanno preso posto si può iniziare con il banchetto!” Disse in tono cordiale. Così dicendo mosse con un gesto attento la bacchetta e magicamente i piatti di tutti si riempirono di qualunque tipo di leccornia può venire in mente. Tutti i migliori piatti di qualunque cultura erano pronti e serviti, sembrava un vero sogno e i nuovi arrivati non sapevano proprio da che parte cominciare. Un ragazzino grassoccio seduto vicino a Lysandra si strofinò gli occhi per tanta bellezza e con aria paradisiaca sospirò: “E’ magico..!” “Ovvio, che è magico.” Sbuffò l’altra con noncuranza, “Se non lo sai ci troviamo in una scuola di magia e stregoneria, sottolineo MAGIA e STREGONERIA. Vuoi che non ci insegneranno dei trucchetti scemi tipo questo?” Continuò, portandosi alla bocca un pezzo di pollo al curry (quanto le piaceva). “Ehi, tu, ma chi ti credi di essere?!” Rispose il maghetto grassoccio tutto rosso in volto. Lysandra si voltò dalla sua parte e rispose ancora meno interessata, dopo aver ingoiato il boccone: “Lysandra Black, tanto piacere.” Poi appoggiò il gomito sulla tavola e con aria annoiata addentò una polpetta. Nel frattempo il volto dell’altro era passato dal rosso al bianco, quasi istantaneamente e la conversazione di Lysandra finì lì, almeno così le sembrò inizialmente. Infatti subito la ragazza notò che lo Slytherin seduto davanti a lei la stava fissando. Anche lui sembrava uno del primo anno, alto, dai capelli neri e con un paio di bellissimi occhi verdi, impossibili da non notare, che ricordavano il colore della sua cravatta. “E tu che hai da fissare?” Chiese Lysandra, indicandolo minacciosa con una coscia di pollo. Quello dapprima tentò di trattenersi, ma poi non resistette e con la mano alla bocca cercò di nascondere una fragorosa risata, ma non molto vi riuscì. Il ragazzo grassoccio ebbe un brivido e cominciò velocemente a mangiare in preda all’agitazione. Irata Lysandra chiese, senza ancora abbassare la coscia di pollo: “Stai ridendo di me?!” L’altro sorrise e si presentò: “Mi chiamo Eric Horwood, tu, per quanto ho capito sei Lysandra Black… Quella che sta mettendo a scompiglio tutta la scuola. Beh, sai come farti rispettare.” “Ovvio,” Sbuffò l’altra, finalmente abbassando la sua arma, per poi addentarla. “Comunque non hai risposto alla mia domanda.” Continuò, ancora masticando. Eric avrebbe voluto rispondere, ma improvvisamente un uomo grigio e semitrasparente trasparente comparve, passando attraverso la tavolata. I presenti sobbalzarono, persino Lysandra, che venne colta alla sprovvista, ma subito brontolò, riconoscendolo: “Barone, non poteva fare un po’ più con calma? Stiamo pur sempre mangiando!” Quello strano uomo si voltò a guardarla e solo allora la ragazza poté scorgere del sangue argenteo sui suoi abiti, risalenti forse all’800. I suoi occhi piccoli e grigi ebbero un fremito eccitato, poi sorrise con aria maligna: “Lo stesso sguardo, gli stessi modi… Tu devi essere di certo una Black. Ricordo perfettamente quando Bellatrix sedeva qui a questo tavolo, anche lei mi riconobbe subito. Beh, piacere, sono il fantasma degli Slytherin: il vostro amato Barone Sanguinario!” Al nome della famosa strega il maghetto grassoccio non ce la fece più e in modo impacciato si alzò di colpo da tavola e se ne andò a sedersi dalla parte opposta, più velocemente che poté. Lysandra ridacchiò compiaciuta: “Solo a sentire il suo nome è scappato, penso che mia zia sia stata molto popolare ai suoi tempi.” “Già,” Concordò il Barone, “Ci aspettiamo grandi cose anche da lei, Signorina Black, non se lo scordi.” Con un gesto della mano lo spettro si toccò il cappello piumato in segno di saluto e scomparve in una polvere di fumo. “Che bizzarro personaggio!” Commentò Eric alla fine. Senza nemmeno dargli ascolto Lysandra continuò a mangiare, restando nel più muto dei silenzi: qualcosa la turbava.
Pochi istanti dopo si sentirono delle grandi urla e risate per tutta la sala: i fantasmi delle altre case erano arrivati. Bisogna sapere che c’erano 4 fantasmi guardiani delle case ad Hogwarts: il Barone sanguinario (come già detto, spettro degli Slytherin. Noto in vita per la sua grande malvagità, ha la caratteristica di possedere abiti ricoperti di sangue argenteo. Si diverte a spaventare chiunque, anche se è noto essere particolarmente attratto dalle urla dei nuovi iscritti. Lo si può non difficilmente trovare per la scuola con la spada sguainata ed un sorriso malefico sulla faccia), la Dama Grigia (è lo spettro dei Ravenclaw. È molto timida e riservata, per questo si sa ben poco di lei. Ha la caratteristica di non far ascoltare quasi a nessuno la sua voce. È molto difficile farsi avvicinare da lei, perché la conquista della sua fiducia non è operazione semplice), Nick-Quasi-Senza-Testa (è lo spettro dei Gryffindor. È molto noto soprattutto tra i ragazzi più giovani per la caratteristica di aver la testa quasi attaccata al resto del corpo ed è anche per questo motivo che gli altri fantasmi si prendono spesso e volentieri gioco di lui, soprattutto il Barone Sanguinario, il quale fa altro che infastidirlo ogni qualvolta lo incontra) e il Frate Grasso (per esclusione, spettro degli Hufflepuff. Come si può facilmente capire dal nome, è uno spettro dall’aspetto allegro e grassoccio. È il fantasma più socievole di Hogwarts e non rifiuta mai una sana chiacchierata con chiunque trovi sul suo cammino. Anche se a volte forse un po’ troppo insistente, il Frate Grasso è amato da tutti, tranne del Barone Sanguinario che non lo sopporta, detestandolo, infatti ogni volta che lo vede cerca sempre di dileguarsi). Ogni fantasma fluttuando agilmente nell’aria si diresse al proprio tavolo. “Che allegra compagnia di testetasse che si è formata quest’anno! Puff puff puff! Io sono il vostro Frate Grasso, spettro degli Hufflepuff!” Disse uno di quelli con aria giocosa. “Zitto, tu!” Intervenne il Barone maleducatamente, poi con il suo sorriso maligno continuò “Cari piccoli Slytherin, chi vuol essere un poco… Spaventato? Su, su! Non fate i timidi!” Tutti i presenti rabbrividirono. La Dama Grigia si limitò a volteggiare sopra le teste dei Ravenclaw sorridendo timidamente a tutti, mentre Nick-Quasi-Senza-Testa veniva costretto dai nuovi alunni a mostrare il perché del suo nome, staccandosi la testa a desta e a manca con fare rassegnato.
Così passò la prima cena e tutti gli studenti furono mandati nei propri dormitori accompagnati dai prefetti, i capi studenti.
Ogni casa aveva un proprio dormitorio con una parola d’ordine affinché altri studenti non potessero entrarvi.
Sprizzante felicità e ansia da tutti i pori Florinda seguì i suoi compagni, non preoccupandosi di essere stata separata da Lysandra, tanto era certa che il suo piano avrebbe funzionato.
Guardandosi attorno la ragazza si rese conto che la scuola dall’interno sembrava ancora più maestosa che da fuori e che lei avrebbe dovuto fare molta più attenzione di quanto credeva per spostarsi qui e là. Mentre era coinvolta in questi ragionamenti, sentì il pavimento sotto di lei muoversi e sorpresa alzò lo sguardo: le scale si stavano muovendo! Il prefetto che le stava affianco, un ragazzo alto dai capelli ricci e cespugliosi con dei grossi occhiali neri, disse ridacchiando: “Ragazzi, non temete: alle scale piace cambiare. È normale che si spostino. Quindi fate sempre attenzione, d’accordo?” I maghetti annuirono e solo allora si resero conto che ciò raffigurato nei quadri si muoveva da solo, non riuscivano a crederci. Il ritratto di un vecchio signore con una lunga barba bianca ed un cappello a punta color porpora, fece l’occhiolino a Florinda, quella incredula si dette un pizzico, ma a nulla servì perché tutto era reale. Estasiata e sorridente ricambiò il gesto cortese, continuando a camminare verso il dormitorio sempre più stupita. Ma quante misteriose magie racchiudeva la scuola di magia e stregoneria di Hogwarts? Di certo una quantità non misurabile.
Poco dopo i ragazzi arrivarono nel seminterrato, fermandosi davanti ad un quadro di natura morta. “Beh?” Fece una ragazzina al Prefetto, quello senza darle retta disse: “Tassus Debatacus” E il quadro magicamente si aprì come se fosse stato una porta, sotto gli occhi spalancati dei nuovi Hufflepuff. Il Prefetto sorrise e poi disse: “Ecco dove starete per i prossimi giorni. Quella che vedete è la nostra Sala Comune. I dormitori sono dietro quelle due porte che vedete laggiù: a destra per le ragazze e a sinistra per i ragazzi. Lì troverete subito i vostri bagagli e libri. Mi raccomando: che nessuno esca da qui dopo le 23.30, anzi: sarebbe gravissimo anche solo girare per i corridoi di sera. Tutto chiaro?” I maghetti ancora annuirono e un po’ timorosi entrarono. La prima stanza era calda, grande e di forma circolare. Assieme a dei grossi candelabri gialli, un fuoco scoppiettante di un camino illuminava tutto, sembrava quasi fosse stato messo lì per dare un aspetto ancora più accogliente. L’arredamento, tutto rigorosamente di color nero e giallo, era semplice: c’erano dei drappeggi con la funzione di tende, dei divani, poltrone, tavoli squadrati e piccole credenze in legno. A Florinda quel posto piacque al primo sguardo, le sembrava di essere quasi a casa, anche se a dirla tutta quel dormitorio le dava l’idea di una tana di tasso sotto il terreno. Infatti tutto era a forma circolare e la Sala Comune era collegata ai dormitori con due stretti corridoi dalle pareti ricoperte da disegni floreali.
Arrivata al dormitorio femminile, Florinda riconobbe subito qual’era il suo letto: sopra infatti vi era già acciambellato Leo, il suo grosso gatto rosso. Svegliandolo di soprassalto, la ragazza lo prese in braccio e con voce divertita gli disse all’orecchio: “Aspetterò che tutti siano andati a dormire, poi attuerò il mio piano. Però promettimi: acqua in bocca!” Quello con aria ancora un po’ assonnata la guardò senza capire.
“Oh, santo cielo!” Sospirò Lysandra percorrendo un lungo corridoio illuminato solo da candele bianche, “Credo proprio di essermi persa! Uffa, ma dov’è il dormitorio degli Slytherin? Non credevo sarebbe stato così difficile trovarlo! Speriamo almeno di non incontrare nessuno, accidenti! Non dovrei essere qui!” Si guardò un poco attorno: era ormai sera e le 23 erano di certo passate, ancora mezz’ora e poi sarebbe stata davvero nei guai. “Oh, ma tu guarda in che razza di pasticcio mi sono andata a cacciare..!” Ad un tratto si fermò davanti ad una grossa vetrata e vi si affacciò. Nel cielo non vi era nemmeno una nuvola e la luna, piena per tre quarti, illuminava il lago dipingendo tutto di una luce argentea. “Chi sa perché ci è vietato andare laggiù dopo il tramonto, dopotutto non mi pare un luogo così pericoloso… Sembra anzi così tranquillo!” Pensò la ragazza, tenendo il naso contro il vetro della finestra che si era tutto appannato. Ad un tratto una mano le si appoggiò sulla spalla, trattenendo il fiato Lysandra si voltò di scatto e alla luce delle candele vide un ragazzo moro, che riconobbe dalla divisa essere uno Slytherin. Presa dal panico più totale la ragazza non seppe che fare, così distolse lo sguardo fissando a terra. “Oh, no! E ora che faccio?! Sono stata scoperta! No, aspetta, non devo perdere la calma… Non sono ancore le 23.30! Devo inventarmi una scusa plausibile e alla svelta!” Pensò subito tutta agitata. Lo Slytherin con sguardo interrogativo la fissò per un istante, poi chiese: “Lysandra, che stai facendo qui da sola?” “Niente… Niente!” Rispose velocemente l’altra. “Solo che non trovo più il dormitorio, sai, questa scuola è così grande e…” “Non ti preoccupare, anch’io sto andando là, se vuoi ti posso accompagnare.” Disse il ragazzo con una strana e fin troppo cordiale espressione, ma l’altra non se ne rese conto e tutta in un sorriso rispose: “Oh, si grazie mille!” “Sai sorridere? Non credevo ne fossi capace!” Ironizzò l’altro. Subito Lysandra si rabbuiò. “Ma che sto facendo?” Pensò “Oh, no! Sto sbagliando tutto, che disastro! Se continuo così io sarò… E poi, chi è questo ragazzo che… Che sa il mio nome?!”
Lo sconosciuto fece strada e i due camminarono per qualche minuto nel silenzio, fino a quando lui disse: “Beh, è stata una fortuna averti incontrata, non ti pare?” Lysandra annuì, ancora una volta senza incrociare il suo sguardo. Poco dopo i due si ritrovarono nei sotterranei del castello in un corridoio freddo e buio dalle pareti di pietra, che si concludeva in un muro. Il ragazzo vi si fermò davanti e con voce forte e tonante esclamò: “Purosangue!” Immediatamente il muro scomparve e i due poterono entrare nella Sala Comune degli Slytherin. Al suo interno tutto aveva l’aspetto di una cella: era un sotterraneo basso e lungo con le pareti ed il soffitto di pietra, a cui erano appese delle losche catene arrugginite, da cui pendevano dei lampadari verdastri. L'arredamento era costituito da poltrone e sofà neri e tappeti verde argentato. L'unica fonte di calore sembrava essere un grande camino di marmo bianchissimo, posto dalla parte opposta all’entrata. L’intera sala e i dormitori si estendevano nel sottosuolo, fin sotto il lago, le cui acque davano ovunque una tonalità verdognola. All’interno sembrava non esserci nessuno, se non la sottile e cupa presenza di qualche spettro inquietante. Nulla avrebbe mai potuto ricordare l’accogliente dimora degli Hufflepuff, questo è sicuro.
Lysandra avvertì un brivido che le scese giù per tutta la schiena, forse il ragazzo lo notò perché con un mezzo sorriso chiese: “Beh, Lysandra, eccoci qui: casa dolce casa. Non si dice mica così?” “Oh, sì..!” Rispose l’altra con un filo di voce. “Ora ti accompagnerò alla tua stanza, magari anche di quella hai perso la strada…” Continuò il ragazzo avvicinandosi minaccioso. “No, grazie basta così, saprò arrangiarmi da sola…” Indietreggiò l’altra spaventata, perché mai si era cacciata in quella situazione?! “Ma io insisto, su, da questa parte…” Continuò lui, indicando una di due porte nere. “Ma no, ti ringrazio, a me basta così! Saprò cavarmela anche da sola!” “Ti ho già detto che insisto, non ho problemi…” Poco dopo i due erano intenti a discutere animatamente, facendo non poco baccano. Lei cercava in tutti i modi di non cedere alle più che insistenti richieste del ragazzo, anche se sembrava essere sempre più esitante. Ad un tratto non ce la fece più: lo guardò fisso negli occhi e con tono più che risoluto sbraitò: “Sono a posto, grazie!” Ma in quel momento la porta nera del dormitorio femminile si spalancò. La ragazza si bloccò di colpo e l’unica cosa che riuscì a farsi uscire dalla bocca fu un leggero “Oh… Oh…” Preoccupato. L’altro la guardò senza capire, poi si voltò di scatto: dalla porta era entrata Lysandra. Quest’ultima si stropicciò un poco gli occhi assonnati dicendo: “Ehi, voi due! Stavo facendo un pisolino io! Sapete che succede a chi interr...” Ma in quella aprì gli occhi e vide in piedi davanti a sé Eric e… Un’altra lei.
Saltando in aria dallo spavento, la nuova arrivata sempre più sbalordita urlò: “Tu! Tu! Eric! Ma che diavolo di scherzo mi stai facendo?! E tu! Tu chi diavolo saresti?!” Sembrava davvero imbestialita, nessuno l’aveva mai vista in quello stato (dico, nessuno… Che può ancora andare in giro a raccontarlo). Con una rapidità fulminea Eric estrasse la bacchetta e la puntò contro la Lysandra che aveva accompagnato fino a lì. Questa vedendosi puntare l’arma contro, più spaventata che mai, bianca in volto, cercò di balbettare qualcosa, ma non ci riuscì. Sembrava quasi che avesse visto la morte in faccia. “Fin dall’inizio avevo capito che tu non eri la vera Lysandra, i tuoi modi non si addicono per nulla ad una Black! Ma allora… Chi diavolo sei?” Chiese Eric sempre tenendo la bacchetta davanti agli occhi dell’impostore. Quella con voce titubante bisbigliò: “Lys, salvami..! – E in quella i suoi capelli si fecero improvvisamente bianchi - Io… Io volevo solo farti i complimenti per essere entrata a far parte degli Slytherin, nulla di che!” La vera Lysandra, che a quel punto sembrava essersi un poco calmata, chiese: “Farmi i complimenti? Aspetta, tu non sarai mica…” “Lys, nella mia tasca destra!” La vera Lysandra le si avvicinò, allungando il braccio, ma Eric la fermò: “Aspetta, potrebbe ingannarti!” Dopo averlo quadrato per un istante la Slytherin con aria rassegnata sbuffò: “No, impossibile: non sarebbe capace di fare un ragionamento tanto articolato.” Dopo aver detto questo infilò con decisione la mano nella tasca e ne trasse fuori tre oggetti. Senza nemmeno guardarli li porse all’altra lei dicendo: “Eric, lasciala stare: non c’è pericolo.” Quello lentamente abbassò la bacchetta, ancora un po’ incerto e con aria incuriosita guardò ciò che ora era fra le mani dell’altra ragazza: un paio di Mosche al Caramello ed uno strano ciondolo di forma sferica circondato da una bizzarra spirale di bronzo. Quando alzò lo sguardo si rese conto che la seconda Lysandra era svanita e che al suo posto vi era una ragazza della stessa età, un poco più alta e dai capelli biondi, quasi dorati, corti e certamente spettinati. “Mi scuso con tutti e due per avervi causato questo problema… Non era mia intenzione…” Disse con aria un po’ imbarazzata grattandosi la testa. “Flo, certo che ne avevi di modi migliori per complimentarti con me… E poi, perché disturbarti tanto facendo tutto questo pasticcio?! Mi hai svegliata! Non so se sei consapevole delle tue azioni, anche se dubito, ma mi hai svegliata!” “Ehm… Scusa, Lys! Le cose sarebbero dovute andare a finire diversamente! E scusa anche a te,” Continuò ora rivolta al ragazzo, che la fissava basito “E grazie per aver protetto Lys, significa che sei proprio un buon amico! Mi chiamo Florinda Johnson, ma per favore chiamami Flo.” Così detto allungò la mano verso di lui, questo gliela strinse rispondendo: “Piacere, Eric… Eric Horwood.”
Pochi minuti dopo i tre si ritrovarono in una delle stanze del dormitorio femminile degli Slytherin. “Non temete, tanto qui non c’è nessuno: è la mia stanza.” “Cosa?! Ti hanno dato una stanza intera?? Non sei costretta a dividerla con nessuno? Oh, ma che fortuna!” Si esaltò Florinda, buttandosi rumorosamente sul letto. Con la sua solita aria annoiata Lysandra rispose: “Ehm, no veramente quelle tre con cui dovevo dividere la camera se ne sono andate, quindi...” S’interruppe: più precisamente erano fuggite. “Non temere!” La distolse Florinda dai suo pensieri, che la stavano per avvolgere. “Verrò tutte le sere a trovarti, ammesso che tu tenga la tua guardia del corpo un po’ più a bada!” Rise di gusto Florinda voltando lo sguardo verso Eric, che un po’ impacciato sorrise. Lysandra la guardò con un’espressione stranamente troppo cordiale: “Flo, cara Flo, lo vuoi un grande consiglio?” L’altra annuì interessata: “Ecco… Vedi, un’altra volta, giusto se ti capita…” Iniziò a parlare quella con calma, “EVITA DI PRSENTARTI CON IDEE ESSURDE NEL MIO DORMITORIO!” Sbraitò poi, senza ormai più freni. “LA POZIONE POLISUCCO È UNA DI QUELLE IDEE STUPIDE A CUI TU NON DOVRESTI DARE RETTA!” Concluse e per l’ira un ciuffo di capelli le ricadde sul viso arrossato. “Lys,” La interruppe Florinda confusa, “Guarda che io non ho usato la pozione polisucco, a dire il vero non ho neanche molto chiaro in mente quali siano gli ingredienti…” Gli altri due la guardarono stupiti. “Ma allora come diavolo..?” Chiese Eric, sempre più stupito. “Se mi promettete di mantenere il segreto ve lo dirò.” Sorrise Florinda. I due, senza nemmeno rendersene conto, si ritrovarono ad annuire all’unisono: erano troppo curiosi, dovevano conoscere tutto. “Ebbene, io sono una Metamorfomagus.” Si scompigliò con una mano l’Hufflepuff i capelli biondi.
“Che cosa?!” Chiesero i due, ancora una volta all’unisono. Fu così che felice Florinda raccontò (più o meno) tutto ciò che si poteva sapere sulla faccenda e la sua piccola avventura di quella notte: “Un Metamorfomagus è un mago che fin dalla nascita è in grado di cambiare il proprio aspetto a suo piacimento senza l’uso di pozioni o incantesimi. Questa magia è ereditaria, infatti anche mia nonna l’aveva… Diciamo che ha saltato una generazione, cioè quella di mia madre, lei non è che una semplice strega. Essere un Metamorfomagus però ha i suoi  difetti, come per esempio quello di usare involontariamente il proprio potere quando si è soggetti a forti emozioni... Per esempio può capitare che i miei capelli cambino colore a seconda se sono arrabbiata, triste o spaventata. Fortunatamente però io possiedo questo,” Disse sventolando davanti agli occhi dei due spettatori il suo strano ciondolo. “All’apparenza può sembrare una normalissima collana, ma in realtà è un oggetto utilissimo che creò mia nonna per me ed la sua magia è enorme: riesce infatti a trattenere il mio potere, ecco perché nessuno mi vede con i capelli colorati o che altro! Fantastico, no?” “Aspetta,” La interruppe Eric. “Ma prima i tuoi capelli sono diventati bianchi...” “Beh, semplicemente perché non posso trasformarmi in altre persone con il mio ciondolo al collo, lo devo togliere se no la mia magia non ha effetto: ecco perché poco prima lo tenevo in tasca. Così facendo, le mie emozioni sono in grado di prendere il sopravvento.” “Quindi ti basta vedere una persona e poi puoi diventare come lei?” S’informò Lysandra, insolitamente incuriosita. “Beh, non esattamente: devo avere un certo legame con quella persona, il che cambia da soggetto a soggetto… Ma la maggior parte dei casi devo solo averla toccata almeno una volta.” “Capisco.” Disse l’altra annuendo con la testa. “Ma come hai fatto a venire qui?” Chiese Eric anche lui molto preso dalla conversazione. “Ah, sì, beh, è stato quasi divertente! Ho aspettato che tutti i miei compagni Hufflepuff si fossero ritirati nel dormitorio, poi verso le 22.30 sono sgattaiolata fuori dalla Sala Comune e ho preso l’aspetto di Lys. Mi sono diretta dove poco prima mi era stata data la divisa e ho chiesto se ce n’era un’altra Slytherin, con la scusa che la mia era troppo stretta. Inizialmente nessuno me la voleva, ma quando mi sono presentata come Lysandra Black… Le cose sono decisamente cambiate. Lys, penso che tu sia molto popolare!” Eric condivise dicendo che si era fatta valere anche contro il Barone Sanguinario la stessa sera. Lysandra per un attimo lo squadrò irritata e, dopo averle fatto complimenti, Florinda continuò: “Beh, insomma: vestita da Lys, con la divisa da Slytherin il mio piano stava procedendo a gonfie vele. Allora andai a cercare il vostro dormitorio, ma gli eventi che avvennero dopo mi sfuggirono un poco di mano: prima mi sono persa per le scale, perché si sa a quelle piace tanto cambiare e ti mandano ogni volta chi sa dove! E poi ho incontrato te, Eric, e… Sinceramente non avevo calcolato di poter incontrare un altro della casa di Lys e che la conoscesse… Il resto della storia penso che la sappiate. Vi prego, vi scongiuro! Non dite a nessuno che sono un Metamorfomagus! Non voglio che si sappia in giro, la cosa potrebbe crearmi problemi e…” “Dato che” La interruppe Lysandra, prendendo in mano le redini della discussione: “La tua capacità di trasformarti è inversamente proporzionale alla tua intelligenza… Manterremo il segreto.” “Oh! Grazie! Grazie mille a tutt’e due!” Rispose colma di gioia l’Hufflepuff aprendo le braccia e gettandosi al collo di Lysandra in un caloroso abbraccio. Quella in un urlo esclamò: “Ehi! Cos’è tutta questa confidenza?! Levati immediatamente stupida Hufflepuff!”
“Biancospino,” Pensò Florinda sdraiata sul suo letto, “Eric ha una bacchetta di Biancospino…” Era notte fonda, così, accompagnata da Leo e dal suo debole Lumus, sotto le coperte aprì il libro di Olivander e lesse piano piano, sperando che nessuno si sarebbe svegliato: “Biancospino: Gregorovich scrisse che dal biancospino si ricava una bacchetta insolita, ricca di paradossi esattamente come l’albero che l’ha generata: i fiori e le foglie hanno poteri curativi, mentre i rami taglienti odorano di morte. Spesso in disaccordo con le sue conclusioni, sulle bacchette di biancospino entrambi consideriamo la loro natura complessa e intrigante come quella di chi le possiede. Sono efficaci nella magia curativa, ma altrettanto nella maledizioni e ho notato che si sentono affini con un carattere pieno di contrasti o che attraversano un periodo turbolento della vita. Non si domina facilmente e sono destinati a questa bacchetta solo Maghi o Streghe di dimostrato talento o le conseguenze sarebbero disastrose: se maneggiate in modo sbagliato i loro incantesimi possono infatti ritorcesi contro il proprietario.” Ci rimase molto colpita: carattere pieno di contraddizioni? Periodo difficile della vita?? Ma che cosa significava tutto questo? Con la testa colma di domande, si lasciò cadere sul cuscino. Doveva assolutamente far luce su quella faccenda.

Capitolo terzo: Il primo giorno di scuola.


Il giorno dopo tutti i nuovi iscritti avrebbero avuto la loro prima lezione. Era stato detto loro di trovarsi nella Sala Comune della scuola alle 8 del mattino in punto, infatti, dopo aver fatto colazione, lì gli sarebbero state date le indicazioni per il lavoro da svolgere fino alla fine dell’anno. Tra un brontolio e l’altro Lysandra si vestì: non riusciva a credere che le lezioni iniziassero a quell’ora. “E’ inammissibile.” Pensò, mentre si raccoglieva i capelli con un fiocco verde smeraldo. “Sembra di essere in una stupida scuola babbana, nessun mago rispettabile ha più sale in zucca a questo mondo! Alle 8? Ma che è? Scherziamo?!” Poi guardò il suo gufo che se ne stava appollaiato tranquillamente in un angolo della camera a dormire. Lo fissò per un istante, senza fiatare, poi con un leggero colpetto lo sveglio dicendo: “Su, muoviti: alla lezione di trasfigurazione vogliono pure te.” Quello aprì i suoi grandi e affettuosi occhi neri, poi aprì le ali e spiccò il volo, per andare ad appollaiarsi sulla spalla della sua padroncina. “Trasfigurazione…” Sussurrò Lysandra, che nel frattempo aveva afferrato un grosso libro dalla copertina di pelle nera e s’era messo a sfogliarlo. “Come se ne avessi bisogno.”
Qualche istante dopo si ritrovò nella Comune Slytherin e lì v’incontrò Eric, accompagnato da un grosso gufo dagli enormi occhi gialli e inquisitori, che squadrò Pantofolo dall’alto in basso, colmo di sospetti. Il ragazzo la salutò cordialmente, così Lysandra si ritrovò costretta a ricambiare, anche se non ne aveva proprio una gran voglia. Poi ragazza s’incamminò e l’altro gli stette dietro.
Giunsero finalmente alla Sala Comune della scuola. Imbandita e colma di dolci di qualunque tipo potesse venire in mente, essa era colma di frettolosi studenti (i soliti ritardatari) che cercavano in tutti i modi di arraffare tutto ciò che potevano prima dell’inizio delle lezioni. Il soffitto della grande sala era cambiato e sembrava proprio di trovarsi all’aperto perché il cielo scuro e le candele della sera prima erano state sostituite da uno splendido mattino di settembre, senza nemmeno una nuvola.
“Oh, c’è ancora del cibo, credevo che quell’ingorda di Florinda si fosse mangiata già tutto.” Fece ironica Lysandra entrando. Eric parve un filo seccato, ma l’altra non se ne rese conto perché intenta a guardarsi attorno. “Ma… Dove si è cacciata? Tu riesci a vederla?” Chiese. Eric si voltò a cercarla, ma ancora nulla: sembrava proprio che di quella Hufflepuff non vi fosse traccia. “Dove potrebbe essere andata? Deve sbrigarsi: le lezioni cominceranno tra breve!” Sospirò. “Uhm, è strano che non ci sia… Insomma, con tutto questo ben di Dio in tavola non è da lei mancare!” Commentò Lysandra, osservando con grande interesse un muffin al cioccolato. “E se le fosse successo qualcosa?” Domandò subito Eric. “Non dirmi che sei preoccupato per quella stupida Hufflepuff…” Il ragazzo voltò il capo dall’altra parte senza nemmeno rispondere. Lysandra rise: “Oh, non temere: dopo tutto è un Metamorfomagus, se la saprà cavare. Potrebbe già essere in questa stanza senza che noi ce ne stessimo rendendo nemmeno conto.” “Taci, vuoi che qualcuno ti senta?!” La zittì immediatamente lui. “Anche se forse potresti anche aver ragione…”
Fecero appena in tempo a finire la colazione, che l’inquietante professoressa Starfin comparve da dietro la porta. Le sue dita scioccarono e tutti i piatti colmi di squisitezze scomparvero, tra le proteste generali degli studenti che vennero subito zittiti alla vista della nuova arrivata. Con passo lento, ma deciso, la professoressa si diresse verso la fine della sala e i presenti rabbrividirono sentendosi osservati dai suoi occhi, così simili al colore del ghiaccio. Il suo abito bianco arrivava fino a toccare il pavimento, sembrando quasi un vestito da matrimonio: un matrimonio mai mandato a termine. “Sembra una sposa, una sposa… Maledetta!” Balbettò pian piano uno Slytherin. Lysandra si voltò e dietro di sé riconobbe il maghetto grassoccio della sera prima. In quel momento gli occhi vitrei e vuoti della professoressa furono su di lui. Quello impallidì e, grondante di sudore, abbassò lo sguardo, facendosi piccolo piccolo, quasi sotto il tavolo dalla pura. La Starfin ne sembrò molto compiaciuta e in un sorriso, dai canini aguzzi, continuò a proseguire verso il tavolo degli insegnati. L’unica cosa che in quel momento si poteva udire nella sala era solo il rumore dei tacchi della Starfin, che proseguiva imperterrita. Nessuno osava fiatare, tutti terrorizzati da quell’inquietante presenza.
Ad un tratto però il silenzio fu rotto dal tonfo di qualcosa caduto a terra ed un forte miagolio, provenienti dal corridoio vicino. Ogni maghetto si voltò di colpo e vide alla porta una ragazza che imbarazzata teneva in braccio dei libri un grosso gatto rosso. Ansimante dopo la folle corsa, con la divisa da Hufflepuff un po’ fuori posto c’era Florinda, rossa in volto. Ma la cosa più bizzarra era che la ragazza teneva un pesante cappello giallo fin quasi sopra gli occhi.
Subito un forte brusio di voci esplose per tutta la Sala, interrotto solo dalla voce inespressiva della professoressa che chiese: “Allora, e tu?” Florinda, mentre Leo le si dimenava tra le braccia stufo di essere tenuto sollevato, rispose un po’ impacciata: “Scusi... E’ che ho fatto tardi... E’ che...” Non sapeva proprio come motivare quel suo comportamento. Sarebbe stato un guaio se avesse scoperto a cosa era dovuto, non poteva permetterlo. Lasciando andare il suo grosso gatto rosso, la ragazza portò entrambe le mani alla testa e si tirò ancora più in giù il cappello, sempre più imbarazzata. Poi guardando in basso si diresse velocemente al proprio posto, accompagnata dall’occhiata vitrea della Starfin, che concluse commentando: “Per questa volta passi, però non ho nessuna intenzione di accettare un altro ritardo o interruzione, intesi?” Tutti annuirono in silenzio, senza osare fiatare. Con un gesto lento si aggiustò il foulard che portava al collo e proseguì, tenendo fisso lo sguardo su Florinda: “Ora, dato che finalmente ci siete tutti, posso comunicarvi che per oggi la mia lezione si terrà qui, ma che dalla prossima sarete costretti a presentarvi nella mia aula che è situata al secondo piano. Bene, detto questo possiamo cominciare.” Si schiarì la voce, poi continuò: “La Trasfigurazione, come saprete, è una delle materie d’obbligo ad Hogwarts. Prima di me, era la materia insegnata dalla professoressa McGranitt che ora è preside. Lo scopo dei miei insegnamenti sarà alla fine dell’anno rendervi capaci di trasformare oggetti di media difficoltà in altri. Con l’uso della Trasfigurazione si possono trasfigurare sia oggetti inanimati che animati, animali o persone, o soltanto parti di essi. In questo caso le combinazioni diventano molte: si può trasfigurare un animale in un oggetto, un oggetto in un animale, oppure una persona o una parte di essa in animale. Questa materia insegna anche l'evocazione cioè il creare oggetti o animali dal nulla, e l'evanescenza, quindi il far scomparire oggetti. Per creare una buona magia bisognerà credere molto nelle proprie capacità e nella propria bacchetta, infatti…” Poco dopo (anzi, quasi subito) alle orecchie di Lysandra le parole della professoressa non furono che un forte borbottio, che rimbombava confusamente nella grande Sala. Non valeva la pena seguire quella noiosa lezione, pensava, dopotutto perché impegnarsi per una cosa fondamentalmente inutile come lo studio? Dopo essersi adeguatamente stiracchiata, prese il suo blocco degli appunti e con la penna d’oca fece qualche schizzo. Alla Slytherin il disegno veniva naturale e lo faceva pensando a tutt’altro, quasi sovrappensiero, senza rendersi conto di ciò che faceva. Di solito s’impegnava in episodi bellici, horror o fantasy, ma certamente tutti almeno un bel po’ cruenti (“Che cos’è l’arte senza splatter?” Era solita sempre ripetere). I suoi lavori per la maggior parte erano incompleti e incolore, dato che mai trovava il tempo né la voglia di finirli, ma questo non le interessava, l’importante era far passare il più velocemente possibile quell’ora.
Ciò però che disegnò quel giorno fu qualcosa di davvero insolito: non erano né i suoi personaggi sempre in lotta fra loro, né schizzi colmi di sangue di sangue o teste decapitate volanti qua e là, no. Era un disegno che mai aveva fatto fino a quel momento e che mai avrebbe immaginato di poter fare… Fino a quel momento. Ad un tratto si distolse dai suoi pensieri e abbassò lo sguardo sul suo foglio. E lì, un po’ sbavato dall’uso distratto dell’inchiostro, c’era uno strano ciondolo di forma sferica circondato da una bizzarra spirale di bronzo. Ma perché? Perché c’era proprio quel disegno sul suo foglio? Che cosa significava? Scosse il capo incredula e in un attimo tornò alla lezione: la professoressa stava ancora spiegando. Ad un tratto si fermò e disse: “Ora vi farò una dimostrazione pratica su che cosa sarete in grado di fare alla fine di quest’anno scolastico. Vedo che avete portato i vostri animali magici con voi, molto bene. Ora ne sceglierò uno a caso e lo trasformerò in un calice.” Così detto, bacchetta alla mano, scrutò attentamente tutti i maghetti. Di colpo si fermò ed il suo sguardo vitreo si spostò solo su Lysandra. “Il tuo gufo.” Concluse, quasi con aria di sfida. Tutti ebbero un brivido. Che sarebbe successo? Cosa avrebbe fatto? Un’esplosione, come minimo. La più agitata pareva proprio essere Florinda, che sembrava non riuscisse a star ferma. “Oh, no! Il suo gufo è… Se… Se qualcuno gli scagliasse contro un incantesimo lui… Lys ci resterebbe così male...!” Pensò in un istante, mentre l’amica aveva già consegnato l’animale nelle mani bianchissime della professoressa, anche se la sue espressione era fin troppo tranquilla.
La bacchetta della donna era pronta e quella stava, compiaciuta, per pronunciare l’incantesimo, quando… Fu un attimo: si sentì un urlo, che rimbombò per tutta la Sala. “Wingardium leviosa!” Fu la frase che si levò e qualcosa di rosso fluttuò sulle teste dei maghetti sbalorditi: era un gatto, un grosso gatto rosso. In piedi su di un tavolo, con la bacchetta rivolta verso l’alto e con aria soddisfatta c’era lei: la ragazza dal cappello di lana gialla, arrivata in ritardo a lezione. La professoressa spalancò gli occhi e così facendo sembrò ancora più spaventosa, poi di colpo sbraitò con la sua voce perforante: “Tu! Fuori di qui! ORA!” Florinda non rispose, tirandosi ancora più giù il cappello sulla testa e, riafferrato il gatto, uscì quasi correndo dalla sala.
“E tu, tu che diavolo…” Balbettò la Starfin furente, ad una ragazza che si era alzata in piedi, ma si bloccò d’un tratto, voltandosi: quella la fissò dritta negli occhi, era Lysandra. Quasi ridendo prese i suoi libri, il suo quaderno e le sue matite. Si diresse verso la professoressa, riprese cordialmente il gufo, poi, con tutta calma, si diresse anche lei all’uscita. La classe era basita.
“Ehi, tu! Ma che diavolo ti è saltato in testa?” Venne rimproverata Florinda, appena qualche istante dopo, “Che avevi in mente??” “Senti, Lys,” Le rispose l’altra un po’ preoccupa: “Se non lo avessi fatto, beh… Tutti avrebbero scoperto la vera identità di Pantofolo! Non voglio che questo accada!” “Lo immaginavo…” Sospirò Lysandra, “In quella tua testa da stupidpuff non poteva venire in mente che avevo migliorato la mia pozione? Qui a scuola è pieno di ingredienti nuovi e… Diciamo che ne ho preso qualcuno in prestito, ecco.” “Ahh! Meno male! Allora non c’è pericolo! Mi hai fatto venire uno di quei colpi! Dieci anni di vita mi hai tolto!” Rise l’Hufflepuff, dandole una pacca sulla spalla, “Figurati, esagerata! Ma scusa, perché ti saresti dovuta spingere tanto oltre? Con questa bella trovata ti sei inimicata la tizia di Trasfigurazione, non sembra una cosa intelligente.” Le chiese Lysandra, anche se già sapeva la risposta: quella che aveva di fronte era un esemplare di stupidpuff, era ovvio che non pensasse mai a cose furbe. “Perché l’ho fatto? Ma non è ovvio? Tu avresti fatto lo stesso per me!” “Sì, certo...” Acconsentì Lysandra, un filino incerta. “Ma, scusa la domanda… Che è quel cappello?” Continuò poi. Tutto un tratto il sorriso di Florinda si spense e con una mano un poco tremante la ragazza si tolse il cappello. “Il mio ciondolo, Lys… Non trovo più il mio ciondolo!” I suoi capelli erano color lilla, con qualche sfumatura d’arancio. “Devo ritrovarlo: senza non so controllare il mio potere!” Balbettò di nuovo. “Questo sì che è un guaio..” Commentò Lysandra tenendo fisso lo sguardo sulla testa dell’amica che pian piano si faceva sempre più porpora. “Per favore, Lys, non guardarmi così! Mi metti in imbarazzo!” Disse Florinda rimettendosi il cappello sulla testa. “Va beh, puoi sempre fartene spedire un altro, che ti costa?” Disse Lysandra con voce disinvolta. “Questo ciondolo… Non ne esistono altri uguali, lo fece mia nonna apposta per me e…” Ad un tratto scoppiò in lacrime e come per istinto si buttò a braccia aperte addosso all’altra. “Io l’ho perso!!” Continuò in un mare di lacrime. L’altra, evidentemente colta impreparata, cercò di scrollarsela di dosso, ma invano. “Senti..” Disse in fine un po’ a disagio e non sapendo bene che fare, “Vedrai che troveremo una soluzione..!” “Davvero??” Chiese Florinda tutta speranzosa asciugandosi il naso con un grosso fazzoletto a quadratini rossi tirato prontamente fuori dalla tasca. “Sì, sì, ma ora spostati!” Fece seccata Lysandra. Con un sorriso che sembrava le arrivasse alle due orecchie tanto era grande, Florinda sembrò non sentire l’ultima frase dell’amica perché la strinse ancora più forte a sé ringraziandola mille e mille volte. Ancora una volta Lysandra, quasi soffocata, tentò di divincolarsi, ma sarebbe stato ancora una volta senza successo se la lezione non fosse finita e i primini non stessero uscendo in gran numero dalla Sala Comune. In quel momento dietro alle ragazze comparve Eric. Di scatto Florinda si abbassò ancora di più il cappello sulla fronte e poi disse frettolosamente: “Ehi! Forse è meglio sbrigarsi o faremo tardi per la prossima lezione! Su andiamo, Lys!” Prese l’amica per sotto un braccio cercando di trascinarla via con sé, quando Eric la fermò chiedendo: “Ma cosa diavolo sta succedendo?” Lysandra stava per rispondere, quando Florinda aprì le braccia in un gesto impacciato e con un’energica manata prese in pieno il volto di Lysandra che sembrò ringhiare furente d’odio. Ma prima che potesse pensare a quali innumerevoli suoi famosi insulti citare, Florinda aveva già salutato Eric e l’aveva portata via a gran velocità tenendola ben stretta per una mano. Il ragazzo così, più sbalordito che mai rimase solo. Con aria divertita sorrise mettendosi una mano nella tasca e tirandone fuori qualcosa. Poi sorrise ancora: tutto stava prendendo una piega dannatamente divertente.
“Ferma! Ferma!” Gridò Lysandra furente mentre veniva tirata in giro per la scuola. “Se non la smetti ti crucio all’istante, stupida Hufflepuff! Lo giuro su mia zia!” Ora, se qualcuno avesse sentito quell’ultima frase si sarebbe di certo preoccupato e, molto probabilmente, sarebbe scappato a gambe levate. Beh, questo qualcuno non era certo Florinda che a malapena la stava a sentire, continuando nella sua folle corsa. Ad un tratto si fermò in un lungo corridoio del secondo piano, guardò che in torno non ci fosse nessuno ed infine lasciò andare la sua povera vittima, che sbraitò: “Ma che accidenti ti è preso?? Sei completamente impazzita?! Esigo una spiegazione! ORA!!” Quella un po’ imbarazzata si portò una mano dietro il capo e disse pian piano: “Scusa, ma… Non credo che ci potremmo fidare di lui…” “Lui..?” Chiese l’altra non capendo, “Intendi Eric..?” “Ehm… Sì, non ci possiamo fidare di Eric.” “E… Per quale arcano motivo?” “Beh, ecco… Allora lo Stregunto non ha rivel…” “No, aspetta, ripeti: il che??” Chiese l’altra sgranando gli occhi. “Lo Stregunto! Ah, scusa… Non te l’ho mai detto: il mio ciondolo è uno Stregunto ed è l’unico al mondo. Mia nonna l’ha creato e gli ha dato questo buffo nome.” Sorrise. “Buffo mi sembra un eufemismo… E’ un nome più che balordo! Comunque, dato che l’ha fatto tua nonna puoi benissimo chiedere di fartene fare un altro, mandale un gufo, no?” Concluse con voce sicura Lysandra. “Vedi, mia nonna… E’, sì beh, è morta quando io avevo 8 anni…” La naturale espressione di Lysandra scomparve di botto, ma che cosa aveva appena detto?.. Ci fu silenzio, uno strano silenzio. La cosa strana fu che questa volta, a differenza di quando le due si trovavano sul treno, era Lysandra a cui voleva porvi rimedio: fu lei a guardarsi attorno cercando qualche oggetto da cui trarre ispirazione per dire una nuova frase, fu lei a non sapere che fare. Che strana sensazione aveva, mai provata. Fino a qualche giorno prima pensava solo a se stessa e non vedeva altri al di fuori di lei, mentre ora, ora stava cercando, in un qualche modo, di fare qualcosa per un’altra persona... Forse Florinda si rese conto di tutto questo, no… Dopotutto era una stupidpuff, ma allora come successe che..? Boh, chi può dirlo? Comunque fu lei a rompere quel così fastidioso silenzio e Lysandra quasi sobbalzò sul posto: “Beh… Beh… Ti stavo dicendo di non fidarci di Eric perché, perché… Ah, non ne sono sicura, ma lo Stregunto non… Non ha rivelato nulla. Vedi, il mio ciondolo oltre che a controllare il mio potere, è in grado di capire lo spirito, diciamo così, delle persone che incontro per la prima volta. In base ai colori di cui s’illumina, mi può guidare verso chi è affidabile o meno. Un esempio del suo uso c’è stato quando ti ho incontrata ieri alla stazione, lo Stregunto si è illuminato…” “Di una luce verde…” Continuò Lysandra pensierosa. Florinda rispose allegra: “Più precisamente era verde smeraldo. Comunque, non è questo il punto: quando Eric mi si è parato davanti il ciondolo non ha fatto nulla! Non era mai accaduto prima! Non so proprio a che pensare…” “Magari è solo che ha avuto un piccolo errore, dai, non essere così preoccupata.” La rassicurò Lysandra. “No, no… Mia nonna me l’aveva detto: lo Stregunto non sbaglia mai, se non s’illumina significa che c’è qualcosa di strano. Boh, io non mi fido per nulla! E poi… Con quei suoi bellissimi occhi verdi… Non so che fare e…” “Aspetta, aspetta, aspetta… Ripeti?” La interruppe Lysandra. L’altra un po’ stupita disse: “Non so se c’è da fidarmi..” “No, prima.” “Riesce a leggere il carattere..?” “No, dopo!” “Ehm… Occhi verdi..??” “Uhm… Uhm… Sì… E poco, poco prima?” “B… Bellissimi???” Compiaciuta Lysandra disse: “Oh, Flo, che cosa patetica: ti piace quell’Eric!” Florinda negò immediatamente scuotendo animatamente le braccia davanti a Lysandra. Quella con una mossa furtiva le sfilò il cappello, scoprendo così i capelli rosso fuoco. Sorridendo fece: “Grazie al tuo potere si può capire qual è il tuo stato d’animo dai capelli, giusto? Ma… Il rosso… Non era il colore della passione?” Florinda le strappò il cappello di mano e sbuffando se lo rimise sulla testa. Poi guardò a terra un po’ imbarazzata e ad un tratto sospirò: “Odio essere una Metamorfomagus: è imbarazzante…” Lysandra sogghignò maligna: “Beh, per me è divertente, tutto ha i suoi vantaggi se visto da un’altra prospettiva… E ora muoviamoci o faremo tardi a lezione!” “Ehm, sì! Sì!”
Le due, seguite dai loro animali magici, camminarono frettolosamente verso il cortile: alla loro prima lezione di volo.
Arrivate fuori incontrarono gli altri maghetti del primo anno e Madama Bumb, la professoressa. Aveva dei grandi occhi gialli simili a quelli di un gatto e dei capelli grigi, cortissimi, che le davano un’espressione alquanto mascolina e severa.“Wow, Lys! E’ la nostra prima volta sulla scopa! Non sei eccitata?” Chiese Florinda tutta felice, mentre raggiungevano gli altri. “Chi sa quanto sarebbe bello se mi nominassero cercatore degli Hufflepuff!” Sospirò poi. “Ma è impossibile” Sbuffò Lysandra, “Quelli del primo anno non possono entrare nella squadra di Quidditch! Va beh che gli Hufflepuff sono così disperati che ti prenderebbero comunque…” Florinda rise divertita: “Sei sempre la solita!” L’altra commentò: “Ma è mai possibile che non si rende conto della mia serietà?” “Detto qualcosa?” Chiese l’altra. “No, no, nulla.” “Ehi, voi due! Smettetela di chiacchierare e mettetevi assieme agli altri.” Sbottò la professoressa.
Tutti gli studenti si erano disposti in due file ordinate sul prato, ognuno affianco ad una scopa aspettando le istruzioni di Madama. Florinda e Lysandra si misero al loro posto e vicino a loro arrivò anche Eric, che disse in tono beffardo: “Cercate di non farvi male voi due e di non cadere.” Lysandra lo squadrò con lo sguardo, mentre Florinda si mise entrambe le mani sul cappello. “E tu da dove sbuchi..?” Chiese quest’ultima, la Slytherin disse: “Ti posso certamente garantire la mia incolumità, ma non quella di questa stupidpuff.” “Ah, Lys! Non essere sempre così severa, me la caverò bene!” Rise Florinda. Ad un tratto la professoressa disse: “Benvenuti alla vostra prima lezione di volo. Forza, mettetevi alla sinistra della vostra scopa che cominciamo. Come prima cosa dovete stendere la mano destra sulla scopa e dire ‘su’, forza, che aspettate: provate!” I maghetti fecero come gli era stato appena detto. Con un gesto, con cui sembrò quasi stiracchiarsi, Lysandra allungò la mano sulla scopa e senza un briciolo d’impegno parlò. Immediatamente quella si alzò dal suolo e la ragazza se la ritrovò in mano. Con aria annoiata chiese: “E ora?” Poi alzò lo sguardo e vide gli altri che con molta fatica stavano cercando di compiere questa, per lei così facile, magia. “Sembra che ci toccherà aspettare un po’.” Commentò Eric divertito, accarezzando la propria scopa con le dita. “Con più patos!” Incitò Madama Bumb gli altri studenti. Florinda guardò con aria di sfida la propria scopa, si mise a posto il cappello di lana poco sopra gli occhi che erano semisocchiusi, allungò la mano e con forza esclamò la parola magica. Come chiunque si sarebbe aspettato, non accadde nulla. “Ooh, accidenti!” Poi ancora più determinata ci riprovò: la scopa sembrò muoversi per un attimo, ma non si alzò da terra. “Concentrati, Flo, concentrati!” Pensò. Ad un tratto si voltò e vide che Eric, di fianco a lei, la stava fissando. Florinda strinse i pugni, “Mi sta guardando: è giunto il momento di far vedere chi sono! Ce la posso fare!” Un piccolo ciuffo di capelli le scivolò fuori dal cappello: era color prugna per lo sforzo. Con tutta la forza che aveva in corpo, subito dopo aver chiuso gli occhi, esclamò: “Su!” A quel punto Florinda riuscì a prendere la propria scopa che si era alzata da terra con una forza tale da far cadere la ragazza all’indietro. Tutta la classe rise e Florinda imbarazzata si alzò pulendosi la divisa sporca di terra. Con lo sguardo basso la ragazza non disse parola: “Beh, almeno ce l’ho fatta, anche se Eric...” Pensò, alzando alla fine lo sguardo verso il ragazzo che le sorrise e subito ricambiò solare. A poco a poco tutti i maghetti con aria trionfante ebbero la scopa tra le mani. “Bene,” Continuò la professoressa “Ora che siete riusciti tutti, voglio che ci saltiate sopra e... Aggrappatevi bene non vorrete mica cadere, no?” A quel punto Lysandra sembrò guardare Florinda quasi preoccupata. La ragazza non se ne rese conto perché attentissima a tutte le istruzioni date da Madama Bumb. “Quando avrò usato il mio fischietto voi tutti compierete un salto e vi staccherete a circa un metro da terra, fatto questo porterete il peso in avanti e tornerete giù. Tutto chiaro?” I ragazzi annuirono. Il fischio che seguì dopo fu forte e perforante e gli studenti sembrarono fare il salto quasi tutti assieme. Magicamente per un attimo fluttuarono nell’aria (persino Florinda che si stava impegnando con tutta se stessa in quello che stava facendo), per poi ridiscendere meravigliati: ce l’avevano fatta. “Strabiliante!” Commentò Florinda colma di gioia e stupore. “Strabiliante che TU sia riuscita a salire su quella scopa, vorrai dire.” Continuò una ragazzina con la divisa da Gryffindor che le stava davanti. Un po’ bassa per la sua età, aveva i capelli castani raccolti in due trecce e dei piccoli occhi a mandorla che le davano un aspetto quasi da adulta. Con aria di disprezzo proseguì: “Ti osservo da un po’, sai? Prima attiri l’attenzione arrivando in ritardo a lezione di Trasfigurazione ed indossando quello stupido cappello di lana, poi disturbi facendo volare il tuo gatto per la Sala Comune e in fine conquisti l’amicizia di una come Lysandra Black… Insomma, la verità è che cerchi di farti notare il più possibile solo per nascondere che la tua capacità di fare magie è pari al nulla.” A questo punto accadde l’inaspettato: prima che Florinda fece il tempo di dire anche una sola parola, Lysandra guardando la Gryffindor con occhi a fessura e disse acidamente: “Tu… Tu chi ti credi di essere, eh?! Come osi parlarle in questo modo??” Eric fu il più sorpreso fra tutti i presenti nel sentire quella frase, ma quando sbraitando Lysandra continuò, egli per poco non scoppiò a ridere: “Come osi dirle certe frasi?! Solo IO ho il diritto ed il potere di farlo! Questa è la mia Hufflepuff, trovatene una tua da insultare! Mi hai capito bene?! Questa è proprietà privata, bella!!” La Gryffindor sembrò per un attimo esitante e anche lei sorpresa, ma poi continuò con voce calma: “Beh, allora alla fine delle lezioni… Vedremo chi ha ragione fra di noi con una sfida.” “Non mi abbasserei mai ad un simile atto.” Confermò Lysandra. “Questo è un modo carino per dire che non vuoi gareggiare per paura di perdere?” Sogghignò l’altra. Lysandra non rispose. “Allora è deciso, a fine lezioni ci ritroveremo nel cortile centrale della scuola, luogo in cui ti comunicherò quale sarà la prova.” Dopo aver concluso questa frase la Gryffindor si avvicinò alla ragazza e volontariamente le finì addosso con la spalla. “Oh, scusa, non ti avevo proprio vista.” Commentò con aria innocente. Quando le fu passata dietro Lysandra in un attimo tirò fuori la sua bacchetta dalla tasca: “Cruc…” Ma fu interrotta da Florinda che le balzò davanti dicendo: “Grazie, Lys, grazie di cuore per avermi difesa! Ma… Ma… Affrontare una prova per me?? No, dai Lys! E’ pericoloso! In che guaio sei andata a cacciarti?? Comunque ancora grazie mille!” Poi le saltò al collo per abbracciarla, ma quella si divincolò “Ti ho già detto di non farlo! Proprio non mi senti?!” Ringhiò, mentre Florinda rideva divertita. “Ma non capisce che Lysandra non l’ha fatto per lei?.. O forse… Sì?” Pensò Eric stupito, poi sorrise: “Certo che quella Flo è proprio strana.”
“Ehi, ehi, frena! Aspetta!” Urlò Florinda correndo dietro alla Slytherin. “Che c’è?” Sbuffò l’altra senza nemmeno fermarsi né, tantomeno, voltarsi. “Oh, dai! Lys, non possiamo fare una cosa del genere, non credo sia possibile per le regole della scuola… Se fosse proibito?? E per favore smettila di correre!” “Senti,” Disse Lysandra fermandosi “Quella stupida Gryffindor mi ha offesa e non posso non accettare la sua sfida, mi capisci? Il mio orgoglio ne risentirebbe. Tanto non ti preoccupare, sarà una prova semplice: figurati se il cervello di quella riesce a pensare a qualcosa di complicato, lanceremo gli incantesimi ad occhi chiusi.” “Come sei sicura di te…” Sospirò Florinda un po’ insicura. “Ma dimmi: io come farò? Non so nemmeno scagliare un incantesimo decente!” Lysandra la guardò con compassione ripensando a cosa era successo appena due ore prima. “Ehm… Già…” Poi continuò a bassa voce cosicché l’altra non la potesse sentire: “Inutil-stupidpuff!” Ridacchiò tra sé: la lezione di Incantesimi non era proprio andata bene a Florinda, seppur mettendoci tutta la sua buona volontà, la ragazza si era ritrovata in difficoltà persino sugli incantesimi più semplici del test d’ingresso. D’altro canto Lysandra aveva preso il massimo dei voti, o meglio, avrebbe preso il massimo dei voti se non avesse risposto in malo modo al professore, Filius Vitious (un omino canuto e con due grossi baffi che gli caratterizzavano il volto, costretto, a causa della sua bassa statura, ad improbabili arrampicate su torri e torri di libri usati per raggiungere la cattedra. Insomma, una preda fin troppo facile per le temibili fauci di Lysandra, che non era stata capace di trattenere un commento sull’aspetto dell’insegnate che non sto qui certo a ripetere, ma… Si può certo intuire, no?). Per questi motivo sia Florinda che Lysandra avevano ottenuto lo stesso punteggio nel test, con l’estremo sdegno di quest’ultima.
Ormai le lezioni erano finite e le due ragazze non riuscivano a pensare ad altro che non fosse la prova che le attendeva. Percorrendo di gran carriera il corridoio esterno della scuola le due si diressero ai giardini, via via sempre più verso quello interno. Florinda dovette mettersi una mano sul cappello per paura di perderlo nella folle corsa, infatti per poco non si scontrarono con un gruppetto di Ravenclaw intenti a portarsi avanti con i compiti al fresco su di una panchina di pietra. “Ehi, state attente voi due a dove andate! Così rischiate di far del male a qualcuno, oltre che a disturbare tutti!” Gridò una di loro sventolando per aria in modo minaccioso un quaderno di appunti. Era alta, dai capelli liscissimi castano chiaro che le arrivavano poco sotto le spalle e dall’aria molto intelligente, come tutti i Ravenclaw d’altronde, anche se lo sembrava più degli altri per via dei suoi grossi occhiali tondi (beh, di certo a Lysandra al posto dell’aggettivo ‘intelligente’ avrebbe detto ‘secchiona’, ma il primo mi sembrava più appropriato per Slytherpuff… Insomma, una vera e propria Secchionclaw). Florinda a quel punto volle fermarsi per chiedere scusa o, quanto meno, per prestare meglio ascolto alla sconosciuta, ma fu strattonata via per un braccio da Lysandra sbraitante: “Muoviti, vuoi farmi arrivare in ritardo?! Stupidpuff, non ho nessuna intenzione a dargliela vinta a quella!” “Asp..” Volle rispondere l’altra, ma non ce ne fu il tempo perché già erano giunte alla loro meta: il giardino interno di Hogwarts.
“Eccovi, carissime, stavamo per dubitare della vostra parola.” Commentò una voce in tono sarcastico. Era la voce della petulante Gryffindor della mattina, accompagnata da un’altra ragazza della stessa casa. “Ti piacerebbe, eh? Illusa!” Rispose Lysandra divertita. “Vedremo se riderai ancora dopo la nostra prova.” Si Fece avanti la seconda Gryffindor con aria maligna. Era una ragazza dall’aria pettegola, dai i capelli riccioli color fuliggine, sciolti e tenuti da un lato. Con una mano si spostò i capelli all’indietro con un gesto altezzoso e pieno di sé. “Direi di cominciare con le presentazioni, beh, io sono Alice Turblin e lei è Gwendolyn Harrow, entrambe Gryffindor” Disse la prima ragazza allungando la mano a Lysandra. Questa la rifiutò con un gesto annoiato, alzando lo sguardo e con un sorriso concluse: “Gryffidiote.” “Come ti permetti?!” S’imbufalì Gwendolyn. “Calma, Wendy, calma… Avremo la rivincita quando saranno scappate a gambe levate dalla paura.” Rise Alice. “Già, hai ragione.” Concluse l’altra. “Hai detto dalla paura?..” Chiese Florinda che fino a quel momento non aveva aperto bocca, continuando a pensare che tutta quella discussione le sembrava inutile e stupida e che sarebbe stato meglio fare pace sgranocchiando tutte assieme delle Mosche al caramello, magari accompagnate da una cioccolata. Subito Alice ridacchiò: “Oh, bene, bene, bene! L’Hufflepuff imbranata ha parlato, che cosa divertente!” “Ti ho già detto,” Disse di colpo Lysandra puntandole davanti agli occhi la sua bacchetta, prontamente estratta dalla tasca interna della divisa “Di non azzardarti a parlare in quel modo alla mia Hufflepuff!” Alice indietreggiò di un passo colta di sorpresa e con la mano sfiorò la tasca in cui teneva la bacchetta. “Oh, io se fossi in te non lo farei.” Continuò Lysandra che non si era mossa di un millimetro. Fortunatamente a quell’ora non c’era in giro quasi nessuno o comunque quei pochi che c’erano si facevano gli affari loro e non avevano intenzione alcuna di intervenire durante una discussione del genere, figurarsi. “Ora dimmi la prova, Gyffidiota.”  Disse ad un tratto Lysandra guardando l’avversaria dritta negli occhi. “La prova consiste” Parlò subito l’altra con lo sguardo fisso sulla bacchetta “Vince chi per primo strappa un ramo di salice magico, che si trova nel mezzo della Foresta Oscura. Dovete partecipare entrambe, io farò squadra con Gwendolyn.” “E la posta in gioco?” S’informò Lysandra ancora immobile. “Beh, se vinciamo noi…” Rispose l’altra alzando lo sguardo “L’Hufflepuff dovrà togliersi quello stupido cappello.” Disse indicando Florinda, che si portò la mano alla bocca preoccupata. Lysandra la guardò, quasi incerta, quella le strizzò l’occhio sorridente e le fece un gesto di ok con la mano. “E se invece saremo noi le vincitrici, cosa di cui non dubito,” Disse Lysandra abbassando la bacchetta “Dovrai prendere un bel 3 in Trasfigurazione. E se non onorerai il patto… Avrò il profondo piacere di trasformarti in un rospo.” Disse alzando di nuovo la bacchetta. “Tutto chiaro, Gyffidiota?” Poi sorrise compiaciuta. “Accettiamo. Ci ritroveremo al limitare della Foresta Oscura alla fine del sentiero verso la casa di Hagrid alle 22.00 in punto.” Disse Alice. Le due si guardarono negli occhi con sguardi colmi di sfida e di odio tali da essere stati, in seguito, definiti leggendari. “Molto bene, ora andiamo, Flo. Cose molto più importanti ci aspettano.” Così detto Lysandra abbassò definitivamente la bacchetta e s’incamminò verso Florinda, ad un tratto disse rivolgendosi alle Gryffidiote, ehm, cioè… Gryffindor senza neppure voltarsi: “Ci si vede, carine, a stasera. Cercate di presentarvi, non che m’importi però.”
“Che sfacciata quella!” Sbraitò Gwendolyn quando le due si furono allontanate. “Stai calma, non riusciranno nemmeno a salvare la pelle.” Poi rise guardandosi la mano che era tinta di una strana sostanza violacea. “Non credevo che sarebbe stato così semplice. Il mio piano va a gonfie vele, Wendy. Quelle due non hanno neanche un briciolo di possibilità ora: la vittoria è nostra.”

Capitolo Extra Uno: sclero dell’autrice.

 
Flo: Buon giorno a tutti! Cari lettori e lettrici!
Lys: ‘Cari lettori e lettrici’, ma dai! Ma se ci sono solo quattro gatti che malvolentieri sono costretti a leggere questa roba. ‘Lettori e lettrici’ un piffero!
Flo: Era solo così per dire... E poi l’autrice ci ha lasciato questo capitolo per dire quello che vogliamo! Non è fantastico?
Lys: è solo una scopiazzata della fine di un qualsiasi manga, diciamolo. Però… Se possiamo dire quello che vogliamo… Uhm, posso lasciare un messaggio ad una persona?
Flo: Certo, vai!
Lys: Ok, questo messaggio è per Alice.
Flo: Oh, che brava! Vuoi dirle come fare pace mettendo in evidenzia i vostri punti di disaccordo e per rimediare?
Lys: Ehm, sì.. Qualcosa del genere. Vorrei dirle con tutto il mio cuore…
Flo: Ecco, sì, brava: continua così che vai bene! Non essere timida! Dì ciò che provi!
Lys: Ok, allora: vorrei dire a quella stupida, viziata, *censura* di un’Alice che se non la smette di fare la *censura* con i suoi atteggiamenti *censura* non sarò responsabile delle mie azioni nei confronti di quella *censura* *censura*.
Flo: No, aspetta, non è questo l’approccio corretto per affront…
Lys: Aspetta il tuo turno, Flo, perché io non ho ancora finito. Allora, dicevo: cara *censura*, la prossima volta che sento la tua vocina *censura*, o se provi a camminarmi vicino o anche se solo io percepissi per un attimo la tua, seppur remota, presenza *censura* ti CRUCIO con violenza fino alla tua dolorosa fine. Sono una che mantiene sempre la mia parola, io. Con questo credo di aver finito. A te la parola, Flo.
Flo: …
Lys: Non avevi mica qualcosa da dire?
Flo: N-non temere, Alice, non dice sul serio! Figurati, a Lys piace tanto scherzare!
Lys: Alice, ti aspetto al varco.
Flo: …Somiglia sempre di più a sua zia…
Lys: Detto qualcosa?
Flo: No, no, figurati!
Lys: Beh, ora che abbiamo parlato dei miei impegni futuri, che ne dici di parlare un po’ dei tuoi?
Flo: Ehm, che vorresti dire? Che c’entro io?
Lys: *Gomitata a Flo* Beh, come sta andando tra te ed Eric? Perché non gli mandi un gufo?
Flo: Ehi! Ma che stai dicendo?? Cosa centra Eric ora?!
Lys: Non puoi negare, parla con la tua grande amicona… *Pensa* Così almeno mi procurerò informazioni utili sul tuo conto… Che non fanno mai male…
Flo: Non c’è nulla da dire!
Lys: *Le strappa il cappello dalla testa, mostrando i capelli rossi* Eh, eh… Dicevamo?
Flo: Ridammelo! È mio! Mi serve!
Lys: *Sventola il cappello* Comunque sei patetica.
Flo: *Cerca di acchiapparlo* Disse quella che con il ragazzo-gufo...!
Lys: Tu! Come osi nominare il mio gufo invano?!
Flo: Non è un gufo, è Pantofolo!
Lys: Grrr! Se continui così non rivedrai mai più il tuo cappello! Lo getterò nel caminetto assieme alle tue Mosche al caramello!
Flo: No! Le mie Mosche no! *Riacchiappa il cappello*
Eric: *Arrivato in quel momento* Ma che succede qui?
Flo: *Si copre la testa appena in tempo* Nulla, nulla!
Lys: Oh, Eric, capiti proprio a fagiolo! Flo voleva parlare con te. *Mangia ciambelle*
Flo: E quelle da dove le hai tirate fuori??
Eric: Che volevi dirmi?
Flo: Niente! Assolutamente nulla!
Lys: *Parla con la bocca piena* In altre parole non te ne frega assolutamente nulla di Eric, poverino. *Ingoia*
Eric: …
Flo: Ma no, Lys, che vai dicendo?! A me importa di Eric e tanto!
Lys: Eh, eh…
Flo: *Si rende conto di ciò che ha detto* Cè, no, nel senso che… Non intendevo, cè, sì, ma non intendo che… Ma quanto dura questo capitolo extra?! Non possiamo tornare alla storia?!
Lys: *Mastica* Troppo facile fare così… Però per questa volta mi sono divertita abbastanza. *Ingoia* Quindi per oggi abbiamo finito qui. Ci rivediamo tra qualche capitolo.
Eric: ????
-To be continued-

Capitolo quarto: La prova.


“E’ orribile!” Esclamò la Sprite, professoressa di Erbologia, mettendosi le mani davanti agli occhi spaventata “Chi può aver fatto una cosa simile?” “Non disperarti, Pomona, vedrai che la ritroveremo.” La consolò Madama Bumb tenendole una mano sulla spalla “Dopotutto non può essere andata molto lontano.” “Bisognerà cominciare subito le ricerche, vedrete che riusciremo a ritrovarla entro la notte.” Disse la preside con aria risoluta, poi continuò: “Professor Vitious, ho deciso di mettere lei a capo delle ricerche, essendo il professore della casa dei Ravenclaw alla quale appartiene la ragazza scomparsa.” Quello annuì stropicciandosi con le dita i baffi. Dall’espressione pareva la persona più preoccupata e di certo non riusciva a tenerlo nascosto. La professoressa McGranitt continuò con aria decisa: “Professore, organizzi subito una squadra di ricerca e che gli altri siano pronti ad eseguire ogni suo comando.” I presenti annuirono quasi all’unisono con un profondo silenzio di assenso. “Ah, e ricordate: meglio non gettare scompiglio tra gli studenti avvertendoli di questa storia, dopotutto per quel che ne sappiamo la ragazza potrebbe essersi solo persa per la scuola e riguardo sempre a questo, direi di aspettare a contattare subito la famiglia: se non ci saranno risultati entro domani mattina mi occuperò personalmente della faccenda inviando un gufo. Oh, Dio, speriamo di ritrovarla al più presto!” Detto questo si ritirò in presidenza, sciogliendo la riunione straordinaria dei professori e gli addetti alla scuola. Madama Irma Pince, la bibliotecaria, una donna ossuta, dai capelli grigiastri, occhi neri e lucidi, vestita con una gonna scura che le arrivava appena sotto il ginocchio e una camicetta bianca chiusa al collo da uno scialle giallo, si fece largo tra i presenti fino a che non raggiunse il piccolo professor Vitious. “Senta, qual è il nome della ragazza scomparsa?” Chiese con un filo di voce per la preoccupazione. “E-ellen… Ellen Rice.” “Ooh, non la mia Ellen!” Lui la guardò sorpreso “Vede, è la ragazza del primo anno a cui mi sono affezionata di più… Come sa conosco bene tutti i Ravenclaw perché passano la maggior parte del loro tempo con me in biblioteca. Io ed Ellen siamo andate d’accordo, fino al primo sguardo e anche se la conosco da appena un giorno, io…” “Si faccia forza,” La interruppe il professore “Vedrà che la ritroveremo.” Quella lo guardò in maniera penetrante con i suoi piccoli occhi lucidi, il professore aveva ragione: di certo l’avrebbero ritrovata.
Ormai si era fatta sera ed era quindi giunto il momento della cena. Florinda e Lysandra si erano date appuntamento nella Sala Grande alle 7.30 in punto, l’inizio del banchetto. “E’ già passato un giorno da quando sono qui.” Pensò Lysandra guardandosi attorno all’entrata della sala. “Eppure mi sembra di essere qui da sempre, che strana sensazione... Come se mi trovassi a casa…” Ad un tratto fu chiamata da dietro e saltò in aria dallo spavento poiché fino ad allora era stata sovrappensiero. Si voltò di scatto e davanti a sé vide Florinda che stava correndo verso di lei. Quando Lysandra fu raggiunta, la ragazza, quasi senza fiato, ansimando riuscì a dirle una sola frase: “La… la… la mia ca… camera… è stata messa… messa… sottosopra da… da… q... qualcu… no!” L’altra la guardò stupita. “Ma hanno rubato qualcosa?” Si affrettò a chiedere. “Non mi pare, credo ci sia tutto…” Rispose Florinda dopo aver ripreso a respirare normalmente. Così Lysandra si fece pensierosa: “Uhm… Questo sì che è un mistero… Hai qualche sospetto?” “No, certo che no! Come potrei accusare qualcuno in mancanza di prove?” Rispose Florinda sconcertata. “E’ inutile irritarsi tanto, potresti anche farlo, non ci troverei nulla di male. Ragioniamo: a chi non stiamo particolarmente simpatiche?” “Ma… Non intenderai mica…” “Già,” Proseguì Lysandra con una smorfia “Quelle due Gryffidiote.” “Non è possibile: come avrebbero fatto ad entrare nel dormitorio Hufflepuff?” Chiese Florinda delusa. Lysandra stava per rispondere, ma a dire la verità nemmeno lei sapeva bene che dire, anche se di una cosa era certa: ci doveva essere una spiegazione più che logica che implicava quelle due.
Erano state appena assalite dalle più arcane supposizioni per trovare una soluzione, quando furono distratte da un gruppo di professori che s’infilavano di gran carriera in uno stretto corridoio poco lontano dalla Sala Grande. Il gruppo era capeggiato dall’infermiera che faceva strada, seguita dalla preside e dal suo lungo mantello color smeraldo. Le due ragazze le guardarono sfrecciare via rincorse da tre o quattro professori che facevano quasi fatica a star loro dietro. Con aria interrogativa Florinda chiese: “Chissà perché hanno così tanta fretta…” Lysandra la corresse: “Quello poco importa, la domanda che mi sorge più spontanea è un’altra: ma la McGranitt è sempre vestita uguale? Che è? Non si cambia mai??” Florinda si tirò un po’ su il cappello grattandosi la fronte: “Dici che ha un armadio con dentro vestiti tutti identici?” “No, dico solo che secondo me non si lava.” “Ma.. Ma… Come puoi dire una cosa del genere?! È la preside!” “Sono solo realista.” Disse Lysandra tutta tranquilla. Florinda era sul punto di rispondere per cercare di difendere la McGranitt, quando Eric le comparve da dietro alzando la mano in segno di saluto. Appena lo vide la ragazza mise entrambe le mani sul cappello di lana e un po’ impacciata fu costretta a salutarli e scusandosi se ne andò dicendo che degli Hufflepuff la stavano aspettando per la cena. “E’ molto meglio così!” Cercò di convincersi mentre camminava frettolosamente verso la tavolata degli Hufflepuff. Se l’avessero scoperta non sarebbe certo riuscita a spiegare ai presenti per quale assurdo motivo i suoi capelli improvvisamente fossero diventati rossi. Sì, andarsene le sembrò la cosa migliore sul momento, ma  subito dopo se ne pentì avendo perso una buona occasione per stare con Eric. “Accidenti!” Sospirò sedendosi al proprio posto “Non me ne va una giusta!” Pensò seccata. Così decise di consolarsi addentando una grossa fetta di torta al cioccolato e in effetti la sua idea funzionò a gonfie vele.
“Ma che le è preso?” Chiese Eric stupito. Lysandra quasi lo ignorò con un gesto annoiato della mano come per dire ‘lascia perdere’ e si avviarono verso la Sala Grande. Vi erano appena entrati quando Lysandra vide nuovamente il gruppetto dei professori passare, questa volta più lentamente, davanti a sé. Assieme a loro vi era anche un vecchietto un po’ ossuto e curvo che zoppicando seguiva i professori. Egli teneva quei pochi capelli bianchi e untuosi sciolti fino a quasi toccargli le spalle, questo, assieme alla barba incolta che cresceva ribelle e spinosa sulle guance e agli abiti sporchi e poco curati che portava, gli davano un’aria decisamente trasandata. Ciò che spiccò più all’occhio di Lysandra era che quello strano personaggio teneva tra le mani un gatto di colore scuro tutto spelacchiato che sembrava assomigliargli in tutto e per tutto. Lo teneva con una tale forza quasi a far credere che fosse il suo tesoro più grande e, in effetti, era così. “E quello chi è?” Si chiese la ragazza con voce sorpresa. Un brusio proveniente da dietro di lei l’attirò, così non poté far a meno di origliare. “Ehi! Ma quello è Gazza!” Disse un Hufflepuff del terzo anno. “Ma come, non lo conoscete?” Continuò “È il custode di Hogwarts!” “Mi fa una gran paura…” Sospirò una Ravenclaw stringendo tra le mani il libro di Trasfigurazione. “Dicono” Cominciò un Gryffindor con voce cupa “Che non abbia poteri magici e che quindi provi invidia nei confronti di noi studenti... E poi… Gira voce che sia capace di comparire dovunque e in qualunque circostanza per la scuola!” “C-com’è possibile..?” Chiese l’altra stringendo ancora più forte il proprio libro. “Beh, è semplice: conosce questa scuola meglio di chiunque altro, passaggi segreti compresi!” In quel momento lo sguardo di Lysandra s’illuminò. Si voltò di scatto verso quel gruppetto di maghetti e chiese a quello che sembrava essere il più informato: “Passaggi segreti, hai detto?” L’altro, un ragazzo dalla divisa un po’ sgualcita e dai lunghi capelli rossi legati assieme in una coda di cavallo rispose con aria da saputello: “Non lo sai? Questa scuola è piena di passaggi segreti, si può arrivare praticamente ovunque usandoli.” “Persino all’interno delle case altrui?” “Ma certamente, ovunque significa ovunque.” Lysandra sorrise: finalmente aveva una pista da seguire per smascherare la beffa, secondo lei, commessa da quelle Gryffidiote alla povera Florinda. Dopo poco il ragazzo continuò: “Piacere, io sono…” L’altra bruscamente lo interruppe: “Non c’è bisogno che tu ti presenti, lasciami indovinare… Capelli rossi, divisa di seconda mano… Gryffindor…” Quest’ultima parola fu pronunciata dalla ragazza con tono aspro “Devi essere un Weasley. Mio cugino Draco mi ha detto tutto di voi... Aspetta, ma sei un ragazzo o una ragazza?” Chiese con sincerità. “Ehi! Ma non vedi?! io sono un ragazzo! Un momento… Tuo cugino Draco, hai detto? Intendi... Draco Malfoy?” L’altra con aria indignata come per dire ‘perché stai forse cercando di dire che altri Draco potrebbero essere miei parenti?’ annuì. “Quindi tu sei Lysandra Black, non è così?” Chiese il ragazzo con una voce strana, come se pronunciare quel cognome fosse per lui un’ardua sfida. Lysandra fece finta di non sentirlo e se ne andò sbuffando: “Scusa, ma ora non mi sei più di alcuna utilità.” Eric la seguì e così il Gryffindor fu lasciato solo, sbalordito e scosso per la conversazione appena compiuta.
Florinda era appena riuscita a portare alle labbra un bel bicchierone colmo fino all’orlo d’aranciata che Lysandra la spaventò da dietro tirandole una, forse un po’ troppo poderosa, pacca sulla spalla. Questa non aspettandoselo quasi si strozzò con la bevanda e, dopo aver tossito più volte e aver ripreso fiato, non fece in tempo a parlare che già era stata trascinata dall’amica fuori dalla sala. “Ehi aspetta!” Cercò di dimenarsi “Io non ho ancora finito di mangiare!” Quella non rispose fino a che non si fermò in uno stretto corridoio poco lontano dalla Sala Grande “Ecco tieni” Disse dandole in mano una ciambella prontamente requisita dal tavolo degli Slytherin “Così almeno la smetti di blaterare a vanvera e mi stai a sentire.” Florinda addentò il dolce in rispettoso silenzio. Le ciambelle non le erano mai un granché piaciute, però sempre dolci erano e i dolci, si sa, per essere tali hanno all’interno dello zucchero, Florinda amava lo zucchero (più il caramello, ma quella era un’altra storia), così non poté che accettare l’offerta di Lysandra. Dopo aver anch’ella masticato con vigore la pasta morbida della sua ciambella e deglutito,  si schiarì la voce e raccontò a Florinda quello che da poco aveva scoperto su Gazza e i suoi passaggi segreti. “Ahh, stupidpuff!” Esclamò portandosi una mano alla fronte quando si rese conto che l’altra non aveva ancora capito fin dove voleva arrivare. Così fu costretta, sbuffando, a parlarle chiaro e tondo: “Ho sempre più la forte convinzione che le due Gryffidiote si siano fatte dire dal guardiano il passaggio segreto necessario per arrivare nella tua camera!” Florinda si fece pensierosa: “E come pensi che abbiano fatto? Secondo la tua descrizione al Signor Gazza non piacciono gli studenti di Hogwarts, quindi perché avrebbe dovuto fare a due di loro un favore?” “L’avranno costretto con un qualche sporco incantesimo, naturalmente, dobbiamo andare subito da lui per eliminare quei pochi dubbi che ci restano, non abbiamo un minuto da perdere!” Disse l’altra staccando con decisione un altro boccone di ciambella. Per natura Florinda non era una persona che accusava qualcuno senza averne la certezza, ancor meno se l’accusa si trattava di una fatto grave come l’essere entrati di soppiatto in una camera altrui… Però, seppur nolente, doveva ammettere che anche in lei stavano maturando dei forti sospetti su quelle due, ma c’era qualcosa che non riusciva ancora a convincerla pienamente. Così quando Lysandra con un gesto della mano le fece segno di seguirla alla ricerca di Gazza non esitò nemmeno un istante: di certo cercare delle risposte era loro d’obbligo.
Cominciarono a camminare con il cuore in gola per la scuola: prima svoltarono a destra in un ampio corridoio illuminato da enormi lampadari colmi di candele che sprigionavano una fiamma quasi azzurra, poi entrarono in una saletta piccola e tetra sulla sinistra, girarono a destra, poi a sinistra, poi ancora da quella parte, ma del vecchio nessuna traccia. Erano già nel seminterrato e la speranza stava cominciando a scarseggiare, quando sentirono una voce dietro di loro bisbigliare, ma così piano che le due girandosi e non vedendo nessuno credettero di essersi sbagliate. Il bisbiglio allora si ripeté, questa volta un poco più forte. Le due si fermarono e notarono che alle loro spalle c’era un grosso ritratto con una cornice argentata che le stava fissando. Si trattava di un vecchio magro e pallido con una barba bianca e lunghissima che sembrava quasi soffocarlo portandogli via tutto lo spazio del dipinto tanto era ingombrante. I capelli, anch’essi lunghi e bianchi, erano legati all’indietro e un poco nascosti da un grosso cappello porpora, colore che si poteva notare anche sul suo lungo abito. Sul naso portava degli occhiali a mezza luna che lo caratterizzavano dandogli un’aria tanto buona quanto severa. Florinda lo riconobbe subito: era il ritratto che la sera prima le aveva strizzato l’occhio mentre lo aveva superato andando nel suo dormitorio. Il dipinto sorrise alle ragazze quando notò le loro facce un po’ sorprese, poi fece un grande respiro e canticchiò tutto d’un fiato:
“Voi cercate un uomo ed il suo gatto,
me lo dice il mio olfatto
e non il mio buffo cappello scarlatto.”
Le due si guardarono stupite, così compiaciuto il dipinto continuò:
“Non sbalorditevi affatto
se io non son poi così distratto
ed ho notato questo fatto.
Certo di donarvi aiuto non ho atto,
sono solo un misero ritratto.
Però con un indizio, se esatto,
almeno uno di voi lascerò stupefatto.
Sorridendo prendo atto
di sembrare un po’ matto,
ma mi ringrazierete quando al misfatto
avrete finalmente dato scaccomatto.”
Detto questo l’intero dipinto scomparve e fu in quel momento che Florinda e Lysandra poterono scorgere una piccola porta di legno intagliato semi nascosta dal colore scuro del muro che la circondava. Un po’ titubante Florinda l’aprì e con somma sorpresa scoprì un lungo corridoio con immense finestre sia da un lato che dall’altro da cui, seppur sera, entrava la luce mattutina del sole. Con passo deciso Florinda si avviò, ma fu fermata da Lysandra che le afferrò il polso: “Dove credi di andare?? E poi come puoi dar ascolto così ciecamente a quel quadro?!” Florinda le sorrise e l’altra immediatamente lasciò la presa incrociando le braccia. “Stupidpuff, sei così ingenua.” Brontolò cercando di nascondere l’imbarazzo. “E ora che c’è?!” Ringhiò quando notò che Florinda cercava di trattenere con poco successo una risata. L’altra per tutta risposta l’afferrò per un braccio e la trascinò nel corridoio ridendo: “Nella vita ci si deve buttare all’avventura, non si può mica restare fermi come un manico di scopa!” Lysandra tentò di divincolarsi, ma non ci riuscì. Successe in un attimo: non appena le due si ritrovarono nel corridoio la porta da cui erano entrate scomparve trasformandosi in un muro. “Ma che cosa ti è saltato in mente?!” Urlò Lysandra scompigliandosi con le mani i capelli per la rabbia. “Ora come faremo a tornare??” “Ahh, poco importa: noi vogliamo solo ritrovare Gazza, no?” Disse Florinda tutta tranquilla, poi esclamò: “Dai andiamo!” “No, no, aspetta!” Ma fu troppo tardi perché l’altra le si era ancora avvinghiata al braccio e correndo la stava trascinando via. Con rassegnazione Lysandra non poté far altro che starle dietro, dopotutto quella era l’unica strada che potevano prendere. “Ma perché quella stupidpuff combina guai mi è sempre tra i piedi?!” Borbottò. “Detto qualcosa?” Chiese Florinda “No, nulla.” Rispose l’altra brontolando. Poco dopo le due si ritrovarono in una piccola stanzetta quasi vuota con al centro solo uno sgabello ed una tavola di legno. Le due si avvicinarono e poterono notare che era apparecchiata in modo disordinato, come se qualcuno avesse appena finito di mangiare. Un piatto sporco, un tozzo di pane, mezzo bicchiere di vino ed una caraffa ormai vuota erano i pochi oggetti che si potevano notare su di essa. “Voi! Che state facendo qui?! Chi vi ha dato il permesso, chi…” Furono le parole che fecero sobbalzare le ragazze. Si voltarono di scatto e videro, gobbo e smunto, Gazza guardarle in cagnesco. Così senza pensarci nemmeno, il vecchio cominciò a gridare irato minacciando le ragazze scuotendo sopra la testa il suo nodoso bastone, oramai consumato quasi più della sua giacca. Lysandra prontamente estrasse la bacchetta e la puntò contro l’uomo, ma subito Florinda le si parò davanti: “Ferma! Cos’hai intenzione di fare?! E’ solo un vecchietto!” L’altra stava per risponderle quando si sentì un tonfo seguito da un respiro affannato: “Aiuto, t-tiratemi su..!” Era Gazza che per lo sforzo di poco prima aveva perso l’equilibrio ed era finito in terra. “Signor Gazza, signore!” Si affrettò Florinda a dargli una mano facendolo sedere sullo sgabello. “Niente di rotto, spero!” Continuò. “No, no…” Rispose quello dopo aver ripreso fiato. Poi afferrò con fare tremante il mezzo bicchiere di vino che era poggiato sulla tavola, si dissetò rumorosamente ed infine si asciugò la bocca con la manica (il tutto sotto lo sguardo sempre più schifato di Lysandra). Poi parlò: “Chi siete? Che ci fate a casa mia?” “Ci scusi per l’intrusione…” Cominciò a parlare Florinda, ma fu interrotta dal vecchio che con voce roca esclamò: “Ecco! Mi sembra che il minimo che voi possiate fare è scusarvi!” “Che carattere scorbutico” Pensò Lysandra, ma si trattenne dal parlare perché le informazioni che cercava erano molto più importanti di qualunque futile diatriba. “Forse è meglio tacere per tutto il tempo.” Convenne infine. “Siamo due studentesse e…” “Questo lo vedo.” La interruppe di nuovo Gazza “Sì, ecco…” Sospirò Florinda. “Noi siamo venute qui per un’informazione.” “Ecco! Lo sapevo! Mai nessuno che mi faccia una visita di cortesia! Tutti vogliono favori e favori! Vedete? Anche con poteri magici avete sempre bisogno di uno come me che vi stia dietro!” L’espressione di Lysandra si fece furente, ma ancora una volta riuscì a trattenersi. Mentre Florinda stava pensando a cosa poter rispondere, il vecchio si guardò attorno con aria furtiva e con uno scatto afferrò il pezzetto di pane che era avanzato dal pasto e se lo mise subito in tasca, quasi per nasconderlo. Florinda lo notò e sorridendo, s’infilò una mano nella tasca ed estrasse una Mosca al caramello. Il vecchio e stanco corpo di Gazza ebbe un tremito quando sentì lo stropiccio della carta argentata tra le dita di Florinda e si voltò a guardarla. Solo allora la ragazza ottenne l’attenzione che cercava. “Beh,” Disse “Dato che non vuoi dirci nulla… Noi togliamo il disturbo, vieni Lys.” “Ma…” Stava per esclamare l’altra, ma fu interrotta dalla voce di Gazza che con estremo sforzo cercava di farsi gentile: “Che, che cosa volevate sapere?.. Se posso chiedere…” Florinda compiaciuta gli prese gentilmente la mano ossuta e lasciò cadere la Mosca sul suo palmo. “C’è un passaggio segreto che porta nel dormitorio degli Hufflepuff?” Chiese calma Florinda. “Sai che è strano?” Rispose Gazza succhiando avidamente la caramella che aveva frettolosamente aperto, “Non sei mica l’unica che mi ha fatto questa domanda… Di recente una ragazzina come te mi ha chiesto lo stesso e… Ho dovuto risponderle…” “Una ragazza? Com’era fatta??” Esclamò Lysandra, mentre Florinda non poté far altro che trattenere il fiato. L’uomo si rabbuiò tutt’un tratto: “Mi ha costretto a parlare e…” Poi di colpo urlò agitando le braccia davanti a sé: “Ora andatevene! Vi  ho detto fin troppo! Via, via! Andate via!” “Che gli prende ora?!” Si stupì Lysandra facendo un salto in dietro. “Vieni Lys, andiamo via…” Disse Florinda portandosi una mano alla bocca e con l’altra afferrando l’amica per un braccio. Quando furono sulla porta Gazza stava ancora muovendo le braccia davanti a sé, ma questa volta più lentamente, muovendo le labbra, ma senza emettere un suono con lo sguardo perso nel vuoto. Florinda lo guardò per un attimo, poi tirò fuori la bacchetta e sottovoce disse un incantesimo: tre Mosche al caramello fluttuarono lentamente verso il vecchio, fino a quando non si posarono piano sulla tavola. L’uomo allora si arrestò, poi con fare furtivo se le infilò velocemente nella tasca della giacca. Florinda abbassò il capo e assieme a Lysandra lo lasciò ripercorrendo il corridoio da dove erano arrivate fino a quando non scorse l’uscita: la porta era magicamente ricomparsa. “Perché gliene hai date altre tre? Dopotutto avevamo già le informazioni che ci servivano.” Chiese stupita Lysandra quando ebbero passato la porta. L’altra si abbassò lentamente il capello quasi fino agli occhi senza nemmeno rispondere. “Ehi, che c’è?” Continuò la Slytherin, l’altra le fece un grosso sorriso: “Non ti preoccupare, non c’è nulla!” “Ma, ma, che hai capito?! Io non sono affatto preoccupata! È solo che non capisco il perché di tutte quelle attenzioni nei confronti di quel vecchio!” Disse girandosi dall’altra parte Lysandra incrociando le braccia. “E’ solo che…” Iniziò a parlare Florinda, ma fu interrotta dal cinguettio gioioso di un orologio a cucù comparso sopra le loro teste: erano le 22:00. “Oh, santo cielo!” Urlò la Hufflepuff “Siamo in ritardo! La prova nella foresta inizia ora! Ci conviene correre! Lys, muoviti! Yaahah! Non vedo l’ora!” Disse precipitandosi giù per le scale con il cuore in gola. Lysandra si portò una mano alla fronte rassegnata: “Non cambierà mai.” “Eh, eh, eh! Ti vuole un gran bene.” Disse una voce familiare alle sue spalle. La ragazza si voltò e vide il ritratto sorriderle sotto la folta barba bianca. “E tu cosa ne sai?? E poi chi ti ha chiesto nulla?!” Sbraitò Lysandra. L’altro non rispose, limitandosi a sorriderle compiaciuto, tenendo fissi i suoi occhi di tela su di lei. I due allora si fissarono per qualche secondo, fino a che non furono interrotti dalla voce solare di Florinda che rimbombando per le scale chiamava impaziente l’amica. “Arrivo!” Le rispose Lysandra seccata e la seguì, senza nemmeno ricambiare il gesto di saluto del ritratto che si era tolto il cappello rosso. “Aah, stupidpuff…” Sibilò pensierosa scendendo le scale, quasi rossa in volto.
Poco dopo le due arrivarono al punto di ritrovo per la prova e lì ad aspettarle c’erano già le due Gryffindor, ansiose di cominciare. Faceva molto freddo per essere solo una serata di settembre e la luna, seminascosta dalle nuvole, illuminava tutto dando alla foresta un’aria ancora più sinistra di quella che già non avesse di suo. “Finalmente siete arrivate! Stavo cominciando a preoccuparmi: pensavo vi foste rintanate nei vostri dormitori con la coda tra le gambe…” Provocò Alice vedendo Florinda e Lysandra davanti a sé. Quest’ultima rispose: “Ooh, scusa, se non siamo in orario… Io ho la cattiva abitudine di far aspettare le persone che non reputo interessanti.” La Gryffindor strinse i denti: “Vogliamo continuare a parlare o passiamo ai fatti?” “Con molto piacere” Disse l’altra sorridendo. “Molto bene. La prova consiste nel portare qui un ramo del salice magico che si trova nel centro della foresta, poco lontano dal lago. Chi ce la farà per primo vincerà. Ah, sì, se qualcuno uscisse dalla foresta senza il ramo avrà perso. Tutto chiaro?” “Certamente, non siamo mica noi quelle stupide qui.” Rispose Lysandra, poi portò la mano alla bocca quando notò l’espressione irata delle Gryffindor (soprattutto quella di Gwendolyn): “Ops, che sbadata! Purtroppo ho da sempre il terribile difetto di dire sempre ciò che penso… Non riesco proprio a trattenermi!” Alice sorrise maligna indicando la foresta: “Vedremo se potrai ancora fare la spiritosa quando non riuscirai ad usare la bacchetta per la paura, là dentro…” “Ah, ma lo credi davvero? Beh, allora guarda!” Esclamò la Slytherin e a testa alta entrò nella foresta con Florinda che la seguì a passo incerto. Le Gryffindor le erano dietro e tutt’e quattro si ritrovarono nella foresta: la sfida era cominciata. “Molto bene,” Disse dopo poco Alice “Ora ci separeremo e… Come si dice in questi casi? Che vinca il migliore? Ok, allora è come dire buon fallimento, eh, Black?” Concluse buttandosi i capelli dietro alle spalle. Lysandra la guardò con odio, poi con tono calmo disse: “Tu non hai nemmeno il diritto di pronunciare il mio nome, in nessuna e dico NESSUNA circostanza.” “Se, se, è come dici tu. Allora… Ci si vede fuori, perdenti.” Le rinfacciò l’altra scomparendo nella nebbia seguita in silenzio da Gwendolyn.
“Proprio non la sopporto quella!” Sbraitò Lysandra mentre camminava nella fanghiglia di un sentiero sterrato “E poi guarda che schifo! Le mie scarpe nuove!” “Non te la prendere, Lys,” Le sorrise Florinda “Ti sei difesa bene e poi calmati: arrabbiarsi non porta da nessuna parte.” Senza nemmeno darle ascolto, l’altra continuò: “Dovevo trasformarla direttamente in un rospo senza lasciarmi trascinare in questa stupida storia! Sono furibonda! Ah, dannazione! È mai possibile che sia tutto così pieno di fango?! Odio questo posto!”
“Che sciocchine quelle due a mettersi contro di noi…” Sibilò Alice avvicinandosi ad un piccolo Ashwinder che si stava riposando sotto un albero.“Pensi di farlo davvero?” Chiese Gwendolyn guardando un po’ titubante gli occhi di fuoco del serpente. “Certamente,” Continuò Alice prendendo delicatamente il rettile fra le mani. “E non ho intenzione di fallire. Queste piccole creaturine sono in grado di generare incendi davvero enormi a contatto con una scintilla. La Black e quella sua stupida compagna si prenderanno uno spavento che non dimenticheranno presto. Mai mettersi contro una Turblin.” “Credi davvero di essere capace di controllare un incendio con soli i tuoi poteri?” “Ma che ti prende ora, Wendy! Questa cosa va fatta e lo sai meglio di me! Non dirmi che hai deciso di ritirarti?!” “No, no… E’ solo che ho un brutto presentimento…” “Ma no, cosa vuoi che succeda? Dai, adesso aiutami che…” Ma non fece in tempo a finire la frase che un bagliore non poco lontano le raggiunse. “Oddio! E quello cos’è?!” Urlò Gwendolyn strabuzzando gli occhi e indicando un gigantesco drago alato di fuoco che stava incendiando tutt’intorno. “Deve essere per forza un incantesimo potentissimo! Presto! Andiamocene da qui!” Urlò Alice trascinando via l’amica. “Ferma! Quelle due hanno preso il sentiero da quella parte! Cosa facciamo?!” La trattenne Gwendolyn, poi si portò le mani davanti alla bocca. “E in più tu hai messo fuori uso la bacchetta della Black questo pomeriggio!” Continuò sempre più spaventata. Alice strinse i pugni e trattenendo le lacrime urlò: “Io… Io… Non volevo che finisse così! Non era mia intenzione…” “Senti: qui siamo inutili. L’unica cosa che ci resta da fare è correre a chiedere aiuto! Presto seguimi!” Concluse Gwendolyn spaventata. L’altra annuì. E così le due si buttarono a precipizio per il sentiero cercando di correre più velocemente che poterono. Ad un tratto Alice si voltò e intravide tra i rami poco lontano dall’animale mostruoso una figura bianca che sembrava governare l’incendio, ma quando strizzò gli occhi per vedere meglio l’immagine era già scomparsa. “Possibile che fosse…La Starfin..?” Bisbigliò.
“Dai, è solo un po’ di fango! Che vuoi che sia?” Disse Florinda tutta pimpante “Invece di pensare a questo potremmo cercare di capire dove è il salice, no?” “Ma dove la trovi tutta questa energia?!” Esclamò Lysandra quasi scivolando nella melma. “Ahh! Che schifo!” Continuò con gli occhi fissi a terra per vedere dove mettere i piedi. Fece ancora un passo avanti ma finì contro alla Hufflepuff che si era fermata improvvisamente. “Ehi! Sta un po’ attenta, ma che…” “Guarda laggiù!” La interruppe Florinda indicando un punto davanti a sé. Lysandra alzò lo sguardo e vide una ragazza distesa a terra priva di sensi. “Presto! Dobbiamo aiutarla!” Disse Florinda correndo avanti. Quando raggiunse la ragazza s’inginocchiò a terra e solo allora capì chi fosse: “Lys, ma io questa la conosco! È la Ravenclaw con cui abbiamo parlato oggi a fine lezione in cortile! Mi sembra sia svenuta, che dobbiamo fare, Lys?!” “Ma che ci faceva qui a quest’ora? Ehi, guarda qui” Continuò Lysandra raccogliendo un vecchio libro dal fango, poco lontano dalla Ravenclaw. “Questo libro ha una pagina strappata, strano: tipi come i Corvi darebbero la vita pur di non vedere un libro sciupato e qui manca addirittura una pagina…” “Ehi, la ragazza si sta riprendendo!” Esultò Florinda felice. “… Oggetti magici leggendari” Continuò Lysandra leggendo il titolo del libro. “Che strano, non c’è scritto l’autore.” “Ma che t’importa di un vecchio libro, quando c’è qui una ragazz…” La volle rimproverare Florinda, ma non fece tempo a finire la frase che si sentì un boato spaventoso provenire dalle sue spalle. “Cos’è stato?!” Urlò saltando in piedi, si girò di scatto e vide l’enorme drago di fuoco dirigersi verso di loro. Fu un attimo e tutto intorno a loro fu avvolto dalle fiamme. Di colpo a Lysandra venne in mente un incantesimo che ricordava essere nominato nel test d’ingresso di magia, così istintivamente estrasse la bacchetta e urlò con tono risoluto: “Aqua Eructo!” Ma non accadde nulla. Sbalordita guardò la bacchetta e urlando ancora più forte ripeté l’incantesimo, ma ancora niente. Non per vinta riprovò e riprovò ancora, ma niente da fare: la bacchetta non rispondeva ai suoi ordini. Le fiamme si facevano sempre più vicine e Lysandra fu presa dal panico non riuscendo a capire che cosa le stesse succedendo. Ancora qualche minuto e sarebbero state inghiottite dall’incendio. Fu allora che Florinda si parò davanti all’amica e, tentando di proteggerla, sguainò la bacchetta urlando a pieni polmoni un incantesimo. Con sommo stupore Lysandra vide le fiamme diminuire sempre più fino a che non scomparvero in una nuvola di denso fumo grigio. “Presto, dobbiamo andarcene da qui!” Urlò Florinda. Le due insieme sorreggendo la Ravenclaw cominciarono a correre finché non riuscirono finalmente a trovare un’uscita fra i fitti rami ombrosi. Sfinite si buttarono nel prato appena fuori dalla foresta, cercando di riprendere fiato. “Beh… Ce la siamo vista brutta..!” Commentò Lysandra ora finalmente calma “Comunque, detesto ammetterlo, ma… Grazie…” Continuò con un filo di voce. L’altra estrasse la bacchetta e fissandola disse sbalordita: “Non sono mica stata io a domare l’incendio prima! Ne sono certa!” Lysandra più stupita che mai stava per parlare quando l’arrivo della preside e degli altri professori la interruppe. “Esigo immediatamente una spiegazione!” Urlò la McGranitt irata in volto. Poi la sua espressione cambiò di colpo quando notò la Ravenclaw distesa sul prato: “Ma quella è…E’ Ellen Rice!” “Chi?” Esclamò Lysandra. “Voi due!” Urlò la preside indicando Florinda e Lysandra con fare irato “Venite subito con me, in presidenza! E lei” Continuò rivolgendosi all’insegnante di Trasfigurazione “Può portare la signorina Rice in infermeria?” “Certamente” Rispose l’altra con il suo tono glaciale “Sarà fatto.” Continuò squadrando biecamente le due ragazze.
E così le due si ritrovarono a camminare per i lunghi corridoi della scuola, ormai deserti data l’ora. Più che camminare dovettero quasi correre perché la preside, seppur attempata, teneva un passo lesto e a scatti (non si capiva bene se per l’ira del momento o, in generale, per la menopausa). Florinda era sempre più preoccupata e continuava a mandare occhiate a Lysandra, scrutandola forse per cercare di farsi coraggio. Quella però non le era del minimo aiuto: sembrava anzi che s’impegnasse il più possibile a sembrare assente, come se fosse estranea a ciò che le stava accadendo. Florinda, un po’ scoraggiata, sbuffò quasi in maniera impercettibile e solo allora si chiese cosa realmente fosse successo quella sera. “Fatti assai strani accadono ad Hogwarts.” Concluse corrucciando la fronte.
Ad un tratto la preside si fermò di fronte ad un’enorme aquila di marmo incastonata nel muro. Si schiarì la voce, poi parò: “Sorbetto al limone!” Immediatamente la statua iniziò a salire facendo comparire delle scale. Con passo ancora più deciso la preside iniziò a salire sotto i versi di stupore di Florinda molto impressionata da quella magia. Pochi istanti dopo si ritrovarono in presidenza. Era una stanza enorme colma di libri, così tanti che non bastavano i molteplici scaffali e librerie presenti. Al centro vi era una grande scrivania semivuota, senza contare un paio di pergamene arrotolate, una penna di pavone, tre boccette d’inchiostro e qualche lettera aperta (il tutto accuratamente predisposto con ordine quasi maniacale). In un angolo solitario e buio Lysandra poté notare il Cappello Parlante che sembrava sorriderle, ma lei, ovviamente, non ricambiò. Florinda si soffermò ad osservare un enorme mappamondo di uno strano materiale color crema, che credeva di non aver mai visto e si stupì molto notando che nessuno dei continenti pareva essere di questo pianeta. Cercò allora di sfiorarlo, ma la sua mano cadde nel vuoto era come se quell’oggetto fosse solo un’immagine proiettata. Un po’ allarmata ritirò subito la mano per paura di aver fatto qualcosa di sbagliato. “Non ti preoccupare, è normale che tu non riesca a toccarlo. Mi preoccuperei più che altro del contrario: solo pochi eletti possiedono questo dono.” Disse la preside dopo essersi seduta dietro la propria scrivania. “E’ un rifacimento in scala del pianeta Bram. Un luogo arido e inospitale, dove i suoi abitanti per sopravvivere sono costretti ad abitare in lunghi cunicoli sotterranei dove non vi è che una leggera luce… Si sa, i Brammith odiano la luce del sole ed è per questo infatti che sono contraddistinti dai loro capelli nerissimi e dalla carnagione chiara, color porcellana…” La preside si fermò un attimo con un’espressione un po’ rattristata. “Ma non siamo qui per parlare di questo, dico bene? Coraggio, avvicinatevi.” Continuò. “Spero vi rendiate conto della gravità delle vostre azioni e di come siate andate, senza esitazione, contro le regole. Di certo questo fatto non verrà certamente ignorato.” Poi fece una pausa che per Florinda (col cuore in gola) sembrò durare l’eternità anche se alla fine erano solo un paio di minuti. “Tuttavia, siete riuscite a ritrovare una studentessa che sembrava essere scomparsa e…” “Scomparsa?” La interruppe Lysandra che sembrò solo ora tornare nel mondo reale. “Sì, non sappiamo che cosa sia realmente accaduto... Perché, voi la conoscevate? Ma prima: raccontatemi bene ciò che è successo stanotte.” Così Lysandra raccontò alla preside dell’incendio e delle strane fiamme a forma di dragone che si erano spente all’improvviso, senza che loro facessero nulla. La McGranitt ascoltò con attenzione e solo quando ebbe terminato parlò: “Ho capito tutto. Sicure che non ci sia dell’altro?” “…Sì, ecco,” Florinda credeva fosse giusto informare la preside del libro ritrovato vicino alla Ravenclaw nella foresta e della sua pagina strappata, ma forse non lo pensava veramente. Lysandra la guardò scuotendo quasi impercettibilmente il capo, l’Hufflepuff forse lo notò oppure fu il suo istinto a parlare per lei: “Non so se può essere importante… Comunque non era la prima volta che la vedevamo: l’abbiamo incontrata per la prima volta oggi, ma non ci siamo nemmeno parlate. Non so nulla di più.” La preside la squadrò con lo sguardo e Florinda temette che si accorgesse che non le aveva detto tutto, ma sembrò non essere così: “Va bene. Ora potete andare.” “Così?” Chiese Florinda “Senza punizione? Ma abbiamo infranto le regole e…” La preside sembrò ignorarla: “Buona notte e cercate di andare dritto dritto ai vostri dormitori senza altre deviazioni, intesi? Ah, un’ultima cosa” continuò quando oramai le ragazze erano sulla porta “Lysandra dammi la tua bacchetta, se non sbaglio è fuori uso.” Quella le si avvicinò con aria seccata. La preside la prese, sfiorò la bacchetta che Lysandra le aveva porto e mosse le labbra come per dire qualcosa, ma senza emettere alcun suono. “Ecco, ora è riparata: una delle altre due Gryffindor avevano usato l’incantesimo di disarmo. Quelle due sono state già punite.” Lysandra sorrise “Ma gradirei non ritrovarvi ancora a litigare o a fare cose sconsiderate come questa. Ricordate: Hogwarts è un luogo pericoloso, soprattutto nella foresta e intorno al lago. Davvero, evitate assolutamente di ritrovarvi in un’altra situazione simile. Le conseguenze potrebbero essere disastrose.”

Capitolo quinto: Il sorriso di Rakubyan.


Il giorno dopo le due dovettero affrontare la prima lezione di difesa contro le arti oscure. Il professore si era appena trasferito da un’altra famosa scuola di magia per via di un qualche problema. Girava infatti voce che il suddetto professore avesse fatto ‘certe cose’ ad una studentessa... (O forse era ad uno studente?..) Fatto stava che qualunque cosa avesse fatto non era stata certo gradita. Però forse queste erano solo voci di corridoio inventate da qualche studente più grande per prendersi gioco di quelli più piccoli, che non avevano ben molto chiaro cosa fossero quelle ‘certe cose’. Si può quindi ben immaginare la curiosità alimentata dal continuo brusio prima dell'arrivo del professore in aula. Una curiosità che sembrava coinvolgere tutti meno Florinda e Lysandra che si stavano scervellando per cercar di capire cosa realmente fosse successo la sera prima. Ad un tratto nella stanza ci fu silenzio: con passo felpato il professore aveva raggiunto la porta ed era entrato. Era un uomo alto e slanciato, i capelli albini, bianchissimi e folti, erano lasciati, un po' spettinati, cadere fin quasi a toccare le spalle. Aveva anche (impossibili da non notare) due grandi occhi viola pallido e sotto uno di essi una strana voglia a forma di mezza luna rovesciata, l’occhio destro per essere precisi. Portava un lungo mantello azzurro ed un completo poco più chiaro formato da una giacca e dei pantaloni forse un po' troppo attillati. Chiunque gli avrebbe dato massimo 25 anni, ma di certo ne aveva ben di più, che avesse scoperto la fonte della giovinezza?
Appena ebbe catturato l'attenzione circostante, il professore sorrise in modo un po' emblematico, ma di certo mostrando a pieno il suo bellissimo, seppur caratteristico, aspetto. Poi con un gesto lento della mano si scompose ancor di più i capelli ed entrò a passo deciso nell'aula. Lysandra alzò lo sguardo quando il professore le fu accanto e finalmente lo notò. Rimase come folgorata da questo strano personaggio, forse un po' ambiguo, ma certamente particolare. Spalancò i suoi grandi occhi castani, come se servisse a vedere meglio l'individuo davanti a sé e mise istantaneamente di pensare a qualcosa di preciso che non fosse la misteriosa essenza del professore. Così quando l'uomo cominciò a parlare Lysandra parve particolarmente attenta e neppure sentì una frase detta da Florinda che si perse irrimediabilmente nell'aria. “Salve a tutti” Cominciò allora il professore e il suo sorriso parve diventare ancora più enigmatico. La sua voce era calma e tranquilla e donò un senso di benessere e calore a tutti i presenti. “Da oggi in poi vi insegnerò la difficile arte di difesa contro le arti oscure. In quest’aula potete chiamarmi professor Oya o se magari vi sentite un pochino più audaci, va benissimo anche il mio nome: Rakubyan.” Poi si fermò un istante e sembrò proprio guardare fisso Lysandra, come se potesse leggerle nella mente. Quella distolse subito lo sguardo voltando il capo, imbarazzata. Il professore sorrise di nuovo e con voce tranquilla continuò la spiegazione. La lezione di quel giorno a Lysandra parve essere più interessante del solito e fu con grandissimo dispiacere che sentì suonare la campanella alla fine dell'ora. A dire la verità la ragazza non aveva seguito nemmeno una frase detta dal professore, perché troppo occupata a rimirarselo per bene. Non riuscì a trattenersi dal pensare che non sarebbe stato affatto male possedere un altro gufo, dopotutto con due avrebbe fatto più pratica di trasfigurazione e persino la Starfin sarebbe stata contenta e poi avere un gufo albino pareva proprio essere la moda dell'anno. Questi suoi spensierati pensieri però furono interrotti dalla voce squillante di Florinda ed in questo modo Lysandra fu riportata brutalmente alla realtà. "Ehi, Lys! Che tipo quel nuovo professore, non ti pare? Da dove verrà? Il nome Oya non mi sembra molto di queste parti..." "Qualcosa mi dice di stare attento da un tipo cosi', forse e' solo una mia impressione... Ma e' comunque meglio non dargli troppa confidenza." Disse Eric arrivato in quel momento. Florinda appena lo vide si portò una mano sulla testa e con estremo sollievo toccò la lana del proprio cappello. Non c'era nulla da temere, finché quello restava al suo posto con Eric vicino. Così la ragazza si tranquillizzò e si comportò quasi normalmente nei confronti di Eric (dico quasi normalmente perché non è mai normale il comportamento con il ragazzo che ti piace). "Tu credi?" Rispose abbassando la mano dal cappello. Il ragazzo notò quel movimento e quasi impercettibilmente sorrise compiaciuto, ma Florinda non se ne accorse. "Ma certo, non sei d'accordo, Lys?" L'altra stava per bofonchiare qualcosa, quando fu interrotta da Florinda che indicando la cattedra esclamò: "Ehi, guardate là! Il prof Oya ha dimenticato il suo libro!" Gli occhi di Lysandra s'illuminarono, "Dobbiamo riportarglielo!" Disse schizzando in piedi. "Brava, Lys, ottima idea!" Incoraggiò Florinda. "Mm, tu che vuoi aiutare un insegnante? Qui la cosa e' dannatamente sospetta..." "Ma che! E' giusto preoccuparsi per i professori, persino per una come me!" Lo tranquillizzò con una pacca sulla spalla, anche se la cosa non funzionò. Florinda allora fu avvolta dallo stesso entusiasmo dell'amica: "Forza! Andiamo!" Esclamò tutta felice. Così i tre si ritrovarono nello studio del professore situato due corridoi più avanti (già, pure Eric: sempre meno convinto e con l'impressione che qualcosa stesse andando, come diceva lui, 'dannatamente storta'). "Dovremmo sbrigarci: le lezioni iniziano tra 10 minuti!" Brontolò il ragazzo dietro le due. Quando entrarono nella stanza notarono subito l'estrema regalità che li circondava: maestose colonne doriche sorreggevano il soffitto, altissimo, nel mezzo della stanza una grande scrivania di marmo bianco si mostrava agli occhi dei ragazzi in tutta la sua bellezza. Tutto in quella stanza ricordava lo splendore dell'epoca di Pericle, insomma l'età' dell'oro Ateniese. Persino la libreria, incastonata nella parete, ricordava un tempio a metà fra il dorico ed il corinzio. Un po' spaventati i tre entrarono nella stanza, i loro passi sul pavimento (ovviamente di marmo) rimbombarono per tutta la sala e la pesante porta dietro alle loro spalle si richiuse quasi ermeticamente con un tonfo, facendoli sobbalzare. Nessuno disse parola, tutti immobili dallo stupore. Chi si sarebbe immaginato uno studio del genere? Tutto si faceva ancora più dannatamente sospetto, come si ostinava a pensare Eric, sempre meno convinto. Ad un tratto la grande porta si riaprì e con passo felpato entrò Rakubyan: "A che cosa devo il piacere di avervi qui?" I ragazzi si voltarono di scatto e Lysandra si sbrigò a rispondere con voce un po' imbarazzata: "Siamo venuti a riportarle il libro che aveva dimenticato in classe, professor Oya!" "Tu sei la Black, non e' forse così? Ahh, da te mi aspettavo di sentirmi chiamare per nome. Ne hai tutto il diritto." Rispose il professore con il suo strano sorriso. "Sì, s..sì!" Tentò di rispondere Lysandra. "Oh, e tu devi essere Johnson! Ho sentito molto parlare di te, la solare Florinda!" Continuò Rakubyan rivolgendosi alla Hufflepuff e prendendole la mano. L'altra sorpresa si ritrasse subito e sentì il suo potere tingerle i capelli di rosso, così fece un passo in dietro "... Davvero?" Disse in fine un po' a disagio. "Ma certamente!" Continuò il professore "Girano molte voci su di voi" Disse indicando le ragazze. "La notte scorsa avete pure salvato un'altra studentessa da morte certa. E' un comportamento davvero onorevole per i vostri 11 anni!" Poi si fermò un attimo e notò Eric che per tutto il tempo l'aveva fissato in cagnesco. "E tu chi saresti, ragazzino?" Quello, ancora più iracondo, non rispose e con un rapido gesto prese per il polso Florinda dicendo: "Lys, tu fa quel che vuoi. Io non ho voglia di arrivare in ritardo alla nostra prima lezione di erbologia. Andiamo, Flo!" "Ehi, ma che fai?? E poi a te non piace neppure quella materia! E lasciami!" Tentò di dimenarsi Florinda, ma invano perché ormai era già stata trascinata fuori dalla stanza. "Ha ragione, dopotutto è ora che anche tu vada." Disse il professore mettendo una mano sulla testa di Lysandra e scomponendole i capelli scuri. Lei s'irrigidì tutta dopo quella carezza e quando lasciò piano la stanza si dovette sforzare per non mostrarsi rossa in volto.
"Ehi, per favore fermati!" Cercò Florinda di convincere Eric mentre veniva trascinata per i corridoi della scuola. "Si può sapere che ti ho fatto? Smettila, mi fai male!" A quelle parole il ragazzo finalmente si decise a fermarsi. "Scusa," Disse poi, senza però lasciarle la mano "E' che... Insomma, non hai visto come Oya vi guardava?" Florinda non capì "Ahh, lascia perdere." Continuò il ragazzo portandosi una mano sulla testa sconsolato. "Mi spiace," Cominciò Florinda un po' confusa, "Anche se non ho capito bene il perché, mi spiace che tu ti sia arrabbiato con me... Per qualunque cosa io abbia fatto ti chiedo scusa." Sotto gli occhi stupiti del ragazzo, si rese però subito conto che il suo potere stava ancora prendendo il sopravvento, questa volta più impulsivamente che mai. "Ci vediamo a lezione, penso sia ora che vada... C...hissà, chissà, dov'e' finita Lys!" Disse in fretta un po' impacciata "Vado a cercarla!" Continuò facendo un passo in dietro, ma subito si rese conto che Eric non le aveva lasciato la mano e che aveva leggermente rafforzato la presa. "Ecco che tenti ancora una volta di scappare... Ma che ti succede?" Chiese avvicinandosi. "Ma, nulla! Assolutamente, io..." Balbettò Florinda, ma fu subito interrotta: "Smettila di mentirmi. Perché non vuoi che sappia la verità?" In quel momento gli sguardi dei maghetti s'incrociarono e Florinda venne sommersa dal color smeraldo degli occhi di Eric. Ormai con le spalle al muro, non seppe più che fare, così si decise: a che sarebbe servito fuggire ancora? Perché non ammettere finalmente la verità? A che sarebbe servito scappare soltanto? Con un colpo secco si tirò giù il cappello ed un ciuffo di capelli, quasi più rosso degli altri, le scivolò sopra gli occhi. In quel momento finalmente anche Eric poté vederla con i suoi capelli purpurei. Era la prima volta.
Cercando di mantenere il più possibile la calma l'Hufflepuff balbettò: "Così stanno le cose, io... Io ho perso il mio ciondolo e senza non riesco a controllare le mie emozioni e..." S'interruppe. Lo sapeva: stava per cedere. Così di colpo si lasciò cadere a terra, sedendosi sul pavimento con la fronte poggiata sulle ginocchia piegate. Le sue parole si fecero veloci e strozzate, come se stesse per essere sopraffatta dal pianto: "Io non ce la faccio più ad andare avanti così... Non riesco a capire chi può avermi privato di una cosa tanto importante! Il mio potere non è sotto il mio controllo, non capisco più cosa fare, sono completamente fuori controllo e... Credo di aver perso l'unico legame che avevo con mia nonna!" I suoi capelli si fecero via via sempre più scuri fino ad arrivare quasi a toccare il nero. Si sentiva come caduta nel vuoto, in un burrone buio senza uscita, finché ad un tratto sentì una mano accarezzarle la testa, era Eric che le si era inginocchiato di fronte e che ora la stava abbracciando. "Calmati, vedrai che troveremo una soluzione. Agitarsi così non ti riporterà nulla." Le disse piano ad un orecchio. Lei sentì un calore mai provato prima, che la invase completamente. Possibile che quelle poche parole fossero l'incantesimo di una magia così potente? Non aveva mai sentito parlare di qualcosa di simile, ma ne rimase davvero colpita. Qualche istante dopo l'abbraccio finì, ma non la strana magia perché Florinda si rese conto che i suoi capelli erano tornati biondi, come erano sempre stati. "Va meglio ora, no?" La rassicurò Eric. "S...sì..." Balbettò l'altra con il cuore a mille che le batteva forte nel petto. Tentò allora di ringraziare Eric, ma le parole le rimasero come incastrate in gola e dalla sua bocca non uscì nemmeno un suono. Forse il ragazzo lo capì perché subito dopo averle dato un delicato buffetto su una guancia sorrise intenerito: "Forza, è ora di andare a lezione" Disse in fine. Così i due si alzarono in silenzio e s'incamminarono, ma Eric si era accorto che stava ancora stringendo forte la mano di Florinda? E cos'era questo strano senso di felicità e leggerezza che non riusciva ad abbandonare lei? Qualunque cosa fosse, non le dispiaceva affatto, si rese conto Florinda stringendo, un po' tremante, la mano del ragazzo.
Qualche minuto dopo raggiunsero la serra alfa, cioè quella destinata ai primini. Già, con l'arrivo della nuova preside si era effettuata una riforma scolastica che prevedeva che fin dal primo anno si cominciasse a studiare botanica e questo aveva fatto imbestialire gli Slytherin, che da sempre odiano quella materia. L'insegnante era la professoressa della casa Hufflepuff e già solo per questo a Florinda piaceva molto. Era una signora ben messa con due grossi fianchi, che le davano un'aria un po' instabile facendola ondeggiare qui e là ad ogni passo. Il suo nome era Pomona Sprite ed era fra tutti nota come la professoressa più espansiva e solare di tutta Hogwarts.
Appena Florinda ed Eric entrarono nella serra furono accolti da una temperatura quasi afosa e umida che li prese di sorpresa. Con gli occhi colmi di gioia la ragazza si rese conto in quale luogo meraviglioso si trovava: attorno a lei si presentava qualunque tipo di fiori e piante. Decine e decine di vasi erano disposti in fila e sembrava proprio che la stessero aspettando. Sgranò gli occhi appena si rese conto che il soffitto di vetro della serra era internamente coperto da un enorme Ficus Macrophylla, i suoi grandi rami erano così robusti persino da riuscire a sorreggere l’intera struttura.  “Meraviglioso…” Riuscì solo a mormorare Florinda. Era estasiata a tal punto che quando girò su se stessa per guardarsi bene in torno, barcollò quasi inciampando nel proprio piede. Cercando di non cadere si girò e notò un Gryffindor dai capelli rossi raccolti in un codino che con un legnetto stava punzecchiando un grosso fungo viola ametista che pareva come sospirare ad ogni colpetto, riempiendosi sempre più di aria. Florinda appena lo vide emise un urlo e tutti gli altri maghetti si zittirono e la fissarono. Senza nemmeno accorgersene, l’Hufflepuff raggiunse in piena corsa il ragazzo e gli strappò dalle mani il bastoncino. “Che stai facendo?! Vai via immediatamente!” “Eh..? Ma cos...” Tentò di replicare l’altro, ma fu spinto via dalla ragazza che si contrappose fra lui e il fungo. Senza un attimo di esitazione Florinda estrasse la bacchetta e la puntò contro la strana pianta che pareva essere più grossa di prima. Tutta la classe restò immobile e in silenzio, Lysandra strabuzzò gli occhi e ci rimase davvero di sasso quando l’Hufflepuff portò la bacchetta verso l’alto e dalla sua punta uscì una luce rosata. Subito dopo abbassò la bacchetta e sfiorò con la sua punta illuminata il fungo. Quello s’illuminò dello stesso colore della strana luce e piano piano cominciò a rimpicciolirsi, fino a diventare un funghetto grigio alto poco più di un pollice. Florinda mettendo via la bacchetta trasse un sospiro di sollievo, poi si girò di scatto verso il Gryffindor con sguardo di rimprovero: “E la prossima volta evita di trattare così male un Bonyo.” S’inginocchiò a terra e prese il funghetto grigio. “All’apparenza possono sembrare teneri e innocui, ma forse non sai che hanno un carattere davvero permaloso e si arrabbiano per un non nulla e odiano soprattutto le persone fastidiose. Bisogna trattarli con calma e cautela. Vedi, questi funghi sono anche chiamati i Funghi dal sospiro soffiato, perché quando si sentono in pericolo tendono a riempirsi di aria e quando arrivano al limite esplodono lasciando fuoriuscire del gas che può provocare dei problemi, soprattutto alla vista. A volte si rimane ciechi per giorni dopo aver stuzzicato troppo una pianta del genere.” Poi sorrise “Fortunatamente oggi non è successo nulla!” Disse accarezzando il funghetto che ora le stava saltellando sulla mano in segno di gratitudine. Nessuno disse parola, ancora sbalorditi, non tanto dalla scoperta di funghi così strani, ma dal fatto che dalla bacchetta fosse uscita una magia funzionante.
“Ooh! Brava!” Si sentì echeggiare per tutta la serra. Era una voce forte e tonante, era la professoressa Sprite che aveva assistito a tutta la scena. Era vestita con una giacca di pelle nocciola ed un cappello a punta che copriva i suoi capelli ormai bianchi e un po’ arruffati per l’età. Con grandi passi si avvicinò alla ragazza che si sentì particolarmente piccina confrontata a quella creatura così possente. Deglutì. Quella d’altro canto le strinse calorosamente la mano e il povero funghetto fu costretto a scalare il suo braccio fino alla spalla per non essere energicamente schiacciato.
Poco dopo la lezione cominciò e i maghetti si disposero ognuno davanti ad un vaso con all’interno un germoglio di Alioto, pianta che se usata nel modo corretto porta l’isteria. La lezione fu molto interessante, anche se Florinda non poté stare attenta perché Lysandra continuava a fissarla con occhi quasi socchiusi.
“Mi puoi spiegare che diavolo è successo prima?” Chiese Lysandra avvicinandosi a Florinda quando la lezione fu finita. “Ehm… Ecco… Riguardo a cosa?” Rispose l’altra un po’ confusa. “COME COSA?! La tua strana magia di prima!” Sbraitò l’altra. “Ooh, parli di questo” Disse tirando fuori il funghetto grigio dalla tasca. “Pare che si sia affezionato a me e così Madama Sprite ha detto che lo posso tenere, non è stata molto gentile?” “Non hai ancora risposto alla mia domanda.” La squadrò la Slytherin con lo sguardo. “Ah, scusa ecco…” “E poi,” L’interruppe ancora “Com’è che non indossi il cappello, non mi dirai mica che hai ritrovato il ciondolo?” Era vero e Florinda non se n’era nemmeno accorta. Per tutta la lezione di Erbologia era rimasta con i capelli scoperti e non era successo nulla. Si portò una mano alla testa e subito si ricordò di ciò che appena un’ora prima era accaduto con Eric… Si girò di scatto e lo vide poco distante, dapprima diventò un po’ rossa, poi direttamente paonazza e si così tirò fuori velocemente il proprio cappello dalla tasca ficcandoselo in testa, appena un secondo prima che i suoi capelli cambiassero colore. Lysandra la guardò spazientita: “Allora?” “Ehm… Vieni con m…” Ma non riuscì a finire la frase perché il Gryffindor dai capelli rossi e raccolti le fu subito vicino: “Ti devo ringraziare, senza di te non so che sarebbe successo e scusa se… Non sono stato attento… Grazie mille.” “Di nulla!” Rispose quella un po’ imbarazzata. “Mi chiamo Laurence Weasley, anche se tutti mi chiamano Laurie..” Disse stringendole la mano. “Ecco! Allora sei un ragazzo!” Saltò su Lysandra tutta compiaciuta. “Sai, con quel taglio di capelli…” Il ragazzo la squadrò irato. “Beh, che è quella faccia?” Chiese in una smorfia la Slytherin. “Tu sei la Black, non è così?” Strinse i denti. “E con questo?” Rispose l’altra con la stessa espressione. Florinda si mise in mezzo: “Ehi, ehi! Ma che state facendo?? Su, su, non dovete fare così!” Disse agitando le braccia davanti a sé. “Andiamo, ora. Non perdiamo tempo inutile, che mi devi spiegare un paio di cosette tu!” Fece Lysandra tirando l’Hufflepuff con sé. “Ah, giusto! Hai ragione! Ehm… Ecco…” Continuò è prima di essere completamente trascinata via. “Io sono Florinda Johnson, ma chiamami Flo… E’ stato un piacere Laurie!” “… Florinda…” Disse piano il ragazzo quando le due se ne andarono, come per stamparsi meglio quel nome nella mente. Ad un tratto una mano gli si poggiò sulla spalla: “… Ok, ok, è il suo nome. Ma cerca di non darmi fastidi, tu.” Un ragazzo moro con la divisa da Slytherin gli si era avvicinato e ora i suo grandi occhi verdi lo stavano fissando con ira. “Sta al tuo posto, Gryffindor.” Proseguì andandosene dall’aula dietro Florinda e Lysandra. “E quello chi è?..” Si chiese stupito il povero Laurie.
“Ok, credo di meritare una spiegazione!” Disse Lysandra lasciando andare il braccio di Florinda dopo essersi fermata. “Beh, allora…” Iniziò Florinda un po’ imbarazzata. Poi si zittì un momento, come per cercare di mettersi un po’ più chiare le idee in testa. Fece un respiro profondo e poi parlò: “Da generazioni la mia famiglia è famosa per lo studio dell’Erbologia. Mia nonna mi ha insegnato molti trucchetti per essere brava in questo campo fin da quando ero piccola, per questo mi riesce molto facile distinguere quasi tutte le piante l’una dalle altre e sapere tutte le loro proprietà e poteri. Anche se… Se mia nonna non fece in tempo a istruirmi completamente, dato che… Sì, insomma, mi ha lasciato molto presto.” S’interruppe un attimo facendosi cupa. Ancora una volta Lysandra sentì una sgradevole sensazione sorprenderla. Sentiva proprio che quel silenzio non riusciva a sopportarlo… Ma perché? Si morse un labbro. Cercò di dire qualcosa, ma non le venne in mente nulla e non pronunciò che qualche piccolo verso strozzato. Florinda forse lo notò, perché si illuminò improvvisamente, fortunatamente il suo carattere solare aveva ripreso il sopravvento sorridendo. “Ecco spiegato tutto, potevi anche dirmelo prima.” Disse Lysandra fingendosi offesa, ma in realtà sollevata che l’Hufflepuff, la sua Hufflepuff, non fosse giù di morale per qualc… Stava realmente pensando a questo? Si stupì, quasi non si riconosceva. “Non credevo potesse interessarti!” Cercò di scusarsi Florinda sentendosi in colpa. “Ah, stupidpuff, per questa volta passi. Ma che non accada più!” Rispose l’altra. “Ai suoi ordini!” Esclamò la Tassa. “Dai, presto! Faremo tardi a lezione! Vieni, Lys!” Continuò affrettandosi per un corridoio. “Un giorno anche tu ammetterai quant’è straordinaria.” Si sentì dire alle spalle. Lysandra si girò di scatto: era Eric che nascosto e  appoggiato ad una colonna aveva ascoltato l’intera conversazione. “Tu! Non dovresti origliare!” Lo rimproverò lei. Lui la guardò divertito. Lysandra sorrise voltandosi: dopotutto quel ragazzo poteva aver ragione.

Capitolo sesto: La Ravenclaw.


Quando finalmente le lezioni di quel giorno finirono Lysandra poté tirare un sospiro di sollievo. Pigramente si stiracchiò sulla sedia davanti al suo banco nell’aula di Astronomia. “Uffa, si può sapere perché dobbiamo studiare questa materia babbana? Uff, se almeno non fosse noiosa…” Brontolò poco prima di sbadigliare “Ora penso che andrò a farmi una bella dormita!” Continuò ancora stiracchiandosi. Lentamente mise nella sua borsa un paio di quaderni che fino a poco prima erano stati abbandonati a loro stessi sul suo banco. Subito si rese conto che con sé aveva pure il misterioso libro trovato la sera prima nella foresta. Sbuffò: ormai era chiaro, non ci sarebbe stato tempo per riposare fin quando non avrebbe fatto una bella chiacchierata con la Ravenclaw, la misteriosa Ellen Rice.
Così circa mezz’ora dopo si ritrovò di fronte alla porta dell’infermeria, in cerca di risposte. “Spiegami, Flo, perché anche lui è qui?!” Chiese indicando Eric e aggrottando la fronte. “Beh, ecco… Mi sembrava giusto, e poi lui è l’unico che sa quanto noi su questa faccenda!” Rispose Florinda con convinzione. “Ma perché gli hai raccontato tutto?!” Continuò l’altra con la fronte ancora più aggrottata. “Ehm… Ecco…” “Che diavolo è successo nell’ora di Aritmomanzia quando io ero a Divinazione?!” Le ringhiò contro. “Nulla! Nulla! Che doveva succedere??” balbettò Florinda rossa in volto. “Dato che oggi mi aveva aiutata a calmarmi a causa dello Stregunto, ho deciso di informarlo di tutto!” Si fermò immobile ricordandosi di colpo dell’abbraccio. “… Hai una strana espressione, ora che hai?” “Io?? Ma che! Nulla, nulla!” “Ma come sarebbe a dire?! Ora sei completamente rossa! Non costringermi a toglierti il cappello, sai?!” Le urlò Lysandra lanciandosi sulla testa dell’Hufflepuff cercando di prenderle il berretto. “No! Non ci provare!” Le urlò dirimpetto l’altra sgusciandole via spaventata. Il tutto sotto gli occhi di Eric che ci stava indubbiamente prendendo gusto e rideva come un matto.
Si può quindi facilmente immaginare che i tre non fossero proprio... Uhm, come dire? Ligi alla tranquillità e al silenzio? Beh, sì: dicendolo in modo brutale, si potrebbe affermare che stavano facendo un grande schiamazzo. “Ma che cos’è tutto questo baccano?!” Sbottò l’infermiera entrando nell’atrio. “Come vi permettete?! Ci sono degli studenti malati qui!” Urlò ancora più forte, facendo riecheggiare la propria voce contro le pareti intorno. I tre dovettero riconoscerlo: l’ora dei giochi era finita. Così a testa china e scusandosi entrarono in infermeria. Era una grande sala quadrata con ben quattro finestre e tende bianche ai lati, tutti i letti color crema erano disposti in due file da sei nel centro della stanze. Sulla parete in fondo vi era una piccola porta, presumibilmente la camera privata dell’infermiera, e di fianco ad essa un enorme armadio (anch’esso bianco) colmo di ampolle di liquidi colorati, bottiglie di ogni tipo e garze di ogni dimensione. Nell’angolo opposto invece vi era un tavolo, bianco pure lui, a cui si era seduta in silenzio l’infermiera che, intenta a riempire vari moduli, non si era nemmeno accorta dell’arrivo dei ragazzi. Madama Poppy Chips era il suo nome, una donna ossuta dai capelli grigiastri e corti coperti da un velo quasi da suora, il suo abito, infatti, consisteva in una lunga tunica bordeaux che le donava un aspetto rispettoso e casto. Sembrava si stesse occupando con tutta se stessa del suo lavoro, così i ragazzi poterono andare da Ellen indisturbati. La trovarono intenta a leggere un grosso librone dalle pagine un po’ ingiallite sotto le coperte bianche del suo letto. “Ma non dovresti riposarti?” Le si avvicinò Florinda preoccupata. “Non posso, quello lì non fa altro che lamentarsi nel sonno.” Disse senza nemmeno alzare lo sguardo indicando il letto a fianco. Sopra vi era un ragazzo disteso dalla divisa da Gryffindor e dai lunghi capelli rossi, che si agitava nel sonno come un bambino. “Ehi! Ma quello è Laurie!” Lo riconobbe Florinda. “Che gli è successo?” S’informò Eric con voce quasi soddisfatta. “Pare che quel poveretto sia stato soggetto ad un incantesimo da parte di alcuni Slytherin… Fatto sta che è da un’ora che continua a lamentarsi!  Fortuna che ora si è un po’ calmato, se no a questo qui io… Ma voi chi siete? Non mi pare di avervi mai visti.” Concluse alzando finalmente gli occhi. Era una ragazza di statura media, con dei lunghi e liscissimi capelli castano chiaro tirati all’indietro. Portava dei grossi occhiali tondi argentei che però non nascondevano certo i suoi grandi occhi azzurri. Già dall’aspetto sembrava una Ravenclaw in piena regola, soprattutto con quell’antico librone in mano. Senza nemmeno rispondere Lysandra chiese di botto: “Mi sapresti dire che stavi facendo nella Foresta Oscura ieri?” Ellen la guardò stupita: “Foresta Oscura, chi io?.. Non ricordo assolutamente nulla di tutto questo. Sicuro che non stiate sbagliando persona?” “Che cosa??” Fecero gli altri all’unisono. “Non ti ricordi nemmeno di noi? Quelli che ti hanno salvata dalle fiamme??” Chiese Florinda con il cuore in gola. “Anche se… Tecnicamente noi ti abbiamo solo trovata…” Continuò. “Incendio? Ma di che state parlando? L’ultimo ricordo che ho prima di svenire era che mi trovavo in biblioteca e stavo leggendo il mio libro, tutto qui! Cos’è tutta questa storia? Se è uno scherzo lo trovo di cattivo gusto, io...!” S’irrigidì spaventata. “A quanto pare non è uno scherzo. Come potremmo essere così meschini?” Disse Eric cercando di mostrarsi gentile. “Ma allora… Che è successo ieri sera?” Chiese Ellen mentre il cuore le batteva all’impazzata nel petto. Dopo parecchi minuti passati in spiegazioni e presentazioni, Lysandra si decise a mostrare il libro trovato nella foresta la sera prima anche ad Ellen. Si guardò un paio di volte in torno prima di aprirlo alla pagina strappata assicurandosi che nessuno li stesse spiando, poi sottovoce parlò: “E di questo che mi dici? È il libro con cui ti abbiamo trovata nella foresta.” Glielo passò e l’altra lo prese in mano piano e con cautela poi lentamente, come per paura di rovinarlo, lo sfogliò accarezzando le pagine con i polpastrelli. Sentì un gran senso di vuoto dentro di sé: com’era possibile che avesse dimenticato tutto? Che era successo realmente la sera prima? Incendi incredibili, libri misteriosi… Possibile che non riusciva a ricordarsi nulla? “Non… Non capisco…” Iniziò “Sono certa di non aver abbandonato la biblioteca per tutto il giorno di ieri! Che ci avrebbe potuto fare una come me in quel luogo tanto orr…” Si bloccò di colpo ed ebbe un sussulto quando toccò con l’indice sinistro la carta della pagina strappata. “Stai bene?? Che succede?!” Le chiese Florinda spaventata notando lo strano sobbalzo. Quasi con voce tremante Ellen continuò: “Ricordo qualcosa… Sì, è successo qualcosa quella sera…” Si portò le mani alla testa “Ricordo una bacchetta, un incantesimo, una voce… E del bianco, tantissimo bianco.” Si bloccò un attimo. “E poi nulla, il vuoto più assoluto, accidenti!” Urlò. “Ferma, ferma! Stai calma!” La rassicurò Florinda. “Per il momento hai fatto moltissimo, credimi! Vedrai: andrà tutto bene. Noi ti aiuteremo a recuperare la memoria, promesso!” Continuò appoggiandole una mano sulla spalla. “Grazie, Florinda e grazie anche a voi…” Disse Ellen un po’ sollevata. “Chiamami pure Flo.” Continuò lei con un sorriso.
“Fermi voi! Ho sentito tutto! Siete in mio potere ora!” Urlò Laurie che si era alzato in piedi dal letto indicando  gli altri quattro, ovviamente la risposta a quella frase fu un eco di ‘SHHHH!!’ inviperiti poco prima che Lysandra con il suo sguardo malefico decise di proferir parola: “CHE DIAVOLO STAVI FACENDO TU?? Origliavi, eh?! È questo che facevi, lurido ratto! Gryffidiota! Idiota, idiota, idiota! Come ti permetti di sentire le nostre conversazioni?! Io ti crucio!!” Laurie impallidì, era come temeva: questa volta si era messo proprio nei guai.
Per un pelo Florinda ed Eric riuscirono a fermare l’amica dal tirare fuori la bacchetta e compiere il suo temuto incantesimo, ma non furono così pronti di riflessi ad impedirle di sganciare un forte pugno al naso di Laurie che per il colpo cadde all’indietro sul suo letto semi tramortito. “Ma che fai?! Laurie, ti senti bene??” Chiese Florinda preoccupata avvicinandosi al ragazzo. “Se l’è cercata.” Sogghignò Lysandra con calma e poi continuò sbraitando: “Comunque… CHE DIAVOLO HAI IN MENTE?!” “Io, io…” Balbettò Laurie con un filo di voce, “Io volevo solo farmi notare…” Florinda alzò lo sguardo. “Notare?” Ripeté. “Sì, non sono mai calcolato nemmeno un momento a scuola, così se mi unissi a voi…” “Saresti meno escluso??” Concluse lei. “Beh, sì…” Disse guardandola “Ehi, ma, ma che stai facendo??” Continuò guardando imbarazzato il viso di Florinda che non sembrava affatto preoccuparsi di nascondere la sua espressione intenerita. “Io? Ma che ho fatto?” Continuò non capendo. “Comunque sei ben accetto nel nostro gruppo!” Concluse sorridendo con convinzione. “Che cosa?!” S’intromise di colpo Lysandra. “E poi da quando siamo un gruppo?! Sono una che lavora da sola, io! Da sola!” “Allora è deciso! Da oggi Laurie sarà uno di noi!” Urlò Florinda tutta felice senza nemmeno prestare ascolto a Lysandra che le urlò contro irata, sotto lo sguardo terrorizzato di Laurie. “Non darle ascolto, Laurie: presto cambierà idea, fidati.” Lo rassicurò Florinda facendolo arrossire. Poi l’espressione gli si mutò di colpo e quasi sbiancò quando  incrociò per caso lo sguardo di Eric, che lo stava fissando in cagnesco da più di dieci minuti. “C-Che, che c’è?” Balbettò, mentre Lysandra continuava imperterrita a dare della stupidpuff a Florinda che rideva divertita. Eric non rispose, ma la sua espressione si fece ancora più glaciale e Laurie si sentì subito tanto piccolo quanto indifeso, senza capirne il motivo. Ellen sbuffò, lo sapeva: da lì in poi non sarebbe più riuscita a leggere in santa pace.
Nel paio di giorni che seguirono la Ravenclaw ebbe tutto il tempo di riprendere e cercare di ricordarsi che fosse successo realmente la famosa sera, cosa che ovviamente non accadde. Aveva ancora un po’ di mal di testa, ma nulla in confronto al vuoto di cui si sentiva circondata. Per quanto si sforzasse, non riusciva a vedere nella sua mente che qualche brandello di ricordo, senza un nesso logico. Era come se qualcuno avesse con forza cancellato via tutto, lasciando dietro di sé il deserto. Sospirò, che brutta situazione… Anche se non aveva nessuna intenzione di mollare: dopotutto doveva qualcosa a quei quattro ragazzi che erano comparsi magicamente sul suo cammino e anche con un tempismo perfetto. Si alzò dal letto sorpresa: il capogiro si era attenuato, quasi scomparendo. Si portò una mano alla fronte: anche le due linee di febbre della mattina erano passate. Bene, da lì a poco sarebbe potuta tornare al suo dormitorio. Ancora un po’ assonnata, barcollò verso la finestra e con la testa si avvicinò ad una pianta esposta sul davanzale: un bellissimo Giacinto dai fiori rosa. La ragazza aveva letto qualcosa a riguardo, così cercò di ricordare: “Il suo genere è quello delle Hyacinthaceae, è originario delle zone tropicali dell’Africa, ha numerose varietà… Presenta un bulbo arrotondato, tunicato, che produce pochi bulbetti vicini e tutti quasi identici fra loro… E i suoi fiori sono riuniti sulla sua estremità in un unico gruppo… Uhm, possono essere azzurri, bianchi rossi, rosa o gialli, se non ricordo male.” Sospirò, grattandosi la testa. Quello era stato un dono regalatole il giorno prima da Florinda, che cercava di tirarle su un po’ il morale. “E’ un Giacinto e io amo molto questi fiori perché... Beh, ecco lascia te ti racconti la sua leggenda. Pare che un giorno un fauno si fosse innamorato di una giovane e bellissima fata protettrice di una pineta e che l’abbia chiesta in moglie. Purtroppo quella appena sentita la proposta gli rise in faccia e non accettò. Le fate hanno troppo la puzza sotto il naso per accettare l’amore sincero di un fauno, secondo me... Egli, irato e sconfitto, per vendicarsi decise di rapirla nel mezzo della notte e farla comunque sua. Era appena entrato nelle stanze della fata, quando la vide: bella e addormentata su un letto di petali colorati. Di fronte a quella bellezza il suo cuore si sciolse e la mano, che doveva strapparla con forza dal sonno, si trasformò in una dolce carezza. A quel tocco la fata si svegliò e davanti a sé non vide altro che un grosso Giacinto rosso, che con i petali la stava sfiorando. Era stata la forza dell’amore a trasformare quell’impacciato fauno in un fiore e lei lo capì subito. Così accettò il suo amore e alla fine poté amare il fauno e vivere con lui per sempre felice.” Le aveva detto quella Hufflepuff. Ellen non riusciva a credere a quella bizzarra leggenda (non avendo letto nulla a riguardo), tuttavia fu molto felice di ricevere quel fiore in dono. Si chinò per sentire l’odore ed il forte profumo sprigionatosi l’avvolse, fino a destarla completamente. Sorrise: magari, chissà, quella piantina poteva anche trasmettere qualcosa che non si riusciva a trovava nei libri.
“Non credevo di trovarla già sveglia, ma che brava. È arrivato il momento, eh? Si torna dai tuoi compagni!” Le disse l’infermiera entrando tutta pimpante. “Dai, non fare quella faccia: dopotutto la memoria ritornerà, cara.” Continuò cercando di far apparire un sorriso sull’espressione malinconica della Ravenclaw. Ellen non rispose, perché metterle in testa stupide speranze? Dopotutto nemmeno la preside era riuscita ad aiutarla, seppur con l’utilizzo degli strani e disgustosi intrugli del professor Lumacorno, che era stata costretta ad ingerire. Un brivido le passò per la schiena al ricordo di un sapore tanto acre, mentre camminava lungo un corridoio della scuola con Madama Chips, dirette alla casa dei Ravenclaw.
Quella notte Laurie non riuscì a chiudere occhio: era fin troppo agitato. Si dimenò come un ossesso per circa un’ora sotto le coperte: Il caldo lo stava soffocando. Sudato, decise di sbarazzarsi finalmente delle coperte. Così con un calcio le tirò a terra e aprì gli occhi. Si ritrovò nel bel mezzo della notte al dormitorio Gryffindor. Un raggio di luna riusciva a sfiorarlo, entrando lieve da una finestra a cui qualcuno aveva tirato male la tenda. Si accoccolò di lato tenendo le gambe piegate sullo sterno ed emise un gemito soffocato: lo stomaco aveva ricominciato a dolergli. “È tutta questione di stress,” Gli avevano detto i medici “Per fartelo passare dovresti prendere dei medicinali.” Laurie deglutì, quelle pillole erano troppo costose per potersele permettere… Non poteva far altro che convivere con il suo male. Di colpo fu colto da un brivido quando nella mente vide i volti di Fred e George, suoi cugini. Quelli con la loro allegria erano stati gli unici a mettere un freno alle sue sofferenze… Le fitte allo stomaco si fecero più forti. Non doveva pensarci, lo sapeva… Ma come? Come poteva non pensare che quei giorni felici non si sarebbero mai più ripetuti? Dopo la scomparsa di Fred, George non era più stato lo stesso: perdere prematuramente il proprio gemello è un’esperienza che ti distrugge. Aveva cominciato a trascurasi sempre più e nulla pareva riuscire a fargli tornare il sorriso. Passava lunghe ore a fissarsi allo specchio, cercando così di far continuare la vita di Fred, anche se solo dietro un’illusione... In quel periodo il mal di stomaco di Laurie si era fatto via via sempre più forti, fino a farsi sentire con fitte così potenti da fargli venire gli incubi. Allora si sentiva schiacciato, non solo dal suo dolore, quello di George e di tutta la sua famiglia, ma anche per il sentirsi inutile, non riuscendo ad essere di conforto al cugino.
Fu un bene quindi per lui andare ad abitare dalla prozia Aura Prewett e trascorrere con lei gli ultimi due anni. Col tempo sia il dolore allo stomaco, sia quello per la tristezza si attenuarono e Laurie riuscì quasi a farci l’abitudine.
Quella sera però il dolore si era fatto risentire, forte come un tempo, e assieme a lui anche il ricordo di Fred. Laurie sapeva, e forse non voleva ammettere, da che cosa era causato… Ma ad un tratto non riuscì più a trattenersi: “Bellatrix Black” Bisbigliò piano nella notte. Proprio lei, la zia di Lysandra, era stata la causa di tutto. Proprio dalla sua bacchetta era nato l’incantesimo che aveva privato a Fred la vita. Laurie questo non riusciva a dimenticarlo, né, tanto meno, a perdonare. Ed ora? Ora che si ritrovava a condividere gli stessi luoghi con Lysandra, quella copia così perfetta della zia? Ogni volta che la vedeva un brivido di paura gli scorreva per tutto il corpo. Sapeva che la ragazza non centrava nulla con la morte di Fred, eppure pensando a lei… Non riusciva a trattenere le sue fitte. “… La odio.” Disse stringendo i denti, poco prima di riuscire finalmente a prendere sonno.
“Quell’affare mi sta dando sui nervi” Commentò Lysandra fissando con odio il piccolo funghetto grigio di Florinda che continuava a saltellarle felice sul palmo della mano. “Non urlare! Così lo spaventi!” Le rispose subito l’Hufflepuff preoccupata. “Non spaventare il mio piccolo Bon!” “… Bon?” S’intromise Ellen, interrompendo per un attimo la sua amata lettura. “Ma certamente! Lui è un Bonyo, quindi Bon. Logico, no?” “… Se lo dici tu.” Sospirò, facendo ricadere il naso sul libro che si portava dietro. “Bon, Bonyo o come diavolo si chiama, fallo smettere. Siamo qui per scoprire la verità o cosa? Per favore un po’ di serietà!” Disse al limite della sopportazione Lysandra. “Giusto! Siamo qui per investigare!” Continuò l’Hufflepuff tutta eccitata dopo essersi cacciata il funghetto in una tasca della divisa. “Ecco, allora, da dove cominciamo?” Chiese Eric, portandosi al fianco di Florinda. Quella come risposta affrettò il passo tenendosi il cappello un po’ imbarazzata. “Dalla biblioteca?” Suggerì Laurie che si teneva alla fine del gruppo. “Oh, ci sei pure tu, Gryffidiota? Non ti avevo nemmeno visto.” Disse Lysandra, mettendosi in testa ai maghetti. “Comunque è proprio lì che siamo diretti.” Continuò soddisfatta con un sorrisino beffardo sul volto.
Qualche minuto dopo i quattro, ehm… Cioè, cinque (già c’è anche Laurie) finalmente raggiunsero la biblioteca. Era un’ampia sala colma di libri riposti tutti ordinatamente su tanti scaffali. Essi si ergevano così in alto che per poco non riuscivano a sfiorare l’immenso soffitto di pietra. La biblioteca era suddivisa in varie sezioni e conteneva in tutto più di decine di migliaia di libri. Florinda pian piano cominciò a capire perché i Ravenclaw amassero tanto quel posto: quella sua regalità, il suo silenzio, la sua grandezza… “Ellen, sei proprio tu??” Fu il bisbiglio che la distolse dai suoi pensieri. I ragazzi si voltarono e videro una signora venirgli incontro. Quella, schivando con un’agilità impressionante scaffali e pile di libri, lasciava dietro di sé una strana nuvola di polvere gialla, come lo scialle che portava al collo. Di colpo si lanciò con un balzo da gatto al collo di Ellen e la strinse forte al petto (tutto questo, stranamente senza compiere nemmeno un rumore). La Ravenclaw non oppose resistenza, anche se si capiva benissimo che non gradiva affatto tutto quell’affetto. “Non sai che gioia è per me rivederti!” Bisbigliò la signora, davvero commossa. Poco dopo si ricompose e con voce bassissima si presentò: era, come forse si era capito, la signora Pince, la bibliotecaria. “Nonché la zia di Ellen!” Concluse infine sempre più eccitata. “… Lei non è mia zia.” Tentò di spiegare Ellen ai presenti, ancora un po’ ammattiti dall’apparizione di un così strano personaggio. “Ma come no?” Ridacchiò piano la donnetta ossuta, “Io sono la zia di tutti i Ravenclaw e tu sei una dei miei tanti nipoti!” Ellen sbuffò, tutto questo non le andava molto a genio.
Fin da subito Florinda si rese conto che la bibliotecaria non parlava se non bisbigliando dietro il suo scialle giallo canarino e che doveva aprire ben bene le orecchie se voleva riuscire a capire qualcosa.
“Senta, signora Pince,” S’intromise Lysandra “Siamo qui per chiederle se lei può darci alcune informazioni riguardo un libro.” La donna, che fino a quel momento sembrava non essersi nemmeno accorta della presenza di altri ragazzi oltre alla sua ‘nipotina’ (come insisteva a chiamarla lei), si voltò di scatto e puntò i suoi occhi neri e pieni d’interesse sulla Slytherin. Quella, per nulla intimorita, tirò fuori dalla sua borsa il famoso libro che aveva trovato con Florinda nella Foresta Oscura. La bibliotecaria con un gesto della mano sfiorò il bordo della copertina senza emettere un suono, poi si ritrasse subito. Muovendo le dita invitò i ragazzi a seguirla e poco dopo i cinque si ritrovarono in una stanzetta privata, presumibilmente lo studio privato della bibliotecaria. L’arredamento era semplice: si trattava solo di uno scrittoio, un tavolo e qualche sedia, circondati ovunque da libri di qualunque grandezza e misura. I maghetti furono invitati a sedersi attorno al tavolo. “Dove l’avete preso?” Chiese qualche attimo dopo la signora Pince con un filo di voce. “Mi è stato donato da un mio prozio quest’estate e volevo capire di che si tratta.” Mentì Lysandra, gettando un’occhiataccia gelida a Laurie che stava per protestare e lo fece in un attimo ammutolire. “… Capisco” Bisbigliò l’altra. Poi con voce lenta spiegò: “Era da molto che non vedevo questo libro. È antico, sapete?  Ne esistono pochissimi esemplari al mondo… O meglio, ne esistevano pochissimi esemplari prima che non fosse messo all’indice e che tutte le sue copie fossero distrutte. Per questo mi sorprende riuscire a stringerlo fra le mani… Direi che è quasi un miracolo.” Un brivido passò nella schiena della donna e gli altri non poterono ignorarlo. “… Ahi, ahi, ahi…” Riprese a sussurrare “Grandi sciagure segnano il cammino di chi osa bruciare un libro, soprattutto se magico.” “Perché fu messo all’indice? Da chi?” Chiese Ellen che ormai non badava più al libro che si era portata dietro, sempre più incuriosita da quel misterioso racconto. “Beh, ecco, un tempo, prima che voi cinque nasceste il mondo non era come lo è oggi. Il male aveva preso il sopravvento, ora che…” S’interruppe un attimo. “Voi-Sapete-Chi aveva preso il potere.” “Voldemort…” Fece Lysandra a denti stretti. “Sì, esatto.” A quelle parole gli altri maghetti ebbero un sussulto. Laurie deglutì a vuoto: quell’avventura stava prendendo una piega piuttosto spaventosa, pensò.
Così la donna riprese il suo racconto: “Fu proprio Voi-Sapete-Chi in persona a mettere all’indice questo libro. Si narra infatti che il Signore Oscuro temesse qualcosa contenuto in questo libro, o forse… Che qualcuno lo trovasse e con esso lo sconfiggesse. Quindi decise di distruggere tutte le copie in circolazione.” Concluse, portandosi lo scialle fin sul naso. “Quindi questo vuole dire che il libro… È in realtà un arma??” Chiese Florinda, un po’ agitata. “No,” Rispose la donna sfogliandolo. “Se lo fosse, riuscirei a sentirne il potere magico. Credo che semplicemente questa sia una copia dell’originale. Non c’è nulla da temere: non contiene nessuna magia. Vi sono solo elencati vari oggetti magici… Guardate,” Disse indicando con il dito ossuto le prime pagine. “Qui c’è la Pietra Filosofale, ecco la Bacchetta di Sambuco, il Giratempo, la Spada Gryffindor…” “E che ci dice della pagina strappata?” La interruppe Eric prendendole dalle mani il libro e mostrandole che la pagina 57 era effettivamente strappata. “Chi può aver commesso un atto tanto meschino?” Bisbigliò irata la signora, poi si ricompose: “I miei poteri non possono farmi leggere a cosa si riferiva quella pagina, ma posso dirvi che è stata strappata di recente e… E volontariamente da qualcuno, qualcuno dotato di poteri magici. Un momento… E questo cos’è?” Si portò il libro verso il viso e lo annusò. Poi prese una lente d’ingrandimento e lo guardò incuriosita. “È stata strappata con un incantesimo, un incantesimo di fuoco a giudicare dall’odore e… Proveniva da una bacchetta dal nucleo di Unicorno. È tutto quello che posso dirvi.” Detto questo si alzò e li accompagnò alla porta, salutandoli cordialmente e dicendo che anche loro, seppur non Ravenclaw, potevano andare in giro con l’appellativo di suoi nipoti.
Erano tutti già usciti, quando Florinda sulla porta, sentendosi chiamare per nome, si voltò e guardò intorno, ma nessuno la stava chiamando. Una cosa però attirò particolarmente la sua attenzione, cioè che pochi metri davanti a lei vi era un piccolo furetto bianco che la stava fissando con un’espressione incuriosita. “Che stai facendo qui impalata, Stupidpuff? Dai che è tardi!” La rimproverò Lysandra tornata indietro a cercarla. “Sì, sì arrivo…” Fu la risposta, ma quando Florinda girò nuovamente il capo per scorgere ancora il furetto, quello era scomparso. “Che strano…” Commentò a bassa voce, camminando per il lungo corridoio sulla via del ritorno. “Detto qualcosa?” Chiese Eric raggiungendola. “Nulla, nulla!” Rispose pronta lei agitando le braccia davanti a sé. “Devo aver solo sognato.” Pensò.
 

Capitolo extra 2: sclero dell’autrice parte seconda.


Gigi: Buongioooorno a tutti, sono la vostra amorevole autrice!
Lys: Buongiorno? E se i tuoi lettori stanno leggendo questa carta da caminetto di sera?
Gigi: Ah, giusto hai ragion… Un momento! Carta da caminetto a chi?!
Lys: A questo, che tu ti ostini a definire, “Racconto”. *Ridacchia malvagia*
Gigi: Senza di me nemmeno esisteresti! *La solleva di peso e va verso la porta*
Lys: Ehi! Lasciami stare! *Sventola la sua bacchetta* Sono una Purosangue io! Una Purosangue! Guarda che ora ti Cruc… *Viene chiusa fuori da Gigi*
Gigi: *Chiude la porta a doppia mandata* Ooh, ed ora che i fastidi sono stati messi da parte, è giunto il momento di scrivere! *Prende il suo quadernetto pieno di orecchie, si mette alla scrivania. Intinge la sua penna d’oca nell’inchiostro, rigorosamente nero.* Eccomi pronta. *Canticchia scrivendo.*
Flo: Che stai facendo?? *Mangia Mosche al Caramello*
Gigi: Sto scrivendo un po’… Ehi, ma come hai fatto ad entrare?? Non avevo chiuso la porta a chiave?!
Flo: *Non ascolta continuando a masticare rumorosamente.*
Gigi: *Sbuffa* Puoi smetterla per piacere?
Flo: *Con la bocca piena* Di far che?
Gigi: Chiudi quel forno dentato quando parli, che schifo! *Smorfia disgustata*
Flo: *Ancora con la bocca piena* Scusaaaa! *Sputacchia, proprio sul foglio in cui sta scrivendo Gigi*
Gigi: Che schifo! Flo! Per colpa tua ora mi tocca ricopiare tutto! Con te in giro non riesco proprio a stare tranquilla, lasciami in pace! Devo scrivere, quindi sparisci!
Flo: Ma… Ma… Ma io volevo stare con te!
Eric: Non ti preoccupare, Flo: ti consolo io...
Flo: *Arrossisce* Beh, se la metti su questo piano…
Eric e Flo: *Censura*
Gigi: EEH?! MA... MA... CHE DIAVOLO STATE FACENDO?!? POI DAVANTI AI MIEI OCCHI!! ERIC, VATTENE I-M-M-E-DI-A-T-A-M-E-N-T-E DA QUI!! *Li chiude in due ripostigli della scuola: uno il più lontano possibile dall'altro.* Grrr, visto?! Mi avete distratta!
Non si può stare mai un momento tranquilli qui! Ehm, qual’era la frase che avevo in mente prima..? Calma e sangue freddo… *Sospira* Ok, ora mi rimetto a scrivere tutto da capo. *Prende una nuova pagina di quaderno e si rimette a scrivere.*
El: Avete visto il mio libro?? L'avevo lasciato qui la sera scorsa! Ma dov'è?! *Fruga sotto il letto di Flo, ma trova solo cartacce vuote di Mosche al caramello più una mezza mangiata* Che schifo!
Gigi: E tu che diavolo vuoi?! E poi da dove sbuchi?? Che c’è una Passaporta in questa stanza e nessuno mi aveva avvisata?!
El: … Passaporta? Sicura di star bene? *Le va vicino e le tocca la testa* No, febbre non ne hai… Comunque, il mio libro, rivoglio il mio libro! L'ho pagato un sacco! Esigo che mi sia restituito! E se ciò non succederà vi farò causa!! Vi farò espellere! Io vi, vi...
Gigi: *Esasperata* E va bene, e va bene! Tieni! *Le da dei soldi* Ricompratelo! Ma poi promettimi di lasciarmi in pace, ok??
El: Beh... Ecco... I soldi che mi hai dato sono pari solo al costo del libro... E il valore affettivo dove lo mettiamo?
Gigi: *Ringhia* FATTELI BASTARE, STROZZINA.
El: Ok, ok!! *Scappa via tremante*
Gigi: Ooh! Finalmente forse riuscirò a mettermi tranquilla a scrivere, allor...
*Bussano alla porta*
Gigi: E ORA CHI è?!
Prof.V: Sono il professor Vitious, è qui Lysandra Black? è che oggi non aveva i compiti e ha detto che li aveva dimenticati, così me li avrebbe dati nel pomeriggio...
Gigi: *Apre la porta ed esce dalla stanza calpestando il professore* Ma... Ma qui non c'è nessuno! Grrr, odio quei maghetti del cavolo che si divertono a fare scherzi idioti tipo questo! *Rientra e chiude la porta*
Alice: Tuuu!!
Gigi: Ehh? *Si gira di scatto e vede Alice e Wendy che sono anche loro magicamente comparse nella stanza* E tu che vuoi??
Alice: Siamo venute a protestare contro la scrittrice!
Gigi: *Comincia a tastare tutti gli oggetti della stanza, brontolando* Ma quale diavolo sarà la Passaporta? Devo trovarla e poi buttarla immediatamente, così almeno non sarò mai più disturbata…
Wendy: *Sbraita* Ci stai ignorando?!
Gigi: *Alza la testa* Ah, Wendy, già è vero: ci sei pure tu…
Alice: Ripeto, carina, dato che le cose non sei capace a capirle se sentite una volta sola: siamo qui per protestare.
Gigi: *Cerca di mantenere la calma, ma inutilmente* E a che proposito..??
Wendy: Non ci è piaciuto per nulla che quella Slytherin e la sua stupida Hufflepuff abbiano vinto la sfida! Ma che diavolo!! Non è affatto giusto!
Alice: Noi essere battute da quelle due?? Pff... Si vede benissimo che è una storia fantastica ahahahah e poi... Tu non sai per nulla scrivere: ci hai ritratto in maniera patetica!
Gigi: *Le ribolle il sangue nelle vene* Forse è scritto in maniera patetica perché VOI siete patetiche!
Wendy: Senti, senti questa!! *Ringhia*
Alice: Calma, Wendy, calma... Non andare giù troppo pesante: ricorda che deve essere in grado ancora di scrivere... DOPO.
Gigi: *Trema* oh Santo Cielo...
Wendy: *Si avvicina pericolosamente a Gigi*
Gigi: *Tocca con la schiena il bordo della finestra aperta (siamo praticamente in inverno! Perché diavolo le finestre sono aperte?!)*
*Si sente un grido da fuori: qualcuno sta chiedendo aiuto.*
Gigi: *Si gira e guarda giù: vede un ragazzo fuori che fluttua nell'aria grazie ad un incantesimo da parte di un paio di bulletti Slytherin, che se la ridono bellamente* Ma quello non è mica... Oh, cacchio! Ma è Laurie!
Laurie: AIUTOOOOO!!! *Sta per finire contro la finestra aperta*
Gigi: *Si abbassa per non essere colpita dal Laurie-volante che ora è entrato nella stanza*
Wendy: Eh?! Ma che cos..! *Viene colpita in pieno e cade a terra priva di sensi*
Alice: *Capendo di essere ormai rimasta sola contro Gigi, scappa* Ci rivedremo!!
Gigi: G-Grazie, Laurie!
Laurie: *Notevolmente tramortito* Di... Di nulla! *Cade a terra svenuto, pure lui*
Gigi: Santo cielo! E io che volevo solo scrivere un po’! In questi dieci minuti è successo proprio di tutto! Ma ora basta, DEVO assolutamente scrivere! *Fa per sedersi alla scrivania*
Rak-kun: Ma buon pomeriggio! *Sorride*
Gigi: R...Rakubyan?! Che diavolo vuole ora, pure lei?!
Rak-kun: Nulla, nulla... Era solo che... Beh, dato che tutti hanno fatto la loro comparsa in questo capitolo… Volevo farla pure io! *Sorride* Ora è meglio che vada, sai, ho lezione. *Se ne va*
Gigi: ...
Va beh, questa poi! *Si guarda in torno, con la speranza di non vedere nessuno* Ok, via libera! Finalmente c’è pace! *Corre alla scrivania, si siede, prende la penna d’oca, sfiora con la sua punta la pergamena del quadernetto, quando… Sente un rumore spaventoso venire da dietro la porta.* Ma che diavolo…??
*La porta si spalanca ed entrano tutti i personaggi citati prima (a parte Laurie e Wendy che erano già svenuti da prima nella stanza) e nel macello il professor Vitious viene nuovamente calpestato.*
Gigi: E voi che ci fate qui?!
Flo: Beh, abbiamo pensato che hai scritto moltissimo Slytherpuff fino ad ora… E per questo ti volevamo premiare con una piccola festa!
Lys: Sottolineo che non è stata una mia idea.
Alice: Meno che meno mia!
Rak-kun: *Sorride*
*Cominciano tutti a discutere animatamente facendo un baccano micidiale.*
Gigi: Silenzio! Vi ringrazio molto, ma io sto cercando di scrivere e…
Eric: Gigi, tieni! È per te! *Le lancia una pantofola*
Gigi: Ma che signific… *La prende in mano, ma quando lo fa viene teletrasportata fuori da Hogwarts, direttamente dentro il lago. Riemerge dall’acqua scura* Lo sapevo! Ecco la Passaporta! *Starnutisce* Ma che diavolo?! Perché mi hanno buttato qui dentro?! *Piagnucola* E’ orribile quando i TUOI personaggi ti si ribellano contro, facendoti cose orribili! Basta! Non sono nemmeno riuscita a scrivere una riga oggi! *Ringhia* Ma quando riuscirò ad uscire da qui gliela farò vedere io! Un momento… Ma dove sono?! *Starnutisce di nuovo*
Flo: *Prende il controllo della situazione rubando il quaderno pieno di orecchie e pieghe di Gigi e scarabbocchiandoci su con la sua penna d’oca* Ah, questo nuovo capitolo sette sarà una meraviglia, potete starne certi!

Capitolo settimo: Tranquillità? Nemmeno a Natale.

 
Passarono i giorni, poi le settimane e infine i mesi. Tutto aveva ormai preso un ritmo folle, ora che gli studenti venivano sottoposti agli esami di fine trimestre. Lo studio, sempre più frenetico, non lasciava ai maghetti nemmeno il tempo di respirare. Quei test erano estremamente importanti, soprattutto per i ragazzi del primo anno, perché servivano a dimostrare il loro livello di apprendimento e di preparazione. Forse per questo Lysandra e gli altri lasciarono un po’ da parte tutta la faccenda di Ellen e neppure lei sembrò preoccuparsene più di tanto, troppo presa dai test. Ellen, come tutti i Ravenclaw, amava molto mettersi alla prova e cercare di migliorarsi sempre più, quindi per lei queste prove erano significative e ci teneva molto.
A poco a poco, anche Florinda riuscì a convivere con la perdita dello Stregunto: sembrava essersi ormai abituata a girare con il cappello di lana e poi, arrivato l’inverno, quell’accessorio si era rivelato molto utile. Non passava però giorno senza pensare al suo ciondolo, ma mai si sentì rassegnata: qualcosa la convinceva che lo Stregunto le era più vicino di quanto pensasse e che l’avrebbe ritrovato.
Una mattina finalmente i maghetti poterono tirare un sospiro di sollievo: davanti alla Sala Grande, scritto nero su bianco, si poteva infatti leggere la parola ‘Superato’ affianco ad ogni loro nome. Florinda non poté trattenere un gridolino di gioia quando lesse che pure lei era passata. “Cos’è tutto questo entusiasmo? Solo per gli esami di fine trimestre, poi. Bah.” Brontolò Lysandra da dietro l’Hufflepuff. “Ha ragione” S’intromise Ellen, arrivata in quel momento, “Dopotutto erano così facili…” Concluse pulendosi gli occhiali nella camicia. “Complimenti!” Urlò Florinda saltandole al collo. “Ho saputo che hai avuto i voti più alti di tutti quelli dei primini della scuola! Sei stata formidabile!” Un po’ sorpresa, Ellen sorrise: “Non ho fatto nulla di che… è stata solo fortuna…” “Macché! La tua è bravura!” Continuò l’Hufflepuff sotterrandola di complimenti. Lysandra, dopo un volontario colpetto di tosse, le interruppe chiedendo: “Voi che fate per le vacanze di Natale?” Non che la cosa le interessasse, era solo un modo come un altro per scollare Florinda dalla povera Ellen, o almeno così cercò di convincersi.
Già, era proprio vero: ormai Natale era alle porte. Possibile che fossero già passati tre mesi? Divertita si ricordò quando aveva spinto per sbaglio (così diceva lei) Laurie in un grosso calderone colmo di pozione invecchiante e lo aveva fatto finire, per l’ennesima volta, in infermeria (si può ben immaginare in che condizioni), oppure quando il suo Pantigufo (non si sa bene come) era finito in testa alla McGranitt, che da allora lo voleva spennare come un pollo… Solo quando Florinda qualche minuto dopo le fece la stessa domanda, Lysandra si rese conto di non aver ascoltato nemmeno una parola dell’Hufflepuff. “Me ne ritornerò a casa con la mia famiglia.” Rispose con tono amareggiato.
“Ogni anno la stessa storia…” Pensò Lysandra seduta su una cassapanca risalente forse all’Ottocento. Era vestita con un lungo abito nero che le arrivava fino alle caviglie, con alcuni pizzi ai lati sulle spalle. I suoi capelli ricci e scuri erano lasciati cadere un po’ disordinati sulle spalle e al collo portava un grosso diadema fatto di onice nera, appartenuto una volta a sua zia, Bellatrix Lestrange. “Perché mi devono conciare così per una stupida festa? Odio il Natale.” Concluse alzandosi. Gli invitati, tutti per lei estranei, le facevano dei lunghi sorrise quando la vedevano passare agghindata a quel modo. Non lo sopportava: odiava che ogni anno si dovesse fare una grande cena fra tutte le famiglie importanti Slytherin e lei dovesse farne parte. Sospirando si allontanò da tutta quella gente e si diresse verso una porta. Con cautela la aprì e vi scoprì uno studio: il luogo perfetto per essere lasciata in pace, pensò. Chiuse la porta, sperando di non essere stata vista da nessuno e si spaparanzò su una poltrona di pelle nera. Con noncuranza lanciò dall’altra parte della stanza le sue scarpe, ovviamente scomodissime, nere e col tacco. Finalmente sola. Non sapeva neppure di chi fosse quella casa, ma l’arredamento di uno Slytherin era più che evidente: mobili neri o verdi, l’uso di marmo e legno scuri… Ben presto si stufò di osservare attorno, così socchiuse gli occhi e iniziò a pensare a suo cugino Draco, che pochi minuti prima si era rivelato non poco scortese nei suoi confronti. Che rabbia le faceva: la trattava ancora come una bambina. Avrebbe potuto dirglielo… Sbuffò, no: era solo un’inutile perdita di tempo, figuriamoci se qualcosa sarebbe cambiata.
Saltò in aria quando la maniglia della porta si abbassò: qualcuno stava entrando. Subito scatto in piedi, alla ricerca delle scarpe, ma ne trovò una sola. “Accidenti!” Esclamò piano. La porta si aprì e qualcuno entrò. Lysandra (sotto alla scrivania alla ricerca della scarpa) alzò lo sguardo. “Eric?! E tu che ci fai qui??” Esclamò, ma sfortunatamente picchiò la testa contro una gamba del tavolo. “Dannazione!” Sbraitò. “Lys? Ma sei tu?” Chiese il ragazzo stupito. “Certo che sono io.” Sbuffò l’altra uscendo finalmente da sotto la scrivania. “Che stavi facendo lì sotto?” Rise il ragazzo. “Ero alla ricerca di questa.” Rispose trionfante Lysandra agitando la sua scarpa. Poi continuò: “Che ci fai tu qui? Non credevo che la tua famiglia fosse tra gli Slytherin più influenti.” “Si da il caso che questa sia casa mia.” Disse il ragazzo divertito, poi si fece serio: “Tu non dovresti essere qui, questo è lo studio di mio padre. Non potresti entr…” Ma non fece in tempo a finire la frase che la maniglia della porta ancora una volta si abbassò e prima che Lysandra potesse muovere un solo muscolo fu spinta con forza dentro un armadio da Eric e le fu tappata la bocca. Tre persone entrarono nella stanza: un uomo, una donna e un terzo individuo, coperto da un mantello nero che gli nascondeva anche il volto. “Allora è venuto di persona…” Bisbigliò Eric. I tre cominciarono a parlottare pian piano e alle orecchie dei ragazze arrivarono solo qualche parola: … Far presto… Trovare… Nessuno deve sapere… Andarono avanti per qualche minuto, fino a quando l’individuo incappucciato non passò un foglio piegato accuratamente nella mano dell’uomo. Poi uscì in silenzio. Quello guardò il foglio, poi lo ripiegò accuratamente e lo nascose sotto un libro appoggiato sulla scrivania, poi, con la donna, tornò alla festa. Solo allora Lysandra fu lasciata da Eric. “Ma che diavolo ti è preso?!” Chiese irata. L’altro portò una mano alla bocca in segno di silenzio. “Non urlare, potrebbero tornare da un momento all’altro: ci conviene muoverci.” Disse. “Ma si può sapere chi erano?” Chiese Lysandra mentre Eric si avvicinava furtivamente alla scrivania. “Erano i miei genitori, assieme a… Lui.” Rispose. Lysandra sgranò gli occhi: “Lui?” Per tutta risposta Eric prese il foglio che pochi istanti prima era stato nelle mani di suo padre, lo guardò. “Come immaginavo.” Disse girandolo verso Lysandra, così che anche lei potesse vedere. E lì, disegnato chiaramente, vi era un ciondolo, uno strano ciondolo di forma sferica circondato da una bizzarra spirale di bronzo. “Lo Stregunto…” Mormorò Lysandra. sbalordita “Guarda,” Disse il ragazzo indicando un’estremità del foglio. Solo allora Lysandra notò il suo bordo irregolare: era stato strappato. “Scommetto,” Continuò il ragazzo, “Che questa è la famosa pagina mancante dal libro di Ellen. Guarda il colore della carta: è indistinguibile.” Sì portò il foglio vicino al viso per sentirne l’odore. “Sì, ne sono certo…” “Ma che sei? Un segugio?!” Chiese Lysandra senza riuscire a capirci più nulla. “Vieni: dobbiamo fermarlo!” Esclamò il ragazzo senza darle ascolto. Lysandra non fece in tempo a parlare, che fu trascinata fuori dalla stanza. Schivando gli invitati, i due, in meno di trenta secondi, si ritrovarono alle spalle dell’uomo incappucciato. “Senta, lei!” Lo chiamò il ragazzo, ma quello non si girò. Non dandosi per vinto, Eric gli si avvicinò ancora di più e gli mise una mano sulla spalla, per scorgerne il volto. Ma quando anche solo sfiorò il tessuto, l’individuo si dissolse in una polvere scura, lasciando cadere il mantello fra le braccia di Eric. “Dannazione!” Sibilò “Ci è sfuggito.” “Esigo immediatamente una spiegazione!” Quasi urlò Lysandra, irata forse di più per il fatto che dopo tutto quel trambusto aveva i capelli completamente spettinati. “Seguimi.” Fu la sola risposta. Fu condotta in un salottino privato, ammobiliato con mobili risalenti all’Ottocento in pregiatissimo legno di ciliegio. Subito Eric chiuse la porta e con cura tirò le tende di stoffa bianca alle finestre. “Meglio essere prudenti” Spiegò quando ebbe finito. Con calma si avvicinò a Lysandra e le raccontò ogni cosa: “Vedi, da secoli ormai la mia famiglia è la ‘trovarobe’ per eccellenza, ecco perché siamo così influenti: i servigi dei Horwood sono molto richiesti. Il nostro compito infatti è quello, sotto un certo pagamento, di trovare ciò che i nostri clienti desiderano. Forse tu non lo sai, ma qualche volta ci è capitato di servire anche voi Black. In più gli oggetti leggendari sono la nostra specialità, quindi non mi è sembrato strano quando mio padre ricevette un importante gufo per lavoro… Circa due mesi fa iniziai a rendermi conto che il suo nuovo obbiettivo potesse essere lo Stregunto. La lettera che arrivò, infatti, descriveva minuziosamente un ciondolo avvolto da una spirale di bronzo, così iniziarono i miei forti sospetti. Dato che non ho ancora 17 anni, mio padre non vuole che io m’impicci troppo nelle questioni di famiglia (bah, vallo a capire), così dovetti investigare per conto mio: in cerca di prove che testimoniassero i miei sospetti, ma sfortunatamente non trovai nulla. Devi sapere che per essere nostro cliente, bisogna pagare prima e possibilmente in contanti… Così ho aspettato finché non arrivasse qualcuno con il malloppo e quel giorno è arrivato.” Sorrise trionfante sventolando il suo prezioso foglio di carta. “Ho aspettato quasi tre mesi perché radunasse tutti i soldi e diventasse davvero nostro cliente… E finalmente ho una prova concreta.” Così dicendo si allungò con una mano la cravatta (verde, come i suoi occhi) e con l’altra estrasse da sotto la camicia un ciondolo che teneva al collo. “Lo Stregunto!” Lo riconobbe Lysandra, colma di meraviglia. “Ma come…??” Eric ridacchiò: “L’ho sempre avuto io.” “Tu cosa?!” Esclamò Lysandra ancora più sorpresa. “Proprio così, fui io a rubarlo a Flo la sera in cui ci mostrò il suo potere.” “Perché..?” Riuscì solo a chiedere l’altra con un filo di voce. Tutto questo le sembrava pazzesco e senza logica. “Forse mi riterrai uno stupido… Beh, prima o poi avrei dovuto dirtelo comunque.” Sospirò: “Inizialmente glielo rubai per gioco, curioso di vedere cosa sarebbe successo… Senza pensare minimamente di darle fastidio, forse solo per, non lo so, conoscerla meglio, in qualche modo: capire meglio la sua natura e il suo potere.” Tuttavia Lysandra, non fu molto sorpresa da questa spiegazione, anzi cominciò a capire i motivi irrazionali che avevano spinto Eric a comportarsi così. Dopotutto anche lei aveva trasformato un babbano in un gufo senza un motivo, solo perché le andava (così almeno cercava di convincersi lei). “Poi però” Continuò il ragazzo, “Si è presentata tutta questa storia del nuovo lavoro di mio padre… Sai, quando la mia famiglia lavora per qualcuno è molto probabile che non sia gente poi così raccomandabile. Pensai che fosse pericoloso restituire il ciondolo a Flo. E se le fosse successo qualcosa? Non me lo sarei mai perdonato!” “Un momento,” Fu interrotto da Lysandra, “Se sei stato a scuola per tutti questi due mesi, come facevi ad essere a conoscenza del lavoro di tuo padre?” “Ah, scusa, non te l’ho detto? Mia madre sa che io, seppur non avendo ancora 17 anni, vorrei già aiutare in qualche modo, così ogni tanto nelle sue lettere mi aggiorna sugli sviluppi dell’attività.” Concluse aprendo il foglio. Così entrambi si ritrovarono a fissare l’illustrazione: non vi erano dubbi, quello era lo Stregunto. In alto sulla destra c’erano anche alcune frasi in rima, quasi a formare una poesia:

Seppur figlie di stessa creatura,
Abbiam proprio diversa natura:
Io della luce son figura,
lei della notte scura.
Di mia sorella si ha paura
E di ogni sua azione futura.
Quando io son ormai matura,
Lei entra nelle tue mura
E se l’anima non è pura,
Chissà quale sciagura.
Esiste però una cura,
Ma di usarla per il bene giura,
Se no la tua sarà pena sicura.

“Ma che diavolo significa?” Chiese Lysandra esterrefatta dopo aver finito di leggere. “Guarda qui!” Esclamò il ragazzo indicando un punto al centro del foglio, poi se lo portò sopra la testa ponendosi davanti ad una lampada, per farglielo vedere in controluce. Lysandra socchiuse gli occhi per vedere meglio e così anche lei poté scorgere una piccola crepa, che a malapena si notava, proprio sotto lo scritto. “… è come se qualcuno l’avesse strappato per poi rimetterlo assieme.” Si fece pensierosa lei. “O, è come se qualcuno l’avesse strappato e poi unito ad un altro foglio con un incantesimo… Così facendo ha potuto prendere la parte scritta che gli serviva…” La corresse Eric ancora più pensieroso. “Chissà allora cosa ci poteva essere scritto… Sembra un indovinello.” Concluse lei grattandosi la testa “Di quelli che fanno i babbani per passare il tempo, contenti loro…” “Un indovinello! Ma certo!” Esclamò il ragazzo tutto convinto. Poi guardò con aria interrogativa Lysandra: “Ragioniamo: chi sono queste due sorelle di cui si parla?” Lei rispose: “Allora, a quanto ho capito sono molto diverse, una è la luce, l’altra è l’oscurità… E la seconda arriva quando la prima è ormai matura… Quindi vecchia, no?” “Come il giorno e la notte, il sole e la luna…” Suggerì il ragazzo. “… Sì, penso che il senso sia quello, ma uno non ha paura della luna, uhm, e neppure del giorno… Cosa potrebbe essere, allor…” I due tacquero come folgorati dallo stesso pensiero e all’unisono non poterono che esclamare: “La vita e la morte!” “Ma certo, è così… Tutti hanno paura della morte e quella arriva alla fine di sua sorella, la vita.” Concluse Eric. “Guarda l’ultima parte dell’indovinello: esiste però una cura, ma di usarla per il bene giura, se no la tua sarà pena sicura… Significa quindi che, che esiste un qualcosa che contrasta la morte??” Spalancò gli occhi la ragazza, non avrebbe mai immaginato che la loro avventura potesse arrivare a tanto. “Beh, se così fosse... Ecco spiegato il perché quell’individuo incappucciato vuole lo Stregunto a tutti i costi...” “No, Er, no… Non dirmi che credi davvero che quel ciondolo possa combattere la morte?” “O, come minimo, può aiutare a farlo… E’ l’unica spiegazione, Lys.” A quelle parole Lysandra iniziò a camminare su e giù per la stanza agitata. “Perché Flo ha un oggetto tanto prezioso? Che diavolo ci vuole fare quell’uomo col cappuccio? Chi è??” Si bloccò di colpo: si era appena ricordata l’incontro di Gazza qualche mese prima e tutto ciò che per un pelo non era successo ad Ellen. “Er,” Disse alla fine con un filo di voce, sentendosi il cuore battere forte in gola: “Temo proprio che Flo sia davvero nei guai, dobbiamo assolutamente fare qualcosa, o lei…”
“Qualcuno vuole altri biscotti?” Quasi urlò Florinda tutta felice, comparendo da dietro la porta della Sala Grande. Laurie sobbalzò quando la vide: portava un vestito di un velluto rosso acceso che le arrivava fino al ginocchio, accompagnato da un paio di calze a righe verdi. Il tutto le era stato abilmente stretto in vita con un gigantesco fiocco porpora legato sulla schiena, che quasi la sovrastava. In più le maniche del vestito erano così larghe da dare l’impressione che Florinda avesse le ali e stesse per spiccare il volo. Per finire in bellezza, in testa portava il tipico cappello di Babbo Natale (noto e potente mago di bontà infinita che con la sua grande magia una sola notte era in grado di riempire ogni casa di bellissimi doni, cosa che faceva e non malvolentieri, anche ai bambini babbani). Un po’ goffamente, per via del fiocco, si fece strada fra gli altri studenti con una grossa teglia in mano: “Biscotti, biscotti appena fatti e direttamente dalla cucina!” Si affrettò a dire. Appena gli altri ragazzi la videro l’assalirono, cercando di accaparrare più dolci possibili: erano davvero squisiti. Dopo pochi secondi la teglia era già completamente vuota e solo allora Florinda riuscì ad uscire dal putiferio creatosi. “Ah, ciao!” Esclamò a Laurie che le si era avvicinato per prestarle soccorso. “Va tutto bene?” Le chiese subito. “Oh, sì, sì!” Gli sorrise mettendosi a posto il cappello. A quel gesto Laurie ebbe un fremito, lo sapeva: ogni volta che Florinda faceva qualcosa, si agitava e poi… Vestita in quel modo così allegro e natalizio… Ad un tratto trovò il coraggio, trovò le parole, chiuse gli occhi, respirò a fondo e poi parlò, o meglio balbettò: “S-sei belliss…” “Scusa, Laurie,” La interruppe bruscamente lei: “Ma il dovere mi chiama! Non posso proprio darti retta ora, devo andare a prendere un’altra teglia di biscotti!” Così dicendo se ne andò diretta alla cucina. “Ecco, io… Veramente…” Tentò di ribattere il ragazzo, ma lei era già sparita. “Perché sempre a me?” Riuscì solo a piagnucolare il Gryffindor rassegnato.
“Ah, sa, questi biscotti sembrano ancora più buoni dei precedenti!” Esclamò l’Hufflepuff sgranocchiandone uno. “Grazie, Florinda, senza di te e gli altri noi staremmo facendo il doppio della fatica.” Rispose gentile la cuoca. “Ma di nulla, siamo a Natale, no? Ci si deve aiutare! Ora vado però!” Uscì di nuovo dalla cucina, sempre con il sorriso sulle labbra e una teglia di biscotti. Florinda amava il Natale, era in assoluto la sua festa preferita: forse per le luci, i colori, l’armonia, i dolci, i regali o il sentirsi una famiglia… Non lo sapeva. “Un po’ tutto.” Pensò dirigendosi ancora una volta verso la Sala Grande. Era già la quarta volta che compiva quel tragitto. Per le vacanze di Natale poco era il personale rimasto a scuola, così quei pochi studenti che non erano partiti, dovevano darsi da fare per cercare di aiutarsi l’un l’altro e spartirsi i compiti. Tutti assieme, infatti, avevano addobbato tutto il castello, soprattutto la Sala Grande dove ora si stava svolgendo la festa. A Florinda l’energia non mancava ed era assai felice di dare una mano come poteva. Inizialmente il suo compito era quello di versare le bevande ai vari studenti, ma, dato che da sola era riuscita già a rompere una mezza dozzina di bicchieri in soli pochi minuti, si pensò bene di evitare di farle maneggiare qualcosa di fragile, così le toccarono i biscotti.
“E’ un vero peccato che Lys non ci sia…” Pensò, “Beh, chissà ora quanto si sta divertendo con parenti e amici, invece che star qui a portare avanti una festa.” Ridacchiò immaginando l’amica nelle sue stesse condizioni. “Ehi, Flo!” Fu chiamata alle spalle. L’Hufflepuff si girò: “Ellen, che ci fai qui?? Perché non sei alla festa? Dopotutto l’hai quasi completamente organizzata tu, è giusto che te la goda!” “E tu? Vuoi continuare a fare su e giù per il castello senza fermarti nemmeno un momento? Così sarai tu a perdertela tutta!” Ribatté la Ravenclaw. “Non è vero: è qui che ti sbagli,” Spiegò la ragazza. “Non è già una festa vedere tutti quelli di là che divorano tutti felici i biscotti che porto loro?” “Ma, ma… Ma è Natale!” “Appunto, si deve rendere la gente felice oggi, no?” Le sorrise l’altra, passandole un biscotto: “Tieni, questi sono al caramello. Ho chiesto io alla cuoca di prepararli e sono davvero ottimi!” “Grazie…” Rispose prima di portarselo alla bocca. “Guarda!” Gridò Florinda piena di eccitazione indicando una grande vetrata alle loro spalle. E lì fuori anche Ellen poté vedere grandi, bianchi e soffici fiocchi cadere dal cielo e posarsi ordinati tutt’intorno. Già dopo qualche secondo il paesaggio era nuovo, come le due non l’avevano mai visto: un’enorme distesa di bianco copriva ogni singolo spazio, via via fin’oltre le montagne all’orizzonte. “… La neve” Mormorò Florinda incantata. “Ecco cosa rende speciale il Natale: la neve.”
“Flo,” Ad un tratto interruppe il silenzio Ellen fissando l’amica che con il naso appoggiato alla finestra l’aveva un po’ appannata. “Domani finalmente anche io e Laurie partiremo per le vacanze, ho cercato di stare più tempo possibile con voi… Ma i miei hanno insistito tanto perché tornassi a casa. Il che non è che mi dispiaccia, però… Flo, tu come starai?” L’Hufflepuff si stupì molto della piega che stava prendendo la conversazione e subito tentò di rassicurarla: “El, no! Non preoccuparti per me! Non a Natale! Starò benissimo! E poi…” “Non hai proprio nessun posto dove andare per le vacanze?” La interruppe secca, secca, fissandola con i suoi bellissimi occhi azzurri. Si stava preoccupando, sì, e la trovava una cosa più che normale. Ci fu un attimo di silenzio, come se Florinda stesse decidendo che rispondere. Alla fine parlò, dando una pacca sulla spalla all’altra: “Ti ho detto che va tutto bene. Che vuoi che sia? C’è un sacco di gente che non parte, starò in buona compagnia! E poi qui c’è sempre bisogno di una mano! Non è mica colpa mia se…” S’interruppe un attimo “Se i miei genitori sono all’estero per lavoro e io non posso raggiungerli!” Ellen fu molto sorpresa di quell’esitazione che c’era stata a metà frase. Capì immediatamente che qualcosa non andava… Le sembrò quasi che Florinda avesse mentito, e se fosse stato davvero così? Scosse un attimo il capo. No, no, non era possibile… Florinda non le avrebbe mai mentito. In quei tre mesi passati assieme, mai una volta aveva avuto motivo di dubitare della sua parola. Persino quando le era finito il libro di pozioni (prestatole da Eric), non si sa bene come, direttamente dentro il calderone, facendolo esplodere e riempiendo l’aula di fumo, Florinda non aveva esitato nemmeno un momento nel prendersi tutta la colpa. Quindi non era possibile che l’Hufflepuff avesse detto una bugia, eppure… Ellen stava per dire qualcosa, quando la voce di Laurie, che si stava avvicinando, la interruppe: “Ehi, ragazze! Dov’eravate finite? E’ un’ora che vi cerchiamo: è giunto il momento di aprire i regali!” A quella frase gli occhi di Florinda s’illuminarono: “Arrivo!” Rispose tutta contenta, “Anzi, arriviamo!” Continuò, sorridendo ad Ellen che la guardò ancora un po’ sorpresa.
“Che stanchezza!” Sospirò Florinda buttandosi sul suo letto e lanciando a un angolo della stanza il suo cappello da Babbo Natale. Era stata una giornata particolarmente faticosa e con quello che aveva mangiato, poi… Si sentiva davvero esausta. Si sdraiò su un lato, così da poter vedere l’orologio sul suo comodino. Avevano fatto proprio tardi. Con il cenone, la festa e i regali la notte non aveva certo tardato ad arrivare e quasi con sollievo Florinda si rese conto che era tutto finito. Stette per qualche minuto in silenzio e sentì piano solo il leggero russare di Leo, che già da prima gli si era acciambellato vicino. Questo rumore ad un tratto s’interruppe ed il gatto si rizzò di colpo sulle quattro zampe, tendendo le orecchie. Florinda ebbe un sussulto e subito si sedette sul letto guardandosi attorno preoccupata nel semibuio. In uno scatto accese la luce, ma non c’era nessuno. “Leo, mi hai spaventata! Lo sai che le nostre compagne di camera sono tutte partite. Non ci sono che io qui, stai tranquillo.” Sospirò accarezzando il pelo rosso e morbido del gatto che subito si mise a fare le fusa e si riacciambellò tutto felice. Florinda ridacchiò di tenerezza e se lo portò sulle ginocchia, dove lui stette facendo ancora più rumore.
Passarono alcuni minuti, prima che Florinda distogliesse lo sguardo da Leo, ma prima ancora che potesse rendersene conto aveva già bisbigliato un verso spaventato: davanti a lei sul muro vi era un’ombra scura e sinistra che la stava osservando. Saltò in piedi girandosi, stringendo Leo forte al petto che emise un miagolio strozzato. Enorme fu il sospiro di sollievo della ragazza, quando si accorse che quella sagoma minacciosa sulla parete dietro di lei non era altro che l’ombra di un piccolo furetto bianco, che aveva fatto capolino da dietro la porta. Florinda lo riconobbe subito: “Ehi, tu!” Gli disse piano e con voce dolce “Tu sei lo stesso furetto che ho visto qualche tempo fa in biblioteca, non è così?” Ovviamente non ebbe risposta, anche se l’animaletto le si avvicinò con aria furtiva. “Chi sei? Hai un nome?” Continuò allungando la mano, per accarezzarlo. Il suo pelo bianco era irresistibile agli occhi di Florinda e non riuscì proprio o trattenersi dall’accarezzarlo più e più volte fino a che non si sentì pienamente soddisfatta. Il furetto la lasciava fare, rotolandosi a terra e rimanendo sulla schiena. Ad un tratto la bestiola saltò sul letto e rimase lì fino a quando l’Hufflepuff, sdraiatosi anche lei lì, non si addormentò profondamente.
Passarono per Florinda due lunghissime settimane, in cui sentì particolarmente difficile da sopportare la lontananza che la separava dagli altri maghetti. Per cercare di sopprimere la nostalgia, pensò bene di dedicarsi ad una delle sue attività preferite (dopo lo strafogarsi di Mosche al Caramello, s’intende): l’Erbologia. La professoressa Sprite, infatti, sapendo bene che lei era un po’ sola, le aveva affidato la cura delle piante in sua assenza e persino un piccolo spazio nella serra dove avrebbe potuto coltivare ciò che più le andava. Così ogni mattina Florinda si poteva trovare impegnata in strani esperimenti per cercare di creare qualcosa… Un qualcosa che inquietava persino il furetto, che ogni tanto le faceva compagnia nella serra.
“Finito!” Esclamò una mattina trionfante davanti ad un piccolo germoglio un po’ storto. Si asciugò la fronte con una mano un po’ sporca e gli rimase della terra in faccia, ma non se ne accorse. Si alzò in piedi, pulì le mani nel grembiule a fiori rosa che le aveva gentilmente prestato la professoressa (che a lei andava più che grande, ma non se ne preoccupava minimamente). Il suo funghetto le saltellò felice sulla spalla, come per complimentarsi. “Leo, non toccarla!” Fu rimproverato il gatto dall’Hufflepuff quanto tentò solo di annusare lo strano germoglio. “Sarà un regalo perfetto per Lysandra e gli altri.” Sorrise parlando fra sé e sé. “Sapevo che l’avremmo trovata qua!” Commentò Eric entrando nella serra accompagnato da Lysandra che, schivando con ribrezzo tutte le piante che si trovava di fronte, brontolò: “Fra tutte le stanze di questo castello proprio qui devi stare?!” “E… E voi che ci fate qui??” “Come che ci facciamo qui? Domani ricomincia la scuola e noi abbiamo l’obbligo di venirci, Stupidpuff.” Rispose Lysandra togliendosi una foglia che le era caduta sulla testa, per poi pulirsi, ancora più schifata, le mani nel mantello. “Oggi è… è già l’8 gennaio??” Si fece sbalordita l’altra. Lysandra tentò di rispondere, ma appena alzò lo sguardo vide da vanti a sé Florinda che le correva incontro con le lacrime agli occhi. “E… Ma cosa?!” Fece solo in tempo ad esclamare prima di essere travolta da quella furia distruttiva. “ARG!” Sbraitò. “Sei tutta piena di terra e fango! Che schifo! Toglimi subito le tue sudici mani di dosso!” Continuò dimenandosi. “Lys, Lys, mi sei tanto mancata!” Non l’ascoltò Florinda piangente, stringendo la Slytherin ancora più forte fin quasi a stritolarla. Ad un tratto Lysandra incrociò lo sguardo di Eric, che annuì in silenzio, così parlò: “Senti, io ed Er dobbiamo dirti una cosa…” Tossicchiò: “Forse è meglio se ti siedi.” Continuò un po’ incerta. La sua voce era calma, ma allo stesso tempo preoccupata e forse anche un po’ rassegnata da ciò che stava per dire. Florinda rimase molto sorpresa da ciò che aveva sentito e si preoccupò ancora di più quando, guardando Eric, vide che la sua espressione era ansiosa e cupa. Si rese subito conto dove aveva già sentito quella frase e, presa da sconforto, la ragazza si portò le mani davanti agli occhi e quasi singhiozzò. I ragazzi fecero per avvicinarsi per cercare di tranquillizzarla, anche se non avevano molto ben chiaro ciò che stava accadendo. Prima però che potessero parlare, quella li precedette: “La stessa frase, anche voi… Dovevo immaginarlo: nulla dura per sempre. Anche voi, come loro, voi…” Si strappò il cappello dalla testa e lo buttò a terra, quasi con odio. I suoi capelli si erano fatti scuri e il suo volto si era rigato di lacrime. “Anche voi… Avete, avete deciso di abbandonarmi, non è così?” Concluse secca stringendo i pugni. In quel momento anche Ellen e Laurie entrarono nella serra e videro ciò che stava succedendo. “Ehi, ma…” Tentò di esclamare Laurie, ma Ellen gli tappò la bocca e lo nascose assieme a lei dietro ad un cespuglio poco lontano. I due non erano stati visti e lei aveva agito d’istinto: voleva saperne di più.
“Ma che diamine stai dicendo??” La interruppe Eric ad un tratto. “Come ti viene in mente una cosa del genere?!” Continuò Preoccupato. Florinda alzò lo sguardo e balbettò: “Ma… Ma quella frase…” “Flo, ascoltami bene, perché lo dirò una e una sola volta.” S’intromise Lysandra irata. “Non so a che cosa diavolo sta pensando quello stupido cervello di cui sei provvista, ma noi siamo qui con te per aiutarti e resteremo qui per sempre! Non ci verrà mai in mente di abbandonarti, mai!” La Slytherin aveva parlato velocemente, le parole le si erano affollate nella mente cercando un’uscita e lei non era riuscita a fermarle. Imbarazzata distolse lo sguardo dall’Hufflepuff, essendosi finalmente resa conto della frase appena detta. “Beh, sì, ecco… Io…” Balbettò ancora più imbarazzata “E non fissarmi così!” Continuò dopo essersi girata verso Florinda che la guardava con occhi colmi di gratitudine. “Dite, dite davvero?” Chiese l’altra, trattenendo quasi il respiro. “Certo, Flo, stai tranquilla. Finché ci saremo noi non ti accadrà nulla.” La rassicurò Eric. “E’ vero, o no, ragazzi?” Continuò alzando un po’ la voce, così da esser certo che Ellen e Laurie l’avessero udito. “Ci ha visti, dannazione…” Bisbigliò la Ravenclaw uscendo dal suo nascondiglio. Laurie si avvicinò velocemente a Florinda e un po’ impacciato prendendole le mani dichiarò: “Non ti preoccupare, starai bene con noi! Ti proteggeremo!” “Questo l’ho già detto io…” Non si trattenne Eric, fissando il Gryffindor con sguardo glaciale. Di colpo Laurie lasciò andare Florinda, ma non riuscì a non chiedere: “Ehi, Flo, ma… Ma i tuoi capelli?” Stupito, infatti osservò che la testa dell’altra stava ancora cambiando colore, diventando di un arancio acceso. “Laurie, Laurie, Laurie… Possibile che tu sei sempre l’ultimo a sapere le cose. Non è ovvio? È una Metamorfomagus.” Ridacchiò Ellen divertita. “E tu come facevi a saperlo??” “Semplice, non lo sapevo fino ad ora, ma… E dai, non è difficile riconoscere un potere forte come questo.” Sorrise fiera di sé.
Ci volle un quarto d’ora buono per riuscire a spiegare a Laurie cosa fosse un Metamorfomagus, ma quando ci si riuscì, fu ancora più difficile spiegargli cos’era lo Stregunto e a cosa servisse. Anche se forse la cosa più complicata fu il riuscir a scollare da Lysandra Florinda, che le si era avvinghiata in un altro, quasi eterno, abbraccio.
Quando le cose si furono un pochino calmate, Florinda si fece seria e chiese appoggiandosi ad una grande radice che spuntava dal terreno, perfetta per essere usata come sedia: “Che, che cosa volevate dirmi?” Eric le si avvicinò, dopo aver raccolto il cappello giallo di Florinda da terra, porgendoglielo. “Ecco… Il fatto è che abbiamo una buona e una cattiva notizia.” Disse deciso.
“Che cosa?!” Quasi urlò Ellen alla notizia che la pagina strappata del suo libro era collegata allo strano ciondolo dell’Hufflepuff. “Non ne siamo poi così certi!” Aveva cercato di tranquillizzarla lo Slytherin, temendo di spaventarla troppo. Dopotutto quella che aveva appena raccontato era una storia che riguardava il mistero, la morte… Non voleva in alcun modo rovinare l’aria tranquilla e spensierata che da sempre era accompagnata la Ravenclaw. Al contrario quella sembrò sobbalzare di gioia alla notizia: “Un racconto Giallo! Il mio genere preferito!” Sospirò sognante. “… Ma, ma non hai paura??” Chiese Laurie un po’ tremante. “Questa sarà una grande avventura, me lo sento! E chissà poi che grande libro ne potrebbe venir fuori, magari pure sette!” Lo ignorò la Ravenclaw, fantasticando sempre più ad occhi aperti. “Oppure otto film!” S’intromise Florinda, che condivideva a pieno l’euforia dell’altra. Laurie le guardò con un’espressione sconvolta, rimproverandole: “Vi hanno appena detto che c’è un pericolo di morte, magari anche collegato a….” S’interruppe un attimo: “A Voi-Sapete-Chi… E ci fantasticate sopra come se nulla fosse?!” Ovviamente, come al solito, fu ignorato. “Perché in questo posto non c’è nemmeno una persona normale?” Brontolò fra sé Lysandra. Florinda, col cuore in gola, di colpo chiese ad Eric: “Avevi detto che c’era anche una buona notizia, giusto?” Lui le sorrise e con calma portò una mano alla tasca, estraendo lentamente uno strano ciondolo dalla forma sferica circondato da una bizzarra spirale di bronzo. Nel vederlo, lo sguardo di Florinda s’illuminò e per lo stupore si portò le mani alla bocca. “Il mio Stregunto!” Mormorò felice. “L’abbiamo ritrovato.” Arrivò Lysandra in soccorso ad Eric che, naturalmente non sapeva bene come spiegare il perché ce l’avesse lui. “Vi ringrazio, grazie! Grazie!” Si commosse l’Hufflepuff stringendo il ciondolo fra le mani. “Posso farti una domanda?” Chiese Lysandra, l’altra annuì. “Prima… Prima quando hai pensato che ti volessimo, sì, insomma… Abbandonare, hai detto qualcosa come ‘anche voi’, posso sapere il perché?” Ci fu un attimo di silenzio, poi Florinda parò: “E va bene... Però non so da che parte cominciare… Ehm, allora…” Mentre l’Hufflepuff stava cercando di fare mente locale e di capire da dove iniziare, i presenti capirono subito che si trattava di una questione di cui la ragazza non amava discutere. Essendo Florinda molto agitata, Lysandra decise che non era giusto metterla così in difficoltà: “Senti, se non ti va di parlarne non…” “Ve lo devo.” Disse con tono risoluto l’altra. “Siamo amici, no? Fra gli amici non devono esistere segreti.” Continuò convinta. Fu così che, cercando di mantenere il più possibile la calma, Florinda raccontò per filo e per segno ogni cosa… Erano già passati quasi due anni dall’ultima volta.

Capitolo ottavo: I ricordi di Florinda.

 
“Flo! Vieni qui, Florinda!” Urlò una vecchina alla finestra. “Eccomi, nonna!” Rispose una voce squillante e una bambina comparve da dietro una collinetta poco lontana. Aveva dei buffi codini biondi, accompagnati da una frangetta un po’ spettinata (che forse doveva essere finalmente tagliata, poiché le arrivava quasi agli occhi). Le sue mani erano sporche, come al solito, di fanghiglia e terra, ma anche i vestiti non erano certo da meno. Portava dei pantaloni giallo limone, con ai lati due fiocchetti un filo più scuri, proprio sulle ginocchia, abbinati ad una camicetta molto semplice e bianca. Infine alla testa era provvista di una coroncina di margherite, che aveva abilmente appena colto nell’ampio prato a cui dava le spalle. Florinda sapeva bene che in quel luogo era racchiusa una straordinaria e potente magia. La natura lì sembrava regnare sovrana e lei non si sarebbe affatto stupita se all’improvviso gli splendi fiori di cui era circondata avessero acquistato magicamente il senno: parlandole o facendo oscillare il loro petali colorati con aria vanitosa.
Quando la vecchia la vide, si ritrasse dalla finestra del primo piano e scese per venirle incontro. La bambina, dopo aver percorso gran parte del giardino stregato di corsa, finalmente raggiunse la casina color rosso pastello, che sembrava proprio una di quelle che si possono trovare nelle fiabe.
“Che furia distruttiva che sei, cara! Ah, avessi io la tua energia!” Rise la signora. “Ehi, ehi, aspetta! Non vorrai mica entrare così tutta sporca in casa, vai su in fretta a lavarti le mani che poi… Poi ho una sorpresa per te.” Concluse parlandole piano, quasi all’orecchio, come fosse un segreto, anche se lì intorno non c’era nessuno che potesse ascoltare. “Subitissimissimo!” Quasi urlò la bambina tutta pimpante, fiondandosi su per le scale, che poi scese ancora più rumorosamente appena mezzo minuto dopo.
“Oggi che giorno è, bambina mia?” Chiese la vecchina a Florinda, facendole segno di sederle accanto, entrambe sulla loro poltrona di velluto arancio. Quella era la loro poltrona, pensò Florinda: né troppo piccola, né troppo grande sembrava proprio perfetta per stare sedute vicine ed era lì che la nonna le comunicava i fatti importanti, sì, insomma, quelli da ‘bambina grande’ (com’era solita definirli lei). “Questa la so! Questa la so!” Rispose tutta eccitata, saltando vicino alla nonna. “È il mio compleanno!” “Esatto, cara, esatto: oggi è il 21 Marzo, primo giorno di primavera. Hai visto, no, come sono cresciute bene le nostre piante? Che ne dici, sono belle?” Domandò guardando fuori dalla finestra, che le stava vicino. “Sai, sta tutto qui dentro.” Le disse dandole un leggero colpetto sulla testa. “Significa… Che anche nella mia testa crescono delle piante??” Chiese a bocca aperta la bambina portandosi entrambe le mani sul capo, preoccupata. “Ma no, sciocchina.” La rassicurò la nonna. “Qui dentro c’è il tuo potere ed è questo a renderti speciale.” “Speciale?” Ripeté Florinda, forse senza nemmeno accorgersene. “Oggi compi 8 anni ed è in questo periodo che il potere si stabilizza e comincia piano piano a manifestarsi anche agli occhi della gente comune.” “Comune? Ma… Ma sono malata??” La vecchina rise: “Ma no, ma no… Non è una malattia, è un dono e una persona così, con questo dono come noi, si chiama Metamorfomagus.” “Metamorfo… Ma, ma che significa?” “Non ti è mai capitato di vedere sulla tua testa qualche ciuffo di capelli di un altro colore, che so, viola per esempio?” La bambina annuì. Era già da qualche giorno che le capitava e non era ancora riuscita a capacitarsene… Fino ad ora. “Fra qualche anno, dopo un po’ di pratica, sarai in grado di usare il tuo potere completamente. Ci vorrà un po’ di fatica, ma ci riuscirai e alla fine sarai perfettamente in grado di cambiare il tuo aspetto quando e come vorrai.” Concluse alla fine. La bambina la stava a sentire, con occhi grandi e spalancati. Da un lato era sorpresa e un filo spaventata, ma dall’altro era entusiasta per quella che riteneva, inizialmente, una magnifica scoperta.
“Tieni, questo è per te.” Disse ad un tratto la signora togliendosi lo strano ciondolo di forma sferica circondato da una bizzarra spirale di bronzo, che da sempre aveva visto al collo della nonna. “Ma è tuo!” Protestò la bambina. “Serve più a te, fidati: il tuo potere è più potente del mio, anche se ancora non puoi rendertene conto.” Le sorrise. “Questo non è un ciondolo qualsiasi, l’ho creato io e serve per nascondere il tuo potere a persone, come i babbani, a cui non vorrai far sapere che sei una Metamorfomagus. Capisci, è di vitale importanza che solo le persone di cui veramente ti fidi lo sappiano.” “… E come faccio a riconoscere di chi mi posso fidare?” “Ecco, vedi… Lui, il ciondolo, si illuminerà di colore diverso a seconda di chi hai di fronte, sarai tu ad interpretare il suo volere.” Rispose, mettendo al collo della nipote lo strano ciondolo. Lei lo prese fra le mani: “Ma come posso, io…” “Te l’ho detto,” La interruppe la nonna, toccandole di nuovo la testa. “Sta tutto qui dentro, non te lo scordare.” Florinda, un po’ perplessa, guardò attentamente il ciondolo e notò solo allora che era formato da una pietra nera e lucida. “Funzionerà?” Chiese sempre più incerta. “Certo, lo Stregunto saprà arginare bene il tuo potere e magari ti potrà guidare nei momenti di difficoltà.” “Lo Stregnunto?” “Ma no, non Stregnunto, Stregunto!” Rise la nonna accarezzandola, poi continuò: “Ma le sorprese non sono finite, oggi è il tuo compleanno, no? Ed ho io il regalo giusto per te.” “Un regalo? Un altro??” Chiese tutta eccitata Florinda. “Sì, sarà un amico molto prezioso e giura di trattarlo bene, mi raccomando. Vi dovrete accudire a vicenda un giorno…” Sospirò tristemente alla fine la vecchina, ma Florinda non se ne accorse, troppo curiosa di sapere quale fosse il suo prossimo regalo. “Che cos’è? Che cos’è?” Chiese impaziente. Invece di risponderle, l’altra alzò in aria la bacchetta e la scosse un poco, fino a che dalla sua punta non ne uscì una polverina celeste, che invase tutta la stanza. Quando questa si dissolse Florinda poté vedere in braccio a sé un cucciolo di gatto rosso e particolarmente peloso. Era così piccolo e leggero, che lei riusciva comodamente a tenere sollevato con una mano sola. Guardandola con aria un po’ assonnata, il micino emise un acuto miagolio, un po’ confuso dal forte rumore di fusa. “Questo… Questo… È uno dei regali più bellissimissimi che io abbia mai ricevuto! Grazie nonna!” Esclamò Florinda abbracciando la vecchina. Quella rise: “Non si dice più bellissimissimi, sciocchina. Sono contenta, però che ti piaccia. Dai, ora va a giocare con il tuo nuovo amico, che a me tocca preparare la cena.” La bambina annuì e con il suo nuovo e insolito compagno si fiondò fuori, in giardino.
“Diventeremo inseparabilissimissimi!” Esclamò la bambina al micino, che a stento riusciva a starle dietro, correndole, un po’ incerto, alle spalle. Ad un tatto quella si buttò a terra, esausta: quella era stata una giornata calda e faticosa, di quelle giornata che non si vedono molto spesso i primi giorni di primavera. Florinda stette a guardare un po’ il tramonto, là, lontano all’orizzonte. Poi chiuse gli occhi, lasciando che un venticello tiepido le accarezzasse il viso. Sarebbe stato tutto così perfetto se ci fossero stati anche i suoi genitori con lei… Sospirò, ma che stava penando? Dopotutto non li aveva nemmeno mai visti e non sapeva proprio dove o chi fossero. Aveva provato viarie volte a chiederlo alla nonna, che non aveva voluto affrontare l’argomento, continuando a ripetere che ci sarebbe stato un momento per ogni cosa, un giorno.
Florinda sapeva di essere sempre vissuta con la nonna, senza nessun’altro, in quella casina color pastello, poco distante da un allegro paesino di montagna. Eppure a volte, quand’era sola o triste, le veniva alla mente uno strano pensiero, come un ricordo distaccato, che non aveva mai vissuto: era l’immagine di una grande casa, con all’interno tante donne vestite di colori scuri ed espressioni tristi, come se per loro la magia non esistesse… Florinda di colpo aprì gli occhi e si rese conto che ormai il sole era tramontato e che si stava facendo davvero buio: era giunto il momento di tornare a casa. Si guardò attorno alla ricerca del suo micino e lo vide impegnato in una divertente lotta con un grosso fiore giallo pieno di petali. “Lascialo stare, non è cattivo!” Esclamò Florinda divertita. “È un Dente di Leone, non ti può far niente! Uhm… Dente di Leone… Leone…” Continuò pensierosa, grattandosi la testa. Poi s’interruppe un attimo fissando il fiore, con espressione concentrata. “Non è male sai? Leone… Leo! Sì, ho deciso: da oggi in poi tu sarai Leo!” Concluse alla fine abbracciando il gattino, che non aveva molto ben capito.
“Superbuonissimissimo, nonna!” Esclamò Florinda con la bocca piena, dopo aver addentato una grossa fetta di torta. “Stai attenta a non sporcarti e a non ingozzarti!” Si raccomandò la signora, poi rise di gusto, coprendo il viso della nipote con un tovagliolo: “Hai tutto il naso sporco di panna, vuoi fare un po’ di attenzione?” La bambina si pulì energicamente, tentando di ribattere: “Non ho fatto apposta! È la torta che…” Ma non riuscì a finire la frase che fu interrotta dal forte ululare del vento, che si era improvvisamente alzato. Tutte le persiane iniziarono a sbattere, sempre più violentemente, mentre il fischio del vento si faceva più forte. Dall’esterno le fronde degli alberi iniziarono a muoversi scontrandosi brutalmente fra loro, come mai prima Florinda avesse mai visto. “Che, che sta succedendo?” Chiese lei tremante, stingendo Leo, saltatole in braccio. La nonna schizzò in piedi, quando anche i muri della casa si misero a tremare e abbracciò forte la bambina, che si era messa a singhiozzare spaventata. Sembrava fosse davvero la fine, pensò Florinda stretta al petto della nonna. Ad un tratto però tutto tacque e la tempesta, che fino a qualche minuto prima ruggiva rabbiosa fuori dalla finestra, si placò di colpo. Persino la corrente, che poco prima sembrava essere saltata, tornò e tutto sembrò tornare alla normalità. “È, è finita?” Balbettò Florinda, senza riuscire a staccarsi dalla nonna. “No,” Quella rispose in tono secco, “È solo l’inizio: stanno arrivando.” La schiena della bambina fu percorsa da un brivido gelido: Chi, chi stava arrivando? Che cosa stava succedendo? Perché? Cosa volevano da loro quelli che stavano arrivando? Senza nemmeno rendersene conto, Florinda era stata portata velocemente nell’altra stanza dalla nonna. Quella velocemente la spinse in un camino, che la bambina non aveva mai visto acceso. “Ora fai molta attenzione.” Le fu detto. “Devi assolutamente restare qui, qualunque cosa accada. Stai tranquilla, non ti succederà nulla.” Continuò la nonna. Florinda in quel momento provò una spiacevole sensazione, una sensazione che le sembrava di aver già provato, in un tempo più lontano, anche se non ricordava quando… Come in un’altra vita. I suoi occhi si riempirono di lacrime, quella sensazione cupa la stava inghiottendo: era così piccola, così fragile… Perché le stava succedendo tutto questo? Sentì come una morsa schiacciarle il petto e volle urlare, urlare… Ma non ci riuscì, come se non avesse più forze. In quel momento le sembrava di star rivivendo orrori che non aveva nemmeno potuto immaginare. Ad un tratto sentì una mano calda e amorevole sfiorarle i capelli e immediatamente le ombre svanirono. Alzò lo sguardo e vide, un po’ appannato dalle lacrime, il sorriso di sua nonna. Sembrava come una luce in un lungo tunnel buio e riuscì in qualche modo ad incoraggiare la bambina. “Stammi bene a sentire.” Riprese la nonna. “Va da Garrick Olivander e dagli questa.” Disse consegnando alla nipote una bacchetta. “Lui saprà cosa fare.” Il cuore di Florinda iniziò a battere forte, quando riconobbe l’oggetto che aveva tra le mani ed esclamò: “Questa, questa è la tua bacchetta! Senza come farai?!” L’altra le fece segno di restare in silenzio, portando il dito ossuto davanti alle labbra. “Promettimi che starai qui buona.” Bisbigliò. La bambina annuì, con gli occhi ancora una volta gonfi di lacrime. “Non fare così…” Parlò per l’ultima volta la nonna, prima di alzarsi e andare nell’altra stanza. “Un giorno ci rivedremo, fidati di me… Lo Stregunto ti aiuterà, non abbandonarlo per nessun motivo: ne va del futuro di tutti.”
Florinda, rimasta sola nella stanza, non osò muovere un solo muscolo. Sentì il frastuono della porta fracassarsi e un confuso rumore di passi nella stanza affianco. Si tappò la bocca con entrambe le mani per paura che qualcuno potesse udire i suoi singhiozzi, quando sentì una voce spaventosa rivolgersi a sua nonna: “Dov’è?” Chiese soltanto. Poco dopo nell’altra stanza ci fu un rumore confuso di passi e la bambina vide tre individui incappucciati entrare dalla porta, spingendo brutalmente la vecchina. Quando quella fu lasciata andare, l’individuo di mezzo, che sembrava dare gli ordini agli altri due, parlò, dal suo lungo mantello nero. Così Florinda poté nuovamente udire quella voce spaventosa: “Non provare a mentirmi, vecchia. Sento la sua presenza. Dimmi subito dov’è!” L’altra con il capo chino sospirò, quasi ironizzando: “Credi davvero che io ti lasci ricominciare quell’insulsa guerra?” “Sì, se tieni cara la vita.” Rispose l’uomo puntandole davanti agli occhi la bacchetta. “Sono arrivata fino a questo punto con le mie sole forze, abbandonando tutto e tutti, per poter donare un futuro ai miei cari. Ed ora tu credi che sarà così semplice convincermi a mollare tutto ciò per cui ho lottato?” “Anche senza la tua collaborazione noi troveremo la Pietra e questo lo sai. Sento la sua presenza, meglio di chiunque altro e ti posso assicurare che è proprio qui, in questa stanza.” Ringhiò la voce e in quella Florinda si strinse ancora di più contro la parete del camino, sempre più in ansia. “Vedi di ragionare,” Cercò di convincerlo la signora. “Sai benissimo cosa succederà se io ti restituisco la Pietra. Ti prego, non farlo…” “Smettila con i giochetti, sono stanco di darti la caccia e finalmente sei qui, davanti a me. Oh, sì, gli anni ci hanno cambiati entrambi, ma ti ho riconosciuta ed ora voglio ciò che mi spetta.” “Ti prego, tu non sei malvagio… È Lui che ti ha cambiato, non farlo… Ti scongiuro: non puoi dargli la Pietra! Io ho visto cos’è successo dopo il ritorno del suo potere e lo sai bene. Quante morti dovranno ancora esserci?” Disse la signora allungando verso l’uomo la propria mano, in segno di pace. Quello irato la scostò con violenza: “Taci! Devi tacere! Sai che da allora io non ti ascolto più, non credo più ad ogni singola tua parola! Da quel giorno tu per me sei diventata insignificante… Io odio le tue parole!” S’interruppe un attimo, rendendosi conto che aveva iniziato ad urlare. Poi con voce più calma, continuò: “Ma ora basta parlare di questo, dammi la Pietra. Te lo ordino.” La nonna fece un passo indietro, e con rassegnazione disse: “E va bene, hai vinto tu. Anche se non mi stancherò mai di ripeterti che ciò che è successo non è stata colpa delle mie parole: io volevo solo aiutarti.” Alzò lo sguardo e notò gli occhi lucidi dell’uomo di fronte a sé. Sorrise: “Finalmente riesco a vederti per quello che sei, grazie. Sarà un buon ricordo.” Camminò all’indietro fino a toccare con la schiena il camino e in quella Florinda temette di essere vista, ma ciò non accadde. Possibile che la nonna le avesse donato il potere dell’invisibilità? Come aveva fatto? E quando? Ad un tratto sentì qualcosa di caldo toccarle il petto, abbassò lo sguardo e vide che il suo ciondolo si era illuminato di un’intensa luce oro. Di colpo capì: era lui, era lo Stregunto che la faceva sembrare invisibile, ma come..?
La nonna era così indietreggiata da essere a non meno di un paio di palmi da lei. “Tu? Aiutarmi? Ma non farmi ridere!” Continuò l’uomo, quasi divertito. “Se non mi avessi ostacolato e poi abbandonato, noi non ci ritroveremmo certo qui.” “Io non ti ho mai…” Tentò di replicare lei, ma fu interrotta: “Finiscila!” Urlò l’altro. “E per l’ultima volta: la Pietra!” Ci fu un attimo di silenzio, interrotto solo dalla voce della nonna: “No.” Disse piano. “Non posso.” Fu un attimo: si girò di scatto verso Florinda e aprì la mano. La bambina fu ricoperta da una strana polvere scura, simile a cenere. Ma in quel momento uno dei due individui incappucciati, fino ad allora rimasti in silenzio, temendo che la signora attentasse alla vita del proprio padrone, alzò la bacchetta e la stanza fu invasa da una forte luce verde, un verde che la bambina non aveva mai visto e mai avrebbe voluto vedere. Quella tentò di urlare quando vide la nonna cadere a terra, ma nessuno la sentì, forse perché il suo urlò si confuse sotto quello disperato del primo uomo incappucciato. Per un attimo la bambina sentì tutto molto caldo attorno a sé, così chiuse istintivamente gli occhi, quando delle strane fiamme, anch’esse verdi, l’avvolsero.
Qualche secondo dopo improvvisamente tutto tacque, come se nulla fosse mai successo. I suoi occhi rimasero serrati per qualche minuto, non voleva aprirli: non voleva rivedere ciò che, che… Che aveva il terrore soltanto d’immaginare. Il suo volto fu ancora una volta rigato dalle lacrime e solo allora Florinda si decise e di colpo aprì i suoi grandi occhi scuri.
Con grande sorpresa si ritrovò in un piccolo camino di pietra, in cui a stento riusciva a restarvi accucciata. Sgranò gli occhi, ma dov’era? Si guardò attorno: davanti a sé vi era una stanza piena di scaffali su cui si trovavano varie fiale e boccette di vetro impolverate. Tutte avevano forma e grandezze differenti e contenevano liquidi diversi e dai colori scuri. Florinda non riusciva molto a guardarsi attorno perché la luce nella stanza non filtrava che da dietro una tenda grigia, sulla destra. La bambina si tirò in piedi, lasciando andare il gatto e stringendo forte la bacchetta della nonna davanti a sé. Aveva solo 8 anni e non sapeva ancora scagliare incantesimi, tuttavia puntava quella bacchetta come se già le appartenesse… Era una sensazione strana, come se ancora una volta stesse vivendo in un sogno. Ad un tratto scorse una piccola porta di legno, si avvicinò e un po’ tremante la aprì. Si ritrovò in un vicolo. Faceva freddo, ma Florinda non se ne preoccupò e fece qualche passo in avanti, fino ad arrivare in una strada illuminata. Seppur fosse sera, molte persone ancora giravano a passo svelto in quella che sembrava essere un’allegra cittadina. La bambina si arrestò, scrutando quasi incredula i passanti. Solo allora ricordò: quando nel camino la nonna l’aveva ricoperta di quella strana polvere, la vecchina aveva bisbigliato qualcosa. “Diagon Alley” Mormorò la bambina ancora incredula, ripetendo ciò che la nonna aveva detto. Era lì che l’aveva mandata, per proteggerla. “Ehi, ma tu stai piangendo! Ti senti bene?” Le chiese una donna che le si era avvicinata preoccupata. Fu il suo abito a riportare Florinda alla realtà, un lungo vestito rosso scintillane adornato al collo con una volpe grossa volpe dal pelo arancio. “Cerco, cerco… Olivander.” Riuscì solo a balbettare la bambina, non distogliendo lo sguardo dall’animale, che le sembrava stesse respirando, profondamente addormentato. “Ah, parli del negozio di bacchette? È proprio qui in fondo alla strada, sulla destra.” Rispose la donna gentilmente. “Ehi, sicura di star bene?” Continuò urlando verso Florinda, che si era messa a correre nella direzione indicata, inseguita dal suo inconfondibile gatto rosso. Quella confusa non rispose, senza riuscire a fermarsi. Con il cuore in gola raggiunse finalmente un’insegna. “Olivander” Lesse praticamente senza fiato, ma con un filo di speranza. Si mise dapprima a bussare, poi proprio a picchiare forte coi pugni sulla saracinesca abbassata. Qualche attimo dopo si sentì una voce provenire dall’interno: “Chi va là?” Era una voce roca, come di qualcuno appena svegliato. “È, è Olivander??” Chiese Florinda tremante, smettendo di colpo di picchiare contro l’ingresso del negozio. “E tu chi sei? Non vedi che è chiuso ora?” Continuò, essendosi accorto che il suo interlocutore non era altro che una bambina. “La prego: mi apra!” Urlò Florinda senza ascoltarlo. L’uomo all’interno brontolò qualcosa, poi ci fu silenzio. Quando ormai la bambina aveva perso le speranze, si sentì un energico rumore di chiavi, la saracinesca finalmente si alzò, la porta si aprì ed un uomo uscì in strada. Era alto e magro, dai capelli bianchi un po’ radi e spettinati. I suoi occhi cerulei fissarono incuriositi la bambina che le stava di fronte. Questa, senza perdere un minuto di tempo, si fiondo nel negozio rincorsa dal suo micino rosso. Si guardò attorno un po’ incerta, poi porse all’altro la bacchetta della nonna, come le era stato detto. Voltandosi, Olivander incespicò nella vestaglia color ambra che portava, ma si affrettò comunque ad allungare le braccia magrissime verso l’oggetto. Al solo sfiorarla, però, la sua espressione mutò di colpo e anch’egli vide, come in un incubo, ciò che era appena accaduto alla bambina. Barcollò un attimo all’indietro, non si sarebbe mai aspettato di vedere immagini così tanto violenti e orribili. Si ricompose portandosi le mani alla testa, gli doleva un po’. Si sorprese: era da molto che non vedeva in giro una bacchetta-missiva, di solito le si utilizzava in caso di guerre, per inviare messaggi segreti ai propri alleati. Era davvero un fatto strano, si rese conto Olivander osservando accuratamente la bacchetta, come immerso nei suoi pensieri. Di colpo si ricordò della bambina e alzò lo sguardo: lei era lì, davanti a lui, immobile e spaventata. Rendendosi subito conto della situazione, il vecchio cercò di tranquillizzarla. “Ti va, ti va qualcosa di caldo da bere?” Disse la prima frase che gli venne in mente. Si sentì a disagio: non era pratico di queste cose lui, non aveva mai avuto figli ed era sempre stato un uomo solitario senza interesse alcuno, se non la sua attività da artigiano di bacchette… Eppure sentiva come un forte senso di attaccamento e di protezione verso quella creaturina smarrita e tutta sola, come se già la conoscesse… Ma dove? Quando l’aveva già vista? Si grattò il capo un po’ confuso. La bambina annuì in fretta, un po’ rassicurata dalla voce calma dell’uomo. Olivander l’accompagnò nella stanza accanto, passando per una porta che stava proprio dietro al bancone del negozio e la fece accomodare su una grossa poltrona blu scuro, dove sia Florinda che Leo si acciambellarono esausti. “Ecco, vedrai che ora andrà meglio.” Disse gentilmente l’artigiano passando una tazza ti tè bollente alla sua ospite, qualche minuto dopo. “È una bevanda magica: serve per scacciare i cattivi pensieri.” Continuò sorridendo. Florinda afferrò la tazza con entrambe le mani, la portò alla bocca. E il liquido caldo le scaldò il petto. Chiuse gli occhi gustandone il suo sapore dolce, che sentì arderle piacevolmente la gola, non lo riconobbe subito, ma dopo un altro sorso capì: caramello, semplice caramello. “Ti senti meglio ora?” Chiese compiaciuto Olivander, quando Florinda ebbe finito. Quella annuì di nuovo, finalmente tranquilla. “Aspettami qui, torno subito: vado a mettere via questa.” Continuò indicando la tazza, prima di uscire dalla stanza.
“Eccomi di ritorno!” Esclamò rientrando qualche minuto dopo, ma si zittì subito notando che la bambina si era profondamente addormentata. Così l’uomo, sospirando, si diresse verso un baule poco lontano, lo aprì e vi frugò energicamente dentro. Dopo qualche istante, tutto fiero, ne estrasse una coperta, con la quale delicatamente avvolse Florinda ed il suo gatto. Sfinito ad un tratto si lasciò cadere su una sedia dietro di lui, bisbigliando piano: “Buona notte, Florinda.” Cercando di non svegliare l’addormentata.
Un forte raggio di sole la colpì, così Florinda si svegliò stiracchiandosi e in uno sbadiglio aprì gli occhi. Con aria assonnata non si rese subito conto dove fosse, si stropicciò le palpebre e finalmente si destò completamente, ricordandosi tutti gli spaventosi avvenimenti della sera prima.
Ciò che notò subito davanti a sé fu Olivander, che sonnecchiava su una sedia di legno di fronte a lei. Che fosse rimasto lì vigile per tutta la notte? Quella sedia sembrava fin troppo scomoda per un uomo di quell’età, figuriamoci dormirci, eppure…
La bambina si guardò attorno: si trovava in una stanza molto simile ad un piccolo salotto. La mobilia scarseggiava, anzi, se non fosse stato per quell’enorme poltrona su cui si trovava, un lungo tavolo di legno scuro e qualche sedia non ce ne sarebbe stata affatto. La sala, però, era completamente piena di scatole, piccole scatole pressappoco sempre della stessa grandezza. Florinda si alzò e ne raccolse una da terra, aprendola. Si trovò fra le mani una sottile bacchetta nera dal manico bianco a forma di dente di leone. “Hannah Abbott. Bacchetta da riparare: crine di unicorno da sostituire.” Lesse su un bigliettino dalla calligrafia ordinata, trovato assieme alla bacchetta. Saltò in aria, sentendo improvvisamente un forte bussare sulla saracinesca del negozio. Non sapendo che fare rimise immediatamente a posto la bacchetta dove l’aveva trovata e si fiondò di nuovo sulla poltrona, nascondendosi sotto la coperta. Fece appena in tempo a chiudere gli occhi, fingendosi addormentata, che Olivander si svegliò di soprassalto. Non molto lucido, brontolò: “Arrivo, arrivo!” Si alzò in piedi con malavoglia e nel farlo le sue ossa scricchiolarono tutte. “Dannata vecchiaia…” Sibilò in un gemito. “Arrivo, arrivo!” Tuonò quando dall’entrata si sentì di nuovo bussare. Florinda socchiuse gli occhi e vide il vecchio alzare la saracinesca con estremo sforzo. Si sentirono ancora le sue ossa scricchiolare e l’uomo mugugnare. “Non ho più l’età, non ho più l’età!” Bisbigliò fra sé infelice aprendo finalmente la porta. “Che succede oggi? Il negozio resta chiuso?” Chiese una donna entrando. Sbirciando da sotto la coperta, Florinda la riconobbe subito: era la stessa signora che la sera prima le aveva indicato come raggiungere il negozio di bacchette. Ancora una volta era accompagnata dal suo collo di volpe, che teneva fermamente poggiato su una spalla. Il suo abito però non era più rosso acceso, ma di uno sfarzoso blu cobalto, con una gonna a palloncino che le scopriva, forse un po’ troppo, le gambe storte. La donna appoggiò il suo cappellino di piume di pavone su una sedia e per farlo si piegò in avanti e quasi inciampò nei suoi tacchi vertiginosi. Così facendo mostrò, volontariamente, al negoziante la sua spropositata scollatura a v e il suo petto immenso. “Allora?” Riprese guardandosi attorno. “Dannazione, che ore sono?” “Sono le dieci di mattina passate, mio caro Olly e… Dio, che squallore.” Esclamò con aria disgustata fissando il vecchio. “Se fossi in te non mi azzarderei mai a presentarmi con quei vestiti addosso… Te l’ho detto: i tuoi clienti potrebbero scappare inorriditi.” Continuò indicando la vestaglia scolorita dell’altro, che brontolò: “Serafina, tu non sei mia cliente.” “Ma cosa c’entra? Ci vuole classe, classe nel vestire! Non è forse così, Frufru?” Esclamò accarezzando la volte che aveva al collo. Con grande sorpresa di Florinda, l’animale si mise a scodinzolare felice come fosse un cagnolino. “Ma… Non sono venuta qui per questo, ci vorrebbe troppo tempo.” Riprese la donna, facendosi seria. “Ieri sera non è forse venuta qui una ragazzina tremante come una foglia?” Olivander quasi si stupì: “Non riesco a capire come tu possa sempre sapere tutto!” L’altra ridacchiò: “È ancora qui o il tuo cuore di pietra che rifiutò di sposarmi l’ha portata agli oggetti smarriti?” “Non ritirare fuori questa storia, Serafina!” Sbraitò l’uomo inviperito. “Amo farti imbestialire, è così divertente! Allora, dov’è?” L’uomo, rassegnato, indicò la poltrona da cui, sotto una pesante coperta di lana, spuntava, tremante, una coda rossa.
Passarono i giorni e ben presto Florinda si abituò a questa nuova vita, dopo un mese o due, infatti, era stata praticamente adottata dal vecchio Olivander, che si stava via via sempre più affezionando a lei. Serafina Kelly, con vestiti sempre più assurdi e scollacciati, accompagnata dalla sua volpe Frufru, si presentava tutte le mattine per sapere come stava la bambina. In realtà Florinda sapeva benissimo che la sua salute era solo una scusa che la donna usava per poter vedere Olivander, parlarci e farlo uscire dai gangheri.
Serafina possedeva il negozio di vestiti dall’altra parte della strada e faceva una grande concorrenza alla sartoria di Madama McClan (difatti le due si odiavano a morte). A quanto sosteneva, era lei e soltanto lei la vera esperta di moda e i suoi abiti erano certamente i migliori in tutta Diagon Alley, ma come crederle se anche l’altra diceva esattamente lo stesso? Era molto divertente quando le due bisticciavano in mezzo alla strada e tutto il quartiere si fermava a guardarle. Una volta (per un golfino di lana grigia, se non erro) si erano messe a litigare così tanto, ma così tanto che erano passate addirittura alle mani e i passanti dovettero dividerle a forza per calmarle. Fu in quel momento che Florinda apprese quelle parole che non s’imparano a scuola e rimase davvero affascinata dall’uso con cui Serafina era così d’abile maestria, ripromettendosi di esercitarsi e un giorno fare lo stesso.
La signora Kelly amava spettegolare, quindi non passò molto tempo prima che Florinda sapesse che lei e Olivander avrebbero dovuto sposarsi, ma che quest’ultimo era scappato proprio il giorno della cerimonia, senza in fine combinare nulla. Lei però non aveva mai smesso di amarlo ed era per questo, così diceva, che si era tenuta casta e pura per lui, senza nemmeno provare a cercar nuovo marito. In realtà tutta Diagon Alley sapeva benissimo che era rimasta zitella per il semplice fatto che nessuno la voleva. Non che fosse una brutta donna, tutt’altro, era solo che ormai aveva superato quell’età in cui ci si sposa e, sbalordita, Florinda scoprì che la signora superava addirittura Olivander di un anno. “Il potere del look e del make up!” Era sempre solita esclamare quando veniva scoperta la sua vera età, per nascondere l’imbarazzo e la rabbia.
Per quanto riguardava Florinda, nel giro di sei mesi riuscì quasi completamente a superare la perdita della sua amata nonna (forse un po’ aiutata dalla forte tisana al caramello di cui era estremamente ghiotta), ma non passava singolo istante in cui non s’interrogava su cosa fosse successo quella notte di tre anni prima, quell’orribile notte del 21 marzo 2001.
“A settembre andrai ad Hogwarts, ma guardati: come sei cresciuta in fretta!” Sorrise Olivander una mattina di fine estate. Florinda, impaziente, saltellò sul posto: “Questo lo so, questo lo so!” Va avanti!” Sentendo tutto quel trambusto Leo, che ormai si era fatto grosso e pesante, drizzò le orecchie e socchiuse gli occhi assonnati, per poi rimettersi pigramente a sonnecchiare sulla grossa poltrona di velluto, la stessa che aveva accolto sulla sua stoffa la bambina piangente quella sera, la prima volta che era entrata in negozio. “Stai calma, Flo! Calma! Se ti agiti così sai che mi fai alzare la pressione! Ehi, il mio cuore è debole! Ma mi vuoi dar retta?!” Florinda era troppo felice per restare ferma: di lì a poco le sarebbe stata data la sua prima bacchetta.
“Che cos’è tutta questa confusione?!” Sbottò Serafina entrando, come tutte le mattine, dalla porta sul retro del negozio. “Oggi Florinda avrà la sua prima bacchetta, non ho mai avuto un cliente tanto eccitato.” Brontolò il vecchio con una decina di scatole fra le mani.
Florinda, afferrata con gioia la prima bacchetta, la puntò davanti a sé. Sfortunatamente nello stesso punto vi era anche Olivander, che, se non si fosse prontamente abbassato, sarebbe stato bruciato vivo da una saetta lanciata nella sua direzione. Questa finì contro il muro e creò una crepa spaventosa, mentre il grosso lampadario di vetro tremò paurosamente sopra le teste dei presenti. “Florinda!” Sbraitò il vecchio da dietro il bancone, “Non addosso a me! Hai deciso di uccidermi?!” “E perché no?” Commentò Serafina con un ghigno divertito, “Dopo aver abbandonato una donna, bellissima e innamoratissima, all’altare è la giusta punizione che meriti.” Olivander la squadrò con lo sguardo, senza però accorgersi che Florinda aveva già preso fra le mani un’altra bacchetta e l’agitò. Ci fu una forte esplosione e venne colpito in pieno il lampadario, che scoppiò in un milione di pezzi. Vedendo che le cose si stavano mettendo male, Leo decise saggiamente di spostarsi per andare a rifugiarsi sotto la poltrona, dove assistette alla scena spaventato. Prima che Olivander potesse esclamare qualcosa, Florinda aveva già afferrato una nuova bacchetta e l’aveva minacciosamente agitata. In quel momento la lunga gonna viola scuro di Serafina si alzò in un turbine di vento e le finì in pieno volto, coprendole la testa. La donna barcollò, per poi cadere lunga e distesa a terra in un urlo, sotto la risata di Olivander che non era proprio capace a trattenersi.
Nel giro di un’ora, Florinda aveva già agitato tutti i tipi di bacchette presenti in negozio, senza però alcun risultato effettivo (se non la quasi completa distruzione del negozio stesso). “Ma perché?” Si chiese Florinda esterrefatta, “Perché non trovo la mia bacchetta? Le ho provate tutte!” “Non è così” Tossicchiò per la polvere Olivander, sbirciando da dietro il bancone del negozio. “Ne manca una.” Disse con voce roca: quel dannato polverone che aveva alzato Florinda con l’ultima bacchetta gli era finito tutto in gola. Si alzò in piedi, girandosi sul posto e aprì una mensola sopra la sua testa. “Speriamo che sia la volta buona!” Esclamò Serafina da dietro la poltrona, dove al di sotto vi era ancora Leo un po’ tremante. “Ed ecco la nostra ultima possibilità.” Disse Olivander porgendo una nuova bacchetta nelle mani di Florinda. Quella la riconobbe subito: era di un legno scuro, quasi nero, decorato da una serie di piccole primule fin quasi sulla punta. Florinda quando la sfiorò ebbe un sussulto. “La riconosci, eh? Sì, è proprio la bacchetta di tua nonna, una ebano col nucleo di unicorno. E’ strano, non ne ho mai fabbricate con questa strana decorazione, mi chiedo proprio chi l’abbia creata... Va beh, non importa. Coraggio, agitala.” Concluse in un sorriso. Florinda obbedì e immediatamente un forte profumo di fiori primaverili inondò l’intero negozio, assieme ad una calda luce arancio, che zampillò dalla punta della bacchetta come fosse acqua da una sorgente. I capelli biondi della ragazzina volarono un poco all’indietro, spettinandole la frangia, mentre sentì un forte calore provenirle dal petto. Capì immediatamente dove aveva già provato quella sensazione e d’istinto si guardò al collo: in quel momento rivide, come quella terribile sera, il suo ciondolo illuminarsi di un’intensa luce d’oro. Lo sfiorò con le dita, ma appena si mosse quell’intenso bagliore scomparve e la magia della sua bacchetta si spense. “È lei!” Esclamò Serafina, felice più per il fatto che finalmente almeno quello strazio era finito.
E così pian piano per Florinda passò (non senza l’adeguato caos) anche l’ultimo giorno della sua meritata vacanza.
Quella stessa notte Florinda fece un incubo, un incubo che non le capitava di fare da molte lune. Sognò ancora la grande casa con quelle donne vestite dai colori scuri dalle espressioni lunghe e tristi, che non avevano mai visto la magia. Sentì delle voci confuse, dei forti colpi, botti ed esplosioni, poi più nulla. Si ritrovò in una stanza semibuia e nella penombra intravide la sagoma di un uomo sinistro, con il volto coperto da un cappuccio. Si portò istintivamente le mani alle orecchie, sapeva che quell’individuo stava per parlare. Non voleva ascoltare di nuovo la sua voce spaventosa, lei… Non ne aveva il coraggio. Si guardò attorno spaventata, ma non vide vie d’uscita. Non poteva far altrimenti: doveva affrontarlo. Il cuore le batteva forte, lo sentiva: di lì a poco sarebbe esploso. Di colpo si sentì l’uomo parlare e la ragazzina sobbalzò: “Senti, devo dirti una cosa...” Con stupore Florinda si rese subito conto che quella voce era estremamente fragile, ma allo stesso tempo ricca di calore. Abbassò piano il capo, come se facendo movimenti bruschi qualcosa si rompesse di colpo o sparisse. Il suo sguardo cadde sul petto e vide il suo ciondolo illuminarsi di una luce di un colore che non aveva mai visto, simile a quella del melograno. Tutto attorno a lei s’illuminò di questa luce e Florinda dovette chiudere gli occhi, per paura di restare accecata. Quando li riaprì si ritrovò sdraiata sul letto della sua camera in un lago di sudore. Le coperte erano state buttate alla fine del materasso, assieme al lenzuolo. Si guardò attorno alzandosi seduta. Era notte fonda.

Nel suo racconto Florinda era stata attentissima a non tralasciare ogni minimo, anche magari insignificante, dettaglio. Era da anni che non parlava di quella storia, tuttavia ogni singolo e terribile ricordo era scritto indelebile nella sua mente. Ce l’aveva messa tutta, però non era stata così forte dal riuscir a trattenere le lacrime: quella ferita, seppur lontana, era ancora aperta e bruciava più di quanto la ragazza si sarebbe mai aspettata. Lo sapeva: solo le risposte avrebbero potuto attenuare quel dolore insopportabile e magari un giorno farlo scomparire.
“Ecco, ora sapete tutto... Ed ora vi sto pregando di aiutarmi a trovare delle risposte, io non ce la faccio più a sopportare questo fardello.” Disse piano lei, strofinandosi gli occhi umidi.
Gli altri maghetti non seppero subito che fare o dire, ancora scossi dal misterioso passato di Florinda. Eric fu il primo a prendere una decisione: fece un passo in avanti e allungò lentamente le braccia, accogliendo l’Hufflepuff in un caldo abraccio. “Stai calma ora, vedrai che andrà tutto bene: tutti assieme riusciremo a risolvere il tuo problema.” La rassicurò piano ad un orecchio, di modo che gli altri non potessero udire. Era stato il gesto più spontaneo che lo Slytherin avesse mai compiuto, tuttavia, forse per la sua così ingenua semplicità, intenerì i presenti (persino il cuore freddo di Lysandra fu colpito, anche se mai nessuno riuscì a farglielo ammettere). Quell’abbraccio istaurò una strana reazione a catena e tutti iniziarono a consolare Florinda che, fra le braccia di Eric, si ritrovò commossa. Passato qualche minuto si era già ripresa completamente e ad un tratto si rese conto che Eric la stava ancora stringendo a sé. Con un balzo all’indietro si discostò imbarazzata. “Ehm, ehm, grazie!” Balbettò agitata, giocherellando con lo Stregunto che teneva al collo. “Il ciondolo,” Realizzò Lysandra non appena lo vide. “Non puoi tenerlo: mi dispiacerebbe se chi lo cerca attentasse alla tua vita. Dopotutto tu, essendo una Stupidpuff, sei un esemplare raro e non mi andrebbe di perderti per così poco, almeno non prima di averti studiata a fondo.” Florinda la guardò un po’ confusa. Ellen sbuffò: “Quello che Lys sta cercando di dirti è che tenere lo Stregunto, dato gli ultimi avvenimenti, potrebbe essere molto pericoloso. Mi pare ormai chiaro che qualcuno lo sta cercando e farebbe di tutto per ottenerlo.” “Lo terrò io.” Propose Eric. “Dato che è la mia famiglia a dargli la caccia, il mio collo sarebbe l’ultimo posto in cui mio padre guarderebbe.” Ridacchiò. “E come possiamo fidarci di te?!” Sbottò Laurie, ancora rosso in volto per aver assistito ad un abbraccio fra Florinda e il suo rivale. Lo Slytherin si voltò nella direzione dell’altro: “Stai forse insinuando qualcosa, Gryffindor?” Chiese con voce roca. “Taci, idiota! Si è già deciso così e basta.” S’intromise Lysandra ringhiando (avrebbe fatto qualunque cosa per contestare Laurie, persino allearsi temporaneamente con quello sbruffone di Eric).
Fortunatamente ci fu Florinda a riportare ordine nel gruppo: “Grazie, vi ringrazio infinitamente!” Esclamò tutta pimpante. Era tornata quella di sempre: allegra, solare e imbranata. Ma come aveva fatto? Il volto cupo e rigato di lacrime sembrava non esserci mai stato, guardando quello solare e splendente di ora. Ma che diavolo di potere era mai quello? “Di certo non ne ho mai letto niente.” Si fece pensierosa la Ravenclaw.
“I nostri che??” Ci fu un coro di voci, che rimbombarono per tutta la serra. “Perché siete tanto stupiti? I vostri regali di Natale.” Spiegò Florinda con un sorriso. “So che sono un po’ in ritardo, però, ci ho messo ben due settimane a concludere il mio lavoro.” Continuò tutta eccitata puntando il dito davanti a sé, verso il terriccio di un’aiuola. Gli altri ragazzi si misero in cerchio incuriositi, attorno al luogo indicato e scorsero nel terreno un piccolo germoglio verde, appena nato. “E quel coso che sarebbe?” Chiese Lysandra corrugando la fronte: cosa diavolo le avrebbe potuto regalare quella Stupidpuff? “Questo è un Trifoglio Del Tanti Auguri. È una pianta molto simpatica: viene utilizzata soprattutto ai compleanni (è da lì che infatti deriva il nome) quando non si sa cosa regalare alla persona festeggiata. È molto semplice: fa comparire il regalo perfetto.” Spiegò l’Hufflepuff. “Purtroppo è molto difficile da trovare. Viene coltivato in lontane terre desolate dell’Asia e solo alcune determinate persone lo sanno fare con esattezza. Fortunatamente io ce l’ho fatta!” Esclamò, più eccitata che mai, inginocchiandosi a terra. “Ma come funziona?” Chiese Ellen stupita. Per tutta risposta Florinda di scatto estrasse la bacchetta e la impugnò, con una destrezza mai vista. “Perfetto, El, tu sarai la prima!” Esclamò agitando la sua arma furiosamente e i presenti si dovettero abbassare di colpo per non essere colpiti. Con uno strano rumore di sonagli, il germoglio si trasformò in un enorme fiore blu, simile ad un tulipano. Florinda, rinfoderata la bacchetta e senza un attimo di esitazione, ci cacciò dentro la testa ed entrambe le braccia, fin quasi a capitombolarci dentro. A bocche aperte, gli altri la videro riemergere con la sesta completamente piena di piccoli petali rosa e un pacchetto dello stesso colore fra le mani. “Eccolo qui!” Disse lanciando l’oggetto nelle mani di Ellen, che lo afferrò, un po’ titubante, senza nemmeno vedere che l’Hufflepuff si era di nuovo lanciata nel fiore. Dopo pochi minuti, quando tutti furono provvisti di regalo (persino Laurie) e furono incitati ad aprirlo, non riuscirono a trattenere un’espressione allarmata, come se da un momento all’altro fossero potuti saltare in aria. Lysandra, al contrario delle aspettative di tutti, fu la prima aprire il pacchetto: “Non è abbastanza intelligente per certe cose.” Boffonchiò fra sé, aprendo il regalo. I suoi occhi parvero avere un bagliore quando videro due piccoli foglietti di carta fra le sue dita. “Ma… Ma… Ma questi sembrano… Anzi, sono!” Balbettò. “Un paio di biglietti per il concerto dei Frost Chimaeras! Per il concerto di inizio estate!” Esclamò poi, senza riuscire a trattenersi. “Ma dove li hai trovati?! Sono esauriti già da mesi!” Florinda rise: “Beh, non mi pare che ci siano solo due biglietti...” Lysandra abbassò lo sguardo incuriosita e vide che assieme al regalo stingeva fra le mani anche un piccolo pezzo di pergamena. La sua espressione mutò di colpo quando, aprendolo, lo lesse. “Vacci con Panti…” Bisbigliò piano. “Vacci con Panti?!” Ripeté, questa volta urlando. “Ma come diavolo ti permetti?!” Sbraitò contro l’Hufflepuff, strappando furiosa la pergamena e lanciandola dietro a sé. “Ma… Ma come? Pensavo ti potesse far piacere…” Cercò di scusarsi l’altra. “Piacere?? Piacere?! Ma che cosa ti consiglia quel briciolo di segatura che ti ritrovi in testa, Stupidpuff?!” Non riuscì a trattenersi Lysandra, furente. “Panti..?” Chiese Laurie. “E chi sarebbe?” Lysandra si bloccò di colpo, presa alla sprovvista. Si girò guardando gli altri, impietrita. La sua esitazione durò solo qualche secondo e nessuno ci fece poi così caso: “Idiota, non è affar tuo. Apri il tuo regalo e taci.” Sibilò la ragazza. Quello rabbrividì ed eseguì subito l’ordine.
Poco dopo tutti ebbero aperto i loro regali: una penna prendi appunti automatica ultima generazione per Ellen e una spazzola zero nodi per Laurie. “Che regalo virile abbiamo qui per l’idiota.” Aveva commentato Lysandra, quasi senza accorgersene. A questo punto mancava solo Eric, che stringeva compiaciuto il suo pacchetto. Quasi con la paura di rovinarlo, con cautela lo aprì e l’espressione dei presenti mutò di colpo, quando il ragazzo si ritrovò fra le mani un orsacchiotto di peluche. Florinda strabuzzò gli occhi e i suoi capelli diventarono immediatamente rossi. Ellen, alquanto perplessa commentò con un filo d’insicurezza: “Beh, carino…” Laurie era felice: qualcuno, o meglio il suo rivale, aveva ricevuto un regalo più imbarazzante del suo. Lysandra, dal canto suo, tentò di buon cuore di trattenersi, ma non riuscì proprio a frenare una fragorosa risata. “Non… Non so spiegare perché…!” Balbettò Florinda, scossa. “Non ti preoccupare, non ne hai motivo. Mi piace, piccola.” No, un momento, come l’aveva chiamata? L’altra sentì il suo potere avvolgerla e il suo volto tingersi di rosso. Lo Slytherin sorrise. “Ok, ora è arrivato il momento che io vada.” Disse lasciando la serra, mentre Laurie lo fissava con odio, ma allo stesso tempo con ammirazione, anche se non sapeva bene il perché.
“Quella stupida pianta…” Ridacchiò Eric ormai al suo dormitorio. “Avrà capito che per me non importava del regalo di per sé, ma che fosse Florinda a farmelo...” Pensò, guardando con tenerezza il suo orsacchiotto.

Capitolo nono: Per una pozione di troppo.

 
“Ed ecco come si prepara una pozione invecchiante.” Concluse il professore, mostrando un mestolo pieno di pozione violacea agli studenti. Horace Lumacorno era il suo nome ed era il professore a capo degli Slytherin. Era molto alto e dall’aria simpatica, forse a causa di quei due grossi baffi neri, tinti, con cui era solito giocherellare, arricciandoli con le dita (neanche fosse stato quel babbano di Poirot). Il suo viso era tondo e un po’ arrossato, soprattutto sul naso (non a caso Hagrid l’aveva più volte scambiato per uno dei suoi pomodori mannari e gli aveva spruzzato del disinfettante addosso, scatenando l’inevitabile ira del professore). Da anni era stato soprannominato, sia dagli studenti che dagli insegnanti, il professor Trichecorno, per la sua così netta somiglianza a quell’animale. Ogni volta che sentiva il suo nomignolo l’uomo, offeso, metteva il broncio, somigliando ancora di più ad un grosso tricheco.
Lumacorno, esausto dalla spiegazione, si buttò sulla sedia dietro la cattedra e, dopo aver un tossito per schiarirsi la voce, esclamò: “Ho un compito da darvi, per domani.” Fra i primini ci fu un boato di scontento. “Silenzio, silenzio!” Disse impaziente il professore, picchiando con la mano sulla cattedra. “Chi riuscirà a risolvere per primo il compito da me assegnato riceverà 50 punti per la propria casa.” Ci fu un brusio di voci. 50? Avevano sentito bene? Erano davvero moltissimi! “Silenzio, silenzio.” Riprese a parlare l’insegnante. “Sì, 50 punti a chi riuscirà a dirmi il nome della pozione contenuta in questa fiala.” Disse estraendo un piccolo contenitore dalla giacca. Conteneva un liquido denso, cremoso, simile a del sorbetto alla mela verde. “Verrete divisi a coppie e ognuno di voi avrà a disposizione un campione di sostanza su cui lavorare. L’unico modo per riuscire ad ottenere i vostri punti sarà la collaborazione con il vostro compagno, divertente, no?” Gli Slytherin brontolarono: perché avrebbero dovuto lavorare con uno di un’altra casa? Magari Hufflepuff? Il professore rise, vedendo il disappunto disegnato sui volti di alcuni alunni. Si alzò in piedi e prese da uno scaffale dietro di sé un grosso calderone di peltro, che pareva così vecchio e logoro da avere millenni. “Sarà lui a scegliere le coppie.” Concluse dopo averlo poggiato sul tavolo, lasciando scivolare al suo interno una strana polverina bordeaux.
“Mi spieghi perché con tutte le persone che ci sono nella nostra classe, proprio te mi ritrovo sempre tra i piedi?” Brontolò Lysandra a Florinda, seduta ai piedi del suo letto. Erano state messe in coppia assieme, che insolita casualità, pensò per l’ennesima volta la Slytherin squadrando l’altra. “Saremo particolarmente unite da una strana e fortissima magia!” Esclamò tutta allegra Florinda, accarezzando Leo. “Magia, eh?..” Sospirò Lysandra scuotendo la testa con disappunto.
Si trovavano nel dormitorio Slytherin, sul letto di Lysandra: tanto non c’era nessuno a dar loro fastidio. “Gufo, vieni qui.” Ordinò Lysandra al suo barbagianni, che obbediente le volò sul braccio proteso. Fin dal primo giorno a Florinda era sempre piaciuto quel rapace dall’aria dolce, l’anima gemella perfetta per Lysandra, credeva fermamente. “Ehi, ma che diavolo? Che hai da fare quella faccia?!” Si preoccupò la Slytherin, notando l’espressione semicommossa che fissava lei ed il suo gufo. “E poi…” Continuò, “Da dove arriva quel furetto?” Chiese indicando una palla di pelo bianca che sonnecchiava sulla coperta. “Lui? Non ne ho idea. È qui con me più o meno da Natale, credo si sia affezionato a me. Carino, vero?” “Sì, diciamo di sì…” Rispose l’altra un po’ perplessa, posando il Pantigufo sul cuscino, dove quello si appollaiò. “Ora però cerchiamo di capire che diavolo è questa strana pozione.” Continuò Lysandra aggrottando la fronte. “Perché sei così decisa?” Chiese stupita Florinda, era assai raro che l’amica s’interessasse a qualcosa, figuriamoci ad un compito scolastico. “Ma non lo sai?” Si stupì la Slytherin, “Laurie è finito in coppia con quella Secchionclaw di Ellen! Riuscirà di certo a scoprire cosa c’è dentro a questa fiala.” Saltò in piedi, stringendo forte la pozione nel pugno, proteso verso l’alto. “Non posso permettere di essere battuta da quel Gryffidiota, ne va del mio onore!” Quasi urlò alla fine. Il furetto saltò in aria spaventato, quando quella voce gli perforò le orecchie.
Un’ora dopo avevano già sfogliato tutto il libro di pozioni, alla ricerca di qualcuna che somigliasse alla loro, ma nulla. “È strano che il professore ci abbia dato da fare un compito che non è nel libro del primo anno, non ti pare?” Chiese Florinda, lasciando cadere la sua fiala sul letto, dove il furetto iniziò a giocherellarci con le zampine. “Io so aspettarmi di tutto da quel Trichecorno… Credevo però che sarebbe stato più semplice. Ehi!” Esclamò poi, “Tieni d’occhio quel furetto: sta mordicchiando la fiala, non vorrei che la rompesse! Poi chi me lo pulisce il letto pieno di sudiciume?!” “Non te la prendere, dai sta solo giocando un…” Ma Florinda non fece in tempo a finire la frase, che il furetto urtò la fiala e la fece cadere precisamente sulla testa del Pantigufo e quella, cadendo, si ruppe sul rapace. A quel punto l’animale emise un urlò spaventato, quasi fosse stato umano, anzi… Che dico? Era proprio umano! Florinda si voltò di scatto e, in una lieve nube di fumo verde, vide un ragazzo biondo dagli occhi particolarmente azzurri, che la fissava terrorizzato. Lysandra strabuzzò gli occhi non appena lo vide e gli saltò al collo, cercando di non farlo gridare di nuovo. Florinda fece lo stesso, incitata dalla voce acuta della Slytherin che le ordinava di fare altrettanto. Iniziò così una furiosa lotta e i tre caddero con fracasso dal letto, rotolandosi uno sull’altro per la stanza. Infuriata Lysandra tentò di prendere la bacchetta, ma così facendo attenuò un poco la presa del ragazzo, che tentò furiosamente di divincolarsi. Fu allora che Florinda, un po’ spaesata e sotto l’influenza degli ordini di Lysandra, colpì Panti con un forte calco agli stinchi, facendolo urlare di dolore. E tira e spingi i tre si ritrovarono nel ripostiglio per le scope e una cadde loro sulla testa (quella di Lysandra che, seppur del primo anno, ne era già ovviamente provvista). A quel punto la porta di aprì di colpo e una voce, che le due conoscevano fin troppo bene, esclamò: “Ragazze, come sta…” Ma si bloccò di colpo, quando, entrando, Eric vide Florinda e Lysandra avvinghiate ad un ragazzo a lui sconosciuto. “LYS!” Ringhiò il nuovo arrivato, con occhi furenti. “Se vuoi fare queste cose, sei liberissima, ma non ti azzardare a coinvolgere Flo!” I capelli dell’Hufflepuff diventarono immediatamente rossi: “P-posso spiegare!” Balbettò con un filo di voce. “COSA?!” Sbraitò Lysandra offesa. “Che diavolo di idee ti sei messo in testa?!” “Penso che tu riesca a vederlo anche da te.” Commentò acido lo Slytherin, fissandola con odio. Approfittando della situazione, Pantofolo, dato che nessuno badava più molto a lui, riuscì con uno strattone a liberarsi, facendo cadere all’indietro Florinda, che urlò. “TU!” Sibilò Lysandra con la bacchetta in mano. “Non riuscirai ad andare molto lontano! Immobilus!” Concluse secca e dalla sua bacchetta si sprigionò una saetta blu, da cui il povero ragazzo fu colpito in pieno. Quello s’irrigidì e con un tonfo cadde a terra di faccia. “Così impari a fare il disobbediente.” Ridacchio la Slytherin, rinfoderando la bacchetta. “Oddio, è morto!” Esclamò Florinda spaventata. “Ma cosa dici, Stupidpuff, è solo un filino immobilizzato.” “Un filino..?” Ripeté la ragazza poco convinta. “Qualcuno può spiegarmi che sta succedendo?!” Chiese Eric non poco confuso.
Ci volle un po’, ma alla fine le due riuscirono a convincere il ragazzo dell’improbabile, seppur veritiera, faccenda. “Cioè, voi mi state dicendo che questo tizio, nella realtà un babbano, è il gufo di Lys e che è stato un furetto a ritrasformarlo in forma umana?” Domandò Eric incredulo, indicando Pantofolo disteso a terra privo di sensi. “Precisamente.” Annuì Lysandra. “Ehm… E ora di lui che ne facciamo?” S’intromise Florinda. “Semplice, lo ritrasformo in un gufo e poi faremo finta che non sia successo nulla.” Sorrise la Slytherin fiera di sé, rovesciando una strana polvere argentata sulla testa del ragazzo tramortito. “Beh?” Fece Eric, quando nulla accadde. “È strano, molto strano...” Si fece pensierosa Lysandra. “Ha sempre funzionato.” Continuò riempiendo ancora di più la testa dello sfortunato, ma ancora nulla accadde. “E ora cos’è che non funziona?!” Ringhiò: quella giornata si stava facendo davvero insopportabile. “Lys, e se fosse colpa della pozione del professor Lumacorno?” Ipotizzò Florinda. Dannazione, per una volta quella stupidpuff aveva ragione, anche se Lysandra detestava ammetterlo. “Che facciamo?” Chiese Eric, “Tra poco l’incantesimo perderà il suo effetto e questo tizio tornerà a muoversi. Non ho nessuna intenzione di essere cacciato dalla scuola per causa tua, Lys.” Continuò grattandosi la testa. La Slytherin accarezzò il mento con le dita, con fare pensieroso. “Dannazione!” Imprecò dopo qualche minuto. “Non mi viene in mente nulla!” Poi avvenne il miracolo, l’inaspettato, l’impossibile il… Florinda esclamò: “Ragazzi, ho un’idea!” Eric la guardò con aria atterrita e Lysandra sibilò glaciale: “Moriremo tutti, primo fra tutti il babbano.”
E fu così Florinda ed Eric si ritrovarono a camminare per i corridoi di Hogwarts alla ricerca del Frate Grasso, mentre Lysandra faceva la guardia al suo ex gufo. “Ecco, vedete, penso che il Frate Grasso, essendo un fantasma, sia una delle persone che conosce meglio il castello, quindi… Beh, saprà indicarci da qualche parte un luogo tranquillo dove nascondere temporaneamente Panti.” Aveva spiegato Florinda qualche istante prima e nessuno trovò motivo di ribattere, non avendo idee migliori. Quando i due si ritrovarono nei giardini Florinda si rese conto di quanta neve ci fosse ancora al suolo, anche se il tempo per il momento non avrebbe permesso a nessuno di giocarci, essendo il celo completamente coperto di minacciosi nuvoloni. Così si limitò a camminare spensierata nel bianco tutt’intorno, mentre Eric la guardava divertito, accarezzandosi la sciarpa da Slytherin che teneva al collo.
Poco dopo, arrivati al corridoio che conduceva alle cucine, i due trovarono il Frate Grasso, che stava amichevolmente chiacchierando con un quadro, raffigurante un uomo dal cappello scarlatto e la barba bianca. Florinda lo riconobbe subito e fece per salutarlo, ma quello era già sparito nella tela. “Florinda! Ma qual buon vento!” Esclamò tutto felice il fantasma. “Buongiorno, Frate Grasso!” Rispose con lo stesso tono la ragazza. “Ehi, ma chi è questo bel giovanotto che abbiamo qui?” Chiese subito l’altro, molto interessato. Il Frate era fatto così: non riusciva a far a meno di impicciarsi degli affari altrui e niente riusciva a dissetare la sua sete di curiosità, se c’era qualche pettegolezzo in giro. “Ehm, ecco, lui si chiama Eric.” “Eric! Ma che bel nome!” Le sorrise l’uomo di fumo. “E dimmi, cosa ti porta qui con il caro Eric?” Florinda rispose cordiale: “Ecco, essendo tu un fantasma, avevo pensato che magari potevi conoscere un luogo qui nella scuola per…”  “Per stare un po’ tranquilli?” Continuò il Frate, compiaciuto. “Precisamente!” Esclamò Florinda. “Ho capito perfettamente ciò che intendi: tu vuoi passare un bel pomeriggio con Eric, non è così? Ti sei scelta davvero un buon passatempo, brava!” Ridacchiò il fantasma. “Io, ecco, veramente... È per due nostri altri amici, non per noi…” Tentò di spiegarsi l’Hufflepuff, imbarazzata. “Ah…” Mugugnò il Frate deluso. “Flo, cara Florinda...” S’intromise di colpo Eric sorridendo. “Perché nascondere a questo buon fantasma la verità? È giusto che sappia che in realtà il posto tranquillo è per noi due, no?” Continuò, togliendosi la sciarpa e ponendola delicatamente sulla testa di Florinda, per nascondere i suoi capelli purpurei e al Frate il tutto sembrò solo un tenero abbraccio. L’Hufflepuff, rossa in volto e ancora una volta fra le braccia di Eric, tentò di dire qualcosa, ma non le venne in mente nulla, così fu colta da un timido silenzio. Ad un tratto la bocca dello Slytherin le si avvicinò all’orecchio. “Questa è la punizione per lo spavento che mi hai fatto prendere prima con Lys e quel babbano.” Bisbigliò piano, per non farsi udire da altri. Il Frate di fronte a quella scena parve sciogliersi di tenerezza e dolcemente esclamò: “Ho il luogo adatto a voi e pensate, ne stavo giusto parlando un attimo fa con quel simpatico ritratto di Silente! Non so se ne abbiate mai sentito parlare, ma nel castello esiste un luogo davvero tranquillo chiamato la Stanza delle Necessità. Si trova al settimo piano, proprio di fronte all'arazzo di Barnaba il Babbeo bastonato dai Troll, non potete sbagliarvi. Per farla comparire è necessario passarci tre volte davanti, pensando alla necessità molto intensamente... Ma per voi non mi pare una cosa poi così difficile, dato che sembrate molto innamorati.” “I-innamorati..??” Balbettò Florinda, ancora nella medesima posizione di prima. “Eh, eh! Siete proprio una bella coppia!” Ridacchiò il fantasma. “Ricordate: settimo piano!” Esclamò alla fine, poco prima di scomparire.
“… Dove sono?” Si chiese il ragazzo, guardandosi attorno, ma la sua vista appannata non gli permise di scorgere nulla nella semioscurità. Tentò allora di parlare, ma la voce gli rimase bloccata in gola. D’istinto si volle portare la mano al collo, ma sentì il suo braccio terribilmente pesante e non riuscì a muoverlo. Era stordito e non capiva cosa stesse succedendo attorno a lui, né dove si trovasse. Era forse giunta la sua ora? No, impossibile, nei fumetti i ragazzini come lui venivano sempre salvati da un qualche supereroe ed una cosa del genere sarebbe di certo capitata anche a lui, pensò nella sua strana logica. Così si tranquillizzò e iniziò a fantasticare su chi sarebbe potuto arrivare per lui: Flash? Superman? Magari Batman? No, Batman no… Non voleva essere salvato da lui. Che figura ci avrebbe fatto poi a raccontarlo in giro? Dopotutto era solo una persona normale con qualche soldo in più: niente supervelocità o forza smisurata, non sapeva sparare ragnatele o fare un qualunque incantesimo, era pressoché inutile alla società. “Incantesimo, eh?” Si ritrovò a pensare. Magari l’avesse salvato un mago o, tanto meglio, una fata! Amava molto quelle creature leggiadre di cui aveva tanto sentito parlare. Al tempo stesso però, non aveva nessuna intenzione di incontrare una di quelle rugose e vecchie streghe che fanno accapponare la pelle. Come tutti i babbani prima di lui, credeva infatti che quelle fossero esseri cattivi, privi di cuore e capaci solo a far del male, con cui certamente non voleva aver nulla a che fare. Più ci pensava e più sentiva una strana sensazione, come se si fosse dimenticato qualcosa, qualcosa di fondamentale avvenuta negli scorsi mesi. Anzi, più ci pensava e più si rendeva conto di non ricordare nulla dei mesi prima. Credette subito fosse una sensazione dovuta alla situazione in cui si trovava, così non ci fece troppo caso, tanto il suo supereroe sarebbe arrivato da un momento all’altro.
Dopo qualche minuto però, come parrebbe giusto pensare, non accadde nulla. Per niente rattristato, il giovane si convinse che la strada per arrivare da lui fosse particolarmente trafficata. Provò ancora una volta a guardarsi attorno e compiaciuto notò che la sua vista stava notevolmente migliorando. Con gli occhi socchiusi e la vista appannata, voltando la testa intravide davanti a sé la sagoma di una figura. Strinse ancora un po’ le palpebre e i lineamenti di quella si delinearono sempre più. Vedendo in principio la carnagione candida del viso, contornata da dei morbidi boccoli scuri, il ragazzo credette proprio di essere al cospetto di una fata. Estasiato dalla sua convinzione, si sentì come rinato e per lui i problemi parvero esseri scomparsi del tutto. Ma quando la figura davanti a sé parlò, si rese subito conto di essersi tremendamente sbagliato. “Finalmente ti sei svegliato, eh, Babbano?” Sbuffò la Slytherin e la sua voce rimbombò tutt’intorno. “Lysandra?!” Fece il ragazzo saltando in aria, sciogliendo definitivamente l’Immobilus che l’aveva tenuto fermo e riacquistando perfettamente la vista. Si sedette sul letto su cui si trovava e di colpo, fissando gli occhi dell’altra, si ricordò di aver fatto uno strano sogno riguardante lui ed un gufo, anche se certi particolari erano per lui ancora oscuri. “Dove siamo? Che sta succedendo??” Chiese scosso. Perché il suo supereroe non era arrivato?! “Babbano…” Chiese poi, “È dal nostro primo incontro che non mi chiami più così, ma che significa?” “Non credi di essere un po’ troppo invadente con tutte queste domande?!” Gli rinfacciò l’altra, senza motivo. “Che diavolo, non ti è mica concesso di sapere tutto, sai?!” Sbraitò di nuovo Lysandra, ancora irata per il fatto che la sua magia non era stata in grado di ritrasformare il ragazzo nel Pantigufo. Quello non sembrò molto fare caso all’atteggiamento collerico della Slytherin, dopotutto ci era abituato, l’aveva ampiamente sperimentato per tutte le estati prima. Fissò allora la cravatta verde e argento dell’altra: “Com’è che indossi la divisa?” Chiese. “… Ti ho già detto che non ti è dato sapere tutto.” Si portò una mano in fronte Lysandra, esasperata. Poi continuò: “L’unica cosa fondamentale che tu devi sapere è che se vuoi restare vivo,- e qui Panti deglutì- dovrai darmi retta e non esitare quando ti sarà dato un mio ordine.” Sul volto della Slytherin si disegnò un ghigno compiaciuto, che però quasi subito si spense: se fosse stato scoperto un babbano nel castello, Panti sarebbe stato portato chissà dove e lei, dopo la sua espulsione, non avrebbe potuto più rivederlo. Notando l’espressione terrorizzata del ragazzo, si fece scappare uno sguardo intenerito e la sua voce mutò, meno distaccata: “Parlo sul serio, se ti scoprissero io… Io non saprei che fare per aiutarti. Ti cancelleranno la memoria e sarà stato per me tutto tempo e fatica sprecati. Non ne ho molta voglia, sai?” L’altro non capì molto da quella conversazione, ma rimase davvero colpito dalla voce con cui Lysandra parlava. Era nuova, insolita e che non aveva mai sentito. La conosceva da una vita, ma mai aveva usato quell’espressione.
Si vedevano tutti gli anni d’estate, di nascosto, essendo la proprietà Black appena dopo lo steccato del suo giardino di casa. Ogni mattina di bel tempo infatti, si trovavano nel loro rifugio segreto fra gli alberi lì attorno e vi restavano per tutto il giorno. Quando s’incontravano era impossibile ritrovarli: conoscevano perfettamente ogni angolo più remoto della pineta che li circondava. Lysandra non aveva il permesso di vedere il ragazzo e lui non ne capiva il perché, così ogni cosa era fatta di nascosto, il che rendeva tutto ancora più divertente. Si erano conosciuti però un pomeriggio che pioveva, di qualche anno prima: Lysandra era scappata di casa, dopo l’ennesima discussione con i suoi genitori, e si era nascosta nel bosco, sotto i rami di un grosso pino. L’altro, lì cercando di riparare i nidi d’uccelli dalla forte pioggia, la vide e il suo animo gentile notò la sua tristezza. “Dai, non fare così, ci sono qua io ora. Mi chiamo Josh Donut e tu chi sei?” Le aveva sorriso il ragazzo. “Un… Un babbano?” Aveva chiesto l’altra, fissandolo incuriosita e colpita dal suo strano e ingenuo carattere. “Sono Lysandra Black, stupido.” Aveva detto poi, vedendo che l’altro non capiva. Da quel momento i due si videro tutti i giorni, diventando inseparabili: lei impartiva ordini a tutto spiano, mentre lui, diligente, sopportando il carattere brusco dell’altra, eseguiva senza sosta. Alla fine delle vacanze i due si salutavano, giurandosi che si sarebbero rivisti l’anno a venire, nel loro Nascondiglio Segreto nel mezzo della pineta. La promessa si ripeté ogni primo di settembre, fin quando a Lysandra arrivò la notizia di un futuro trasloco di Panti il novembre successivo. Il ragazzo, essendo undicenne, doveva iniziare la scuola superiore e i genitori, riusciti negli ultimi anni un po’ ad arricchirsi, volevano che almeno il loro ultimo figlio studiasse nella prestigiosa scuola di St Richard, cosa che i suoi sei fratelli non avevano potuto fare. Lysandra non aveva alcuna intenzione di lasciarselo scappare così facilmente, allora lo aveva trasformato in gufo ed era riuscita a portarselo dietro senza poi molta fatica. “Tanto” Aveva pensato, ficcando bruscamente il suo gufo nella gabbia. “I genitori del babbano non saranno poi così dispiaciuti: ne hanno altri sei con cui consolarsi a casa e poi, anche per divertirsi, ne possono sempre fare altri, molto più belli di questo.” Ci volle quindi davvero poco per convincersi che ciò che stava facendo non avrebbe dato fastidio a nessuno, così, insolitamente felice, si diresse al binario 9 e ¾, non immaginando nemmeno le conseguenze che ci sarebbero state in futuro.
“Beh, insomma,” Riprese Lysandra dopo un attimo di pausa. “Se ti scoprissero, saresti separato in un modo o nell’altro da me, lo capisci? Tu sei mio e io non posso permettere che ciò accada.” Concluse, brontolando imbarazzata. Non voleva farsi vedere così, perché lo sapeva bene: Panti era l’unico che riusciva sempre a capire ciò che le passasse per la testa e questo le dava fastidio, anzi lo odiava, ma allo stesso tempo era anche il motivo che rendeva lui speciale. Il ragazzo, ancora confuso e non sapendo bene che dire, alzò lo sguardo e vide una piccola pianta dalle foglie lunghe e strette, come appena nata sopra la sua testa. “Ehi,” Chiese riconoscendola “C’è sempre stato quel rametto di vischio penzolante dal soffitto? Non mi pareva di averlo notato prima...” Appena Lysandra sentì queste parole, dalla sua bocca fuoriuscì un urlo disgustato, mentre il suo sguardo s’incupiva: “Maledetta Stanza delle Necessità, io ti distruggo!” Seguì poi un “Bombarda!” esclamato con voce glaciale, che fece esplodere il vischio in un boato. Panti saltò in aria e con gli occhi fuori dalle orbite, guardò stupefatto la Slytherin, la cui bacchetta ancora fumava. “C-che cosa è successo??!” Esclamò aggrappato con le unghie al cuscino, che teneva stretto al petto. Solo allora l’altra si accorse del suo errore: aveva infranto la prima legge del Ministero della Magia, rimessa in vigore dopo la Grande Guerra. Mai, se non in casi straordinari, mostrare la magia ad un babbano o le conseguenze potevano essere terribili, infatti il segreto del mondo della magia poteva essere compromesso, quindi anche la sua stessa esistenza. Prima che la Slytherin potesse inventarsi una scusa decente che implicava l’improvvisa esplosione di una pianta di vischio, comparsa magicamente dal soffitto, Panti esclamò: “Quella per caso era, era… Una magia??” I suoi occhi azzurri luccicarono ed il ragazzo ebbe un brivido eccitato, poi continuò: “Lys, non mentire: so che è così! Dalla prima volta che ti ho visto ho sentito che tu eri diversa, con qualcosa di speciale…” Sentendo quella frase l’altra non si mosse e la sua mente si svuotò, come se non riuscisse a pensare più a nulla. “Non so come spiegartelo, io da sempre l’ho sentito: da quando ti conosco ho come una sensazione inspiegabile, ogni volta che ti vedo io…” Continuò il ragazzo fissandola, gesticolando per l’agitazione. Lysandra in quel momento sentì il cuore batterle sempre più velocemente e un forte caldo che l’avvolgeva. Non capiva cosa stesse provando o forse, più presumibilmente, lo sapeva e non voleva ammetterlo. Tuttavia riuscì perfettamente, con un grandissimo sforzo, a mascherare il suo stato d’animo sotto un’espressione incredula (dato che lo era davvero). Alla fine il ragazzo concluse, senza rendersi conto di aver iniziato ad urlare, dicendo: “Lys, da sempre è come se sapessi che tu sei una fata!” Quest’ultima parola rimbombò più e più volte contro le pareti, quasi fosse la stanza stessa a volerlo sottolineare. “… Una fata?” Chiese la Slytherin, mentre la sua espressione mutava. “Sì!” Esclamò l’altro. “È come ho detto, una fata!” “UNA FATA?!” Gli ringhiò contro l’altra, saltandogli addosso e afferrandolo per il colletto della camicia. “Come osi?! Ti sembro una fata?? UNA FATA??!” Panti negò scuotendo il capo terrorizzato e senza, per l’ennesima volta, capire. Ignorava infatti che per un mago dare della fata era pressoché un insulto (essendo quelle stupide e vanitose creaturine, ritenute quasi insetti, capaci solo ad emettere ronzii o ad essere utilizzate come addobbi natalizi).
“No, Lys! Che stai facendo?!” Urlò Florinda entrando, da una piccola porticina materializzatasi di colpo. “Lasciala fare, tanto è solo un babbano.” Sibilò Eric dietro a lei. Ancora questa parola: babbano, ma che significa? E chi erano quei due ragazzi? Si chiese Pantofolo, mentre Lysandra con molta fatica lasciava lentamente la presa. Florinda esclamò tutta pimpante: “Ciao! Tu sei Pantofolo, vero? Tanto piacere di conoscerti, beh, sì… In forma umana! Io sono Florinda!” Il ragazzo guardò l’Hufflepuff con espressione interrogativa e perplessa, ma che diavolo stava blaterando? Si chiese. Pantofolo? Forma umana? Ritrasse la mano, quando Florinda tentò di afferrargliela per stringerla, convinto che la ragazza fosse matta. Lysandra, d’altro canto, continuava a dare delle forti gomitate all’amica, cercando di farla star zitta, ma ovviamente quella non capì, continuando il suo dialogo: “Sai, Lys, hai fatto bene a portarlo con te, penso gli potrà piacere la magia. E poi mi sembra proprio un tipo simpatico: un ottimo babbano!” “Magia..?” Ripeté l’altro un poco incredulo. Allora non si era sbagliato! Quell’esplosione di prima… Era una vera magia! “Certo! Ma come, nessuno ti ha detto niente?” Domandò l’altra sorpresa. Lysandra ebbe un sussulto terrorizzato. Vedete, in quel momento la Slytherin avrebbe voluto tapparle la bocca con qualunque cosa le fosse capitata a tiro, ma sfortunatamente la Stanza delle Necessità non collaborò, così non comparve nulla di adeguato. Lysandra così non riuscì a fermare l’Hufflepuff che felice affermò: “Ma sì, certo, questa è una scuola di magia!” “Che?!” Esclamò Pantofolo. Non aveva parole: scuola di magia? Esistevano veramente? La magia? Prima che Lysandra potesse ribattere o, molto più probabilmente, strozzare Florinda per ciò che aveva appena rivelato, Panti si sentì girare la testa, gli mancò il respiro e tentò di fare un passo indietro. Sfortunatamente però anche l’equilibrio gli venne meno e con un tonfo finì lungo e disteso a terra. “Io non ho intenzione di spostarlo ancora per la scuola in braccio, sia chiaro. Qui è svenuto stavolta e qui resta.” Commentò Eric acido.
“Ehi, guardate si sta riprendendo!” Esclamò Florinda sollevata, mentre Panti riapriva i suoi enormi occhi azzurri. “Ecco, Stupidpuff, stavolta tieni la boccaccia chiusa, ok? Lascia fare a me!” Ringhiò Lysandra. “Vuoi star zitta? Il poveretto sta cercando di dire qualcosa!” Gli rinfacciò Eric: non sopportava il modo con cui la Slytherin trattava Florinda, gli dava proprio fastidio: non era mica il suo giocattolo! O forse sì? “M-magia…” Riuscì solo a balbettare lo sfortunato ragazzo. “Ti senti bene?” Si fece preoccupata Florinda, “Hai fatto proprio una bella caduta!” “Magia!” Esclamò il ragazzo sedendosi a terra di scatto, sorprendendo i presenti. Le pupille dei suoi grandi occhi azzurri si erano enormemente dilatate per l’eccitazione e nella sua voce non riusciva a trattenere l’emozione che lo stava soffocando. Ogni suo muscolo era teso e il suo volto, attendo e impaziente, continuava a fissare quello incredulo di Lysandra. La sua mente fu invasa da cento e cento pensieri: dov’era? Stava forse sognando? Che cos’era quella dolce musica che gli toccava il cuore? La sua immaginazione? Sorrise: non si sentiva poi così sorpreso. Una parte di lui aveva già da sempre creduto all’inspiegabile esistenza del sovrannaturale, soprattutto da quando aveva incontrato Lysandra. Quella ragazza possedeva un qualcosa di diverso, un’aura tutta sua che l’avvolgeva… Il ragazzo si alzò in piedi senza il minimo sforzo, come se il pensiero di quella scoperta lo stesse facendo fluttuare nella stanza. Si sentiva leggero, come se non fosse mai stato triste, come se per lui ogni male fosse sparito nel vuoto. Cominciò così a camminare lentamente per la stanza con aria sognante. Superò Lysandra che lo guardava stupefatta, poi intravide una finestra che poco prima non era presente della stanza, la aprì e vi si affacciò. Guardando fuori, non fece quasi caso all’enorme castello in cui si trovava, ma puntò lo sguardo dritto davanti a sé e vide il cielo. Sì, vide il cielo come non lo aveva mai visto, finalmente come da sempre aveva voluto: con la consapevolezza che la magia aveva già preso parte della sua vita.
“Ecco, lo sapevo: è impazzito.” Sbuffò piano Eric fra sé. Lysandra, non sapendo che fare o dire, verseggiò qualcosa d’incomprensibile, ma fu interrotta da un debole grazie che risuonò melodioso nella stanza. Gli sguardi dei tre maghetti s’incrociarono. “Grazie, Lysandra.” Continuò Panti voltandosi di scatto verso di lei. “Credo che questo sia uno dei giorni più meravigliosi della mia vita.” Concluse, con voce colma di gratitudine e occhi fin quasi alle lacrime.
Per tutto il pomeriggio che seguì, i maghetti si divertirono a raccontare al babbano, magari un po’ romanzando, tutte le loro avventure ad Hogwarts. Quello ascoltava senza mai interrompere: troppo preso dalla conversazione. Si esaltava per qualunque cosa che gli veniva detta, anche la più banale o odiosa, come per esempio la funzione di una Strillettera. Lysandra, tutta fiera, raccontò di averne ricevute ben quattro negli ultimi due mesi e come ne era uscita incolume ogni volta, fronteggiandole a testa alta. Florinda, notando l’amica così stranamente loquace, si rallegrò: era sempre più convinta che il nuovo arrivato avrebbe portato più armonia di quanto non ce n’era mai stata nel gruppo e, strano ammetterlo, in futuro si ritrovò ad aver avuto ragione.
“Questo posto è meraviglioso! Mi sembra di vivere in un sogno!” Esclamò Panti, appena tutti avevano smesso di ridere per una battutaccia di Eric sul professor Vitious (poveretto, era sempre preso di mira da tutto e da tutti…). “La mia famiglia sa di tutto questo? Voglio dire, devono essere belli preoccupati che non mi hanno visto tornare a casa oggi! Mi sa che devo tornare in dietro ad avvisarli, non posso stare via una notte a loro insaputa, vi pare?” Continuò il ragazzo con fare scherzoso. I tre smisero di colpo di sorridere, mostrando l’evidente espressione preoccupata. “Che c’è?” Chiese allora il babbano un po’ in ansia. Eric fu il primo a chiedere: “Quando ti sei affacciato prima alla finestra… Non hai notato la neve?” “Certo!” Rispose l’altro: “La vostra magia è davvero potente: riempire tutto di neve quando si vuole! Mitico!” “Ehm… Quella è neve vera…” Bisbigliò Florinda, mentre Lysandra si metteva preoccupata le mani fra i capelli, pensando solamente che in quel momento avrebbe voluto scomparire, sotterrandosi da qualche parte. “Neve v-vera, dici? M-ma come sarebbe a dire..??” Balbettò Panti, non volendo rendersi conto della situazione. Ci fu silenzio e nessuno rispose. “La verità è che…” Esclamò Lysandra ad un tratto. Doveva parlare, anche se solo ora si rendeva davvero conto del suo errore. E se fosse successo a lei di essere rapita e portata chissà dove? E se fosse stata privata lei della sua casa, della sua famiglia e dei suoi amici? Forse fu solo allora che la piccola Black imparò un poco a crescere. Capì che non esisteva solo lei al mondo e che, magari, pensare solo a sé stessa avrebbe rovinato la vita ad altri. Perché lo aveva fatto? Si sentì di colpo cattiva e meschina, ma non se ne vergognò affatto, figuriamoci… Anche se avrebbe preferito non trovarsi in quella situazione, poiché in fin dei conti gli dispiaceva un po’ per quel ragazzo. Dispiacersi? Per un babbano? Era davvero ciò che provava? Macché, era pietà la sua! Pietà di non lasciare all’oscuro di tutto quell’idiota di un babbano! Riempì i suoi polmoni d’aria e fu sul punto di parlare, avendo come l’impressione che dopo averlo fatto si sarebbe sentita meglio, quando si sentì una mano posarsi sulla sua spalla. Era Panti, che si era avvicinato a lei in un sorriso. “Non importa.” La rassicurò, gli bastarono solo due parole. Per l’ennesima volta era riuscito a leggerle la mente, o fu solo un caso quello? Pensò Lysandra incredula. Fingendosi irritata scostò la mano dell’altro con noncuranza, voltando la testa altrove, per non incrociare i suoi grandi occhi azzurri. “Va bene.” Brontolò piano. Per nulla turbato e ancora sorridente il ragazzo continuò: “Non m’importa di essere stato qui giorni, mesi o magari anni.” La Slytherin alzò lo sguardo, non capendo. “Se questo è il prezzo da pagare per avermi portato qui, io sono felice di averlo estinto e lo rifarei mille volte se fosse necessario. Vedi, io vengo da una famiglia che non si è mai potuta permettere molto nella vita. Sono l’ultimo di sette fratelli e a dire la verità forse mia madre non mi ha mai veramente voluto: sono nato e basta. Certo, non nego che mi ami come ognuno dei miei fratelli e sorelle, però non sono mai stato veramente desiderato. Così sono cresciuto come se la mia vita non valesse poi tanto, capisci? I miei genitori si sono sempre sentiti responsabili per il mio disinteresse a tutto, così hanno cercato di mettere da parte più soldi possibili e farmi iscrivere in una scuola giù, nella capitale, così che io potessi vivere una vita lontana da loro, credendo che per me fosse meglio.A dire la verità, io non volevo andare in una scuola difficile perché sapevo che non ce l’avrei fatta senza motivazioni, ma questo credo che ora non importi più. Dico, guardami! Guarda dove mi trovo! Finalmente riesco a capire il vero significato di ciò che mi circonda! Sento che la vita non mi sfugge più via fra le mani come fosse fumo, ma la posso toccare e fare finalmente mia! Tutto grazie a te, Lys, e a questo mondo meraviglioso in cui mi hai portato!” Eric squadrò perplesso quel ragazzo che gli sembrò fin troppo ingenuo per i suoi gusti, mentre Florinda si portò le mani alla bocca emozionata da tutta quella spontaneità. Lysandra si ritrovò commossa… Ma che sto dicendo? Una Black commossa?! Se fosse vero, io… Aspettate, ma i suoi occhi erano davvero un po’ lucidi quella volta, ma come..? Nah, gli sarà entrato qualcosa in un occhio, ma certo: sarà stato sicuramente così.

Capitolo decimo: Alla palude di Queerditch!


“Non è stata per nulla una buona idea.” Sbuffò Eric fissando la divisa di Lysandra. “E perché no? A me sembra un’idea geniale!” Rise Florinda felice. “Vero o no?” Continuò, voltandosi di scatto verso Lysandra. Dalla sua tasca una voce acuta, simile ad uno squittio, rispose: “Certo! Sapete, non mi sono mai divertito tanto!” Ed una testa bionda grande come una moneta spuntò dalla tasca. “Sicuro di non essere scomodo? Dico, Panti, magari ti trovi male così piccino…” Chiese l’Hufflepuff preoccupata. Dopotutto essere stato rimpicciolito da un Reducio di Lysandra non doveva essere una passeggiata. L’incantesimo lo aveva colpito così tanto forte, da essere diventato alto poco più di due pollici. A dire la verità, quel tipo di magia non aveva alcun effetto sulle persone (maghi o babbani che fossero), ma solo su creature meno complesse come gli animali da compagnia. Essendo stato però il ragazzo trasformato per parecchio tempo in un gufo, l’incantesimo si compì senza troppe complicazioni, con l’estrema gioia per Lysandra. “Stai tranquilla, Flo, sto benissimo!” Squittì ancora la voce. “Senti… Posso chiederti perché continui a chiamarmi Panti o Pantofolo? Che significa?” Continuò un po’ perplesso: era già da due giorni che veniva chiamato così e non ne capiva proprio il motivo. “Taci ora, babbano: siamo arrivati.” Interruppe bruscamente la conversazione Lysandra, fermandosi.
I tre erano giunti nel quartiere esterno della scuola, dove gli altri primini li aspettavano con ansia: oggi, infatti, si sarebbe fatta la prima gita magica dell’anno. “Tutti alla palude di Queerditch!” Continuava a sbraitare Madama Bumb entusiasta. “Vi rendete conto che andremo proprio nel luogo di nascita del Quidditch?!” Sorrideva a tutti con le lacrime agli occhi per l’emozione.
“Che ha quella da gridare così alle 8 del mattino, non riesco a leggere se continua con tutto questo chiasso!” Sbottò Ellen, raggiungendo il gruppetto di amici. “Lysandra!” Urlò Laurie dietro di lei. “Come hai fatto a vincere quei 50 punti per il compito di pozioni?! Avevamo la vittoria in pugno io ed El, non è possibile!” Naturalmente venne ignorato. “Ma cara Black, qual buon vento.” Comparve con un sorriso Rakubyan alle sue spalle. Panti, cacciato a forza dalla Slytherin nella sua tasca, si sporse un attimo per scorgere il viso dell’uomo. Gli avevano parlato di lui e delle sue continue, secondo Eric eccessive, attenzioni alle due ragazze. Sembrava che cercasse in tutti i modi di farsele amiche, come se avesse in mente un secondo fine… Ma queste erano solo le idee dello Slytherin, che il ragazzo però sentì di condividere subito, non riuscendo a capirne il perché. Era come se ogni volta che vedeva il professore sentisse una presenza lugubre, ma allo stesso tempo famigliare, attorno a sé. Tremò come se di colpo fosse giunto l’inverno, quando di sfuggita intravide il caschetto nero della Starfin e rise non appena vide il naso rosso del professor Triche… Ehm, Lumacorno (era di gran lunga più buffo di come se l’era immaginato dai racconti).
Erano tutti pronti, si poteva partire. Tutti gli studenti furono fatti salire, a gruppi di cinque, su delle carrozze con grosse ali da cicogna ai lati e lì ognuna di esse spiccò il volo. Era certamente un modo di viaggiare che Panti non aveva mai sperimentato e, sbirciando dalla tasca, si divertì molto a vedere in lontananza il castello di Hogwarts rimpicciolirsi sempre più. Con ogni battito d’ali, lo strano mezzo di trasporto riusciva a fare quasi una dozzina di metri. “È davvero incedibile!” Pensò mentre l’aria che arrivava gli spettinava i capelli dorati.
Ci volle solo poco più di una mezz’ora perché i maghetti poterono scorgere da lontano le Grandi Paludi dell’Oriente, fra cui vi era pure quella del Queerditch. Era un luogo immenso (soprattutto per Panti, alto sì e no come uno di quei pomodori mannari di Hagrid) ricoperto da acque fangose e vegetazione sviluppata. Quando si cominciò a calare di quota per l’atterraggio, tutti con disgusto poterono notare il clima umido e il fetore di qualcosa che è impossibile da descrivere. “Arg!” Ringhiò Lysandra, non appena poté mettere i piedi a terra. “Ma in che razza di posto putrido ci hanno portato?! Mio zio lo verrà a sapere!” Sbottò ancora, fuori di sé. Era triste da ammettere, ma avrebbe preferito di gran lunga un paio d’ore di sana Babbanologia che ritrovarsi lì. “Com’è che sei sempre lì a lamentarti? Che c’è, senza la tua bella casetta con la servitù che ti fa da balia non sai vivere?” Chiese Alice in una risata irritante, avvicinandosi. “Sai, al contrario di te io almeno qualche soldo ce l’ho.” Rispose l’altra senza nemmeno guardarla in faccia, troppo impegnata a cercare di scacciare una zanzara che continuava a volarle davanti al naso (cavolo, era inverno! Perché le zanzare magiche sono così resistenti da vivere pure al freddo?!) “Su, su, non cominciate fin da subito a litigare…” Si pose in mezzo alle due Florinda, tentando di portar pace. “E tu, Hufflepuff, non ti sei ancora decisa a togliere quel cappello dalla testa? Che c’è? Ti credi forse più furba degli altri, quando non sei che una nullità?” Chiese ancora la Gryffindor, mentre Gwendolyn le si avvicinava minacciosa. “Che persona odiosa.” Pensò Panti e si rattristò di non poter far nulla, nella posizione (e soprattutto nella statura) in cui si trovava. Lysandra stava per rispondere con il suo conosciuto gergo da camionista magico, quando Rakubyan fu da loro: “Che succede qui? Signorina Turblin, se non sbaglio…” Alice annuì. “Perché non si mette lì in un angolo e comincia a giocare con la fanghiglia come si addice ad una bambina di due anni?” La Gryffindor balbettò qualcosa, ma non poté rispondere: come avrebbe potuto? Rakubyan era un professore: aveva perso. Sbuffando picchiò i piedi a terra e se ne andò irata con Gwendolyn. Poco dopo anche Oya si allontanò, dopo però non essersi trattenuto e aver riso di gusto con la mano alla bocca. “Ma che diavolo..?” Chiese Laurie con gli occhi fuori dalle orbite. “Vi ha difeso, Rakubyan vi ha difeso! Ma che hai combinato, Lys?!” Esclamò Ellen, lasciando quasi cadere a terra il suo pesante libro di storia del Quidditch. “Guardate, sono stupita quanto voi, vi assicuro.” Tentò di spiegarsi la Slytherin. “Che persona gentile!” Si convinse Florinda. “Lo sopporto sempre meno.” Sibilò fra sé Eric alla fine, ma nessuno lo udì.
I maghetti passarono tutta la mattinata a girare per il gigantesco museo del Quidditch al limitare della palude. La guida che li accompagnava (una donnettina bassa e acida, con una testa enorme quasi più del corpo e due occhi che parevano sempre spalancati) aveva spiegato loro con fare annoiato: “Cari ragazzi, il Quidditch non è sempre stato come lo conosciamo oggi. Inizialmente i giocatori dovevano passarsi una palla e farla arrivare in mezzo a due alberi, preferibilmente pini, che delimitavano la fine del campo, un po’ come il Rugby. Il problema era che lo sport annoiava molto gli spettatori magici, allora si decise di aggiungere degli elementi di disturbo allo scopo di disarcionare i giocatori dalle loro scope. Fu così che, oltre al Portiere e ai Cacciatori, vennero istituiti i Battitori, che dovevano proteggere gli altri giocatori da questi nuovi elementi di disturbo. All’inizio essi erano semplicemente dei grossi massi incantanti capaci di fluttuare in giro, poi vennero sostituiti dagli odierni Bolidi. Per rendere il gioco ancora più divertente, venne anche aggiunto un nuovo giocatore, forse il più importante di tutta la squadra: il Cercatore. Come sapete egli è colui che determina la vittoria o la sconfitta della squadra e il suo scopo è quello di afferrare il Boccino D’Oro prima dell’avversario, che vale 150 punti. Una volta veniva usato, al posto della preziosa palla, un esemplare di Golden Snidget, un piccolo e veloce volatile dorato, simile ad un canarino. Sfortunatamente però esso venne etichettato come animale magico in via d’estinzione, così non fu più possibile utilizzarlo per le partite e fu sostituito dal Boccino D’Oro. Alla fine del giro turistico potrete però provare l’ebbrezza di giocare una partita come si usava una volta, grazie ad una ricostruzione magica del Golden Snidget e dei Bolidi di pietra.” Un brusio di voci eccitate si sentì tutt’intorno. Avrebbero giocato a Quidditch! E chi se lo aspettava? “Dopotutto era valsa la pena di vagare per tutto il giorno in quella fanghiglia, se questo era il premio ad attenderli.” Pensò Lysandra, quasi convinta.
“Che meraviglia! Siamo capitati tutti in squadra assieme!” Esclamò Florinda allacciandosi il casco da portiere, che Eric l’aveva praticamente costretto ad indossare. “Guarda, proprio no.” Sibilò Gwendolyn fissandola con odio. “È solo una partita, vediamo di andare tutti d’accordo. Vogliamo farci battere per così poco?” Chiese Ellen, mettendosi in testa degli occhialoni per la vista, simili a quelli di un aviatore. Lysandra con un ghigno prese in mano la sua mazza da battitrice: “Cara Alice, sai che il Quidditch è uno sport particolarmente pericoloso? Dico, potresti rovinarti quel tuo bel faccino, se per esempio non stai attenta a dove miro con la mazza…” “Non oseresti!” Ringhiò l’altra. “Tu credi?” Rispose prontamente Lysandra alzando verso l’alto l’arma. “Calme! Calme! State Calme!” Cercò di fermarle Laurie, temendo di finire in punizione per causa loro, ma, naturalmente, nessuno lo ascoltò. Eric, però, ad un tratto gli fu affianco e dopo averlo squadrato per un istante commentò: “Tu Cercatore? Ho capito: questa partita non finirà mai.”
Erano proprio finiti tutti nella stessa squadra grazie a Madama Bumb. La donna conosceva bene le discordie nate fra Lysandra e le due Gryffindor e si era convinta che così, grazie al lavoro di squadra, tutto il disaccordo sarebbe svanito. Florinda, per evitare che si muovesse molto combinando innumerevoli disastri, era finita a fare il Portiere. A Lysandra, tutta fiera di sé, era stato affidato il ruolo di Battitore assieme ad Ellen, che dimostrò per la prima volta tutta la sua potenza distruttiva, tenuta di solito repressa dentro di sé. Laurie diventò Cercatore (bah, che scelta assurda). ed infine Eric, Alice e Gwendolyn ebbero il ruolo di Cacciatori.
Quando tutti furono pronti la professoressa decretò l’inizio, soffiando con tutto il fiato che aveva in un fischietto che portava al collo e la Pluffa fu lanciata in aria. Gli avversari, un gruppetto misto da Slytherin e Ravenclaw, si scagliarono come una mandria inferocita dietro la palla. La partita si fece subito molto accesa e gli spettatori erano in delirio, non pensando ai punti della partita, ma più alle terribili mazzate che davano le due talentuose battitrici. Sia Lysandra che Ellen, infatti, colpivano così forte i Bolidi di pietra da averli fatto persino uscire più volte dal campo.
Ad un certo punto Alice fu quasi colpita da un lancio particolarmente potente della Slytherin, che per poco la disarcionò dalla scopa. Lysandra si scusò subito, promettendo che non si sarebbe più ripetuto un fatto del genere (mentiva spudoratamente). Nel frattempo Panti veniva fatto capitombolare qui e là all’interno della tasca dalle brusche curve che Lysandra si divertiva a fare sulla scopa, naturalmente apposta. Insomma, il povero Babbano non soffrì così tanto il mal di mare come quella volta.
Florinda, come portiere, era forse ancora, triste ammetterlo, più incapace del solito. Fortunatamente Eric, intenerito forse dal grosso casco portato dalla ragazza o dalla sua sbadataggine (o, più probabilmente, dalla paura che se quella si fosse mossa sarebbe di certo caduta a terra da sola), le dava una mano come poteva, standosene in difesa. Anche se questo fatto portava un notevole svantaggio alla squadra (senza contare che Lysandra, appena ne aveva l’occasione, cercava di colpire Alice con i suoi terribili bolidi, scagliati ad una velocità impressionate). Dopo un quarto d’ora la squadra era in netto svantaggio, con un punteggio di 25 a 5. Fu allora che Laurie si rese davvero conto dell’enorme occasione che gli si presentava davanti: prendendo il Golden Snidget, avrebbe messo fine alla partita, portando la vittoria e l’inevitabile gratitudine eterna di Florinda nei suoi confronti. Così, inebriato da questo pensiero, si decise e appena vide il pennuto si buttò al suo inseguimento, seguito dal cercatore dell’altra squadra (un losco tipetto dai capelli unti e la divisa da Slytherin, di nome Chad Philips). Il Golden Snidget aumentava sempre più la sua velocità e per un pelo non si schiantò contro la folla, che si abbassò di colpo vedendosi piombare addosso Laurie. Grazie forse ad un miracolo, quello riuscì a frenare di colpo e non finì impastato nel fango del suolo.
Uno Slytherin del pubblico, particolarmente paffuto, si sentì molto preso dal gioco così, dopo aver recuperato, non si sa dove, un megafono, iniziò a descrivere minuziosamente ogni dinamica della partita: “È Kevin Goyle che vi parla e vi terrà compagnia per tutta la durata della partita! Guardate! Par proprio che Ellen Rice ci sappia fare con quella mazza, fortuna che non la può portare in biblioteca se no sarebbero dolori per chiunque tenti di prenderle un libro! Ma… Un momento, Alice non fa parte della squadra della Black? Perché sembra che la Slytherin voglia colpirla? Mi sa che… Ehi! Guardate là!” Urlò alla fine indicando un punto proprio sopra di sé. “Sembra proprio Weasley voglia acchiappare il Golden Snidget! Ci sta mettendo tutto se stesso! No, aspettate: Chad gli sta alle costole! Riuscirà a seminarlo? Stanno raggiungendo una velocità davvero elevata, andranno a più di 90 km/h! Attenzione, ma che succede?! Anche un bolide è dietro di loro! Li colpirà! Che qualcuno faccia qualcosa! Ehi, ma quella è la Rice!” Si sentì un forte colpo che riecheggiò per tutta la palude e il bolide fu spinto via dalla Ravenclaw. Ci fu un boato d’ammirazione: era davvero brava. “Incredibile signori!” Riprese il giovane cronista. “Ma avete visto?! Gli avrà fatto fare il giro del campo! Oh, no! Eccolo che ritorna!” Urlò di nuovo. Ellen, senza farselo ripetere due volte, impennò la sua scopa e gli si scagliò contro. Un altro colpo riecheggiò nella palude. “L’ha colpito di nuovo: fantastica! Signori, ma che succede?! Entrambi i bolidi hanno cominciato a seguire la Ravenclaw! Com’è possibile?!” Lysandra, notando di colpo ciò che stava succedendo, si lanciò pure lei dietro (dimenticando per un momento i suoi propositi di prendere Alice a mazzate) e scacciò via entrambe le palle di pietra. Purtroppo però uno dei suoi colpi fece compiere una strana traiettoria al Bolide, che si ritrovò a colpire la scopa di Laurie, quasi sfiorando il volto di Chad. Il Gryffindor fece una strana piroetta e iniziò a precipitare ad una velocità folle, continuando a girare su se stesso. Il ragazzo allora con tutte le sue forze tentò di riprendere il controllo della scopa, ma non riuscì. Senza più forza nelle mani cadde all’indietro, disarcionato di colpo. Iniziò così a precipitare nel vuoto da un’altezza pari a circa 35 metri. Lysandra, spinta dall’istinto, si buttò in picchiata per raggiungerlo. “Afferra la mia mano!” Gli urlò, sporgendosi il più possibile in avanti fin quasi a perdere l’equilibrio. Mancavano solo 20 metri, 15, 10… Se non ce l’avessero fatta per Laurie non ci sarebbe più stato scampo. Il ragazzo si allungò verso la mano e alla fine riuscì a raggiungerla. Con una frenata improvvisa (che costò a Panti quasi dieci anni di vita), la ragazza riuscì a recuperare il controllo della scopa e a non schiantarsi al suolo (anche se atterrando in testa a quel tappo della guida, che urlò presa alla sprovvista). “Tu, tu mi hai salvato..?” Si rese conto Laurie incredulo, alzandosi un po’ ammaccato. “Non avevo voglia di assistere al raccoglimento del tuo cadavere spappolato.” Rispose l’altra, massaggiandosi il braccio destro dolente. “Vi siete fatti male?!” Urlò Madama Bumb correndo loro incontro. “Lys, oddio, Lys! Che paura tremenda! Stai bene?!” Strillò Florinda con le lacrime agli occhi, saltandole in braccio ed entrambe caddero a terra. “Flo, dannazione! Mi hai fatta finire nel fango! Tirati immediatamente su! Sto bene!” Sbraitò l’altra con gli occhi rossi d’ira. “Non farmi più preoccupare così!” Piagnucolò ancora l’Hufflepuff.
La partita fu sospesa, con la netta vittoria degli avversari. Nessuno però parve preoccuparsene, tutti invece sollevati dal fatto che nessuno si fosse fatto molto male.
Per tutta la giornata che seguì Lysandra fu ricoperta d’attenzioni e persino definita da qualche audace ‘eroina’. Quella schifata, tentò in tutti i modi di sfuggire ai complimenti, ma non le fu facile.
“Lei… Lei mi ha salvato..!” Bisbigliò sbalordito Laurie fra sé, ancora incredulo, rotolandosi nelle coperte la sera stessa.

Capitolo undicesimo: Sospetto.

 
“Vi dobbiamo parlare.” Disse Alice alla sua eterna rivale durante la cena, mentre Gwendolyn in silenzio le stava alle spalle. Lysandra socchiuse gli occhi, senza emettere un fiato. Che ci facevano quelle due al suo tavolo? Cercavano guai? Se sì, lì li avrebbero trovati. Florinda distolse lo sguardo dalle sue Mosche al Caramello che stava avidamente gustando e stette rigida in attesa. “Non c’è bisogno di agitarsi tanto, Hufflepuff.” Ridacchiò Alice notandola. “Siamo qui solo per uno scambio d’informazioni.” Concluse Gwendolyn. Informazioni? Ma di che stavano blaterando? “Allora?” Chiese Lysandra impaziente. “Alla partita di ieri non hai forse salvato il Weasley da morte certa?” “E con ciò?” Sbuffò l’altra. Sentendosi nominato Laurie si sentì a disagio: non gli andava di essere il soggetto di una conversazione fra quelle due: non era buon segno. “Ecco,” Riprese la Gryffindor. “Siamo giunte alla conclusione che tu abbia fatto del bene, seppur si parli di quel traditore di Laurie, alla nostra Casa. È per questo che almeno un poco siamo costrette ad esserti riconoscenti, quindi io propongo una piccola tregua in cui tu sarai ripagata con informazioni. Ma non t’illudere, poi tutto tornerà alla normalità. Allora, ti sta bene?” La Slytherin annuì: “Che tipo d’informazioni?” Alice continuò: “Ricordi la sera della sfida a inizio anno? Ecco, noi abbiamo visto chi c’era nella foresta di troppo.” Ellen interruppe di colpo la lettura, alzando la testa. Significava che chi aveva attentato alla sua vita sarebbe stato smascherato quella sera? “Chi c’era?” Chiese senza quasi riuscir a respirare. “Meglio non parlare qui.” Rispose Alice. “Andiamo in un posto più tranquillo, c’è troppa gente.” Concluse.
Qualche minuto dopo i sette (senza contare Panti, quasi soffocando, ben pigiato dalla Slytherin nella sua tasca) si ritrovarono nella spaziosa camera di Lysandra. E qui, con tutta tranquillità, la conversazione poté continuare. “Ho visto una sagoma bianca, sono certa fosse la Starfin.” Bisbigliò piano Gwendolyn avvicinandosi. “Che cosa?!” Ci fu un coro di voci. “Fate silenzio!” S’irritò Alice. “Non è tutto. Io e Wendy abbiamo effettuato delle ricerche dopo quell’episodio e i nostri sospetti si sono rafforzati.” “Ricerche?” Chiese Eric sempre più convinto che tutta quella storia fosse collegata allo Stregunto di Florinda. Hinga Starfin non le era mai andata a genio dal principio, un tipo troppo glaciale per non aver alle spalle qualche tremendo segreto. Non bisognava però dare giudizi troppo affrettati, il ragazzo non si sentiva convinto di quella spiegazione… Aveva come l’impressione che gli stesse sfuggendo qualcosa. “Investigando ci siamo ritrovate a scartabellare fra i vari tabulati della scuola, usando come scusa una ricerca extra sulla storia dei professori di Hogwarts. La Starfin è l’unica professoressa dell’intero castello senza documenti in giro. Per quel che ne sappiamo potrebbe anche girare sotto falso nome. Non vi pare strano che non ci sia proprio nulla sul suo conto? Se quella donna sparisse potrebbe sembrare che non sia mai esistita.” Concluse Alice. Florinda, molto presa dal racconto, chiese: “Avete provato a chiedere in giro agli altri professori, o ai fantasmi se sapevano qualcosa su di lei?” “Certo,” Rispose Alice, stranamente cordiale. “Nessuno sapeva della sua esistenza prima che venisse ad Hogwarts, il che è strano perché per insegnare ad qui devi essere un professore di una creta fama… In più pare proprio che lei sia una persona molto solitaria e che sia raro parli spontaneamente con qualcuno.” “Ma se nessuno sa chi è, come ha fatto a finire ad Hogwarts?” Si fece avanti Lysandra, che aveva messo da parte tutte le discordie alla sua nemica per concentrarsi su qualcosa di ben più importante. “Non so se mi crederete, ma è stata tutta opera della preside. È stata lei a farla venire qui e, pensate, pare anche da un regno particolarmente lontano.” “Allora anche lei è coinvolta in questa storia!” Esclamò Ellen. “No!” Saltò su Laurie. “Mi rifiuto di credere una cosa del genere! La McGranitt è una persona buona e corretta, non potrebbe mai permettere che accada del male ad uno dei suoi studenti! Chiedetelo a chi volete, non mi smentiranno!” “Laurie ha ragione…” S’intromise nuovamente Florinda. “Dopotutto quella donna non farebbe del male a nessuno.” “E se fosse stata costretta?” Ipotizzò Lysandra. “Dopotutto ricordate, no, la stupida filastrocca trovata a casa tua, Er, e quell’individuo incappucciato?” Continuò. “Stupida filastrocca? Individuo incappucciato? Significa che voi… Avete scoperto qualcosa di nuovo!” Esclamò Alice con gli occhi che le brillavano di gioia, amava i misteri e questo sfamava proprio bene la sua sete d’investigatrice. Solo allora Lysandra si rese conto di ciò che aveva involontariamente rivelato, così buttò un’occhiata preoccupata verso Florinda, che la rassicurò con uno dei suoi grandi sorrisi. Non c’era da preoccuparsi quindi. Sbuffando allora la Slytherin continuò: “Se proprio dobbiamo lavorare assieme, non che la cosa mi renda felice, credo che ci toccherà informarvi di tutto… Una domanda però prima e siate sincere: avete mai chiesto a Gazza di mostrarvi dei passaggi segreti?” Le due scossero il capo all’unisono. “Come immaginavo. Anche questo fatto è collegato al nostro mister...” Si sentì un forte rumore provenire da dietro i ragazzi. Tutti si voltarono di scatto verso un enorme armadio nero, da cui sentirono ancora un forte rumore. “Chi è là?!” Urlò Laurie terrorizzato. Eric estrasse di colpo la bacchetta e portò premuroso un braccio davanti al petto di Florinda. “Resta in dietro, ci penso io.” Bisbigliò protettivo. Fece un passo in avanti in direzione dell’armadio e lentamente allungò il praccio davanti a sé, mentre tutti lo fissavano preoccupati. Con uno strattone lo Slytherin aprì un’anta e di colpo dal mobile saltò fuori un furetto spaventato, che gli finì in braccio. “Smeeky!” Urlò felice Florinda riconoscendolo. “Tu lo conosci?” Chiese Eric. “Certo! È un mio amico!” Rispose tutta felice l’altra. “Che ci fa quel topastro nel mio armadio?!” Urlò Lysandra furente, interrompendo di botto la conversazione dei due. “Non ne ho idea, ma non è adorabile??” Continuò l’Hufflepuff stringendolo forte a sé. “Stai attenta a dove lo tieni quel coso! Prossima volta che lo becco fra i miei vestiti lo scuoio e ci faccio un bel paio di guanti!” La sgridò la Slytherin.
Ormai era sera quando le acque si furono un po’ calmate e anche le due Gryffindor  furono informate di tutti gli strani avvenimenti successi i mesi prima. “Beh, almeno ora capisco perché giri con quello stupido cappello... Insomma, non per farti notare…” Tentò di sembrare apprensiva Gwendolyn, sentendosi un po’ in colpa per come aveva trattato l’Hufflepuff fino a quel momento. “Perché non mettiamo tutto per iscritto, così, tanto per metterci in chiaro le idee in testa? Conosco un incantesimo che può fare al caso nostro.” Propose Ellen, estraendo la bacchetta. “Si tratta di una magia per scrittura limitata, cioè leggibile solo da chi è sotto l’incantesimo. Così se qualcun altro trovasse il biglietto non sarebbe capace a leggerlo.” Tutti convennero che quella era davvero una buona idea, beh, chiaro: era stata concepita dalla più intelligente del gruppo.
Ciò che Ellen scrisse, sotto la dettatura più o meno comprensibile degli altri, fu questo:

“Per il suo compleanno è stato donato a Flo da sua nonna un ciondolo, detto Stregunto, capace di controllare il suo potere da Metamorfomagus. Lo stesso giorno, un individuo incappucciato è entrato con la forza nella loro casa in cerca di una certa “Pietra” (di cui ignoriamo ogni cosa). La nonna però non l’ha ascoltato ed è stata assassinata, dopo però aver messo in salvo la nipote che è scappata con la sua bacchetta e il ciondolo da Olivander.
Tre anni dopo è andata ad Hogwarts e lì è stata privata del suo ciondolo (che poi si rivelerà essere stato preso da Eric, per proteggerla). Il giorno dopo però la sua camera viene trovata completamente sottosopra ad opera di un ladro, ma nulla viene rubato. Lys e Flo allora vanno da Gazza, l’unico a conoscenza di un passaggio segreto per arrivare alla casa degli Hufflepuff, convinte (sbagliando) che la causa di quel disastro siano state Alice e Wendy. Arrivati dall’uomo lo trovano terrorizzato e scoprono che una studentessa (che non si sa chi sia) lo abbia costretto con la forza a rivelargli proprio quel passaggio segreto.
Nel frattempo la sottoscritta, El, sparisce e non si hanno più sue notizie per tutto il giorno. Fino a quando Lys e Flo, lì per una sfida con Alice e Wendy, la trovano svenuta nella Foresta Oscura e con un libro (senza autore, intitolato ‘Oggetti Magici e Leggendari’) che ha una pagina strappata. Dopo averla trovata, vengono sorprese da un incendio che però pare scomparire misteriosamente da solo.
Successivamente Wendy si renderà conto di aver visto una sagoma bianca, probabilmente la Starfin, nella Foresta.
Così lei ed Alice iniziano ad effettuare delle ricerche sulla professoressa e scoprono che nessuno sa nulla di lei, tranne che è giunta ad Hogwarts per volere della preside.
Uscita El dall’infermeria, Flo, Lys, Er e Laurie vogliono capire che cos’è quel misterioso libro (non riuscendo El a ricordarsi nulla del suo presunto rapimento, se non un forte senso di smarrimento e del… Bianco). Così si dirigono tutti in biblioteca, dove scoprono che quello è in realtà una copia, senza alcun potere, di un libro magico che dovrebbe essere stato distrutto ai tempi in cui il Signore Oscuro regnava, per paura che contenesse un arma capace di fargli perdere il potere. In più la pagina è stata strappata da qualcuno che possiede una bacchetta con il nucleo di Unicorno.
Arrivano le vacanze di Natale, nelle quali Lys ed Er (ultimo discendente di una famiglia di Trovatori) incontrano l’individuo incappucciato. Egli è a casa di Er per avere un affare con i suoi genitori:  vuole a tutti i costi trovare lo Stregunto. Infatti, Lys ed Er trovano la pagina strappata e sopra vi è uno schizzo dello Stregunto con una poesia, che fa chiaro riferimento al riportare in vita i morti. Così si capisce che lo Stregunto ha, o in qualche modo è collegato, a quell’utilizzo. Purtroppo i due non riescono a fermare l’individuo incappucciato e non ne scorgono nemmeno il volto. Er decide di tenere lo Stregunto fin a quando non si sia risolta questa faccenda, per paura che a Flo possa accadere qualcosa di spiacevole.”

“È tutto ciò che sappiamo, vero?” Chiese Ellen dopo aver riletto la pergamena ad alta voce. Sì, pareva essere proprio tutto. Visto così però il coinvolgimento della Starfin in tutta quella storia non sembrava molto rilevante, anche se quella era la loro unica pista. I maghetti, che cominciarono ad avere dei dubbi su ciò che per loro pochi istanti prima sembrava la risoluzione del mistero, si rattristarono non poco. Stavano per sciogliere la loro riunione segreta, quando sentirono le voci di una furiosa lite provenire dall’esterno. Non riuscivano a distinguere molto nitidamente le parole, ma capirono subito che qualcosa d’insolito stava accadendo. “Che cosa c’è dietro questa parete?” Chiese Gwendolyn, sentendo che in quella direzione le voci si facevano più forti. “Il lago, credo che per una parte questo dormitorio sia sott’acqua.” Rispose Eric. Un lampo passò negli occhi di Lysandra. “Ma certo! Il lago!” Esclamò fuori di sé dall’entusiasmo. “Qualcuno sa dirmi che ore sono?” Chiese poi, impaziente. “Sono le 10 e mezza... Perché? Che hai intenzione di fare?!” Si preoccupò subito Laurie. “Ho intenzione di mettere fine a questo mistero!” Rispose. “Presto, seguitemi, abbiamo ancora un’ora!” Continuò, uscendo come un vortice dalla stanza.
“Puoi spiegarci che succede??” Chiese Alice standole dietro. “Ehi, ragazzi! Già da prima non trovo più il mio furetto! Dove può essere finito??” Chiese Florinda guardandosi attorno. “Lascia perdere quello stupido animale e stammi dietro!” Rispose secca la Slytherin, senza fermarsi.
In meno che non si dica i sette (senza contare Panti miniaturizzato, che veniva per l’ennesima volta sbatacchiato di qua e di là nella tasca) furono fuori. Continuando a correre a perdifiato, fecero il giro del castello e arrivarono fin quasi alla riva del la lago, sino ad un piccolo boschetto proprio lì vicino. Senza fiato Alice ringhiò alla Slytherin: “Non credi di doverci dir…” Ma una manata le arrivò dritta in piena faccia e la fece cadere all’indietro, non facendole concludere la frase. “Zitta!” Sibilò Lysandra ritraendo il braccio. “Vuoi farci scoprire?!” Continuò indicando con il dito davanti a sé. Tutti si voltarono e scorsero, proprio vicino all’acqua, due individui discutere animatamente. “Dannazione, è troppo buio: non si vedono i volti!” Si rese conto Gwendolyn, per nulla preoccupata di aiutare la sua compagna finita nella palta. Laurie, domandandosi incredulo perché mai si fosse fatto trascinare in quella losca storia, esclamò piano: “Non possiamo stare qui... Dico, la preside ce l’ha…” “Laurie,” Convenne inaspettatamente Lysandra, “Per una volta hai ragione.” Tutti la guardarono sbalorditi e il Gryffindor sorrise felice: per una volta era stato ascoltato. Ma, ovviamente, si sbagliava: “Da qui non si vede nulla, vieni, avviciniamoci!” Continuò la ragazza convintissima. “Ma io, io non intendevo…” Tentò di piagnucolare l’altro prima di essere trascinato via dagli altri. Serpeggiando fra gli alberi come dei veri predatori (escluso Laurie che veniva a forza spinto), il gruppo si avvicinò ai due individui fino a riconoscerli. “Ma sono la Starfin e Rakubyan quelli!” Pensò Florinda, ma non poté dir nulla per paura di essere scoperta dai due.
“Hai capito bene! Ci riuscirò un giorno, vedrai! E sarà la fine per te!” Urlò la Starfin, fissando l’altro con il suo sguardo glaciale. “Ma che paura.” Rise Rakubyan. “Non ci riuscirai, non te lo permetterei.” Continuò con sicurezza, scompigliandosi con la mano i capelli albini. “Ah, sì? Io ho la preside dalla mia parte! Non puoi nulla contro di me! Lei sa tutto!” “Ah, scusa… Tu e la preside…” Sorrise. “Ma non farmi ridere, anche lei non può nulla per la sua sorellina, né per nessun altro.” “Come osi?! Non ti puoi permettere di trattarmi così!” Gli ringhiò in faccia l’altra, agitandogli l’indice contro. Per la furia però lo scialle che portava quasi gli cadde sulle spalle, mostrando due strane spaccature proprio sotto il mento, nella pelle candida. Accorgendosi di ciò che era successo, si portò la mano alla gola, cercando di nascondere quegli strani segni, facendo un passo all’indietro. “Guarda come sei ridicola,” Disse allora Oya in un sorriso. “Sei una preda fin troppo facile.” Concluse. “Ti sbagli!” Gli rinfacciò l’altra, senza scomporsi. “Sarai tu quello che verrà incastrato per questa storia, non io.” Poi tacque, scappando nella foresta. A questo punto, non avendo più motivo di restare lì, anche Rakubyan se ne andò, tornando lentamente sui suoi passi, ma con una strana espressione soddisfatta sul volto.
“Avete visto?” Chiese Ellen quando entrambi se ne furono andati. “Ma che è successo?” Domandò Florinda un po’ angosciata. “Che vi dicevo?” Rispose Lysandra piena di sé. “Ora abbiamo una vera pista su cui lavorare.” “Ma come sapevi che erano la Starfin e Oya?” Chiese Eric. “Semplice, non lo sapevo.” Rispose Lysandra. “Ho solo pensato che ci deve pur essere un motivo se andare al lago è proibito dal regolamento della scuola. Amo infrangere le regole.” Concluse, vantandosi.

Capitolo dodicesimo: La popolazione dei Brammith.


“Siamo sicuri di aver capito bene?” Bisbigliò Florinda durante l’ora di incantesimi. “Ma certo! Ha detto proprio così!” Rispose piano Alice voltandosi al banco dietro, dove stava l’Hufflepuff. “Ma dai… Non può aver detto sorellina Rakubyan, riferendosi al rapporto fra la Starfin e la McGranitt! Dobbiamo aver frainteso di certo!” Disse Laurie poco convinto. “Idiota, se abbiamo capito tutti così deve averlo detto! E poi me lo ricordo benissimo!” Gli rinfacciò Lysandra, acida. “Io mi preoccuperei piuttosto di quegli strani segni che le abbiamo visto ieri sera sul collo…” S’intromise Gwendolyn. “Ragazzi,” Cominciò a parlare Eric. “Non ci resta altro da fare che…” Ma fu interrotto bruscamente: “Vi pregherei di ascoltare la lezione, invece di continuare a chiacchierare!” Aveva sbraitato il professor Vitious, dall’alto della sua pila di libri che gli permetteva di raggiungere la cattedra. “Perché quel nanetto non si fa gli affari suoi?!” Si chiese Lysandra in collera, muovendo con un gesto brusco la mano, facendo capire al resto del gruppetto che era meglio tacere. Soddisfatto il professore riprese a spiegare. “Accidenti, qui non è un buon posto per parlare di queste cose…” Pensò Lysandra. “Speriamo almeno che Ellen sia riuscita a trovare qualcosa.” Tentò di rassicurarsi alla fine.
Per la Ravenclaw, essendo lei la prima in bravura di tutto il corso d’incantesimi (e non solo), non era stato affatto difficile chiedere a Vitious una sua ora da passare in biblioteca, con la scusa di non avere ancora finito un’importantissima ricerca per Erbologia. In realtà, sotto il volere di Lysandra, la ragazza era stata mandata a capire cosa potessero essere quegli strani segni che la Starfin pareva avere sotto il suo scialle rosso. Un giochetto da ragazzi, insomma, per chi passava la maggior parte del suo tempo davanti ai libri, com’era solita fare lei.
“Finalmente libero!” Squittì Panti saltando fuori dalla sua tasca a fine lezione, quando Lysandra fu certa che nessuno potesse vederlo. “Certo, Babbano, strano ma vero, mi servi.” Brontolò lei. “Agli ordini!” Rispose quello, mettendosi sull’attenti. “Ma non sarà pericoloso? È così piccolo…” Si preoccupò Florinda. “Appunto per quello è l’unico che può farlo. Cosa credete? Se non fossi obbligata a seguire queste stupide lezioni, lo farei io.” Rispose la Slytherin. “Finirà di sicuro in qualche guaio.” Profetizzò Eric, ridacchiando. “Bon, proteggi Panti per favore. Lo affidiamo a te!” Concluse Florinda, fissando divertita il suo funghetto grigio che le saltava sulla mano. “Muoviamoci, prima che arrivino gli altri!” Sibilò Lysandra: odiava perdere tempo, dopotutto quello non era altro che una stupida pianta.
Panti si era appena allontanato, saltellando a cavallo del Bonyo, quando la porta dell’aula si spalancò di colpo ed entrò Laurie urlando: “Ellen ce l’ha fatta! Ha trovato! Presto, correte, sono già tutti in biblioteca!” “Eccoci!” Risposero i tre all’unisono e i quattro si ritrovarono a correre come pazzi giù per le scale, a cui, si sa, piace tanto cambiare.
“Branchie.” Esclamò la Ravenclaw soddisfatta. “Branchie?” Ripeté Lysandra stupita. “Sì, erano proprio branchie quelle che abbiamo visto al collo della Starfin. Lei è una Brammith.” “Brammith?” Si chiese Florinda, questo nome l’aveva già sentito da qualche parte, ma sfortunatamente, nonostante gli sforzi, non riusciva a ricordare dove. “Guardate qui” Continuò Ellen indicando una figura sul libro che aveva in mano. Gli altri maghetti si strinsero a lei, per vedere da più vicino l’immagine. Raffigurava una donna bellissima, dalla pelle chiara, i capelli neri e la coda da pesce. “Ma questa è una sirena!” Esclamò Gwendolyn. “Non mi risulta però che la Starfin abbia la coda…” Intervenne Alice. “Ovvio che no, se mi lasciassi finire!” Rispose spazientita la Ravenclaw. “Vedete, i Brammith sono una popolazione di sirene e tritoni che vivono su un loro pianeta dalla superficie inospitale. Proprio per questo, sono costretti a vivere nelle vastissime falde acquifere che si trovano nel sottosuolo. Quindi non prendono mai il sole, ecco perché hanno tutti i capelli scuri, la pelle candida e gli occhi chiari. Sono delle bellissime creature, incapaci di invecchiare, immortali e, proprio per questa loro capacità di non subire mutazioni nei secoli, sanno persino viaggiare nel tempo. Per farlo, però, hanno bisogno del sangue di un mago consenziente.” L’espressione di Alice mutò di colpo, inorridita. “Chi potrebbe voler donare il proprio sangue in questo modo?” Chiese. Elice la ignorò: “Esistono però rari casi, e qui arriva la parte che ci interessa, in cui la popolazione dei Brammith e quella umana si mischino, creando gli ibridi. Avendo la Starfin le branchie ed essendo esteticamente simile ad una di queste sirene, credo possa essere uno di questi ‘Figli di mezzo’ come vengono indicati qui, su questo libro. Purtroppo però non vi è scritto altro a riguardo.” “Come si chiama il pianeta dei Brammith?” Chiese Florinda di getto. “Bram… Uhm, qualcosa del genere…” Rispose l’altra, sfogliando fra le sue carte. “Si era proprio Bram, perché? Hai scoperto qualcosa?” Confermò dopo qualche secondo. “No, nulla…” Sospirò Florinda, un po’ confusa. “Ehi, ragazzi! Ho un’idea!” Esclamò Laurie. Gli altri per poco non scoppiarono a ridere. “Ehi, dico sul serio!” Si irritò il ragazzo. “Hagrid è la persona che conosce meglio le creature magiche da queste parti, perché non andiamo a chiedere a lui di questi ‘Figli di Mezzo’?” Continuò. Lysandra ebbe una strana espressione: era la prima volta per Laurie di concepire un’idea sensata e lei non aveva saputo come contraddirlo.
Poco dopo i sette si ritrovarono davanti alla capanna di Rubeus Hagrid, custode delle chiavi e dei luoghi di Hogwarts. “Per voi questa può essere una casa?” Chiese Lysandra, un filo disgustata. “Senti, dobbiamo entrare. È la nostra unica pista.” Tentò di convincerla Eric, condividendo lo stato d’animo dell’altra. Prima che la Slytherin però potesse rispondere, Laurie aveva già bussato sulla grande porta di legno davanti a loro. Una voce roca dall’interno rispose: “Chi è là?” Subito dopo sentì qualche lento passo e la voce continuò, questa volta parlando fra sé: “Proprio ora che è quasi pronto il tè, chi può essere?” Ad un tratto la porta si aprì ed i maghetti si ritrovarono un uomo enorme davanti agli occhi. “Sono io, Laurie!” Esclamò il Gryffindor. Il gigante abbassò lo sguardo, solo allora notandolo. “Ma ciao! Era da un po’, eh? Vieni pure dentro! Anche i tuoi amici: siete tutti i benvenuti!” A quanto pare i due si conoscevano piuttosto bene. “E te pareva... Prevedibile, da uno come quell’idiota.” Si rese conto la Slytherin, varcando la soglia.
“Ho appena fatto il tè, non vi dispiace vero, una tazza?” Nessuno rifiutò l’offerta, soprattutto Florinda (come avrebbe potuto? Poi con quei meravigliosi dolci, proprio al caramello, che erano da mangiare assieme…).
“Allora, ragazzi, cosa eravate venuti a chiedermi?” Chiese l’uomo dalla fitta barba scura, dopo aver riempito ad ogni ospite la tazza. Ma prima che qualcuno potesse rispondere, egli continuò: “Sapete chi mi ricordate voi? Tre studenti che qualche anno fa venivano proprio qui ad Hogwarts, bravissimi a cacciarsi nei guai. Ogni anno ne avevano una nuova! Quando li ho conosciuti erano del primo, proprio come voi ora. Anche se, a dir il vero, uno di loro l’ho incontrato molto, ma molto prima… Abbiamo fatto un giro in moto una volta assieme, è stato così bello!” S’interruppe un istante, tirando fuori dalla tasca un enorme fazzoletto bianco a pois rossi, con quello si soffiò rumorosamente il naso, commosso. I maghetti si guardarono stupiti, poi l’uomo si ricompose: “Ma sono passati tanti di quegli anni, anche se nella mia mente i ricordi sono sempre nitidi e presenti... Non passa giorno in cui non pensi a loro…” Mentre Hagrid iniziò a raccontare alcune delle mille e mille avventure che quei tre tipetti gli avevano fatto passare, Lysandra non lo ascoltò e con fare annoiato iniziò ad ispezionare la casa (ammesso che quella potesse definirsi casa) in cui si trovava. In fin dei conti, anche se apparentemente squallida, era calda e accogliente, ravvivata soprattutto da un allegro fuocherello che danzava gioioso in un camino davanti ai suoi occhi. Internamente la capanna era formata solo da un’unica e piccola stanza circolare, dove all’interno regnava quello che pareva (come Lysandra in seguito definì) un ‘caotico ordine da animale’. Nessuno in verità capì mai a cosa nel preciso si stesse riferendo, si può solo fare delle supposizioni. Forse con disgusto notò le pentole incrostate ed unte abbandonate a loro stesse in un angolo, dietro al tavolo e al soffitto da cui penzolavano, non si sa bene ancora a che funzione, degli strani animali molto simili a pipistrelli pelosi. Di una cosa siamo però certi: quel luogo non aveva mai posseduto ciò che di solito i Babbani definiscono ‘indispensabile tocco femminile’.
Dopo essersi preso più volte nei suoi straordinari racconti, Hagrid chiese: “Oh, scusate! Mi sono distratto, cos’eravate venuti a chiedermi?” “Tu sai qualcosa sugli ibridi che nascono fra uomini e sirene chiamate Brammith?” Chiese Laurie, deciso a trovare delle rispose. “Ibridi hai detto?” Si stupì molto l’uomo, grattandosi la barba. “Fatemi pensare… Conosco solo qualche leggenda, non ho mai visto un ibrido in carne ed ossa, però posso dirvi ciò che so.” Si schiarì la voce, mentre i presenti restarono in trepida attesa e finalmente iniziò il suo racconto: “Gli ibridi fra umani e Brammith, detti anche ‘Figli di Mezzo, sono molto rari, c’è persino chi dice che non esistono neppure più. All’apparenza sembrano normali maghi, solo che possiedono delle vistose branchie sul collo e hanno bisogno di molta acqua per vivere, soprattutto di notte.” “Il lago, ecco perché…” Si rese subito conto Lysandra, compiaciuta. “Pare che questi esseri non siano capaci ad invecchiare, pur essendo mortali. La loro vita dura quanto quella di un mago e quando giunge la loro ora, essi si sbriciolano come fossero bambole di porcellana. In più c’è persino chi sostiene che sappiano viaggiare nel tempo, assurdo, non trovate? Nessun mortale senza l’aiuto di un Giratempo o simili, può farlo!” Rise fragorosamente Hagrid, con una mano sulla sua enorme pancia. “Com’è che sembra ne esistano così pochi?” Chiese Gwendolyn, mentre Florinda si strafogava di dolci al caramello. “Beh, vedete, pare che nel sangue di questi ibridi ci sia una terribile maledizione. Nessuno di loro può essere amato, perché all’apparenza sembrano tutti freddi e glaciali al prossimo. Ciò ricorda molto la superficie di Bram, il loro ospitale pianeta d’origine. Così sono costretti a vivere per sempre soli ed odiati da tutti. In più non possono dire a nessuno la loro vera natura o trovano la morte in una profonda agonia.” Concluse, sorseggiando il suo tè caldo, che gli colò un po’ sulla barba. “Che vita terribilmente triste!” Esclamò Florinda, ancora masticando rumorosamente. Il gigante parve un po’ incerto se parlare, accarezzandosi la sua cespugliosa barba. “Non so se dovrei dirvelo…” Si decise in fine. “Perché qui entriamo veramente in un campo più simile alla leggenda che alla realtà…” “No, no, continua!” Esclamò Ellen, in ansia. “E va bene. Esiste un modo per gli ibridi di diventare completamente umani, quindi riuscire a spezzare completamente la loro maledizione. In pratica bisogna morire e poi rivivere grazie alla Pietra della Resurrezione.” “La Pietra della Resurrezione?!” Esclamarono di colpo i ragazzi (a parte Florinda che verseggiò qualcosa, avendo la bocca fin troppo piene di dolci al caramello). “Sapete di che parlo, no?” Domandò l’uomo. “Certo, ma non era andata distrutta?” Rispose Alice. “No, vi sbagliate: questo è quello che ha cercato di farvi credere il Ministero della Magia alla fine della Grande Guerra, per non creare troppo scompiglio. In realtà la Pietra non è mai stata ritrovata.” Che cosa? Questo significava che uno, forse il più oscuro, dei tre Doni della Morte era ancora in circolazione. Ma dove poteva ess… Finalmente i ragazzi realizzarono che la Pietra in questione, molto probabilmente era la stessa di cui era formato lo Stregunto. Questo di certo avrebbe spiegato il collegamento fra il ciondolo e l’oscura arte della resurrezione, citata nella filastrocca trovata a casa di Eric. Solo Florinda ci mise il doppio del tempo a capire, distratta dalle innumerevoli fette di dolce che si stava scofanando.
“Purtroppo” Riprese a parlare Hagrid, non accorgendosi che l’espressione dei suoi piccoli ospiti era cambiata. “Non serve solo la pietra per scacciare la maledizione, ma un sacrificio. Insomma, una vita per una vita, così era e stanno le cose. Dovete sapere che per funzionare la Pietra ha sempre avuto bisogno di due vite, una da far risorgere ed una da donare al regno dei morti. Non si può far risorgere qualcuno senza dare nulla in cambio, è la legge della natura: nemmeno la più grande delle magie può nulla a riguardo. E ditemi, quale essere presente sulla terra sembra il più adatto per far tornare un ibrido in un umano? Dico, serve un essere semplice, ma dal cervello sviluppato… Chi possiede entrambe queste caratteristiche?” Lysandra realizzò, come in un incubo e alzandosi di scatto esclamò: “Un babbano!” Florinda ebbe un sussulto: Panti era davvero in un serio pericolo! “Grazie di tutto, ma noi ora dobbiamo andare!” Spiegò velocemente l’Hufflepuff, dopo aver lasciato cadere a terra i dolci che aveva fino a qualche istante prima fra le mani. Ancora con le dita appiccicaticce, afferrò Lysandra per un braccio e in una folle corsa uscì dalla capanna, seguita da Eric. “Sembrano non poco sconvolti… Ecco, lo sapevo: non dovevo dirvelo!” Brontolò Hagrid, incrociando le braccia. “Ma che gli è preso??” Domandò Alice: non aveva mai visto il volto della sua rivale in quello stato.
“È tutta colpa mia! È tutta colpa mia!” Continuava a ripetersi Lysandra, mentre correva senza sosta con i suoi due compagni lasciando solo polvere dietro di sé. “Non è così! Non potevi saperlo che era in così grave pericolo!” Cercò di rassicurarla Florinda. “Vedrai, starà bene: lo ritroveremo!” La convinse Eric. “Certo, ha ragione! Guarda, starà benissimo e tra poco ci faremo tutti una grande risata sopra!” La rassicurò definitivamente l’Hufflepuff. “Quella Stupidpuff ha ragione, non ha senso fare l’uccello del malaugurio proprio ora… Starà bene, deve stare bene!” Pensò Lysandra. “Se solo non gli avessi chiesto di fare una cosa così pericolosa, dannazione!” Continuò, senza nemmeno sentire la fatica impregnarsi sempre più nelle gambe, tanto era la foga che ci stava mettendo nella corsa.

Capitolo tredicesimo: Pantofolo in pericolo?


“Finalmente libero!” Aveva squittito Panti saltando fuori dalla sua tasca a fine lezione, quando Lysandra fu certa che nessuno potesse vederlo. “Certo, Babbano, strano ma vero, mi servi.” Aveva brontolato lei. “Agli ordini!” Aveva risposto quello, mettendosi sull’attenti. “Ma non sarà pericoloso? È così piccolo…” Si era preoccupata Florinda. “Appunto per quello è l’unico che può farlo. Cosa credete? Se non fossi obbligata a seguire queste stupide lezioni, lo farei io.” Aveva risposto la Slytherin. “Finirà di sicuro in qualche guaio.” Aveva profetizzato Eric, ridacchiando. “Bon, proteggi Panti per favore. Lo affidiamo a te!” Aveva concluso Florinda, fissando divertita il suo funghetto grigio che le saltava sulla mano. “Muoviamoci, prima che arrivino gli altri!” Aveva sibilato Lysandra: odiava perdere tempo e Panti lo sapeva bene.
Si era appena allontanato, saltellando in groppa al Bonyo, quando sentì la voce di Laurie sbraitare come un pazzo, significava forse che Ellen aveva trovato qualcosa. Non sapeva bene come giudicare quel ragazzo, che Lysandra riteneva un idiota senza speranza. Forse, idiota, lo era davvero, pensò, o almeno ne dava tutta l'impressione, sopratutto quando parlava con Florinda: in quei momenti era così imbarazzato, che chiunque si sarebbe vergognato di starci vicino. Il babbano rise, pensando allo sguardo glaciale di Eric in quelle occasioni, era proprio evidente il suo stato di gelosia. E quell'Hufflepuff? Beh, non si accorgeva di nulla, come al solito. “Povero Eric!” Si ritrovò ad esclamare Panti, mentre i continui balzi gli facevano finire il cappuccio della felpa in testa.
Dopo un po', finalmente, si rese conto che la sua missione non era nulla di semplice e che continuare a scervellarsi sulle questioni amorose del gruppo in quel momento non sarebbero di certo state d'aiuto. “Per fortuna questo fungo mi sta dando una mano, da solo ci avrei messo il doppio del tempo!” Si risollevò di morale, dopo essersi accorto che, data la sua statura, il tragitto per arrivare alla presidenza si era enormemente allungato. Già, era proprio diretto lì. Lysandra era stata molto chiara nello spiegare (e va bene, ordinare) lui sul da farsi: avrebbe dovuto cercare di capire se la Starfin e la preside fossero davvero sorelle, scartabellando di nascosto i documenti tenuti in presidenza. Non doveva essere per lui così difficile, essendo alto sì e no un paio di pollici.
Naturalmente, dato che alle scale piace cambiare (e che stranamente ancora a nessuno di Slytherpuff era capitato), si perse nel tragitto. Lui ed il fungo non si sarebbero mai immaginati un ostacolo del genere. In più, ad aggravare la situazione, non potevano chiedere indicazioni a nessuno, chi li avrebbe ascoltati? Cioè, dico, chi risponderebbe alle domande di un babbano miniaturizzato a cavallo di un piccolo fungo grigio saltellante? Era un aiuto che di certo non potevano ricevere, non in quelle condizioni insomma. Rassegnato da ciò, ma per nulla vinto, il ragazzo decise di seguire il suo istinto ed orientarsi da sé: ovviamente fallì miseramente.
Pochi istanti dopo era nelle cucine, dove cadde in una ciotola piena di impasto e fu quasi ficcato in forno da una cuoca. Poi si ritrovò, non si capisce bene passando per quale strada, a camminare proprio sotto il Platano Picchiatore, di cui fino ad allora ignorava completamente l'esistenza. Si può ben immaginare quali furono le conseguenze. Insomma, fu davvero un miracolo se non si ritrovò spacciato al suolo, assieme al suo compare. "Non credevo che una scuola di magia potesse essere così pericolosa!" Sbraitò, correndo come un pazzo dopo essere stato disarcionato da Bon, che terrorizzato era fuggito abbandonando il babbano al suo triste destino. "Bell'amico che sei!" Lo rimproverò Panti dopo averlo, grondante di sudore e impasto, raggiunto. Si annusò una manica della felpa: sapeva di caramello fin dentro le mutande. "Speriamo solo di non incontrare Florinda in queste condizioni, non mi andrebbe di essere mangiato proprio ora." Sospirò, risalendo in groppa.
Alla fine, dopo essere finito quasi nelle grinfie del gatto, mezzo cieco e sordo, di Gazza (e, fidatevi, ce ne vuole), dopo essere stato più volte morsicato dai famosi pomodori mannari di Hagrid (che avevano tentato sinceramente di mostrargli il loro affetto) e dopo essere capitato, in modo del tutto inspiegabile, nel mezzo degli allenamenti di Quidditch di non si sa quale squadra (quest'ultima tappa fu solo un veloce passaggio per il povero Panti, che fu quasi subito fatto volare via dal campo, grazie all'aiuto di un amichevole colpetto da parte di un Bolide), riuscì, stremato, a raggiungere la presidenza. Così pieno di lividi, morsi, graffi, impasto e grondante di sudore poté riprendere fiato. "Non sono mai stato così in pericolo in tutta la mia vita!" Esclamò al fungo, buttandosi a sedere su uno che pareva essere un logoro mucchietto di stoffa scura. "Gryffindor!" Tossicchiò qualcuno. Il ragazzo saltò in aria, ma chi aveva parlato?! "Chi è là?!" Balbettò, stringendosi il più forte possibile nella stoffa. "Potresti evitare di tenermi così? Chi ci vede potrebbe pensare che siamo amanti!" Si risentì, questa volta ridendo, la voce. Il ragazzo sbiancò improvvisamente, saltando in piedi. "E tu chi saresti?" Chiese, mentre il Bonyo impaurito gli si era rifugiato alle spalle. L'ammasso di stoffa si mosse e Panti capì trattarsi di un buffo cappello a punta con occhi e bocca cuciti nella tela. "Ma come? Non mi conosci? Sei nuovo della scuola, forse?" "Veramente io..." Cercò di rispondere, ma poi si rese conto che il peggior errore di un supereroe è quello di rivelare la sua identità, così si limitò ad annuire. "Allora mi presento subito: sono il Cappello Parlante e tu sei appena stato smistato in Gryffindor, complimenti. Pare che tu sia un giovane coraggioso, audace, nobile d'animo e... Con un discreto talento per i guai. Contento?" Panti parve un po' perplesso (non ci stava capendo nulla), ma annuì comunque. Solo allora il buffo interlocutore parve accorgersi delle ferite del ragazzo e della sua innaturale statura: "Ehi, ma che ti è successo?! Sembra che tu sia stato appena schiacciato da un Bolide o dalle pesanti fronde del nostro Platano Picchiatore!" "In effetti..." Si guardò Panti. "Ho la giusta cura che fa al caso tuo, giovane amico. Sai, mi stai particolarmente simpatico, anche se non capisco perché mai tu sia così piccolo... Ma che ti è capitato?" Il ragazzo tentò di rispondere, ma non seppe da che parte cominciare, così rimase in silenzio. "Non importa, non importa!" Gli sorrise il cappello. "Fanny, vieni qui!" Urlò poi ed un enorme uccello dalle piume scarlatte e gli artigli dorati li raggiunse. A quella vista il povero Babbano fece un passo all'indietro, cadendo rumorosamente sopra il fungo, che fu schiacciato sprigionando un soffio di polvere viola. Il Cappello Parlante lo rassicurò: "Non temere, non ti farà nulla. La mia amica Fanny è una fenice, ti aiuterà. Le sue lacrime hanno potere curativo, ne basterà un paio e tornerai forte e valoroso come prima!" "Forte..? Valoroso..?? E chi lo era mai stato?" Si chiese il babbano, mentre veniva bagnato dalle lacrime di quel volatile così simile ad un pavone di fuoco. Fu un attimo e le sue ferite magicamente guarirono, come se non ci fossero mai state. "Magnifico!" Esclamò allora il ragazzo riconoscente. "Dai, non dirmi che non avevi mai sentito parlare dei poteri di una fenice!" "No..." Rispose sinceramente l'altro. "Questo luogo si fa sempre più straordinario." Concluse, questa volta parlando piano fra sé.
Con un fracasso mai visto la porta si spalancò di getto ed il Cappello sobbalzò. "Quanta furia! Che succede?!" Chiese ai ragazzi che si erano appena fiondati nella stanza. Panti li riconobbe subito: erano Lysandra, Eric e Florinda. Ma che era successo? Cos'era quella strana espressione preoccupata sui loro volti? E perché sembrava avessero corso così tanto per arrivare da lui? Volle domandare qualcosa, ma fu interrotto dalla voce squillante di Florinda che le era venuta incontro: "Lys, è qui! L'ho trovato: non c'è più nulla da temere!" La Slytherin, ancora con il fiatone, gli si avvicinò accelerando il passo ed il ragazzo, temendo di aver fatto qualcosa che non avrebbe dovuto e star per essere punito (come accadeva spesso e volentieri per i meno probabili motivi), fece un affrettato passo indietro, cadendo ancora una volta sul fungo Bon. Prima però che qualcuno potesse fiatare, si sentì un forte rumore di passi provenire dal corridoio accanto, facendosi sempre più vicino. Di scatto Panti fu afferrato in malo modo per il cappuccio della felpa dalla (per lui enorme) mano di Lysandra e, quasi strangolato, fu cacciato a forza nella solita tasca. "Sta arrivando qualcuno!" Bisbigliò la ragazza allarmata. "Oh, no! E ora?!" Avrebbe voluto chiedere Florinda spaventata, ma fu trascinata dietro ad un'enorme libreria da Eric, che non perdeva mai occasione di poter strigere l'Hufflepuff a sé.
Quel posto era stretto, sporco e sicuramente scomodo: si trattava di uno spazio largo sì e no 40 cm, fra i libri ed il muro. L'irritante odore di muffa traspariva dall'angolo in alto fra la parete ed il soffitto, mostrando in quell'esatto punto una possente macchia scura. Nulla però messo a confronto a tutto il pulviscolo insediato addirittura fra le pagine dei pesanti volumi poggiati proprio davanti ai nasi dei ragazzi. Florinda non riuscì a trattenere uno starnuto soffocato: era allergica alla polvere e lì ce n'era parecchia. Fortunatamente la preside, che entrò in quell'istante nella stanza, non si accorse di nulla e si sedette alla sua scrivania. Con entrambe le mani sul volto per trattenersi, l'Hufflepuff si ritrovò costretta a sbirciare fra gli spazi lasciati fra i libri e notò, proprio davanti a sé, un insolito mappamondo, di un insolito materiale bianco. Immediatamente ricordò la strana conversazione avuta con la McGranitt il secondo giorno di scuola proprio su quell'oggetto: esso era la ricostruzione in scala di Bram, il pianeta dei Brammith. Non vi erano più dubbi: il collegamento fra la Starfin e la preside era evidente. Volle bisbigliare agli altri le preziose informazioni che si era ricordata, ma non le fu possibile: se avesse tolto le mani dal viso avrebbe di certo starnutito di nuovo e sarebbero stati tutti scoperti. Non poteva di certo far correre agli altri un simile pericolo, così non si mosse, sperando che quella situazione si sarebbe risolta presto. Rimanere in quella posizione per lei era particolarmente difficile: il naso non faceva che pruderle, irritandosi sempre più, ma doveva resistere. Florinda però non aveva ancora calcolato che certe allergie non si manifestano solo grazie agli starnuti, ma anche facendo lacrimare molto gli occhi. Quando se ne ricordò ormai era troppo tardi: aveva già cominciato a vedere tutto appannato. Quando finalmente si voltò, Eric si ritrovò fra le braccia una Florinda dagli occhi così rossi, ma così rossi da sembrare spiritata. A quella visione sussultò e prima che potesse anche solo pensare di far qualcosa, sentì una forte gomitata quasi sfondargli una costola: era quella delicata Lysandra, che con il gesto della mano gli fece capire di alzare lo sguardo. Poco sopra le loro teste, infatti, era apparso un quadro dalla cornice intagliata di legno pregiato. Esso rappresentava il ritratto di un uomo dal cappello rosso, a punta e dalla folta barba bianca, molto simile a quella di Merlino. Con un gesto lento della mano, il mago parve invitarli a seguirlo e senza nemmeno accorgersene la sua immagine era scomparsa, lasciando spazio ad una porta piccola porta di legno chiaro alta appena un metro. I tre (senza contare il povero Panti miniaturizzato, che solo allora stava riprendendo i sensi per essere stato così brutalmente nascosto) non se lo fecero ripetere due volte e vi si fiondarono dentro, quasi fossero stati una persona sola.
Si ritrovarono schiacciati, quasi uno sull'altro, in un luogo buio e stretto, mentre la porta, che pareva essere l'unica fonte di luce, scompariva alle loro spalle. Rimasero immediatamente nel buoio più totale e ai maghetti non restò che proseguire lentamente a gattoni, in quello che proprio pareva un corridoio senza fine. Dopo però vari spintoni ed imprecazioni, ovviamente di Lysandra, Eric riuscì a tastare una maniglia davanti a sé e con forza l'aprì. In quel momento furono tutti risucchiati all'esterno, cadendo poi al suolo uno sull'altro. Florinda, dolorante, aprì gli occhi e vide davanti a sé quelli grandi e celesti di Ellen che, sconcertata, stava in piedi di fronte a lei. "Come avete fatto a sbucare dal soffitto?!" Chiese Alice, che le stava dietro. "Ad un tratto è comparsa una porta sopra di noi e voi tre siete precipitati dal nulla!" Confermò Gwendolyn, anch'essa sorpresa. "Eravamo venuti a cercarvi, ma a quanto pare siete voi ad averci trovato!" Rise la Ravenclaw, aggiustandosi gli occhiali sul naso. "E' una fortuna essersi spostate in tempo, eh?" Continuò. "Anche se non si può dire lo stesso di tutti..." Constatò Alice, indicando un punto proprio sotto Florinda. Quella, abbassando lo sguardo, notò che sia lei che i due Slytherin erano finiti perfettamente sopra Laurie, privo di sensi, il cui corpo aveva enormemente attutito la caduta. "Finalmente questo idiota si è rivelato utile." Commentò Lysandra pulendosi dalla polvere la divisa, dopo essersi alzata. A quel gesto Florinda ancora una volta starnutì, però ricordandosi ciò che si era ricordata poco prima (e che se non fosse stato per l'allergia, avrebbe ancora una volta dimenticato).
"Questa allora si rivela la pista giusta." Si rallegrò Eric, dopo aver udito le nuove ed utili informazioni sul planisfero di Bram. Ancora una volta il gruppo di maghetti aveva indetto una riunione segreta nella camera di Lysandra, per scambiarsi opinioni sui nuovi fatti raccolti. Erano tutti molto sollevati di aver finalemtne trovato prove concrete che implicassero la preside fra i loro primi indiziati, cioè, dico, tutti eccetto Laurie, da poco  rinvenuto. "Non posso credere che la McGranitt centri in tutta questa storia!" Continuava a protestare, fu ignorato: tanto nessuno lo ascoltava mai, figuriamoci sull'innocenza di una che sembrava così tanto colpevole. "Ed ora che facciamo??" Chiese Florinda preoccupata stringendo al petto Leo, che ronfava spensierato. "Dobbiamo di sicuro muoverci per primi, abbiamo sempre l'effetto sorpresa." Decise Lysandra. "Certo!" Concordò Alice, per la prima volta d'accordo con la sua rivale. "Dobbiamo trovare il modo di incastrare quella maledetta professoressa di Trasfigurazione e con lei i suoi complici!" Comcluse, saltando in piedi sul letto (presa forse un po' troppo dall'entusiasmo), mentre il Furetto, dall'alto dell'armadio, la guardava, come fosse davvero interessato.

Capitolo quattordicesimo: Un muro di regole.


"Lei sa perché la Starfin è ad Hogwats, non è vero?" Chiese Alice con un filo di voce, mentre un paio di occhi color malva la fissavano intensamente. La lezione di Difesa contro le arti oscure era da poco terminata e tutti gli studenti si erano già affrettati a raggiungere la serra per la loro lezione seguente. Tutti meno i nostri sei maghetti che, accalcati e nascosti dietro la porta socchiusa, ascoltavano attentamente ogni singola parola pronunciata nella stanza. La sera prima era stato deciso che sarebbe stata la Gryffindor a chiedere direttamente a Rakubyan cosa ne sapesse della faccenda. Nessuno, sopratutto Laurie, avrebbe voluto porre una domanda del genere al professore, così di punto in bianco poi e sopratutto dopo aver assistito alla furiosa lite con la Starfin. Eric aveva suggerito, non riuscendo in alcun modo a fidarsi del professore, di non mettere pure lui al corrente di tutti i fatti fino ad allora scoperti, chiedendogli solamente come poteva una professoressa di cui non si sapeva nulla insegnare ad Hogwarts. Lysandra si ritrovò subito a condividere l'idea: "Dopotutto già troppe persone sono a conoscenza d'informazioni che sarebbe meglio non sapessero." Aveva commentato, scrutando con superiorità i Gryffindor del gruppo (già, pure Laurie, che per la prima volta veniva seriamente calcolato).
"Ho capito," Rispose Rakubyan in un sorriso, "Tu vuoi sapere da dove arriva la professoressa, giusto? Ti sembra strano che nessuno sappia nulla di lei, ho indovinato?" Alice annuì: aveva fatto centro. L'altro continuò, questa volta quasi bisbigliando, mentre Lysandra e gli altri tesero le orecchie per poter meglio udire: "Non so se dovrei dirtelo..." E qui incrociò le braccia indeciso, ma il tutto durò per un attimo: "Beh, ora che me l'hai chiesto non credo ci sia nulla di male a dirti la verità. Ebbene, la Starfin e la McGranitt sono sorelle, seppur con madri differenti." La Gryffindor si stupì molto: era stato davvero così semplice? E poi... Perché Oya era l'unico ad essere veramente informato sulla faccenda? "Non fare quell'espressione sorpresa." La rimproverò il professore divertito, "So benissimo che non lo sei affatto." Alice si meravigliò per davvero: ma cosa..? "Credete che non vi abbia visto l'altra sera mentre discutevo con la professoressa? Credete che non sappia che pure ora mi state spiando da dietro la porta?" Continuò alzando la voce. Tutti ebbero un sussulto: Rakubyan li aveva presi in giro fino a quel momento! "E' inutile ora che rimaniate lì tutti pigiati e scomodi, venite pure, non vi mangio mica." In fila indiana i maghetti raggiunsero Alice ed il professore, che li guardava con sguardo sempre più divertito. In quel momento Lysandra avrebbe voluto con tutto il cuore scomparire, per evitare quell'umiliazione, ma nessun mantello dell'invisibilità parve caderle dal soffitto in aiuto. Così, a testa bassa, fu costretta a sentire cos'altro aveva da rivelare Rakubyan, l'uomo che in quel momento detestava più in assoluto. "Voi otto dovreste fare più attenzione e non mettervi sempre nei guai, sapete?" Continuò il professore annuendo, fingendosi in malo modo serio. A Lysandra, sempre con la testa rivolta al pavimento, gelò il sangue nelle vene: otto? Come otto? Alzò il capo preoccupata, incrociando l'espressione rilassata del professore. Non poteva sapere del babbano, era impossibile! Allora come mai..? Per fortuna prima che potesse dire anche solo una parola, Ellen intervenne: "Ma noi siamo soltanto in sette." "Oh, davvero?" Si scusò Oya sorridendo. "Credo di essermi proprio sbagliato questa volta!" Lysandra trasse un sospiro di sollievo: era stato un errore, solo uno stupido errore.
"Devo rivelarvi ancora un paio di cose." Si fece ad un tratto serio Rakubyan, dopo essersi ben guardato attorno. Grazie a quel gesto non fu per lui difficile attirare l'attenzione dei maghetti, che con sguardi ansiosi lo stavano fissando. Così, soddisfatto, il professore riprese il suo racconto: "La Starfin è un ibrido, come vi ho già detto, e la sua è una situazione alquanto complicata." Da lì cominciò minuziosamente a spiegare la maledizione che teneva imprigionata la professoressa alla sua forma e, naturalmente, il collegamento che c'era fra lei e la Pietra della Resurrezione. Insomma, tutte informazioni che i maghetti già conoscevano alla perfezione, ma ciononostante finsero una grande sorpresa. "Vi starete chiedendo - Continuò Rakubyan dopo un sorriso - come faccia io ad essere a conoscenza di tutta questa storia. Beh, la risposta è semplice: io lavoro per il Ministero della Magia." Che cosa? Cosa aveva detto? In questo caso, come si può ben immaginare, non fu molto faticoso per i presenti dipingere sui loro volti un'espressione alquanto stupita. Sempre più compiaciuto, il professore continuò: "E' da un po' che il Ministero mi ha posto al seguito della Starfin. Sappiamo bene che è lei l'unica a sapere dove sia la Pietra della Resurrezione (essendo andata persa) o che, per lo meno, sa dove cercarla. Il Ministero è alla ricerca della Pietra da molto tempo. Sapete, se finisse in mani sbagliate essa potrebbe persino far risvegliare la potenza di Colui-Che-Non-Dev'essere-Nominato e, ovviamente, nessuno vuole che questo accada. La Starfin conosce benissimo la mia vera identità e vuole ad ogni costo incastrarmi e darmi la colpa del suo piano, ecco il perché di quella lite così accesa l'altra sera. Ora sapete tutto e vorrei che manteneste il segreto." I ragazzi, ancora un po' scossi dopo aver sentito nominare il famoso Signor Oscuro, annuirono in silenzio. "Tanto vale ora che v'informi anche degli ultimi sviluppi: par proprio che la Starfin abbia trovato la Pietra e che voglia agire stanotte." Continuò Rakubyan. "E lei come lo sa?" Non riuscì a trattenersi Laurie, ma si pentì subito quando fu guardato severamente da un paio di stupendi occhi color malva. "Questo a voi non interessa, è così e basta." Si stizzì l'uomo. Laurie deglutì, rimpiangendo i momenti in cui non veniva ascoltato. Perché aveva voluto parlare? "Ed ora ho bisogno del vostro aiuto." Confessò allora il mago, scusandosi: "Non volevo coinvolgere degli studenti, ma manca poco tempo e non ho potuto pensare ad un piano migliore." "Cosa dovremmo fare?" Chiese Eric, che era l'unico ancora veramente scettico sull'identità del professore. La Starfin non poteva trovare la pietra finché lui si sentiva lo Stregunto ben appeso al collo, aveva riflettuto. A meno che il ciondolo non fosse qualcos'altro, ma allora cosa? "Oh, è molto semplice: dovrete trovare la Pietra e portarmela, mentre io distraggo la professoressa." Rispose tranquillamente Rakubyan, fingendo di non notare lo stato d'animo dello Slytherin. "In poche parole lei ci sta chiedendo di derubare la Starfin?" Domandò Gwendolyn incredula. Certo, sapeva che da sempre il Ministero agiva per vie sinistre, ma non si sarebbe mai aspettata una richiesta del genere a dei ragazzini. "Questa è la nostra unica occasione per agire: al momento la Starfin non si sente in pericolo e sicuramente non sospetterebbe mai che proprio dei suoi studenti entrino nella sua stanza. Ci andrei io, veramente, ma ha posto una barriera troppo forte che io non riesco a superare. Sapete, l'ha creata proprio per me: per evitare che io le faccia qualcosa. E' evidente pensare quindi che la Pietra si trovi lì. Mi aiuterete?" Domandò alla fine. "Sì!" Esclamò Florinda, molto felice di rendersi utile in quella storia. Dopotutto non si sarebbe fatto male nessuno, era solo un furto da nulla. "Flo, credo che non..." Tentò di controbattere Eric, ma il professore lo fermò prima che potesse finire la frase: "Oh, signorina Johnson! Sapevo che avrei potuto contare su di lei! E che mi dice invece la signorina Black?" Continuò, con un sorriso che gli collegava le orecchie, rivolto a Lysandra. Quella brontolò qualcosa d'incomprensibile, ma alla fine annuì. Prima che Eric, o qualcun'altro, potesse obbiettare i sette (anzi otto) si ritrovarono a camminare lungo il corridoio che portava alla stanza della professoressa Starfin. "Flo, sei proprio sicura di quello che stiamo facendo?" Chiese Ellen. "Certo," Rispose Lysandra al suo posto, "Aiutare il Ministero della Magia mi sembra una buona azione e poi se per farlo bisogna mettere sottosopra la camera della Starfin, tanto meglio." Concluse. "... Di la verità: non t'interessa per nulla la buona azione, ma semplicemente i crediti di Difesa contro le arti oscure che guadagnerai dopo tutto questo." Sibilò Eric. Lysandra non negò, anzi, rettificò: "Certo, anche se devo ammettere che scombinare i piani di quella là non m'infastidisce per nulla."
Florinda non stava molto prendendo parte alla discussione, dato che a malapena ascoltava. Teneva la mano nella tasca della divisa e continuava a giocherellare con tre grossi semi datele pochi istanti prima da Oya, fra le dita. Erano di forma ovale, molto simile a quella della palla di quel famoso sport babbano chiamato rugby. Il loro colore variava dal grigio scuro al marrone, con una linea bianca che li divideva proprio nel mezzo. Appena li aveva visti, Florinda, li aveva subito riconosciuti. Cercò di protestare quando il professore glieli fece cadere fra le mani, conoscendo bene la pianta da cui provenivano e il modo con cui veniva coltivata, ma il professore l'aveva zittita con la frase: "Non farmi domande, sappi solo che ti serviranno." Così l'aveva congedata, quando ormai gli altri da un pezzo erano già usciti dall'aula, quindi ignari dal regalo fattole dal misterioso Rakubyan.
"Ecco, siamo arrivati." Disse Alice con lo sguardo puntato su una grossa porta nera. Una targhetta argentata risaltava sulla sua superficie scura, "Hinga Starfin" c'era scritto. Con cautela Ellen abbassò la maniglia e, dopo uno scricchiolio, meravigliata si rese conto che era aperta. Così con passo felpato entrò: non accadde nulla, evidentemente la famosa barriera di cui si era tanto preoccupato Rakubyan non aveva effetto su di lei. La ragazza non poté trattenere un brivido: quella in cui si trovava, infatti, era una stanza fredda e inospitale, senza contare la più completa oscurità al suo interno. Tastando il muro, la Ravenclaw cercò l'interruttore della luce, ma non vi riuscì. Non scoraggiata tentò allora un po' più lontano, ma ancora niente. Fece alla fine un passo indietro, con l'intenzione di pronunciare l'incantesimo Lumus per poter vederci qualcosa, ma non fu necessario poiché la stanza fu di colpo illuminata da una forte luce sopra la sua testa. I maghetti alzarono subito lo sguardo e si accorsero di un enorme lampadario bianco che pendeva dal soffitto. Era formato da undici braccia ricurve e alla fine di ognuna di esse vi era una candela che emanava un'insolita fiamma blu. Sbirciando da dietro la porta anche gli altri ragazzi, sotto la luce ora quasi violacea del lampadario, poterono vedere ciò che era apparso davanti ai loro occhi. Ad un primo sguardo non sembrava esserci nulla di anormale, quella poteva benissimo essere la camera di una qualunque professoressa del castello. La mobilia era discreta, non certo delle migliori, ma discreta: un letto accuratamente rifatto (quasi in maniera maniacale, poiché non vi era traccia della benché minima crespa fra le sue pieghe), una vecchia poltrona di pelle chiara posta al centro della stanza e un piccolo armadio (sicuramente stregato per essere più capiente) in cui probabilmente vi erano riposti gli abiti. In fine c'erano anche due o tre quadri che ritraevano paesaggi subacquei, forse addirittura di un altro mondo. Insomma, sembrava un luogo ben curato, difficile non pensare che chi vi abitava fosse una persona rispettabile e pure colta, notando i libri ordinatamente esposti su lunghi scaffali celesti vicino ad una piccola stufetta spenta. Tutto sembrava perfetto, se non fosse stato per delle assi di legno scuro, fissate al muro con dei grossi chiodi arrugginiti, proprio davanti alla finestra, come se la luce del sole non dovesse penetrare. I ragazzi non li avevano subito notati perché essi erano dipinti di azzurro, lo stesso colore delle pareti attorno. Dopo essersi un poco abituati allo strano bagliore che illuminava tutt'intorno, anche gli altri ragazzi decisero di entrare. Ma quando il piede di Eric sorpassò la soglia della stanza, il lampadario si spense di colpo, per poi illuminarsi ad intermittenza, sempre più velocemente. "Che sta succedendo?!" Chiese Florinda spaventata, cercando di raggiungere l'uscita, ma qualcosa la fermò. Provò in quel momento quasi puro terrore, quando, sentendosi ostacolata da un muro invisibile, non riuscì nemmeno a sfiorare Eric, che si trovava a meno di un palmo da lei. D'altra parte anche lo Slytherin fece del suo meglio per raggiungere la ragazza, ma ogni sforzo fu vano: la barriera era impenetrabile. Senza quasi rendersene conto una scarica elettrica lo travolse e fu spinto via da una forza sovraumana. Quando riaprì gli occhi si ritrovò a terra e si rese conto di essere volato contro il muro del corridoio difronte all'entrata. Florinda gli corse incontro preoccupata, senza quasi accorgersi che la strana barriera era scomparsa. "Va tutto bene?! Hai quasi sbattuto contro il soffitto!" Balbettò l'Hufflepuff in preda all'agitazione. Eric, a cui girava enormemente la testa (per non parlare del dolore dovuto alla forte botta alla schiena che gli si era propagato in ogni centimetro del suo povero corpo), non fu, a dirla tutta, poi così tanto dispiaciuto della sua situazione, trovandosi così vicino all'Hufflepuff che si preoccupava in mille modi per lui. Lusingato da quelle attenzioni, attuò il suo improvviso piano (che non gli fu poi così difficile, dato il continuo giramento di testa): cercò di alzarsi come se nulla fosse, ma incespicò nei suoi piedi, barcollò sul posto, per poi cadere dritto dritto fra le braccia di Florinda, che lo sostenne imbarazzata. Eric era di sicuro il più scaltro approfittatore di situazioni che si era mai visto, avrebbe poi commentato Ellen divertita ripensando a quell'incidente. "Che diavolo è successo?!" Sbottò Lysandra, più infastidita da tutto quel trambusto che preoccupata per la sorte del ragazzo. "Non ne ho idea, è come se fosse comparsa improvvisamente una barriera..." Rispose lo Slytherin con la voce più da sofferente che riuscì, mentre ancora teneva il capo poggiato quasi al collo di Florinda. L'Hufflepuff, dai capelli purpurei quasi quanto il suo viso, si affrettò a concordare impacciata: "Sì, sì... E' vero! Si è improvvisamente creata un muro invisibile!" "Proveniva dal lampadario!" Quasi urlò Laurie, cercando di distogliere l'attenzione generale dai due maghetti, praticamente abbracciati. Aveva detto la prima cosa che gli era venuta in mente ed era stato il suo istinto a spingerlo: quella scenetta era insopportabile e certamente imbarazzante, voleva smettere di assistervi al più presto. Non avrebbe però mai immaginato che qualcuno l'avesse udito, né, tanto meno, che gli avesse dato ragione. "E' vero..." Intervenne Alice. "Avete notato che il lampadario si comportava in maniera strana appena qualche attimo prima che Eric venisse spinto via?" Chiese poi, spiegandosi. Tutti guardarono in alto, verso l'oggetto (tutti eccetto Eric, preferendo di gran lunga la posizione in cui si trovava). "Sembrerebbe un perfetto Allarme Magico camuffato in lampadario." Si fece pensierosa Ellen. "Ciò che non capisco" Continuò corrucciando la fronte, "E' perché mai si sia azionato contro Er, non doveva funzionare solamente per Rakubyan?" "Magari, essendo anche il professore uno Slytherin, questo marchingegno funziona solo con i componenti di quella casa." Ipotizzò Gwendolyn. Tutti (vabbé, ovvio, eccetto Eric) rivolsero allora lo sguardo verso Lysandra, che fu esortata a non mettere piede nella stanza. In risposta quella brontolò qualcosa seccata. "Dannazione, - pensò - quella maledetta Starfin!"
Qualche minuto dopo, sicuramente malvolentieri, Eric dovette staccarsi da Florinda e rassicurarla che la sua salute non aveva risentito poi così tanto del colpo: dopotutto, aveva pensato, non era il caso di farla preoccupare solo per suo interesse. "Sei un bravo attore, non c'è che dire. Complimenti, degno di uno Slytherin." Ridacchiò piano Lysandra, quando gli altri erano già entrati nella stanza. "Anche se io avrei sicuramente fatto di meglio." Continuò annuendo lentamente il capo. "Che sfortuna allora non poter utilizzare quel buon talento che ti ritrovi, avendo già in tasca il proprio ragazzo miniaturizzato!" Rispose prontamente Eric non riuscendosi a trattenere. "Taci!" Cercò di interromperlo l'altra a metà frase, ma lo Slytherin era stato troppo veloce nel parlare e il proposito di lei fallì miseramente. Si sentì vibrare la tasca e una piccola testa bionda fece capolino dalla stoffa: "Davvero..?" Chiese la solita vocetta acuta, molto simile allo squittio di un topo. Il povero Panti era un po' spaesato, ma già da giorni ormai. Non aveva mai saputo perché era ad Hogwarts, né, tanto meno, come ci era arrivato e soprattutto che cosa aveva fatto i mesi prima (non ricordandosi il suo burrascoso passato da gufo). Era stato preso, miniaturizzato, buttato in una tasca e sballottolato qua e là. Aveva rischiato di morire più e più volte, cavalcando un fugo grigio che, se irritato, soffiava fumo violaceo, era quasi finito in un impasto e per poco non era stato divorato vivo da dei pomodori. Certo, pensandoci così le sue potevano sembrare una serie di sventure, tuttavia non si era minimamente mai preoccupato della propria sorte: era felice di aver trovato un luogo davvero magico, che aveva risvegliato in lui un nuovo interesse per ciò che lo circondava. Di quei giorni, nonostante tutto, il suo cuore non ne aveva per nulla risentito: non aveva provato mai né paura, nostalgia o un qualunque altro sentimento negativo. Ma ora, in quel momento, sentiva come un forte peso su di sé che gli pesava sulle spalle. I suoi piccoli occhi celesti guardarono quella che era stata la sua padrona con una tale intensità che in quel momento Lysandra fu colta impreparata. Era chiaro, Pantofolo voleva sapere. Perché quella frase di Eric aveva fatto nascere in lui una sensazione strana, che non aveva mai sperimentato: provava ansia, trepidazione, ma al tempo stesso c'era qualcosa di molto vago che lo rincuorava, offrendogli protezione. Sentì di non riuscir a distinguere le percezioni che gli girarono in quel momento confusamente in testa. Un solo pensiero era chiaro: doveva sapere. "Davvero?" Ripeté questa seconda volta più con convinzione. Lysandra vide ancora una volta quello sguardo intenso, ma al tempo stesso così minuto, fissarla. "Io..." Cominciò, sentendo il suo battito cardiaco aumentare. Che cosa avrebbe dovuto rispondere? Perché si trovava in quella situazione? "Ma figuriamoci!" Continuò di colpo fredda, forzando una risata fittizia, tuttavia che non parve per nulla voluta (da ottima attrice, quale era davvero). "Ah! Con un babbano! Figuriamoci, Eric, certo che tu le sai proprio raccontare!- e qui rise ancora più forte - Torna dentro, tu: se ti scoprissero per me sarebbero guai." Concluse, dando una manata al povero ragazzo e cacciandolo nel fondo della tasca. Per la prima volta Panti provò male, non tanto per la botta appena ricevuta, ma per uno strano senso di vuoto che mai aveva provato fino ad allora. Non solo quel senso di ansia e angoscia era scomparso, ma anche tutti quei pensieri confusi che pochi istanti prima lo agitavano tanto. Qualunque cosa fosse successo, sentì subito la mancanza di entrambi.
Ci fu silenzio. Eric, rendendosi conto del danno appena provocato e sentendosi responsabile, non osò più parlare. La Slytherin si morse il labbro: sapeva che ciò che aveva detto era vero, sì, insomma, doveva essere per forza vero. Un purosangue come lei non poteva provare sentimenti simili per un babbano, era inaccettabile ed insensata solo l'idea. Nemmeno un mago fuori di senno avrebbe potuto pensare anche solo qualcosa di vagamente simile. Panti non era neanche un mezzosangue (con i quali, per una come lei, avere solo un rapporto di amicizia era un insulto nei confronti della propria famiglia), ma un babbano! Un babbano! La classe più bassa e insulsa della società: ancor peggio di un Elfo Domestico!
Ad un tratto però un pensiero balenò nella mente di Lysandra e ne fu profondamente scossa: c'erano delle regole e a un componente della sua famiglia non era previsto il lusso di infrangerle. Era questo in realtà il problema: per chi nasceva purosangue come lei non esisteva la libertà di scelta. Il suo possibile amore per Panti era quindi più che impossibile.

Capitolo quindicesimo: Il fauno bugiardo.


Dopo aver rovistato a fondo la stanza, combinando un caos colossale, i ragazzi però non trovarono nulla di simile ad una pietra nella camera di Hinga Starfin. Per tutto il tempo Florinda non aveva un granché partecipato alla grande ricerca, molto occupata a fissare un grosso tulipano arancio in un vaso di ceramica nera. “Che stai facendo?” Le chiese ad un tratto Gwendolyn alle prese di un piccolo bauletto di legno intarsiato. “Perché non ci dai una mano invece di star lì a far nulla?” Domandò a quel punto Alice irritata, non sopportava il comportamento sempre più svampito dell’Hufflepuff. Più la conosceva e più le sembrava che fosse stupida. “Ha qualcosa di strano…” Commentò Florinda, per nulla accorgendosi dalla voce acida che aveva Alice sempre nei suoi confronti. “Nessuna pianta può vivere senza luce del sole, eppure questo tulipano sembra bello e in forze pure in un luogo così freddo e buio.” Continuò colpita. Ellen le si avvicinò: “Hai ragione, è strano…” Allungò la mano per poi afferrarlo ed avvicinarlo a sé. Sbalordite le ragazze si accorsero che il vaso in cui esso stava non conteneva acqua né qualunque altro liquido, nemmeno un filtro magico per farlo rimanere in vita. “Sono sicura che questo è un vero tulipano!” Confermò l’Hufflepuff. Fece per toccarlo, ma non appena lo sfiorò col dito dal corridoio si sentì Eric chiamarla: a quanto pareva lo Stregunto si era inspiegabilmente illuminato di una luce dorata. Precipitandosi fuori Florinda non ebbe più dubbi: quella era la stessa luce che aveva visto non solo molte volte in sogno, ma anche nello stesso istante in cui Olivander le dava la bacchetta di sua nonna. “E’ questa.” Confermò allora con voce decisa. “Credo proprio che questo fiore sia la Pietra che stiamo cercando.”
“Com’è possibile? Ma la Pietra non dovrebbe avere sembianze di pietra?” Chiese Laurie confuso. “Come fai ad esserne così convinta?” Chiese Alice, non credendo ad una sola parola dell’Hufflepuff. “Ho capito.” Si fece avanti Ellen e con voce calma poi spiegò: “Questo non è altro che un incantesimo di trasfigurazione. Essendo la Starfin l’insegnante di questa materia non mi sembra una cosa poi così strana… Quello che mi domando è perché abbia scelto un fiore per il suo intento.” “C’è una magia che sappia sciogliere questo sortilegio?” Chiese allora Lysandra. “Ehi, ma dormivi durante le lezioni di tutto questo trimestre?” Sbottò Ellen. “No,” Si spiegò l’altra. “Fingevo semplicemente di ascoltare.” La Ravenclaw rise: “Beh, si da il caso che esista un metodo per togliere un incantesimo di questo tipo e che, a mio parere, sembra molto potente. C’è solo il problema che dev’essere sempre la stessa bacchetta che ha lanciato la magia a scioglierla.” “Pazienza, tanto Rakubyan ci ha solo detto di recuperare la Pietra, poi il resto dei problemi sono suoi.” Si convinse la Slytherin. “Ehi, guardate! Il mio furetto!” Esclamò Florinda indicando una palla di pelo bianca a qualche metro da loro. L’animaletto, sentendosi evidentemente nominato, saltellando le fu in braccio. Cercò quindi di afferrare con le zampine il tulipano, che ora stava tenendo in mano Lysandra, e lo annusò sempre più interessato. Florinda ridacchiò: “Ehi, occhio a non mangiarla! Questa è una pietra molto importante, che dobbiamo portare al professor Oya!” Sentendo quel nome il furetto improvvisamente iniziò ad agitarsi. “Ehi, ma che ti prende?!” Esclamò la ragazza presa alla sprovvista, cercando di tenerlo fermò. A quel punto l’animale, continuando sempre più a dimenarsi, finalmente riuscì a liberarsi dalla stretta e saltò addosso a Lysandra, che urlò schifata. Per sbaglio il fiore le cadde di mano e l’animaletto fu il primo ad agire: lo afferrò con la bocca e immediatamente corse via. “Fermatelo!” Urlò la Slytherin furibonda. “Quell’odioso ratto! Non lasciatelo scappare!” Continuò impartendo ordini a caso ai suoi compari. Laurie si gettò immediatamente dietro al furetto, credendo di far qualcosa di sensato (anche se il suo scopo primario era naturalmente quello di farsi notare da Florinda). Sfortunatamente pure a Eric venne in mente qualcosa di molto simile (dannazione, perché i ragazzi innamorati hanno gli stessi sciocchi pensieri?), ciò che successe dopo, quindi, è facilmente prevedibile: ci fu uno scontro e le ossa di Laurie scricchiolarono tutte, contro il corpo di Eric in un rumore inquietante. Il poveretto si ritrovò alla fine schiacciato a terra sotto il peso dello Slytherin, a metà fra il sorpreso e il disgusto notando da chi era stato appena palpato. Basta, meglio non star qui a descrivere nei dettagli quel malaugurato incidente. “Fra tutti i presenti, proprio lui?!” Fu il commento che per fortuna Eric riuscì a soffocare prima che Florinda udisse. “CHE STATE FACENDO LI’ A TERRA?! PRENDETELO!” Iniziò a sbraitare Lysandra, davvero irata. A quelle parole tutti cominciarono a correre all’impazzata dietro al furetto, che sembrava prenderli in giro riuscendo sempre incolume a sgusciare via dalle quattordici mani che tentavano di acchiappalo. In qualche strano modo, dopo vari tentativi d’attacco, Gwendolyn si ritrovò sopra Alice, Eric confuse per errore (anche se ci crediamo poco) la caviglia di Laurie per l’animaletto e lo fece per l’ennesima volta finire a terra, Lysandra si gettò nella mischia urlano e agitando minacciosa la sua bacchetta, che emetteva spaventosi fulmini verdi. Ellen non si dava troppo pensiero per quella storia, in un angolo leggeva, attendendo che gli altri si stufassero di scannarsi fra loro. Dopo qualche eterno minuto passato all’incirca in questa maniera, il furetto si decise a spostarsi dal corridoio all’aula di trasfigurazioni e di corsa vi entrò. Gli inseguitori non esitarono a fare lo stesso, ma dovettero di colpo fermarsi appena furono dentro la stanza: davanti a loro si ergeva un’enorme montagna di schiuma bianca che li attendeva. La cattedra, i banchi e persino le pareti erano stati inghiottiti sotto quella spessa massa. “Ma che diavolo..?!” Non poté che esclamare Lysandra a quella vista. “Che cos’è quest’enorme cosa??” Chiese allora Laurie, massaggiandosi il polso sul quale era appena (per l’ennesima volta) caduto. “…Sembrerebbe schiuma.” Ipotizzò Alice con poca sicurezza. "Sì, sì! Questa è proprio schiuma!" Confermò Florinda prendendone un po' in mano e giocherellandoci. Era proprio schiuma, simile simile a quella che lei stessa usava per lavare i suoi capelli multicolore. "Che strano..." Continuò sempre più perplessa. "Ehi, guardate!" Esclamò ad un tratto Eric, indicando un punto fra l'immensa schiuma bianca. Tutti si voltarono e lì, proprio nel punto indicato, notarono l'indistinguibile codina del furetto, che sembrava incitare i maghetti ad afferrarla. "Addosso!" Sbraitò Lysandra e si gettò senza nemmeno pensarci due volte dentro l’ammasso. Senza perdere un secondo Florinda la seguì ciecamente e l'intero gruppo si ritrovò costretto a fare altrettanto. Quando anche Laurie, l'ultimo della fila, fu all’interno, cominciò a sentirsi addosso una strana sensazione. Inizialmente non se ne preoccupò molto, ma più il tempo passava e più la sua situazione peggiorava. Continuava a sputare schiuma, che gli finiva in gola, sempre più in maggior quantità man a mano che si avvicinava. Ad un tratto se ne ritrovò in bocca talmente tanta da non riuscire quasi a respirare. Fu costretto allora ad ingoiarne un po’: aveva un sapore amaro, peggio della disgustosa purga di zia Johsephine, pensò disgustato. Chiuse gli occhi, non riusciva proprio a tenerli aperti giunto fin lì. Pensò di tornare indietro, ma come? Ormai aveva fatto almeno una decina di passi all'interno della spessa sostanza e non riusciva a vedere che bianco attorno a sé. Qual era la via giusta per tornare indietro? Era impossibile da dire, ciò che gli restava da fare era avanzare. Ad un tratto la strana sensazione iniziale si trasformo in vera e propria tristezza, come se non riuscisse più ad essere allegro. Così non riuscì proprio a trattenersi e tutti i suoi pensieri più bui vennero alla luce. Si ricordò allora di Fred e George, i suoi amati cugini, della sua famiglia e di tutti gli avvenimenti terribili che gli erano capitati. Ma che gli stava succedendo? Si sentiva perso, perso in una depressione che da moltissimo non aveva più provato. Cercò di resistere, ma in quel momento sentì una fortissima fitta allo stomaco avanzare e farsi sempre più forte. Ancora, per l'ennesima volta gli doleva quella ferita inguaribile. Si sentì irrimediabilmente solo ancora come un tempo. Nessuno sarebbe arrivato a prestagli soccorso, perché qualcuno avrebbe dovuto? Lui non era che solo, follemente solo al mondo. Nessuno lo aveva mai ascoltato o capito. Sentì le sue fitte aumentare. Nessuno. S'inginocchiò a terra, stringendo le braccia sullo stomaco. Nessuno: questa parola iniziò a ripetersi nella sua mente, era perso. Gli sembrava di essersi addormentato in un incubo terribile: Fred e George gli avevano voltato le spalle e se ne stavano andando, come due spettri... Due ricordi mutati dalla propria mente. Bellatrix era risorta e li stava diabolicamente controllando, per strapparli a lui. Provò ad urlale, ma la schiuma ancora una volta lo soffocò, non riuscendo ad emettere un suono. Tutto era perso. Nessuno l’avrebbe aiutato.
Ad un tratto però una mano lo strinse al polso e lo destò di colpo dal suo sonno terribile, tirandolo a sé. In un attimo fu trascinato fuori con forza dalla spessa nube di schiuma e quando aprì di nuovo gli occhi vide Lysandra che, ancora tenendolo, lo guardava con aria seccata. "Sempre a farci perdere tempo, tu!" Lo rimproverò, finalmente lasciandolo. Quasi incredulo, il Gryffindor percepì un forte senso di gratitudine nascere in lui nei confronti della ragazza che l’aveva, anche se involontariamente, salvato. Proprio lei? Si chiese. Proprio la nipote di Bellatrix, ma allora... Sentì il bisogno di ringraziarla, ma non vi riuscì perché proprio in quel momento si rese conto di dove fosse. La schiuma si era dissolta, lasciando alle spalle dei maghetti un muro di pietre aguzze. Spioventi stalattiti piovevano dal soffitto e creste di roccia si stagliavano tutt’intorno a formare uno stretto corridoio di marmo bianco, che si allungava senza una fine difronte ai loro occhi. Non se n’erano nemmeno accorti, ma quella strana schiuma li aveva condotti in una lunga grotta maleodorante: il pungente odore impregnava così tanto l’aria da dare il voltastomaco. Le pareti umide e ricoperte da muschio verdastro, formavano degli strani riflessi tutt’intorno, contrastati dal color ruggine delle stalagmiti. Il luogo era illuminato da qualche fiaccola di luce bianchissima, che fluttuava qui e là all’alto delle pareti. Veniva così a formarsi un sinistro gioco di ombre e luce, che si contrastavano a vicenda, sottolineando la lugubre essenza della grotta stessa.
"Ma dove siamo?? E perché?!" Chiese in quel momento l'ultimo arrivato, ancora ricoperto di schiuma. "A quanto pare la Starfin ci ha ingannati per bene..." Si rese conto Ellen, pulendo furiosamente con la manica della divisa la copertina del suo libro. Dannazione, come si è permessa di rovinarmelo?! Pensò sbuffando. "Hai ragione, quando sarà a portata incantesimo le farò vedere io!" Ringhiò Lysandra, agitando il pugno davanti a sé. Laurie rabbrividì a quell’esclamazione, dimenticandosi di colpo la sua riconoscenza. Non avrebbe voluto per nessun motivo essere nei panni della Starfin in quel momento. "Ehi, zitti un secondo: che cos'è questo rumore? –Domandò Florinda- Proviene dall’altra parte della grotta!” Gli altri tesero le orecchie. Effettivamente piano e in lontananza si sentiva qualcosa: un lontano lamento sibilante, come fosse stato troppo stanco per accrescersi, ma non abbastanza per morire. Sembrava quasi un’esasperata richiesta d’aiuto racchiusa da millenni nella roccia. Incuriositi, o quanto meno inquietati, da quella sinistra presenza, i ragazzi iniziarono a percorrere il corridoio che li attendeva. Ad ogni passo il lamento aumentava, fino via via a trasformarsi in un vero e proprio pianto. I singhiozzi continuavano, imperterriti, fino a quando i maghetti non raggiunsero uno spazio ampio, che si apriva fra le rocce. Lì tutto tacque, in quella che era un’ampia grotta completamente formata da pietra bianca. “Che posto è mai questo?” Chiese Alice. La sua voce rimbombò più volte attorno a lei, cadendo in balia dell’eco. In quel momento una luce illuminò un angolo della grotta, angolo che fino a qualche istante prima nessuno aveva notato, immerso nel buio. La luce non era forte come quella del precedente corridoio, bensì più lieve e mostrava appena le sagome di due porte chiuse, una a destra e una a sinistra.In tutto parevano essere identiche e soprattutto solenni. Non però che fossero alte o meravigliosamente lavorate ai lati, tutt’altro. Ma la così immensa regalità dell’ambiente conferiva loro un’aura quasi titanica. Ciò però che colpì immediatamente l’occhio dei maghetti fu che sopra entrambe vi era scolpito un volto di pietra, un volto però non umano. Le guance fin troppo scavate, gli davano un aspetto allungato e magrissimo. Gli spettinati boccoli bianchi quasi nascondevano delle piccole corna, simili a quelle delle capre. Le statue, dagli occhi chiusi, pareva dormissero, tanto bene erano lavorate. "Sono dei fauni." Concluse Gwendolyn dopo essersi avvicinata e averli accuratamente osservati. A quella parola magicamente i nasi di roccia vibrarono e quattro occhi si spalancarono di colpo. I sette fecero un balzo all’indietro e Panti rotolò su se stesso nella tasca. I fauni non avevano pupille e il loro sguardo era vuoto, senza alcuna emozione. Prima che qualcuno potesse fiatare, il pianto si fece di nuovo risentire, anche se questa volta i singhiozzi erano così forti da sembrare striduli. “Ma che succede??” Tentò di chiedere Lysandra, ma delle grosse gocce d’acqua iniziarono a piovere dal soffitto. “Sta piangendo…” Bisbigliò Florinda, “La grotta sta piangendo!” “Non è fra i singhiozzi che scamperai al tuo compito!” Minacciarono due voci. Non erano umane, riconobbe immediatamente Gwendolyn. “Canta, Ninfa, canta e compi il tuo destino! Ciò per cui sei stata creata!” Gracchiarono di nuovo le presenze. Finalmente i ragazzi capirono: erano i due spaventosi fauni a parlare, racchiusi nella loro penombra di pietra. A quella frase un poco il flusso d’acqua si attenuò, trasformandosi in una leggera pioggerellina. La voce, ora non più singhiozzando, al fine parlò con voce da cantilena, perché era una canzone quella che ora rimbombava nella grotta:

“Due porte identiche l'uomo vedrà,
Ma quale al fin sceglierà?
Con una la salvezza avrà,
L'altra fra gli spettri lo condurrà.
Egli solo una domanda farà,
Ma a chi la porrà?
Uno dei volti sol mentire saprà,
Mentre l'altro il giusto dirà.
Menzogna o verità?
Quale la scelta giusta sarà?
La tua mente ragionare dovrà
O il tuo corpo la vita darà.”

Era una meravigliosa voce di donna quella che i ragazzi udirono. Tuttavia c’era del rimorso in quel canto, come se fosse odiato. Ellen si staccò dal gruppo e con una mano accarezzò una delle pareti bianche, gli altri la fissarono senza capire, quando parlò: “Non piangere: andrà tutto bene.”
Aveva letto molti libri sugli Spiriti delle Grotte, ma era la prima volta che ne incontrava davvero uno. La leggenda narrava che essi fossero nate dalle lacrime di tutti coloro che avevano sofferto per un amore non ricambiato. Non avendo corpo, ma solo una voce splendida, c’era anche chi sosteneva fossero tutti figli di Eco, la sfortunata ninfa che per l’amore non corrisposto di Narciso si era lasciata consumare dal dolore, fino a quando di lei rimase soltanto la voce.
“L’unico modo per proseguire è prendere una di quelle due porte,” Spiegò poi Ellen, “Non dobbiamo però sbagliare, ci sono le nostre vite in gioco questa volta. Un errore e… Tutto è perso.” Laurie impallidì. “Il canto dello spirito di questa grotta non è altro che un avvertimento per metterci in guardia su questo punto. In pratica, da quel che ho capito, queste sono due porte: una che porta alla vita e l'altra alla morte. Entrambe hanno un guardiano, la testa da fauno. Una delle due mente e l'altra dice solo la verità. Noi possiamo fare una sola domanda per scoprire qual è la porta della vita, senza però sapere qual è il fauno bugiardo. Vi è tutto chiaro?” Gli altri annuirono. “Quindi se noi chiedessimo la porta della vita il fauno bugiardo ci direbbe quella della morte, ma dato che noi possiamo fare una sola domanda ad un solo fauno, senza sapere quale dei due dice la verità... È come se fossimo punto e a capo!" Ragionò Lysandra ad alta voce. "Esatto..." Confermò Ellen. “Ma allora è impossibile!” Si scoraggiò Alice, scrutando preoccupata i due volti di pietra che rimanevano ora in un’immobile attesa. “No, un modo c’è ed è anche abbastanza semplice.” Rise Ellen. “Tranquillo, Spirito, oggi nessuno si farà del male.” Continuò con tono rassicurante. Finalmente aveva capito: la grotta si sentiva responsabile per tutte quelle ingiuste morti a cui aveva assistito. Ogni volta che qualcuno le si avvicinava, non poteva trattenere le lacrime con la paura che l’ennesimo viaggiatore avesse un triste destino. Con passo deciso la Ravenclaw si avvicinò alla porta di sinistra e guardando il suo guardiano negli occhi di pietra chiese: “Caro fauno, se domandassi a tuo fratello qual è la porta della morte, lui cosa mi risponderebbe?” Dopo una pausa, una voce gracchiante rispose: “La mia, oh giovane maga.” “Molte grazie.” Sorrise di nuovo la Ravenclaw, poi continuò indicando la porta di sinistra: “Allora, andiamo?” “Un momento! Come fai ad essere così sicura?!” Chiese Alice, per nulla convinta. “Ha ragione!” S'intromise Laurie, "Hai chiesto la porta della morte, non quella della vita!" Lysandra, che ormai aveva già intuito tutto, sbuffò: “Come siete diffidenti e stupidi. Tutti così i Gryffidioti? C’era d’aspettarselo. Beh, direi che c’è un solo modo per scoprire chi ha ragione...” Senza nemmeno accorgersene, Laurie era stato agguantato al polso dalla Slytherin, che l’aveva con forza lanciato contro la porta di sinistra. Quella si era magicamente aperta e il Gryffindor vi ci era ruzzolato dentro, senza riuscire ad evitarlo. Con un urlo era malamente atterrato e quando riaprì gli occhi si ritrovò lungo e disteso su un pavimento di piastrelle bianche. “S... Sono morto?!” Balbettò pallido. “No, sfortunatamente.” Rispose Lysandra passandogli affianco, mentre Eric tentava in tutti i modi di trattenersi dal ridere. Anche perché Florinda si era frettolosamente chinata su di lui domandando se stesse bene. “Ehi, ma che cos’è quel coso?!” Chiese Alice indicando il soffitto. Gli altri alzarono lo sguardo e fra le pietre aguzze poterono notare una pozza d’acqua. Sì, era proprio una pozza d’acqua posta sul soffitto, come se la forza di gravità non esistesse. L’acqua era di uno scuro verdastro e nulla vi si poteva vedere all’interno, come se la pozza non avesse una fine. Non era molto larga, forse nemmeno di due metri e occupava solo una piccola parte dell’inizio di un nuovo corridoio di pietra identico al precedente, se non fosse stato per il pavimento che questa volta era ricoperto da delle grosse piastrelle bianche. Nemmeno una goccia d’acqua penetrava dalla pozza, di sicuro era fermata da un’altra barriera trasparente, proprio come quello all’entrata della camera della Starfin. “Non mi piace per nulla…” Commentò Ellen. “Ma in che posto siamo finiti?” Chiese Florinda, mordicchiandosi un’unghia per l’agitazione. “Ho il sospetto che ci troviamo sotto il lago di Hogwarts. Dove si potrebbe trovare se no tant’acqua?” Spiegò Eric. Nessuno lo contradisse, effettivamente aveva ragione. “Se è vero ciò che dici, un qualunque incantesimo scagliato contro il soffitto di questa grotta non solo farebbe crollare tutto, ma ci sommergerebbe d’acqua!” Quasi urlò Laurie, più in ansia che mai. “Dobbiamo uscire di qui e alla svelta. Questa storia non mi piace.” Disse Lysandra affrettandosi, seguita dagli altri.
Non avevano fatto che una ventina di passi, quando sentirono uno strano rumore, come un fruscio in lontananza. A poco a poco però si trasformò in un vento furioso, che scompigliò i capelli di tutti i presenti. I maghetti non poterono che fermarsi atterriti da quell’aria spaventosa, sempre più forte ed energica. Era ormai chiaro a tutti: nella penombra della grotta qualcosa si stava avvicinando.

Capitolo sedicesimo: Il coraggio dei Gryffindor.


Il rumore, inizialmente un fischio, si era trasformato ora in un pesante ronzio ed il vento si era alzato a tal punto da diventare insopportabile. Qualche secondo dopo i ragazzi scorsero qualcosa proprio infondo al corridoio, come un grosso ammasso nero avvicinarsi... E non piacque loro per niente. Gwendolyn strizzò gli occhi preoccupata, sperando di sbagliarsi, ma purtroppo non fu così, perché in un urlo esclamò: “Tutti a terra!” Aveva immediatamente riconosciuto di cosa si trattava e la sua reazione era stata più che azzeccata. Gli altri fecero appena in tempo a raggiungere il suolo, che un grosso sciame d'insetti fu sopra di loro. “Non fate movimenti bruschi!” Fu il primo avvertimento di Gwendolyn, che in un bisbiglio arrivò alle orecchie degli altri. “Sono delle Falene Ipnotiche!” Spiegò ancora. “Non dovete guardarle sul dorso o con il loro potere vi comanderanno come delle marionette! In più le ali sono così taglienti da riuscire a spezzare il diamante! Fate attenzione, è davvero pericoloso!” Gwendolyn odiava quei dannatissimi insetti, che ti stregavano la mente per comandarti a bacchetta e succhiarti la linfa vitale. Il suo paese ne era infestato, ma fortunatamente gli abitanti avevano protetto il luogo con una forte barriera, quindi il pericolo era notevolmente diminuito. Erano esseri pericolosi, anzi, letali, seppur così piccoli. Era per questo che fin dalla tenera età i suoi genitori le avevano insegnato come contrastarle. Avrebbe preferito non servirsi di quegli insegnamenti, soprattutto ad Hogwarts, ma per fortuna li aveva ben appresi. Era l’unica a poter tirar fuori i suoi compagni da quella situazione, lo sapeva bene.
Nessuno dei maghetti si mosse, attendendo altre istruzioni, che poco dopo arrivarono: "Ora muovetevi piano, rimanendo attaccati al suolo, cercate di non agitarvi troppo... Fortunatamente queste farfalle attaccano solo chi riconoscono essere una minaccia, quindi se non ci muoviamo troppo non dovrebbe succederci nulla.” “Dovrebbe??” Ripeté Laurie, fissando quegli strani esseri neri che continuavano a svolazzargli sulla sua chioma rossa. “Idiota, non discutere e continua ad avanzare!” Tagliò corto Lysandra.
Avevano quasi superato lo sciame, quando una delle falene si staccò dal gruppo e svolazzò piano davanti al naso di Alice. Gwendolyn se ne accorse, ma non fece in tempo ad avvertirla che ormai l'altra aveva visto il dorso dell'insetto. Una miriade di colori la colpì e il suo sguardo ne fu accecato, colto ovviamente alla sprovvista. “È... È bellissimo!" Esclamò fuori di sé dalla gioia, mentre un sorriso da 42 denti le rigava il volto. “Oh, no! Torna in te!” Le urlò a quel punto Gwendolyn, balzandole davanti.. Ma ormai era tardi: il terribile potere della falena si era impossessato di lei. Alice, ormai non più consapevole delle sue azioni, di scatto fu in piedi. “Presto, scappate!” Vociò Gwendolyn, mentre le farfalle cominciavano il loro attacco. Dannazione, si erano mossi ed ora uno sciame imbufalito d’insetti era loro contro. Gli altri schizzarono sull’attenti e iniziarono a correre confusamente in avanti, inseguiti dalle falene che con le loro ali volevano tagliuzzarli a morte. “Dove fuggite? Unitevi a noi!” Nel frattempo rideva Alice con la propria bacchetta alla mano che agitava senza sosta, scagliando delle scintille azzurre tutt’intorno. Nella confusione generale una falena raggiunse Laurie, puntandogli la gola. Il ragazzo per proteggersi mise le mani davanti a sé e venne tagliato sul palmo destro. In un verso di dolore non poté che fermarsi, fissandosi la ferita sanguinante. Ma proprio in quella l'insetto attaccò nuovamente. Ci fu un lampo abbagliante e la farfalla cadde a terra infuocata. Laurie si voltò e vide Ellen, la cui bacchetta ancora fumava. “Presto, non restare lì impalato!” Gli urlò, “Muoviti!”
Gwendolyn nel frattempo era rimasta indietro, cercando di salvare l'amica dai suoi stessi pericolosi incantesimi che scagliava senza sosta. “Torna in te!” Continuava a gridarle alle orecchie, schivando con una maestria innata le falene che le si fiondavano contro. Aveva già superato una situazione del genere, l'anno prima, non riusciva però a capacitarsi come fosse possibile che uno sciame tanto grande si trovasse in una grotta sotto il lago di Hogwarts... Ma certo, l'acqua! Fu il pensiero che le comparì nella mente. Come aveva fatto a non pensarci prima? Le falene ipnotiche odiavano l'acqua e lì ce n'era sicuramente in abbondanza per scacciarle. “Ascoltatemi!” Urlò ai suoi compagni di battaglia. “Dobbiamo far entrare dell'acqua nella grotta: le falene non la possono sopportare e pure l’incanto su Alice sparirà!” Spiegò, “Ora scaglierò un incantesimo contro questa parete, quindi state pronti a correre il più lontano possibile!” “No, aspetta! Non farlo! Il soffitto sopra di te crollerebbe e potresti rimanere schiacciata!” Tentò di farla ragionare Eric. “Non preoccupatevi per me: io devo salvare Alice! Quando il soffitto cadrà, io la spingerò dalla parte opposta a lei e saremo salve, poco più in là c’è un’insenatura che sembra essere fatta apposta!” “Ma è pericoloso! Non farlo!” Urlò Florinda. “No, questo è l'unico modo per salvare sia voi che Alice, ci sarà solo un muro a dividerci!” Continuò l'altra alzando la bacchetta. “State pronti!” “No, è una follia!” Volle urlare Lysandra, ma la sua voce non si sentì sotto il forte rumore che l'improvviso incantesimo sprigionò schiantandosi contro una parete. L'intera grotta tremò e un forte getto d'acqua si sprigionò dal soffitto, che cadeva formando un muro, come aveva proprio profetizzato Gwendolyn. Alla vista dell'acqua subito le falene si dileguarono e in un urlo i ragazzi corsero in avanti senza nemmeno voltarsi. Anche quando l’ultimo ciottolo fu caduto però la grande cascata d’acqua non diminuì, anzi, pareva aumentare ogni secondo sempre più. Florinda corse contro la parete. “Stai bene?!" Urlò con tutto il fiato che aveva in gola l’Hufflepuff, completamente fradicia dall'acqua che filtrava sempre più violentemente. “Presto, andiamocene da qui!” La trascinò via Lysandra, tirandola forte per un braccio: “Questo posto si sta per trasformare in una trappola per topi!” “Ma... Ma Wendy e Alice..!” Tentò di protestare quella. “Presto, non c’è tempo da perdere! Tra poco qui sarà sommerso d'acqua!” Insistette Ellen. “Fatti forza Flo...” Cercò di convincerla Eric, mentre l'acqua arrivava loro alle caviglie. “Non possiamo andarcene!” Urlò Florinda: non poteva sentire ragioni, era sconvolta. Quando ormai Eric aveva tutta l’intenzione di portarsela via di peso, Si sentì una voce: “Stiamo bene!” Era Gwendolyn, miracolosamente incolume. “Avete sentito?! Stanno bene!” Urlò Laurie, superando i singhiozzi di Florinda. Quella di colpo smise di piangere e tese gli orecchi. “Voi andate avanti noi qui ce la caveremo, l'acqua non penetra neppure: siamo state davvero fortunate! Cercheremo di tornare indietro alle porte: sono sicura che lo spirito ci proteggerà di certo!” Rassicurò la voce di Gwendolyn, che si teneva stretta ad Alice priva di sensi. Stavano tutti bene: l’importante era quello, pensò. “Torneremo a riprendervi!” Esclamò Florinda grata della buona notizia. “Va bene, ma ora andia..!” Fece Lysandra, ma non fece nemmeno in tempo a concludere la frase la crepa formatasi sul muro si aprì di colpo e il getto che ne fuoriuscì dopo fu immenso. I cinque iniziarono immediatamente a correre, cercando di non essere travolti da un fiume d'acqua che li avrebbe di certo sommersi. “Correte! Di qui ci dev'essare per forza l'uscita!” Urlava Eric davanti al gruppo, trascinando la sua Florinda per un polso. Purtroppo il ragazzo si sbagliava, perché ad un tratto si ritrovarono in un vicolo cieco: un muro di roccia si ergeva davanti a loro e l’acqua continuava ad avanzare. Tutto sembra perso, quando ad un tratto: “Guardate! È lassù!” Indicò Ellen una luce: finalmente l'uscita. A sei metri d’altezza la grotta si apriva, mostrando il cielo. “Scalare è impossibile e l'acqua si avvicina!” Esclamò Eric, dopo essere scivolato giù dalla scarpata. Il rumore dell'acqua fu sempre più vicino. “Ho un'idea! El, Er e Lys... Dovete crearmi una barriera! Dovete bloccare l'acqua ancora per qualche minuto!” S'intromise Florinda. Gli altri la guardarono stupiti e anche abbastanza atterriti: meglio essere travolti da un fiume d’acqua o mettersi nelle mani di Florinda Johnson? Sicuramente la miglior cosa sarebbe stata non trovarsi a scegliere. Ma che aveva intenzione di fare? Lysandra fu la prima, stranamente, a concordare (tanto, peggio di così… Pensò.): “Ragazzi, non abbiamo altra possibilità... Dobbiamo darle ascolto.” Gli altri annuirono, Florinda sorrise: non li avrebbe delusi. “Laurie, vieni qui!” Chiamò l'Hufflepuff, avvicinandosi alla parete rocciosa. Mentre una grande luce si sprigionava dalle punte delle tre bacchette ed il muro magico prendeva forma, il Gryffindor la raggiunse. “Ti fa tanto male la ferita?” Chiese indicando il taglio che l'amico aveva sulla mano. Ma come? Erano qui a rischiare la vita e lei si preoccupava del suo taglietto? Ma si rendeva conto della situazione in cui si trovavano?! Pensò Laurie esterrefatto. “No... Non molto.” Mentì, senza nemmeno accorgersi che l'altra aveva tirato fuori qualcosa dalla tasca e l’aveva con cautela poggiato su una grossa pietra sporgente della parete. “Questo un po' te ne farà, mi spiace...” Si scusò l'Hufflepuff. L'altro non fece nemmeno in tempo a sentire la frase, che era stato afferrato per il polso e gli era stato con forza chiuso il pugno. Sentì un forte dolore penetrargli la ferita, quando vide un paio di gocce del suo sangue bagnare tre grossi semidi forma ovale e dal colore grigiastro, poggiati su una pietra. Non capì molto che stava succedendo, tuttavia la lasciò fare e poi era la prima volta che si tenevano per mano… “Resisti, manca poco!” L'aveva rassicurato l'Hufflepuff, continuando a tenergli il pugno serrato. Nel frattempo Ellen, Eric e Lysandra non si accorgevano di ciò che stava succedendo alle loro spalle, troppo impegnati a placare l’arrivo dell’acqua. Lo sapevano: non sarebbero riusciti a tenerla a bada ancora per molto. “Ecco... Ci siamo! Ragazzi, pronti a venire qui!” Urlò poco dopo Florinda e quelli si voltarono. Davanti ai loro occhi ora si ergeva una pianta immensa che stava sempre più velocemente crescendo. Dopo qualche istante aveva già raggiunto un’altezza tale da toccare l’uscita. “Presto: aggrappatevi ad una di queste foglie!” Continuò la ragazza, facendo altrettanto. Gli altri la imitarono e la barriera di colpo scomparve. L’acqua poté così raggiungerli, sommergendo l’intero gruppo. Nuotando contro una fortissima corrente, che si era ormai trasformata in un vortice, anche i tre riuscirono a raggiungere una delle foglie e trovarono così la salvezza. La pianta infatti, continuando a crescere, li trascinò in superficie, fino all’uscita della grotta. Esausti e completamente fradici, i ragazzi si buttarono a terra, tossendo e quasi non riuscendo a respirare per l'acqua andata loro di traverso. “State tutti bene??” Chiese Ellen, dopo essersi ripresa e si guardò attorno. “E quello chi è?!" Esclamò poi allarmata: un ragazzo sfinito e completamente bagnato, dai capelli biondi grondanti di fango, se ne stava sdraiato al suolo e se non si fosse mosso appena, chiunque avrebbe potuto dire che era stecchito.
“Panti!” Lo riconobbe immediatamente Florinda. “Ma perché diavolo sei così grosso?!” Ringhiò Lysandra, guardando la tasca della sua divisa e, viola di rabbia, notò essere completamente stracciata. “Voi... Voi lo conoscete?” Chiese Laurie. “Sì e anche bene...” Rispose Eric in un sospiro, ricordandosi di quando l'aveva dovuto spostare di peso per i corridoi della scuola. “Ma chi è?” Domandò allora Ellen, punzecchiandolo con un bastoncino (per essere sicura fosse davvero vivo), “Non mi pare di averlo mai visto...” “Nessuno!” Si affrettò a rispondere la Slytherin parandosi davanti al povero babbano. “E giù le mani, non si tocca!” Continuò, disarmando l’altra del suo legnetto. “Qualcuno deve pur essere, dato che lo vedo!” Le rinfacciò Ellen, seccata da quel trattamento. “E' il cugino di Eric, si chiama Pantofolo Horwood!” Intervenne improvvisamente Florinda, senza neppure pensare a ciò che stava dicendo (come al solito per altro) “Pantofolo?? Ma che razza di nome è?!” Domandò Ellen, voltandosi verso lo Slytherin, che annuì un po' incerto. “Mia zia è una donna un po' strana...” Disse con un filo di voce. A quel punto il povero babbano mezzo stordito, si tirò su a sedere, mentre Florinda chiedeva avvicinandosi: “Va tutto bene?” L’altro annuì, pulendosi con la manica la fronte fangosa. “Ma dove siamo?” Effettivamente aveva ragione, nessuno aveva ancora fatto caso al luogo in cui si trovavano, distratti per l’improvvisa apparizione di Panti. Così per la prima volta i maghetti si guardarono attorno: a quanto pareva si trovavano sulla riva del lago che era ricoperta da una sottile striscia di sabbia, illuminata dal chiarore della luna. Il lago, dai colori blu-verdi, si stagliava tutt'intorno. Il luogo era quindi una piccola isola. Al centro di essa si ergeva una vetta aguzza, anch'essa argentea grazie al bagliore della luna, che era l'unica luce lì attorno. Proprio affianco ai ragazzi vi erano tre piante enormi, che spuntavano rigogliose dal terreno, erano le stesse piante che avevano loro salvato la vita. “Flo,” Cominciò Eric, “Penso tu ci debba delle spiegazioni.” Dopo aver per un attimo fissato i tre giganteschi arbusti, l’altra iniziò a raccontare: “Queste si chiamano le Cupi Crescenti... Sono piante maligne, che nascono solo grazie alle ombre della notte e si nutrono esclusivamente di sangue umano. In questo caso di Laurie, scusa, eh!” “... Figurati!” Rispose quello impacciato, non sapendo poi che altro dire. L'Hufflepuff un po’ rassicurata riprese: “In pratica queste piante vengono dai famosi Fagioli Magici, proprio quelli che compaiono anche in certe storie per bambini babbani. Queste piante, dopo essere state innaffiate con del sangue ed essere state colpite dalla luce della luna, in pochi secondi raggiungono dimensioni notevoli, come avete potuto vedere. Proprio per la loro natura oscura, inizialmente non volevo accettarli, ma Rakubyan ha insistito così tanto perché li prendessi...” “Rakubyan?!” Ripeté Eric. L'altra annuì: “Alla fine ho accettato i semi, ma non volevo usarli!” “Beh, questo significa che la nostra vita è salva grazie a quell'uomo... Notevole.” Commentò Ellen, cercando di asciugare il proprio libro con un forte incantesimo. Un dubbio terribile in quel momento passò per la mente di Lysandra: “A meno che lui... No, come avrebbe potuto sapere...?” Bisbigliò fra sé. Fu però distolta dai suoi pensieri da Laurie che esclamò: “Ehi, guardate! Il furetto è laggiù!” Immediatamente la Slytherin capì. Si voltò di scatto, ma con orrore vide che Florinda stava correndo incontro all’animaletto e non fece in tempo ad impedirlo. “Ferma! Non...” Tentò di avvertirla, ma ormai era troppo tardi: la ragazza teneva già il furetto fra le braccia. Improvvisamente ci fu una nube di fumo nero e quello che Lysandra vide subito dopo era proprio ciò che aveva temuto: alto, avvolto nel suo solito mantello nero, era comparso l'individuo incappucciato. Dalla sua veste spuntavano solo le mani, flessuose e chiarissime, che, in una morsa d'acciaio, tenevano ora imprigionata Florinda, puntandole la bacchetta alla gola. “Lasciala immediatamente!” Urlò Eric, fuori di sé. Nessuno l'aveva mai visto in quelle condizioni: era così furente, che dalla sua bacchetta fuoriuscivano piccole scintille verdi, senza che lui in realtà lo volesse. Si era ripromesso di proteggere la sua ragazza e ora se l'era fatta sfuggire così, sotto il naso. Non poteva permettere che le fosse toccato un solo capello multicolore, o non se lo sarebbe mai perdonato.
La poverina, dal canto suo, era spaesata e sicuramente scossa. Non poteva muoversi, quelle grandi mani chiare la immobilizzavano con una tale forza, che qualunque strattone per cercare di liberarsi sarebbe stato (senza nemmeno parlare della bacchetta appoggiata alla sua spalla, il cui qualunque incantesimo l'avrebbe di certo colpita). Era così terrorizzata che non si mosse, non riuscendo nemmeno a pronunciare un suono, da quanto la sua gola si era fatta secca.
“È, è un animagus! La Starfin è un’animagus!” Urlò Laurie, indicando all’impazzata l’individuo davanti a sé, come se gli altri non lo vedessero. “No, non è la Starfin: è Rakubyan.” Lo corresse secca Lysandra. “Cosa..?” Non fece in tempo a chiedere Ellen, che una sonora risata provenne dall’uomo. “Cara Black... Sapevo che prima o poi ci saresti arrivata, mi chiedevo solo quanto tempo ci avresti messo.” Disse una voce, una voce fin troppo familiare. Una delle sottili mani bianche scivolò sul cappuccio nero, per lasciarlo cadere sulla schiena. Così facendo una chioma albina, un poco spettinata, e dei meravigliosi occhi color malva furono scoperti. Era davvero Rakubyan. “Quando l’hai capito?” Chiese poi, “Dimmi... Che cosa ho sbagliato? Non molto, visto che siete tutti caduti nella mia trappola. Tutti e otto, per giunta.” “Maledetto!” Lo insultò Laurie. “Non c’interrompere, idiota.” Lo rimproverò Lysandra guardandolo male, così quello ammutolì di colpo. Soddisfatta del risultato, la Slytherin continuò: “Si e' tradito, professore... Proprio dando i semi a Florinda. E francamente non capisco il perché, se ci voleva morti non le bastava lasciarci annegare là sotto? In più sono certa che sia stato lei a rapire, cancellare i ricordi e poi attentare alla vita di Ellen ai primi di settembre. Non ci avevo fatto caso allora, ma lei è l'unico professore a non essere venuto a soccorrerla. E sa perché? Perché era nella foresta ad appiccare l'incendio, che poi ha fermato, perché non voleva uccidere me e Florinda.” “Molto bene, mia piccola Sherlock, e sai dirmi anche perché io voglia la pietra?” “È molto semplice.” Rispose prontamente l'altra. “Ce l’ha anche detto: lei vuole la pietra per risvegliare Voldemort!” Nessuno fiatò. “Quale meraviglia!” Rise Rakubyan, “Un mago di cui si ha paura solo a pronunciare il nome! Sì, tutto giusto cara la mia Black... Tranne una cosa: perché uccidervi e complicarsi la vita, quando posso scrivere ciò che voglio nelle vostre piccole menti?” “Tu sei pazzo!” Gli urlò contro Ellen. “Come puoi voler far tornare un essere così mostruoso?!” “Oh, ma non sarò da solo... Vero mio caro Weasley?” Domandò in un sorriso. Laurie strinse i pugni, costretto ad ascoltare il resto che il professore aveva da dire: “Tu ora sei debole e solo. Di chi è la colpa di tutto ciò? Chi è il responsabile delle tue fitte allo stomaco? Del tuo dolore? Di tuo cugino..? Laurence, dimmi, di chi è la colpa della morte di tuo cugino?” “Non...” Cercò di ribattere Laurie, ma sentì il suo stomaco riempirsi ancora una volta del suo male. “Te lo dirò io: Bellatrix Lastrange! È stata lei a rovinarti la vita, lei ha ucciso tuo cugino! E ora guarda, chi ti ritrovi di fronte, eh? La sua precisa ed identica copia: Lysandra Black. Tu la odi, non è così? Ascolta, se tu ti unissi a me il Signore Oscuro non si dimenticherebbe di donarti il potere per la tua vendetta!” Il povero Laurie, inginocchiato a terra per il dolore e con gli occhi serrati, fu costretto ad ascoltare tutto ciò che il professore diceva. Le fitte continuavano ad aumentare, facendosi via via sempre più forti... Ma questa volta era diverso qualcosa era diverso: lui non voleva cedere, lui voleva combattere. Raccogliendo tutta la forza che aveva in corpo spalancò gli occhi, fino ad incrociare lo sguardo di Rakubyan. “No.” Disse con sicurezza alzandosi. “Ma tu odi Lysandra, è lei la causa del tuo mal di stomaco...” Tentò ancora una volta di convincerlo Oya. “Non è vero, io non la odio.” Ribatté l'altro. “Quello delle fitte è un mio problema e Lysandra non c'entra nulla. Non mi sognerei nemmeno di odiarla: lei è una persona straordinaria. Dai, diciamolo, chi altro sarebbe in grado con un solo sguardo di farsi obbedire dal Barone Sabguinario, eh? Mi faccia un nome! Più la conosco e più mi rendo conto che lei è completamente diversa da sua zia. Certo, mi ignora per la maggior parte del tempo e quando non lo fa mi da dell'idiota... Ma lei è una brava persona! Me l'ha dimostrato più volte e addirittura mi ha salvato la vita a Queeritch, ha salvato la vita a me... Che da sempre ignora. E' per questi motivi che ora dico no: io non le vorrò mai del male!” Aveva parlato tutto in un fiato, senza nemmeno ricordarsi di respirare. Forse per il fatto che in quel momento non gli era neppure importato: per la prima volta nella sua vita era riuscito a non soccombere davanti al suo dolore, era quella l’unica cosa a cui pensava. Ad ogni parola che aveva pronunciato le sue fitte erano diminuite, fino a scomparire. Ce l'aveva fatta: era riuscito a contrastare la sua debolezza. Lysandra, d'altro canto, rimase senza parole, era la prima volta che ascoltava Laurie e la cosa era sconvolgente già di suo.
Dopo un attimo di esitazione, rendendosi conto che il suo piano era fallito, Rakubyan rise battendo le mani: “Molto bene, se hai scelto di morire, non vedo perché non dovrei accontentarti.” Detto ciò si mise due dita in bocca ed emise un fischio acuto. In quell'istante l'acqua del lago si fece agitata e persino il suolo tremò. Una minacciosa ombra nera uscì dalle onde e un gigantesco drago si mostrò agli occhi dei presenti. Aveva lo sguardo iniettato di sangue ed il suo dorso nero era ricoperto di alghe. Il ruggito che seguì dopo fu un rumore spaventoso, che fece persino scomparire la luna dietro le nubi. “Credevate che non avessi un piano di riserva? Oh, poveri illusi!” Si fece glaciale il professore. Poi, sollevata di peso Florinda (che aveva iniziato ad urlare a squarciagola e a dimenarsi) ordinò al mostro, prima di fuggire: “Lascia solo briciole di quell'impertinente!”
“Presto sta scappando!” Urlò Eric, vedendo scomparire la sua strega fra le fronde della foresta poco distante. “Non vi preoccupate, ci penso io al drago.” Disse fiducioso Laurie parandosi davanti agli altri. “Tu?!” Gli ringhiò contro Lysandra, “Ma se non sai nemmeno...” “Lys, te lo devo. Lascia fare a me!” La rassicurò l'altro. “E poi non sarà solo, ci sono qui io con lui. Voi tre pensate a recuperare Florinda!” S'intromise Ellen, già con la bacchetta alla mano. “Su andate!” Li esortò definitivamente Laurie. Ancora un po' incerti, Lysandra, Eric e Panti li lasciarono. “Quello è davvero un idiota.” Pensò Lysandra rassegnata senza smettere di correre.
“Ehy, sai vero da che parte cominciare?” Chiese Ellen, fissando negli occhi il collerico drago che si era messo a ringhiarle contro. “Ehm... Ho un cugino che qualche anno fa si è laureato in dragologia... Dovrebbe avere anche un allevamento, solo che sta in Romania e l'avrò visto in totale un paio di volte... Non so altro sull’argomento. Tu?” Fu la risposta. “Nulla di particolare a parte ciò che ho letto nei libri, ma quella è tutta teoria.” “Perfetto direi!” “Già...” Ammise Ellen in un sospiro.

Capitolo diciassettesimo: Fine dei giochi.


Dovevano muoversi, oppure cosa avrebbe potuto fare a Florinda quel pazzo? Senza un attimo di esitazione i tre si erano tuffati a precipizio in un sentiero sterrato, che portava proprio al centro della foresta. Era Lysandra a guidare il gruppo: non aveva nessuna intenzione di cedere la sua Stupidpuff  personale al primo venuto, tanto meno a quel folle di Rakubyan. Come aveva fatto ad accorgersene prima? Va bene che Oya era sempre stato un individuo fuori dal comune, però da lì al voler risvegliare Voldemort, ce ne passava. Molti punti di quella storia le rimanevano comunque all’oscuro: che cos’era veramente lo Stregunto? Perché lo aveva Florinda? Cosa centrava Ellen in tutto questo? E la Starfin? Allora chi era la Starfin? Dopo aver scoperto la vera identità di Rakubyan, tutte le ipotesi che aveva formulato negli ultimi tempi si erano di colpo dissolte e lei ora non sapeva proprio da che parte cominciare. Il suo sguardo incrociò quello di Eric. Povero ragazzo, doveva essere di sicuro quello a star peggio. A questo pensiero affrettò ancora di più la sua corsa, dovevano salvarla. Non sapeva come avrebbero fatto, ma dovevano riuscirci.
“Presto! Corri!” Urlò Ellen, trascinando via Laurie per un braccio, quando il drago tentò di schiacciarlo con la grossa coda. “Ehi, sicura di non aver piani migliori??” Domandò l’altro in un bisbiglio. Si erano rifugiati dietro ad una grossa pietra, sperando che lì nascosti il bestione ci avrebbe messo un po’ più a trovarli. Infatti fu così: a quanto pareva quell’animale sembrava essere tutto muscoli e niente cervello, capace solo a distruggere ciò che gli capitava a tiro. In più non era nemmeno molto veloce, ragionò fra sé Ellen. “Allora?” Chiese ancora Laurie. Per tutta risposta la Ravenclaw aprì il libro che portava con lei e si mise avidamente a sfogliarlo. L’altro la rimproverò: “Ma ti pare il momento di leggere?!” “Senti, mi aiuta a concentrarmi.” Fu la risposta che ebbe, senza nemmeno essere guardato negli occhi. “Ma che razza di idee sono?!” Urlò. Quando mai l’avesse fatto, perché il drago, seppur stupido, non era affatto sordo e non fu difficile per lui individuare le sue prede. Con un calcio fece ruzzolare via il masso dietro cui si erano nascosti i due maghetti e ruggendo di gusto li vide: li aveva finalmente trovati, pensò con la bava alla bocca. “L’hai combinata grossa, stavolta.” Fu il commento rassegnato di Ellen, chiudendo il libro, l’attimo prima di essersi rimessa a correre. Laurie però non fu così pronto di riflessi, terrorizzato dal verso del drago, che stava per attaccare. La ragazza sentì un urlo e quando si voltò vide il Gryffindor con le lacrime agli occhi dalla paura. Il poveretto era stato agguantato dalle fauci del mostro proprio per i capelli, proprio per la sua coda di cavallo rossa. Il drago l’aveva in pugno e la sua successiva mossa sarebbe stata quella di infilzare la sua vittima con gli artigli, come fosse uno spiedino, per poi divorarlo. Fortunatamente ciò non accadde perché Ellen, mossa sicuramente da pietà, fu in suo soccorso. Con un balzo e urlando (immaginandosi sicuramente di essere una delle sue eroine di un qualche fantasy), la Ravenclaw saltò sulla testa del mostro e con forza lo colpì sul muso con il suo librone, che nell’impatto perse persino qualche pagina. Il drago, colto impreparato, in quel momento serrò le fauci. I capelli di Laurie, nel rumore dei denti che batterono, vennero tranciati ed il ragazzo fu libero. Il mostro s’incurvò all’indietro, lanciando Ellen verso l’alto, mentre Laurie correva in avanti. La Ravenclaw, avendo già previsto quella reazione, mentre era ancora per aria dal colpo ricevuto, pronunciò un incantesimo e la sua bacchetta si trasformò in una scopa, l’afferrò con entrambe le mani avvicinandola a sé, per poi cavalcarla in una piroetta (il tutto in meno di 3 secondi e mezzo). “Non credevo che la gita alla palude di Queerditch sarebbe servita a qualcosa.” Commentò, dopo essersi accuratamente sistemata i capelli. Sentì ancora l’urlo di Laurie, “Finiamo di salvare quello là.” Sospirò, un secondo prima di buttarsi in picchiata per raggiungerlo. Ancora una volta il Gryffindor, ormai con i capelli corti (strano, ma vero), correva cercando di non essere calpestato, o, peggio, divorato. Ad un tratto fu agguantato per il colletto della camicia e tirato su da terra: era, ovviamente, Ellen, che l’aveva appena gettato dietro di sé, sulla scopa. “Tieniti forte, se mi cadi io non torno giù a riprenderti!” Fu l’avvertimento divertito dell’amica. Ma come faceva a ridere in un momento del genere? Si chiese Laurie, erano inseguiti da un drago, miseriaccia! Cercando di non farsi finire in bocca i lunghi capelli della Ravenclaw, mossi dal vento, il ragazzo li scostò con la mano. Sorpreso notò quanto fossero morbidi e liscissimi, Ellen aveva davvero dei capelli liscissimi, che vibravano come elettricità nel soffio del vento… Sì, erano un fulmine di elettricità pura, color nocciola intenso. Di colpo si sentì le guance scottare: era arrossito. Ma che gli stava prendendo?! Distolse immediatamente lo sguardo, ritraendo anche la mano. Subito notò che sotto il braccio la ragazza teneva stretto il suo libro, da cui spuntava disordinatamente qualche pagina strappata. “Ehi, ma quello… L’hai rotto!” Si meravigliò. “Avresti preferito se ti avessi lasciato in balia di quel drago?” Chiese Ellen, ancora più divertita. “No, ma… Ma perché ridi tanto?” “A quanto pare non c’è scritto tutto nei libri…” Bisbigliò l’altra. “Come? Che hai detto?” “Nulla, nulla, lascia perdere. Ora il nostro problema è un altro: il drago!” Urlò alla fine, virando la scopa così di colpo che per un pelo il Gryffindor, urlando, non venne davvero disarcionato.
“Eccovi, finalmente.” Sbadigliò Rakubyan impaziente, quando i tre si ritrovarono in una radura. Tenendo ancora stretta Florinda, con l’altro braccio si portò il fiore al viso e ne sentì estasiato l’essenza. “Lasciala andare!” Ringhiò Eric avvicinandosi. “Ah, ah, ah… Non faccia un altro passo, signorino Horwood, o la sua amichetta qui ne avrà le dirette conseguenze.” Disse Oya in un sorriso, puntando la propria bacchetta contro la sua prigioniera. Compiaciuto, vedendo che lo Slytherin si era fermato, lasciò che Florinda potesse stare in piedi davanti a sé, sempre tenendo alzata l’arma. Non si sarebbe mossa. Fissò per un attimo il fiore che teneva  fra le mani e poi parlò: “Ed ora, signorino Horwood, vuol essere così gentile da passarmi il ciondolo che tiene al collo?” Il ragazzo esitò, se gli avesse dato lo Stregunto sarebbe stata la fine. “Forza, non si faccia pregare.” Lo esortò. “O la Johnson si farà male.” Concluse in un ghigno. “No, Eric, non lasciarti ricattare: non so ancora bene il perché, ma lui non vuole far del male a Florinda!” Disse Lysandra. “Oh, molto bene, mia carissima Black: ci hai azzeccato ancora, è un vero peccato che tu non stia dalla mia parte, sarebbe forse più divertente.” Rise Rakubyan, abbassando la bacchetta. Lysandra, sempre pronta di riflessi, sguainò invece la sua e di colpo pronunciò un incantesimo, ma nulla accadde. “Ma… Ma… Che succede?!” “E’ già la seconda volta che la sua bacchetta fa i capricci in una situazione di difficoltà, sa? Dovrei comunicarlo a Vitius, penso che non ne sarebbe soddisfatto.” Ridacchiò Oya, spettinandosi con una mano i capelli chiarissimi. “Vede, non è colpa sua. Il fatto è che nessuno eccetto me può eseguire incantesimi qui… Ragazzini del primo anno, pff, vi ho fatto passare per una barriera, molto potente per giunta, e nemmeno ve ne siete accorti. Tutti troppo preoccupati a salvare la vostra amichetta.” “Come osa ridere di noi?!” Gli ringhiò Lysandra. Questo era un affronto! Un affronto bello e buono! Pensò. “Ora però vorrei essere clemente con voi.” Tagliò corto il professore. “Prima di cancellarvi completamente la memoria, vorrei svelarvi la mia vera identità.” Eric strinse i pugni, ma che stava dicendo? Pensò: aveva una bruttissima impressione. L’uomo chiuse gli occhi, portandosi la mano al viso. Delicatamente si sfiorò una guancia, toccando proprio la voglia che portava sotto l’occhio sinistro. In quella ci fu un bagliore ed il segno rosso pian piano scomparve, lasciando posto ad una brutta cicatrice, che gli segnava nello stesso punto il volto. I capelli di Rakubyan si scurirono, fino ad arrivare a tingersi di un nero intenso e la sua carnagione non fu più così pallida. Di colpo aprì gli occhi: erano di un verde intenso, intenso quanto lo smeraldo. Eric fece un passo in dietro, colto di sorpresa. Ma lui era… “Ciao, Eric, che sensazione provi a rivedere il te stresso invecchiato di qualche anno?” Florinda fissò l’uomo che gli stava al fianco, poi rivolse lo sguardo verso lo Slytherin e infine ancora verso l’altro. No, non era possibile! Come potevano essere la stessa persona?! Eppure si somigliavano così tanto… Non sapeva più a che pensare. “Che c’è? Non dite nulla? Oh, poverini siete fin troppo sorpresi, dico bene?” Continuò Oya, dopo qualche istante di silenzio. Eric non fiatò, non poteva essere lui l’uomo che aveva di fronte: quello era un uomo malvagio e aveva fatto del male a Florinda, lui… “Com’è possibile quello che dice?” Chiese a quel punto Lysandra, “Stai mentendo!” “Perché dovrei? Le assicuro che questa non è una menzogna…” Sospirò il professore, coprendosi con il dorso della mano la cicatrice. Florinda lo guardò dritto negli occhi: erano diversi da quelli di Eric, seppur così simili... Erano gli occhi stanchi di qualcuno che aveva sofferto, non più gli occhi di un bambino… Forse semplicemente quelli di qualcuno cresciuto troppo in fretta. Quello sguardo era qualcosa di vagamente familiare, ma dove l’aveva già visto? “Ora, da bravo, Eric, dammi lo Stregunto.” Gli sorrise l’uomo, allungando la mano. “No, non farlo!” Esclamò Florinda. “Lui vuole…” “Zitta!” La interruppe il professore, stringendo la presa al braccio della ragazza. “Tu non capisci!” Continuò, “Ah, mi fa male!” Cercò di divincolarsi Florinda. “Lasciala subito!” S’intromise Eric, fissandolo con odio. Il professore a quella frase si calmò di colpo. “Tu non hai mai capito…” Continuò lasciando andare l’Hufflepuff. “Tutto quello che ho fatto è stato sempre per te, per proteggerti. Come fai ogni volta a non capirlo?” La sua voce non era più dura, ma aveva acquistato un suono così vagamente dolce... C’era del vero in quella frase che Florinda si rese conto esserle famigliare. “Io fin dall’inizio volevo il potere di Voldemort per te e tu non hai mai capito.” Sospirò. Un po’ confusa L’Hufflepuff rispose: “Come può quel potere oscuro essere usato per buone intenzioni?..” “Sempre la stessa risposta mi sai dare?!” Urlò a quel punto Rakubyan, come avesse perso di colpo il senno. “Sono arrivata fino a qui per te e non intendo tornare indietro! Volevo la Pietra per resuscitare il potere di Voldemort e tenerlo per noi, per continuare una nuova vita… E tu, tu mi hai incastrato! Mi hai gettato in carcere, mi hai fatto patire le pene dell’inferno! Ma per fortuna ora sono qui e questa volta non potrai sfuggirmi: ti porterò via con me, cancellando la memoria ai tuoi amichetti, dopodiché potremo iniziare una nuova vita noi due, insieme.” Disse. “Ma… Ma… Non è vero, io non ti ho fatto nulla!” Protestò l’Hufflepuff, sempre più confusa. “E poi non voglio venire con te! Lasciami andare!” “Non posso farlo, tu non capisci! Tu sei mia, mi appartieni e io saprò come darti una vita, molto meglio di questa.” Insistette l’altro. “No! Mai! Non potrei mai vivere con chi ha assassinato mia nonna!” Urlò alla fine Florinda, ormai con le lacrime agli occhi. “… Tua nonna?” Chiese l’altro, stupito. “Ah, ti riferisci… Ha detto lei di essere tua nonna? Dovevo immaginarlo…” Ci fu silenzio. “Perché tu sai così tanto di me? Che nemmeno io so?” Domandò allora la ragazzina, mentre i suoi capelli prendevano una sfumatura violacea. “Chi sei tu in realtà? E cosa centra tutto questo con me?!” Il professore non rispose, immerso nei suoi pensieri. “Adesso basta!” S’intromise Eric, staccandosi con uno strattone lo Stregunto dal collo. “Questo ciondolo è la causa di tutto… Rakubyan, se è vero che noi due siamo la stessa persona, la barriera che c’è qua attorno su di me non funziona, dico bene?” L’altro, tornato alla realtà, rispose: “E con ciò? Pff, non t’illudere: i tuoi incantesimi non possono nulla contro di me… Siamo la stessa persona, dubito che la tua bacchetta voglia uccidermi.” “Forse non avranno effetto su di te, ma sullo Stregunto sì!” Urlò lo Slytherin, lanciando il ciondolo in aria. “No, fermo, cosa pensi di…” Tentò di bloccarlo Rakubyan, ma ormai era troppo tardi. Ci fu un esplosione: il bombarda di Eric aveva centrato in pieno il ciondolo, facendolo esplodere in un milione di pezzi. Una luce dorata vi si sprigionò, formando una nuvola di polvere. Florinda la riconobbe subito: era la stessa luce di quella volta, di quando aveva ricevuto la sua bacchetta e lo Stregunto si era illuminato. Quel colore così lucente l’attirava, come se facesse parte di lei… Senza nemmeno accorgersene vi si era avvicinata, allungando il braccio per toccarlo. “No, ferma! Non farlo!” Le urlò Rakubyan da dietro, non essendo riuscito più ad afferrarla. Quella non lo sentì nemmeno, fin troppo estasiata da quella luce così luminosa… Chiuse gli occhi e la toccò. L’intera nuvola a quel punto ebbe un fremito, come se riconoscesse di appartenerle, e raccolse in sé l’Hufflepuff facendola fluttuare verso l’alto. Sembrava quasi che ogni singolo granulo di polvere avesse voluto danzare nell’aria con lei, pensò successivamente Panti, quello era stato di certo il più affascinante spettacolo a cui avesse mai assistito. Ad un tratto la nube aveva così tanto inglobato la ragazza, da farla risplendere tutta in una luce quasi accecante. Florinda stava provando tante di quelle emozioni tutte in una volta, che non seppe più nemmeno a cosa stesse assistendo. Sentì calore, felicità, comprensione, ma anche tristezza e dolore… Tutti assieme, nello stesso momento. Si stava ricordando, pian piano stava cominciando a capire ciò che era successo e che fino ad un momento prima non sapeva nemmeno di aver vissuto. Una lacrima le rigò il volto, mentre la polvere dorata inglobò anche Eric, Lysandra e Panti, così che pure loro potessero assistere ai nuovi ricordi che stavano scaturendo in lei. I veri ricordi di quel triste giorno, quando tutto cominciò.

Capitolo diciottesimo: I veri ricordi di Florinda.


“Flo! Flo! Faremo tardi, vuoi muoverti?!” Urlò una ragazza tirandola per il suo vestito bianco. Il suo nome era Lysandra, aveva studiato pure lei ad Hogwarst, si erano incrociate qualche volta, ma non si erano mai veramente parlate. L’aveva conosciuta appena qualche settimana prima a casa di Eric, buffo quindi pensare che sarebbe diventata la sua testimone di nozze. Quegli anni alla scuola di magia erano passati così in fretta… Pensò Florinda un po’ nostalgica. Fece appena in tempo a guardarsi allo specchio, che l’altra la trascinò via. Era una donna ormai, una donna in un vestito bianco, velo sulla fronte e tutto il resto. Era così bella, per la prima volta nella sua vita si sentì davvero bella. Aveva voluto lasciare i lunghi capelli biondi sciolti, così da incorniciare il suo volto appena truccato. Sorrise guardandosi per quell’istante: avrebbe avuto una famiglia, sì, la sua prima famiglia. Per lei che dalla tenera età, fino all’arrivo della sua lettera per Hogwarts aveva vissuto in un orfanotrofio, un orfanotrofio babbano oltretutto. Era un luogo cupo, con delle suore vestite di nero e dai musi lunghi… Tristi forse per il fatto di non aver mai creduto alla magia. Ma ora non voleva pensare a quello, ora era felice, finalmente avrebbe sposato l’uomo che amava: Eric Horwood. Non sapeva bene ancora come avrebbero fatto, dato che proprio a causa di quel matrimonio i suoi avevano deciso di diseredarlo. Inizialmente lui era promesso sposo di un’altra, una certa Amanda Bulstrode,Slytherin colta e tutta d’un pezzo. Così le avevano detto, anche se lei non ci credeva molto: l’aveva intravista una volta e le era parsa dal carattere aggressivo e iracondo, una lunatica di cui non ci si poteva affatto fidare. Ma ora non voleva pensare nemmeno a questo, doveva concentrarsi sul suo giorno più bello… Non ad altro. Alla fine il suo momento arrivò e dire quel , poi, fu la parte più commovente. Non avrebbe mai pensato che si sarebbe sposata all’età di 24 anni, era tanto giovane, beh, dopotutto l’amore vero arriva all’età che arriva… Non si può mica star qui a fare i difficili.
E’ strano pensare che proprio quel giorno fu l’inizio dei suoi problemi e ad averlo saputo prima, magari, non si sarebbe mai nemmeno sposata. Non passò molto tempo dopo il matrimonio, infatti, che i due neo sposini si erano ritrovati senza un soldo, costretti a vagare in giro per l’Inghilterra, senza una meta, con l’unico desiderio di trovare un luogo tranquillo in cui poter finalmente fermarsi. Erano tempi duri e lo stress aumentava giorno per giorno. Eric era diventato sempre più mogio e taciturno, ormai non lo si poteva vedere che in quello stato. Lungo tutte le loro tortuose vicende, i due erano giunti ad una meta, alla fine, che sembrava potessero chiamare casa. Si rifugiarono proprio ad Hogwarts, la loro vecchia scuola. Lì era un luogo sicuro e per un poco i due poterono vivere con serenità. Purtroppo non per molto. Una mattina Florinda decise di recarsi nella Foresta Oscura, era giorno quindi non ci sarebbe stato nessun pericolo per lei. Lasciò il marito e così decise di incamminarsi fin nel tratto più ombroso, dove nessuno sarebbe andato a cercarla. Era sicura che avrebbe trovato qualcosa, lo sentiva. Non sapeva bene ancora cosa e a pensarci ora sarebbe stato meglio che non avesse dato ascolto a questo suo sesto senso. Da sempre le piante le erano state amiche, quindi non ci trovava nulla di sbagliato nell’avventurarsi da sola nella foresta, perché le sarebbe dovuto succedere qualcosa di male? Ad un tratto sbucò in una radura, dove gli alberi si aprivano, lasciando spazio ad una distesa di fiori rosati. Erano tulipani. Si avvicinò estasiata: non avrebbe mai immaginato di trovare un posto simile. Fece qualche passo in avanti, quei fiori erano stupendi. Di colpo però inciampò in qualcosa, forse una radice che spuntava dal terreno, e cadde a terra, in un’esplosione di petali. Fu in quel momento che la vide: era sferica, sembrava quasi un sasso. Incuriosita Florinda la raccolse e subito notò che scolpita su di essa vi era un simbolo. Pulì l’oggetto con la manica per capire cosa fosse, solo allora lo riconobbe davvero: un cerchio all’interno di un triangolo in mezzo ai quali passava una linea bianca. Sapeva bene che cosa significava: i Doni della morte. Spaventata lasciò immediatamente cadere l’oggetto, ma appena quello toccò terra il tappeto di fiori rosa svanì in un boato. Florinda si alzò immediatamente da terra, quando vide che la pietra si era rotta proprio nel mezzo, tranciata di netto. Indietreggiò in quello che ormai era una distesa di polvere e terra, senza il briciolo di vita, e velocemente corse via.
Senza fiato raggiunse Eric e con il volto rigato di lacrime gli parlò dell’accaduto, si era enormemente spaventata. L’uomo la stinse a sé con tenerezza e la rassicurò. Le disse di non preoccuparsi più di nulla, che ormai era passato tutto e che non avrebbe più avuto a che fare con quella magia maligna. Mentiva.
La notte stessa, infatti, sgusciò fuori dal letto, lasciando Florinda serenamente addormentata, rannicchiata nelle lenzuola. Si precipitò nella foresta, nel punto indicato. Non ci volle molto perché trovasse quella radura ora così desolata. Cercò, cercò e alla fine trovò. Nel pugno ora stringeva i due frammenti di pietra e non poteva far a meno che pensare all’attuazione del suo piano: “Non temere, Flo: ti prometto che finalmente saremo felici.” Mormorò piano, fra le ombre scure della foresta.
Da quel momento in poi iniziò il vero e proprio declino. Poco dopo infatti, Florinda si rese conto che suo marito si comportava in maniera strana: passava moltissimo del suo tempo chiuso a chiave nello studio, senza delle volte persino non uscirvene dopo ore. Senza motivo era spesso isterico e le urlava contro, cose che non erano mai capitate. Preoccupata Florinda, approfittando dell’assenza del marito, si precipitò nel suo studio. Pile e pile di appunti si ergevano in tutta la stanza, era praticamente irriconoscibile. Con cautela aprì un quaderno e al fine capì. Sentì la porta sbattere: suo marito era rientrato. Chiuse immediatamente ciò che stava leggendo e volle precipitarsi fuori, ma non lo fece. Qualcosa la fermò: doveva affrontarlo. Eric la vide, vide la donna che amava in piedi, eretta e senza la minima voglia di tirarsi indietro. I suoi lunghi capelli, ora argentei, le accarezzavano le spalle, mossi dal vento, e le sue mani tremavano. Tremavano appena. Ma ciò che vide per primo fu certamente lo sguardo: preoccupato. L’uomo sospirò, accarezzandosi la barba nera e i suoi occhi verdi, ormai stanchi, si abbassarono. “Perché?” Chiese a quel punto Florinda cercando in tutti i modi di mantenere la calma. “Per noi.” Rispose l’altro, senza riuscire a rialzare lo sguardo. “Come sarebbe a dire per noi? No, Eric, no… Tu non sei così! Io ti conosco!” “Credi che abbiamo altra scelta?” La interruppe l’altro. “Vuoi continuare a scappare per sempre dalla mia famiglia?” “No… Questo no, però…” Tentò di rispondere l’altra, ma fu ancora una volta interrotta. “Quella è la Pietra della resurrezione: l’ultimo Horcrux esistente di Voldemort.” Fece una piccola pausa, sì, aveva pronunciato il Suo nome. “Se solo avessimo anche una piccola parte del suo potere, noi potremmo mettere fine a questa stupida vita. Potremmo finalmente smettere di scappare, potremmo…” “Ma è un potere oscuro quello!” Quasi strillò Florinda. “So che ora ti sembra difficile da capire, ma fidati: quando tutto sarà finito, finalmente potremmo avere una vita.” “Io non credo che…” “Fidati di me: ti prometto che tutto sarà perfetto un giorno…” Florinda sentì il gelo della paura passarle nelle vene. Non voleva tutto questo, era sbagliato. Eppure non disse nulla, abbassò il capo e si ritirò nella sua stanza.
Da allora cercò in tutti i modi di convincere Eric a lasciar perdere, ma quello non sentiva ragioni: credeva di essere così vicino alla riuscita del suo piano, nessuno avrebbe potuto fermarlo. Prima passarono i giorni, poi i mesi… Più il tempo passava e più Florinda sentiva che suo marito non era più lo stesso, accecato dalla sua brama di potere. Non parlava d’altro, nulla che non fosse il suo piano. Era accecato, così accecato da dimenticarsi a volte persino di mangiare negli ultimi tempi. I due sposi non erano mai stati così distanti.
Una mattina di novembre faceva freddo e pioveva forte. Di colpo la porta dello studio si aprì ed Eric ne uscì in un sorriso, un sorriso strano, quasi ipnotico, di cui non si sarebbe mai più liberato. Ce l’aveva fatta, aveva acquisito il potere del Signore Oscuro e non in piccola quantità. Con orrore Florinda notò che il suo sguardo, un tempo amorevole, si era mutato, come se non ci fosse più un briciolo di umanità in quegli occhi vitrei. La notte stessa fuggì. Non provò neppure a parlargli, tanto sarebbe stato inutile: non era più lui, nulla di ciò che amava era rimasto.
Dopo la fuga della moglie, Eric si ammalò, si ammalò spaventosamente di potere. Ne voleva sempre più e non tardò certo a raggiungerlo. Dopo poco era già a capo di un piccolo esercito di mercenari, con il quale portò distruzioni e lutti nel mondo dei maghi: la seconda Grande Guerra era cominciata. Nessuno riusciva però a sconfiggere questo nuovo nemico, che pareva essere ancora più pericoloso di Voldemort stesso. Florinda nel frattempo continuava a scappare, si sentiva braccata e irrimediabilmente sola, eppure doveva farcela: doveva andare avanti. Si sentiva responsabile di tutte quelle tragedie, se solo non si fossero sposati, se solo non avesse trovato la pietra, se solo… Quasi in lacrime bussò alla porta di una casetta. Dopo poco una donna aprì, era alta dagli occhi scuri da cerbiatto e i folti capelli bruni. Florinda fu attratta particolarmente dalla catenina d’oro che aveva al collo, non poteva vedere il ciondolo: ma già sapeva di cosa si trattava. L’altra capì immediatamente, fece segno di entrare e chiuse la porta. “Sei arrivata finalmente, Olivander mi aveva avvertita.” Disse la donna togliendosi il ciondolo dal collo. “Tieni.” Continuò porgendo l’oggetto nelle mani di Florinda. “Fanne buon uso e ti prego: fa si che questa guerra finisca. Tu sei l’unica che ci può aiutare.”
Non fu una lunga chiacchierata, ma fondamentale. Avevano poco tempo e Florinda doveva partire subito, se Eric l’avesse scoperta sarebbe stata la fine di ogni speranza. Fece un respiro profondo: non sarebbe mai più tornata e lo sapeva bene. Anni prima il Ministero della Magia aveva ritenuto pericoloso l’uso dei giratempo e li aveva così distrutti tutti, tutti eccetto uno, che ora lei stringeva fra le mani. Si mise il ciondolo al collo e in un abbraccio salutò Hermione, che la strinse forte per farle forza. “Non ti preoccupare: non ti renderai nemmeno conto, quando succederà.” Cercò d’incoraggiarla. “Arrivederci, Florinda.” Le sorrise fiduciosa. “Arrivederci.” Ricambiò l’altra chiudendo gli occhi: era partita. Fu un attimo e quando riaprì gli occhi la casa era scomparsa e tutt’intorno a lei non vi era che un prato. Nascose il giratempo sotto i vestiti e s’incamminò, senza accorgersi che qualcuno l’aveva seguita.
Era tornata indietro fino al giorno in cui si era intrufolata nello studio di Eric e dalla finestra assistette di nuovo al rientro di suo marito. Molte volte aveva ripensato a quel momento in cui aveva chinato il capo senza far nulla, perché infondo anche lei avrebbe voluto che la loro vita migliorasse e per un attimo lo aveva voluto lasciar fare. Era quell’attimo che doveva a tutti i costi migliorare. Quando la discussione finì volle avvicinarsi, per distruggere una volta per tutte quel mostruoso potere, ma qualcosa la precedette, qualcosa d’inaspettato. Di colpo sentì un brivido gelido passarle la schiena, la porta fu spalancata e degli esseri neri entrarono nella stanza. Da dietro la finestra, Florinda ebbe un sussulto, riconoscendoli: “Dissennatori…” Mormorò. Ma che ci facevano lì? Chi le aveva mandate? E perché? Rimase nascosta dietro la finestra, senza fiatare persino quando vide che Eric tentava disperatamente di proteggere l’altra lei, persino quando Eric fu catturato e la sua sposa cadde svenuta. Poi silenzio. Florinda era rimasta immobile, impotente. Ad un tratto però sentì che c’era qualcun altro nella casa. Saltò nello studio e raccolse velocemente la Pietra, mettendosela in tasca. Poi ripartì, senza nemmeno voltarsi, tenendosi stretta al giratempo, mentre sentì la casa esplodere. Aveva appena assistito a qualcosa di terribile, ma non avrebbe saputo dire cosa. Una scheggia durante lo scoppio l’aveva quasi presa, colpendo invece il ciondolo, che si mise a girare senza sosta. Fu buio: il viaggio nel tempo aveva preso inizio.
Ancora una volta riaprì gli occhi, ma non riconobbe subito il luogo in cui era. Poi si guardò attorno e con sollievo vide il castello di Hogwarts che si ergeva su di lei: era comunque a casa. Guardò il giratempo e notò essersi rotto, cercò di usarlo per tornare al suo tempo, ma nulla accadde. Che cos’era successo? Chi era quell’individuo in casa sua? Dov’era? O, meglio: quando era? Rimase incredula quando ebbe fra le mani una copia de La Gazzetta del Profeta: era il 18 novembre 1929 e lei in quella data non era certo nata. Non conosceva nessuno a quell’epoca, come avrebbe fatto? Non poté che rassegnarsi.
Passarono gli anni, molti anni, la sua giovinezza un giorno svanì e la sua bellezza non fu che un ricordo, nel riflesso di uno specchio il giorno del suo matrimonio. Aveva provato varie volte a distruggere la pietra, ma non ci era mai riuscita: l’incantesimo che la proteggeva era fin troppo potente per lei. Riuscì solo a mimetizzare quell’immenso potere in un fiore, un tulipano giallo, sigillandolo con i suoi ricordi. Del giratempo ne fece il Segnale, senza il quale la Pietra non sarebbe potuta essere utilizzata, sigillando anch’esso con i suoi ricordi. Il ciondolo così divenne lo Stregunto. Nascose la pietra nel suo giardino, mimetizzandola con altri fiori. Da quel giorno il suo giardino si trasformò nel più bello che si fosse mai visto. Il potere della pietra dette un così grande potere alle piante da tenerle in vita anche d’inverno. Non vi era giorno che passasse senza che maturassero nuove varietà di frutti che neppure esistevano e che sbocciassero fiori mai visti prima. Non fu difficile quindi per Florinda farsi di quel potere una piccola fortuna e così la corsa inarrestabile del tempo continuò.
Una mattina, il primo giorno di primavera, Florinda fece un respiro profondo varcando l’uscita di casa. Non era un giorno come gli altri. Camminò per le strade di Londra con un unico pensiero fisso nella mente. Ci aveva pensato a lungo, da molti giorni ormai e la decisione che aveva preso le sembrava l’unica accettabile, anche se un poco la spaventava. Ad un tratto girò l’angolo e passò davanti ad un grande edificio dai muri di mattoni rossi. Rimase ferma per un istante, guardando fisso l’insegna posta affianco al cancello. “Orphanage White Virgin Mary” C’era scritto. Un altro respiro profondo e vi entrò. Sapeva bene chi cercava. Dopo poco era ferma davanti ad una culla, non molto diversa dalle altre. Vide una bambina di pochi giorni, che dormiva beata. Legata sulla sua testa vi era una cuffietta, una cuffietta tutta rosa. Per le suore era meglio che non si sapesse troppo in giro che al neonato cambiasse il colore del ciuffetto di capelli appena spuntato, era qualcosa di strano, che non comprendevano, quindi andava nascosto. Sorrise intenerita: quanto l’aveva fatta penare quella cuffietta. Avrebbe potuto benissimo arrivare all’orfanotrofio qualche giorno prima e vedere chi fossero stati ad abbandonare quella creatura, ma non l’aveva fatto. Non se l’era sentita, non sarebbe stato giusto, pensava. L’adozione fu la parte più facile: nessuno voleva quella bambina così strana: i babbani sono sempre spaventati difronte alla diversità, qualunque essa sia.
“Florinda, non sarai più sola d’ora in poi.” Disse piano, cercando di non svegliare il neonato addormentato fra le sue braccia.

Capitolo diciannovesimo: La Pietra.


“Non è una buona idea, non è per nulla una buona idea…” Continuava a pensare Laurie, mentre era costretto a volare sulla testa del drago, a pochi metri di distanza. Quello ringhiava, mentre la sua enorme mascella irta di denti continuava ad aprirsi e chiudersi, come una cesoia. La Ravenclaw scrutava ogni singolo centimetro della creatura, per cercare di capire dove fosse meglio attaccarlo. Niente da fare: ogni parte del suo corpo era ricoperta da una serie di squame scure, molto simili ad una corazza. Il colosso non era molto agile nei movimenti e per fortuna non sapeva volare, così per il momento i due ragazzi furono in salvo. “Deve avere un punto debole, questo bestione!” Sospirò lei non per vinta. Era determinata, davvero determinata. Laurie la fissava sorpreso: fino a quel momento non si era mai reso conto di quanto fosse bella. In quel momento non riusciva a toglierle gli occhi di dosso, quasi non si rendesse conto che a pochi metri dai suoi piedi ci fosse un drago pronto a divorarlo. Quella Ravenclaw aveva qualcosa di speciale in quel momento. Inizialmente i due non avevano molto legato, Laurie era convinto che quella fosse la solita Corva-So-Tutto-Io, di cui la sua scuola era pieno. Una di quelle ragazze che ti squadrano dall’alto in basso, senza nemmeno rivolgerti la parola. Insomma, credeva che Ellen fosse l’esempio perfetto di tutti i luoghi comuni che negli anni avevano impregnato le pareti della Casa Comune dei Ravenclaw. Quella sera si era dovuto ricredere: Ellen era diversa. Quella ragazza aveva l’insolito dono di riuscir perfettamente a far combaciare il suo carattere forte con la grande intelligenza, cosa che non era mica da tutti. I pensieri del ragazzo furono improvvisamente interrotti: “Anche se qualcosa non mi quadra…” Si fece pensierosa Ellen. “Non mi convince… Guardalo: non ti sembra troppo spessa la sua corazza? Da quel che ho capito questo è un drago acquatico e sembra troppo appesantito dalle sue stesse squame per riuscir a nuotare.” L’altro ci pensò su un po’, mettendosi una mano dietro alla testa, rassegnato. Niente da fare: ormai i suoi lunghi capelli rossi erano soltanto un ricordo. Ellen notò quel movimento e in un lampo ebbe un’esclamazione di gioia: “Ma certo! La stella!” Laurie non capì: “Quale stella?” “Quando ti ho salvato! Sulla sua lingua c’è una stella, un sigillo! Come ho fatto a non pensarci prima?!” Riprese l’altra sempre più eccitata. Dopo essersi data una calmata spiegò: “Nel mondo della magia esistono vari tipi d’incantesimi usati in guerra, uno di questi è la Stalla a quattro punte, capace di affondare le flotte nemiche. Questa magia, infatti, trasforma una qualunque superficie in un materiale molto pesante, simile alla roccia, sigillandolo con una stella bianca a quattro punte. L’unico modo per disattivare l’incantesimo è distruggere quel simbolo, colpendola con un materiale doppiamente resistente!..” Si bloccò un attimo, realizzando: “Io però al momento non ho nulla di così potente…” Continuò, questa volta a bassa voce. Che cosa avrebbero fatto adesso? Si chiese Laurie, lui non poteva fare nulla. Già, lui era sempre stato inutile. La verità era che avrebbe voluto badare a se stesso, ma non c’era mai riuscito e alla fine non aveva fatto altro che essere un peso per tutto il gruppo. Non era mai servito a nulla. Ed ora? Ora che Ellen era in pericolo? Non poteva aiutarla. Serrò il pugno e con forza volle batterlo contro la gamba, per l’ira. Ciò che provò allora fu un forte dolore devastargli il mignolo, trattenendo un gemito abbassò lo sguardo e lì, attaccata alla sua cintura vide una spada, ricoperta da una strana fodera di stoffa scura. Ellen spalancò gli occhi, riconoscendola: “Quella, quella è la spada dei Gryffindor!” Esclamò senza fiato. Laurie sbalordito la sollevò, rendendosi conto di quanto fosse leggera. Immediatamente capì che ciò che aveva scambiato per un semplice pezzo di stoffa non era altri che il Cappello Parlante. “Ma, ma… Ma com’è possibile?!” Balbettò. Da quanto tempo e perché quell’arma si trovava al suo fianco? “Solo un vero Gryffindor può utilizzarla e, beh, direi che è pure molto resistente!” Gli sorrise la ragazza, “Insomma, è arrivato il tuo momento, idiota.” Continuò, questa volta quasi ridendo. Era certamente qualcosa di molto pericoloso, ma per la prima volta in vita sua Laurie non se lo fece ripetere due volte.
La polvere dorata era ormai scomparsa da qualche minuto, eppure tutto sembrava essersi fermato: nessuno osava fiatare o muoversi, il fruscio del vento pungente sembrava essere l’unico suono. Florinda in quel momento non versò nemmeno una lacrima, era così sconvolta e paralizzata da sentire solo il proprio cuore pulsare copiosamente nel suo petto. Nient’altro. Non si era nemmeno accorta che i suoi capelli avevano cominciato a brillare con qualche riflesso dorato, lo stesso colore della polvere di poco prima, che sembrava essersi nascosta dietro qualche ciocca. La ragazza respirò a fondo, una sola volta, e poi parlò. Ora sapeva che cosa doveva impedire, poiché l’aveva già vissuto. “Ci sarà un’altra guerra se non mi darai ascolto.” La sua voce era cambiata, come se fosse improvvisamente cresciuta. Non vi era più un briciolo d’insicurezza in quelle parole. Oya squadrò la ragazzina con lo sguardo, poi rispose: “No, voglio che il mio volere finalmente si compia.” “Ti prenderanno comunque!” “Non esattamente, lasciate che prima vi spieghi come realmente sono andate la cose, ragazzini.” Rakubyan sorrise e si rivolse verso Eric. Senza mai distogliere lo sguardo dal ragazzo, lentamente raccontò tutto ciò che gli era capitato. Non mentì.
“Vennero a prendermi proprio la sera in cui trovai davvero il modo per utilizzare la pietra, poco dopo che Florinda era entrata nella mia stanza e capisse quali fossero i miei studi. Vennero i dissennatori, i guardiani Azkaban. È lì che mi portarono e ci rimasi per lunghi anni, non so nemmeno io quanti. Il mio viso e le mie mani persero la giovinezza e un giorno vennero a prendermi. Due fratelli, un uomo e una donna dalla pelle chiarissima, gli occhi azzurri ed i capelli neri mi fecero evadere, capii fin da subito che erano semi-brammit, un prigioniero mi aveva raccontato di queste strane creature. Grazie alla loro magia tornai giovane e forte come un tempo, per me gli anni di prigionia non erano passati. Poi con una pozione mutai il mio aspetto. Sapevo che quei due volevano qualcosa in cambio e così fu: volevano la Pietra. Dissi loro che non avevo idea di dove fosse e mi risposero che mia moglie l’aveva portata con sé indietro nel tempo e che di lei si erano perse le tracce. A quanto pareva io ero l’unico in grado di ritrovarla, io sono l’unico in grado di percepire la presenza della pietra, anche se grazie allo stratagemma del fiore ci misi più del previsto. Decisi quindi di accettare e poco dopo partimmo. Una notte scoprimmo il suo nascondiglio e facemmo irruzione nella sua casa.” Si fermò un attimo, come se stesse ripercorrendo ogni singolo avvenimento di quella sera. “Io ero in collera con Florinda: erano anni che non la vedevo e le emozioni presero il sopravvento. Dissi delle cose orribili, volevo la Pietra, ma mai pensai davvero di farle del male. Fu quell’altro a scagliare l’incantesimo e non potei impedirlo. Subito dopo l’uccisi, investendolo in pieno petto con la medesima magia. Alla fine io e la sorella trovammo la Pietra, ma non potevamo usarla: ci serviva il ciondolo. Per due anni abbiamo scoperto dove si trovava, lo stesso giorno in cui io trovai la Florinda del passato, la mia nuova speranza.
Escogitammo un piano, in cui lei, essendo sorellastra della preside della scuola, ci avrebbe fatto entrare ad Hogwarts come professori: io sarei stato Rakubyan Oya e lei Hinga Starfin. A questo punto bisognava solo aspettare l’arrivo di settembre. Uno dei primi giorni costrinsi Ellen Rice, tramite un libro stregato, a farsi dire da Gazza dove fosse il passaggio segreto per entrare nel dormitorio Hufflepuff. Poi la costrinsi ad andarci alla ricerca dello Stregunto. Mise sottosopra l’intera camera di Florinda, ma di quello nessuna traccia, così cancellai la memoria alla ragazzina e la lasciai andare. Sfortunatamente però qualcosa andò storto e non riuscii completamente nel mio intento, così decisi di sbarazzarmi di lei, assieme al libro con cui l’avevo stregata. La portai nella foresta e appiccai il fuoco, doveva sembrare un incidente. Ero quasi riuscito quando vidi Florinda e Lysandra nella foresta per una stupida sfida, così me ne andai, ma fortunatamente riuscii a mascherarmi prima che Alice e Gwendolyn mi riconoscessero e senza volerlo feci ricadere la colpa sulla Starfin. Dovevo però ancora preoccuparmi del libro che ora era nelle mani di Lysandra. Feci in modo che la Black venisse da me e mentre la distraevo, ripulivo da ogni traccia di magia il libro. Successivamente andai in biblioteca e costrinsi, questa volta tramite un imperio, a dare a voi altri delle informazioni false sul suddetto libro. Feci anche appena in tempo, perché dovetti trasformarmi in un furetto, per non essere visto da Florinda.
Non avevo molti soldi con me, quindi ci volle un po’ per accumularli e riuscire a parlare con i trovarobe più famosi del mondo della magia: gli Horwood, i miei genitori. Non avevo alcuna intenzione, tuttavia, di servirmi di loro, volevo soltanto che voi sapesse che qualcuno era alla ricerca del ciondolo, infatti vi lasciai una finta pista: la filastrocca, la finta pagina strappata dal libro.
Tornato ad Hogwarts volli stare tutto il tempo a mia disposizione con Florinda, trasformato in furetto. Non fu difficile quindi per me vedere dov’era effettivamente lo Stregunto, cioè al collo del me stesso del passato. Ah, sì, atto molto premuroso, te lo concedo. Poi feci ricadere più che potei la colpa di tutto sulla Starfin, mettendole alle costole Alice e Gwendolyn, parlando dei brammith e semi-brammith ad Hagrid, fino a farvi assistere ad un mio litigio con la professoressa. Infine mi sono spacciato per uno del Ministero della Magia e vi ho fatto cadere nella mia trappola. So bene che Florinda non centra nulla con la mia prigionia, non è stata colpa sua, lei mi ha solo rubato la pietra, è stato il Ministero a rinchiudermi.” Concluse. “E ora che il ciondolo è distrutto non c’è modo di utilizzare la pietra!” Intervenne Lysandra. “Giusto! E in più non riuscirai mai a far cadere l’intera colpa alla Starfin! Il tuo piano è incompleto!” Esclamò Panti. Oya rise di gusto, “Incompleto? Ah, questa è bella. Tu che sei in questo mondo da qualche mese, credi di potermi fare la predica? Tu non sei altro che un babbano, se c’è qualcuno d’incompleto quello sei tu. Anzi, se io non ti avessi fatto tornare umano, consigliando a quello gnomo da giardino di Vitius di darvi quel compito, a quest’ora, bello mio, saresti solo un gufo. Un inutile barbagianni!” L’altro non capì: “Barbagianni..?” Ripeté. “No, non ti preoccupare, da oggi avrai una qualche utilità. Sai vero come si scioglie la maledizione dei semi-brammith?” Gli sorrise il professore. Un brivido passò per la schiena di Lysandra, notando gli occhi dell’uomo, per un attimo apparsi cupi. Non fece nemmeno in tempo a pensare che tutto accadde: Oya alzò il suo mantello nero, estrasse la sua bacchetta e la puntò contro il ragazzo. Un forte getto verde comparve. Per Panti non ci fu il tempo di agire. Nel caos di quell’attimo sentì solo una voce, una voce che urlava: “Josh!” Disorientato il ragazzo capì essere quella di Lysandra anche se non la vide, accecato dal bagliore dell’incantesimo. Lei non lo aveva mai chiamato per nome.
Fu improvvisamente buttato a terra: qualcosa lo aveva spinto via. Riaprì gli occhi. Ciò che allora vide fu Lysandra, sdraiata affianco a lui. Immediatamente capì: era stata lei a salvarlo, facendogli scudo con il proprio corpo. Le mani di Panti tremavano quando l’afferrò per le spalle e la scosse. Nessuna reazione. Provò allora più forte. Ancora niente. “Lys… Lys…” Tentò di balbettare, ma la voce gli mancò. Le lacrime sgorgavano a fiumi, rigandogli il volto sconvolto. In un urlo di dolore Florinda si buttò a terra, tenendo gli occhi serrati e coprendosi le orecchie con le mani. Non voleva vedere, non voleva sentire, non voleva credere. “Che personcina sciocca, le avrei risparmiato volentieri la vita, era una brava studentessa.” Rakubyan era sorpreso, “Ma guarda te se una maga deve dare la vita per un babbano.” Le viscere di Eric a quel punto girarono su se stesso. Ma come poteva aver fatto una cosa del genere? Come poteva parlare in questo modo? Quello che si trovava di fronte non era altro che un essere spregevole nato dal desiderio di potere e impazzito per esso, non aveva nulla a che fare con lui. Il ragazzo si poggiò una mano sul petto e sentì il suo cuore pulsare nervosamente. Non si rese quasi nemmeno conto di aver alzato la bacchetta e averla puntata contro Rakubyan. “Tu pagherai per questo.” Disse a denti stretti. “C’è ancora una speranza.” Florinda smise a quel punto di piangere: aveva capito.
Ellen si era ormai gettata in picchiata, mentre Laurie brandiva la Spada dei Gryffindor e l’agitava come uno scalmanato, subito dopo era già esausto. Il tutto non dava certo l’idea di qualcosa di epico, no, certo che no. Il ragazzo non aveva mai maneggiato un’arma in mano in vita sua, come in molti si sono potuti immaginare. In più quell’affare era fin troppo lungo per un undicenne come lui e in generale Laurie non era molto portato in scherma, anche in futuro non lo sarebbe mai stato. Fu un miracolo quindi che i due riuscirono a distruggere il sigillo che teneva imprigionato il drago, ovviamente fu tutto merito di Ellen. Dal canto suo, la ragazza, non potendo utilizzare la spada, cercava di avvicinarsi più che poteva alla bocca del drago, ma ogni volta che i due sembravano essere nella posizione più appropriata, quell’idiota di Laurie sbagliava il colpo. In quel momento la Ravenclaw avrebbe voluto sbarazzarsi di lui a qualsiasi costo, persino gettandolo nella bocca del mostro. E così fece. Esasperata sguainò la bacchetta e diede un forte colpo a Laurie, facendolo scivolare giù dalla scopa. Il suo “Immobilus!” Riecheggiò tutt’intorno e la mascella del drago non poté più muoversi. Il povero Gryffindor si ritrovò così a cadere nel vuoto, direttamente fra le fauci del nemico. Aggrappato alla spada per il terrore, atterrò perfettamente sul sigillo e senza nemmeno volerlo lo infilzò. Un ruggito spaventoso gli perforò i timpani, un secondo prima che Ellen lo afferrasse e lo portasse in salvo. Non appena si alzarono in volo, notarono che dietro di loro la corazza che fino a poco prima imprigionava l’animale si stava sgretolando, lasciando spazio ad un meraviglioso drago blu mare: ce l’avevano fatta. Liberatosi completamente dalla prigionia quello guardò i suoi salvatori con gratitudine e ringraziando abbassò il capo, prima di scomparire nelle acque nero pece del lago. “Po-potevi uccidermi!” Sbraitò Laurie, tornato improvvisamente alla realtà. L’altra non rispose, continuando a ridere di gusto. Però quant’era bella la sua risata, pensò il Gryffindor stringendosi, forse un po’ troppo, alla compagna.
Josh si alzò da terra e si girò di colpo, “Quel fiore è l’unica cosa che può salvare Lysandra in questo momento, dammelo.” Disse con decisione. Oya rise: “Bene, bene, bene! Delle minacce da solo un piccolo babbano, ora si che tremo.” “Non è solo!” Urlò, Ellen appena atterrata. “Un babbano? Ma non era il cugino di Eric?” Chiese Laurie dietro di lei. Fu ignorato. “Ragazzi,” Urlò la Ravenclaw risoluta, “Non stiamo qui a perdere tempo: abbiamo una Slytherin da salvare! Voi pensate a Rakubyan, io ho una barriera da annullare!” Continuò, alzando le mani al cielo. “Ellen ha ragione!” S’intromise Florinda. “Datemi il fiore e cancellate la barriera, così che io possa far rivivere Lys!” Senza aspettare un attimo Laurie, con la spada in pugno, si lanciò all’attacco. Tirò il primo colpo, proprio verso la fronte del mago, quello lo schivò. “Hai sconfitto il mio drago, non riuscirai a fare lo stesso con me, Weasley!” Con una manata spinse il Gryffindor all’indietro e lo fece cadere a terra, mentre la sua bacchetta si trasformava anch’essa in una spada. Il ragazzo si alzò immediatamente da terra e provò a colpire di nuovo il nemico. Niente da fare: era troppo forte. Fu allora il momento del professore per attaccare. Ci fu un colpo e la Spada dei Gryffindor venne lanciata lontano: Laurie era stato disarmato e la sua mano sanguinava. I presenti trattennero il fiato, quando Rakubyan stava per dargli il colpo di grazia. “Non credi che noi due abbiamo un conto in sospeso?” Chiese allora Eric, parandosi a metà fra i due. “Cosa credi di fare?” Rise Oya. “Costringerti a ricordarti del tuo passato!” Rispose prontamente Eric, puntandogli contro la bacchetta. “Molto bene.” Rispose l’altro mettendosi in posizione. E così lo scontro iniziò. Uno scontro senza esclusione di colpi. Ogni incantesimo però veniva respinto, sia da una che dall’altra parte. In ansia Florinda assisteva allo spettacolo: ogni singolo battito cardiaco era per Eric, il suo Eric. Ellen ce la stava mettendo tutta per disattivare la barriera, non aveva altro modo per aiutare i compagni.
“Questa sarà una battaglia davvero lunga: noi non possiamo ucciderci.” Sogghignò il professore, mentre schivava una scintilla color ambra. Il viso di Eric si rabbuiò: aveva ragione, non poteva fargli alcun male. Eppure ci doveva essere un modo, un modo a cui non aveva ancora pensato – e qui deviò un incantesimo – Ad un tratto capì: ma certo, un modo c’era. “Può darsi che la mia magia non possa nulla contro di te,” Disse, fermandosi. “Ma contro me stesso?” Continuò puntandosi la bacchetta alla gola. “Se io non ci fossi tu, che sei il me stesso del futuro, non avresti motivo di esistere!” L’urlo di Florinda lo interruppe: “No! Non farlo! Ti prego!” “E’ la cosa più giusta, te lo devo!” Cercò di convincerla lo Slytherin, sentiva che era giusto così. Rakubyan assistette alla scena e non seppe cosa rispondere, o forse non ne ebbe il tempo, perché sentì una lama perforargli le viscere. Preso alla sprovvista abbassò lo sguardo e davanti a sé vide lui, Josh Dunut, che con la Spada dei Gryffindor l’aveva appena colpito. “Io non capisco…” Sibilò, cadendo a terra. “Questo è per Lysandra.” Fu la secca risposta. In quel momento Ellen riuscì finalmente a disattivare la Barriera, poi si sedette a terra esausta. Vide Eric precipitarsi su Florinda e passarle il fiore. Quella con cautela lo prese, chiudendo gli occhi. Non aveva mai fatto qualcosa del genere, tuttavia sapeva come agire. Avvicinò istintivamente il tulipano al petto, proprio dove di solito penzolava lo Stregunto. I riflessi dorati che fino ad allora le avevano dipinto i capelli iniziarono a lampeggiare, sempre più frequentemente. Le nuvole si diradarono, scoprendo la luce della luna. Florinda poggiò poi il fiore sul petto di Lysandra e riaprì gli occhi: difronte a lei ora riusciva perfettamente a vedere il fantasma di sua nonna, la se stessa del futuro. Quella le si avvicinò e le prese le mani, anche se in realtà non poteva toccarla. Non disse nulla, ma sorrise. Poi fluttuando si diresse verso Rakubyan e gli accarezzò i cappelli scuri. Difronte agli occhi basiti di tutto il gruppo, il fantasma dell’uomo uscì dal suo corpo. I due spettri si guardarono intensamente negli occhi e Florinda notò che non vi era più quello strano sguardo malinconico sul volto di Rakubyan, anzi, ora era di nuovo sereno. I due si presero per mano ed assieme si avviarono verso il cielo, forse mai stato così blu. Quando i due erano ormai scomparsi, l’attenzione tornò subito su Lysandra. “Una vita per una vita, è così che funziona?” Si chiese Ellen notando che il colorito dell’amica si era rifatto roseo. Qualche istante dopo la ragazza aveva riaperto gli occhi. “Ma… Ma dove sono? Che è successo?” Cercò di borbottare, ma non fece in tempo, poiché l’Huffleppuff le era saltata al collo, stringendola in un abbraccio, il più forte ed intenso che avesse mai dato. Il fiore era sparito.
“E pure il mio compito è concluso.” Costatò la Starfin, comparsa alle spalle dei ragazzi. Quelli si voltarono. “State calmi, non ho alcuna intenzione di farvi del male.” Li rassicurò. “Io sono del Ministero della Magia.” Spiegò. E così, davanti alle facce esterrefatte dei presenti parlò: “Il mio vero nome è Janysia e lavoro al Ministero. Il mio compito è da sempre quello di distruggere la Pietra della Resurrezione e, dato che essa è stata utilizzata, ciò è successo. Non sono la sorellastra della McGranitt e nemmeno una semi-brammith, quegli esseri neppure esistono. Era tutta una copertura per far sì che Oya si fidasse di me, infatti così è accaduto. Prima che mi chiamassero avevano già fatto rinchiudere l’uomo ad Askaban, credendo fosse un pericolo. Poi però si sono resi conto che lui era l’unico in grado di ritrovare la Pietra e così è stato rilasciato. Io sono in realtà una brammith e il Ministero mi ha ingaggiata solo perché il mio popolo è in grado di viaggiare nel tempo. Colui che Rakubyan ha creduto essere mio fratello in realtà non era che un altro mio simile. Io non centro nulla con l’assassinio della Florinda del futuro, colui che ha commesso il delitto vi posso garantire che è stato già punito. Lui era un tipo collerico e diciamo che questo ha fatto sì che intendesse male gli ordini di Oya, ha commesso un errore: era convinto che l’Eric del futuro volesse quell’anziana signora morta, così si è immedesimato troppo nella parte.” “Ma è una cosa orribile!” Protestò Laurie. “Il Ministero non conosce freni: l’importante non sono i mezzi, ma il fine.” Continuò la voce glaciale di Janysia. “Comunque posso assicuravi che la vostra preside non centra assolutamente nulla con questa storia, nemmeno lei era davvero al corrente di tutto questo, ma è stato comunque un bene che vi abbia inviato il Cappello Parlante con la Spada Gryffindor. A quanto pare vi è stata utile.” Concluse, prima di sparire per sempre. Qual’era la sua destinazione? Un'altra epoca? Un altro universo? Chi poteva dirlo? “Straordinario il potere dei brammith.” Commentò Ellen piano.
Florinda si voltò alla ricerca di Eric, ma non lo vide. Lo notò soltanto dopo qualche secondo, che se ne stava tornando indietro, da solo, lontano, nel bosco. La ragazza fu sorpresa, volle chiamarlo, ma non lo fece. Chissà come si sentiva, non se l’era mai chiesto. Ogni volta che lo aveva incontrato per i corridoi della scuola lei si era soltanto preoccupata di se stessa. Era stata un’egoista, a cui teneva solo di non trovarsi in un difficoltoso imbarazzo. Invece lui per lei ci era sempre stato, in ogni situazione. E non si era mai domandata come lui stesse quando scappava non appena lo vedeva, nascondendosi sotto il suo cappello. Questo poi era il momento in cui lui aveva più bisogno di qualcuno e lei lo sapeva bene: era l’unica che riusciva veramente a comprendere il suo stato d’animo. Laurie le fu vicino: “Va da lui.” Disse. “Lo sai meglio di me come si sente, se non fai qualcosa ora lo perderai per sempre. Voi siete lo Slytherpuff e per questo non vi potete separare, per nulla al mondo. Lui ti ama e lo stesso si può dire di te, quindi soffrireste entrambi nello stesso modo se vi separaste. Non lasciare che questo accada. Vai, parlaci, ciò che gli dirai non importa. Ciò che più conta è essere presenti nella vita dell’altro, senza dimenticarvi mai e volervi bene.” Concluse, appoggiandole una mano sulla spalla. Da quelle parole Florinda ebbe un enorme coraggio, nessuno le aveva mai parlato così prima. “Grazie.” Gli rispose in un sorriso, “Grazie di tutto!” Si ripeté, iniziando a correre verso lo Slytherin. “Ma te la sei lasciata sfuggire così?” Chiese allora Ellen. “Sai, quando si vuole molto bene ad una persona si desidera soltanto la sua felicità.” Rispose. “E poi,” Continuò questa volta alzando lo sguardo, per vedere le stelle. “Troverò pure io qualcuno. Infondo potrebbe essere anche qualcuno di non molto lontano…” L’altra non rispose, incantata anch’essa dal cielo pieno di luci.
“Eric!” Esclamò Florinda raggiungendolo. Appena il ragazzo si girò non fece in tempo a rispondere che l’altra lo precedette. Laurie aveva ragione: l’Hufflepuff aveva una marea di parole da dire. “Tu non sei Rakubyan e nemmeno lo diventerai! Promettimi che mai ti verrà in mente qualcosa del genere! Io lo so perché ti conosco, lo capisco dal tuo sguardo: è completamente diverso da quello che aveva Rakubyan. Tu non diventerai mai come lui, lui era accecato dal desiderio di potere e dalla pazzia dopo la prigione… Promettimi che non penserai mai, mai più che lui sia il tuo destino. Il futuro non è già deciso, tutti scrivono il proprio, chiunque ha la libertà di scelta, non devi preoccuparti di questo. E promettimi anche un’altra cosa.” E qui la voce di Florinda si fece più impacciata, mentre i suoi occhi diventavano lucidi. Eric la guardò con tenerezza e lentamente la strinse a sé, sentendo ciò che quella aveva ancora da dire, le parole più dolci che avesse mai detto: “Promettimi anche che non scapperai mai, non voglio che tu te ne vada. Ti prego, - Le sue lacrime bagnarono la divisa dello Slytherin – non abbandonarmi: non lo potrei sopportare… Io, io non voglio perderti, voglio sempre averti accanto. Scusami se l’ho capito solo ora, ma… Io…” Aveva ormai alzato la testa e gli sguardi dei maghetti si si stavano incrociando. Lei, con i suoi capelli purpurei, si era ancora una volta persa negli occhi verdi di lui. L’altro le stava accarezzando la testa e i due volti erano sempre più vicini… Ad un tratto però si riallontanarono: Florinda si era lasciata andare addosso ad Eric. Non ce l’aveva fatta: quella sera le sue energie erano esaurite e lei era svenuta. “Florinda…” L’abbracciò Eric colmo d’amore e gratitudine.

Capitolo ventesimo: Mosche al caramello.


Florinda fu svegliata dalla luce che entrava dalla finestra, non si rese subito conto dove fosse. Si alzò seduta, stropicciandosi gli occhi. “Oh, si è svegliata, cara, finalmente!” Le sorrise una donna dal vestito bordeaux ed il grembiule bianco. La riconobbe subito: era l’infermiera. “Che ore sono?” Chiese allora l’Hufflepuff ancora un po’ confusa. “Circa le quattro del pomeriggio.” Fu la risposta. “Le quattro?! Ma, ma io devo..!” Esclamò saltando giù dal letto. La donna la bloccò, spazientita: “Lei deve riposare! Possibile che qui dentro tutti vogliono fare ciò che più gli pare?!” “Che più gli pare..?” “Già!” Continuò l’infermiera brontolando: “Stamattina, senza il mio consenso, una ragazzina ha lasciato il proprio letto dicendo che non aveva nessuna intenzione di perdere il suo tempo seguendo gli ordini di una ‘suorettina dalla pelle flaccida’ come me o suo zio lo sarebbe venuto a sapere!” “Lys...” Pensò Florinda ridendo. “Poi il ragazzo, con un’acconciatura stranissima, lo ammetto, ha fatto un sacco di storie perché non voleva che gli medicassi un taglietto sulla mano. Ma si può? Frignava come un maghettino d’asilo!” “Laurie!” Bisbigliò l’altra. “E in fine ho appena cacciato via un ragazzino della sua età da qui. Pensi, è rimasto a vegliare su di lei tutta la notte e stamattina si è marinato apposta le lezioni! Che giovanotto indisciplinato!” Il volto di Florinda a quel punto si colorì di rosso. “E, e non ha dormito?” “Certo che no. Non ha chiuso occhio!” Si lamentò di nuovo la donna, quella per lei non era proprio giornata. “Mi dica, e dov’è ora?” “Sarà di sicuro qua fuori, l’ho minacciato di farlo finire in presidenza, ma a quanto pare non è servito a nulla!” Sentendo quest’ultima frase, Florinda si destò completamente e con un salto scese dal letto. “Lei non si può muovere!” Le ringhiò contro l’infermiera, cercando di placcarla, ma nulla da fare: Florinda era troppo veloce e ormai aveva raggiunto la porta. Con forza l’aprì e si ritrovò Eric difronte. Vedendo l’incrocio di sguardi che seguì, la donna fu intenerita. “E va bene, va bene, per oggi chiuderò un occhio. Fate in fretta.” Sospirò, andandosene. Solo quando furono soli l’Hufflepuff si rese conto che i suoi indumenti non erano altro che una lunga camicia da notte bianca. I suoi capelli divennero rosso fuoco. “Ehm, ehm…” Balbettò, fissando il pavimento. Eric non resistette e fu un attimo: l’afferrò per le spalle e l’avvicinò a sé. Fu un movimento veloce, ma allo stesso tempo dolce. Finalmente le loro labbra si raggiunsero. Lei chiuse gli occhi, mentre il suo potere le tingeva i capelli d’arcobaleno, la tonalità di ogni ciuffo era differente. Molte volte s’era immaginata come poteva essere e si stupì molto, rendendosi conto di quanto il sapore di quel bacio fosse famigliare, dolce forse anche più del caramello. Le calde mani di Eric le scivolarono sulla schiena in una carezza. Era felice, immensamente felice e lo amava.
“L’infermiera ha ragione: dovresti riposare!” Continuava a ripetere Panti, seguendo insistentemente Lysandra. “Senti.” Si fermò quella, davanti all’entrata della Sala Comune Slytherin. “Sto bene, è inutile preoccuparsi.” Continuò entrando. I due arrivarono nel dormitorio e la ragazza si buttò di pancia sul suo letto. Era sconvolta e a ragion veduta. Fino ad allora lei e Panti avevano avuto una lunga chiacchierata con la preside, in cui lei (oltre ad averle fatto un’eterna ramanzina sostenendo che nessun estraneo poteva entrare ad Hogwarts - figuratevi un babbano -, una pesante lavata di capo sulle regole della scuola ed essersi allo stesso tempo complimentata con lei per come aveva saputo risolvere l’intera faccenda) sosteneva che Josh Dunut (conosciuto meglio come Pantofolo), fosse in realtà un mago, un Gryffidiota per di più, poiché era stato in grado di utilizzare la Spada di quella casa. Insomma, non si capiva bene come, ma Panti aveva dei poteri magici, poco potenti, ma qualcosa doveva per forza avere pure lui. Lysandra alla notizia era rimasta allibita: lei aveva rischiato la vita non solo per un mago dalla scarsissima capacità magica, ma pure un Gryffidiota. Era il colmo. In quel momento il ragazzo parve leggerle nel pensiero: “Posso farti una domanda?” Chiese. L’altra alzò il capo. “Ecco, vedi, io…” Esitò nel continuare la frase. La Slytherin si mise a sedere perplessa, non capendo tutto quell’imbarazzo. L’altro le sedette di fianco: erano troppo vicini, così anche lei iniziò un po’ ad agitarsi. Panti ad un tratto prese coraggio: “Perché quando mi hai salvato hai urlato il mio nome?” Chiese tutt’un tratto. “Non lo so, perché tua mamma ti ha chiamato così, immagino…” Rispose. “Va bene, posso farti un’altra domanda?” “Sì..” A quel punto Lysandra si sentì stringere la mano e piano le fu chiesto: “Ti andrebbe di baciare il ragazzo per cui hai dato la vita?..” Lei non si mosse, mordendosi soltanto il labbro imbarazzata. “Non si fanno certe domande, babbano…” “Non sono un babbano, sono un Gryffindor…” La corresse l’altro, mentre i loro volti si avvicinavano. “Anche peggio.” Concluse lei, tirandolo con uno strattone a sé, l’attimo prima che le loro labbra si unissero.
E così i giorni passarono. Non ci volle molto perché i ragazzi diventassero i più popolari della scuola, insomma: evitare il ritorno di un pericoloso mago del male non era mica da tutti. Alcune cose anche cambiarono, forse in meglio si può dire. Alla fine Alice ebbe un attimo di tregua con Lysandra: non si può certo dire che divennero amiche, questo mai, ma impararono un poco a sopportarsi.
Wendolyn capì qual era la sua passione: lo studio delle creature magiche e la seguì con impegno, finché, molti anni dopo, non ne divenne professoressa, la migliore insegnate che Hogwarts avesse mai visto. Ellen le dette una mano nel suo intento e fra le due nacque una grande amicizia. In contemporanea, sotto insistenza di Laurie, la ragazza aveva deciso di entrare nella squadra di quidditch e fidatevi quando vi dico che i successi dei Ravenclaw si erano enormemente moltiplicati alla comparsa della nuova battitrice.
Passato qualche tempo, la chioma di Laurie ricrebbe, anche se, a dirla tutta, non fu più così folta. Ebbene, il ragazzo aveva preso l’abitudine di portare un taglio decente, come una persona civile. Da quando Ellen aveva espressamente detto, molto probabilmente senza nemmeno pensarci, che in quel modo stava (molto vagamente) meglio, il suo look era notevolmente cambiato. Tuttavia il gruppetto di amici dovette aspettare ancora tre anni perché il ragazzo si dichiarasse e, ovviamente, vennisse respinto (ma questa è un’altra storia).
Panti venne iscritto alla scuola di Hogwarts e lì poté continuare, non senza qualche difficoltà, i suoi studi. Lysandra, impetuosa, tiranneggiava sempre (e come al solto) su di lui, senza lasciargli mai un momento di tregua. Alla fine la Slytherin aveva capito che la libertà (chiariamoci: la sua, non quella del povero Panti) di scelta non può essere espressa da regole. Ognuno doveva essere libero di viverla come voleva, di fare ciò che sembrasse più giusto e, soprattutto, di amare chi gli pareva. Finalmente si sentiva felice, egoisticamente felice, forse, ma di che ci si puoteva lamentare? Aveva superato gli schemi imposti dalla sua famiglia ed era finalmente riuscita ad essere se stessa. Insomma, non c’era più nulla di brutto nella sua vita (a parte di quel nano di Vitius).
Al contempo, la famiglia Horwood non poté che rassegnarsi al così semplice e tenero amore che legava il loro ultimogenito con un’Hufflepuff. E beh, non potevano farci nulla e, date le circostanze, pensarono bene di non diseredarli né allora, né in un possibile futuro. Altro fatto invece fu piuttosto scomodo e cioè che Eric dovette ben presto (a suo malgrado) abituarsi ed infine ad apprezzare le continue Mosche al Caramello che Florinda trangugiava ogni giorno, non fu cosa facile (eeh, quanti sacrifici si è disposti a fare in nome dell’amore!).
Florinda, d’altro canto, abbandonò definitamente il suo cappello, non temendo più di mostrare al mondo il suo potere da Metamorfomagus. Non aveva paura del giudizio altrui, ora che, finalmente, cominciava a credere in se stessa.
Ebbene sì, dopo quella grande avventura un po’ la vita di tutti cambiò:
La McGranitt spolverò la sua libreria (cosicché se magari un altro studente allergico ci fosse finito dietro, non avrebbe sofferto le pene dell’inferno come la sfortunata Florinda); Hagrid decise che il coltivare pomodori carnivori non era il suo forte e così smise; Vitius si comprò dei trampoli; la bibliotecaria cambiò scialle (il giallo è un colore davvero impossibile da abbinare, si rese conto, dopo qualche anno); il ritratto di Silente volle sembrare un po’ più giovanile, così iniziò a canticchiare le sue filastrocche a ritmo rap (diciamo la verità, non gli veniva un granché bene); Serafina riuscì finalmente a sposare Olivander, Lysandra le aveva passato il suo infallibile metodo di persuasione, così mi dissero… (Lei e la sua bacchetta, per essere precisi); ed infine il Frate Grasso, convinto di poter trovare un buon amico, si accozzò al Barone Sanguinario: il solo avvenimento che invece seguì fu una rapida e disperata fuga di quest’ultimo, che per qualche tempo non si fece più rivedere ad Hogwarts.
L’unico a non cambiare fu Leo, il quale, sempre più pigro man a mano che il tempo passava, non faceva altro che pisolare nella Sala Comune, fingendosi un soprammobile. Come al solito, insomma. Una cosa però era certa: di tutta quella storia non aveva capito nulla, posso affermarlo con certezza.

FINE.


Ringraziamenti.

A dire il vero c’è così tanta gente da ringraziare che non so da che parte incominciare, sarò sincera. Ok, iniziamo dalla parte facile: un grazie immenso alla nostra amata Zia Row, che ha fatto conoscere alla nostra generazione lo straordinario mondo di Harry Potter! (Ehm, visto che a qualcosa serviamo anche noi poveri Hufflepuff?).
Un grazie poi a tutte le persone straordinarie della mia vita che mi hanno supportato (e soprattutto SOPPORTATO) in quest’intero anno di avventure magiche e che poi, soltanto alla fine, mi hanno spinto a pubblicare. E’ strano ammetterlo, ma è vero: ogni singolo personaggio è dedicato ad ognuno di loro (ma non è forse ovvio che accada così? Da qualche parte bisognerà prenderla l’ispirazione!). Non starò qui molto a dilungarmi, la cosa si potrebbe fare mooolto lunga, ma ringrazio anche voi semplici lettori, nuovi e vecchi, babbani e maghi, Mangiamorte e Gryffidioti, un grazie ad ognuno di voi che mi ha seguito fino a questo punto e che spero non mi abbandonerete. Beh, almeno se siete giunti fin qui il mio primo “libro” non è poi così male come pensavo ahahahah
ehy, grazie a tutti!

P.s. Per gli appassionati di Tutor Hitman Reborn: sì, Rakubyan è Byakuran… Ma quella è un’altra storia. [Cit.]
P.p.s. Per i più folli c’è anche un finale alternativo appena dopo l’indice. Enjoy!

Indice.

Capitolo primo: Un incontro bizzarro. 
Capitolo secondo: L’arrivo ad Hogwarts.
Capitolo terzo: Il primo giorno di scuola.
Capitolo extra: sclero dell’autrice.
Capitolo quarto: La prova.
Capitolo quinto: Il sorriso di Rakubyan.
Capitolo sesto: La Ravenclaw.
Capitolo extra due: Sclero dell’autrice parte seconda.
Capitolo settimo: Tranquillità? Nemmeno a Natale!
Capitolo ottavo: I ricordi di Florinda.
Capitolo nono: Per una pozione di troppo.
Capitolo decimo: Alla palude di Queerditch!
Capitolo undicesimo: Sospetto.
Capitolo dodicesimo: La popolazione dei Brammith.
Capitolo tredicesimo: Pantofolo in pericolo?
Capitolo quattordicesimo: Un muro di regole.
Capitolo quindicesimo: Il fauno bugiardo.
Capitolo sedicesimo: Il coraggio dei Gryffindor.
Capitolo diciassettesimo: Fine dei giochi.
Capitolo diciottesimo: I veri ricordi di Florinda.
Capitolo diciannovesimo: La Pietra.
Capitolo ventesimo: Mosche al caramello.
 
Ringraziamenti e indice 
Slytherdor (finale alternativo). 

Slytherdor (finale alternativo).

Lysandra stette un attimo ferma a fissare l’insegna del negozio. Olivander,c’era scritto. Poi il suo sguardo passò al ragazzo che le stava affianco, di nuovo sull’insegna e alla fine ancora sull’altro. Quello allora la guardò, non comprendendo la sua espressione scettica. “L’arma è fondamentale per il supereroe!” Disse piano tutto soddisfatto, ma non abbastanza perché la Slytherin riuscisse a non udirlo. Il suo volto si corrugò: “Eccolo che ricomincia con le sue baggianate…” Brontolò, ma il Ragazzo-Gufo parve non accorgersene e di buon passo varcò la soglia del negozio e Lysandra gli stette dietro. Una voce, forse un po’ troppo squillante li accolse: “Ragazzi, allora siete venuti! Finalmente!” “Te l’ho già detto, non devi gridarmi sempre nelle or…” Volle rimproverarla Lysandra, ma una ragazzina bionda e appiccicosa (per le troppe Mosche al Caramello, non ci sono dubbi) le fu addosso, in un caloroso abbraccio. “Stupidpuff..!” Non riuscì nemmeno ad esclamare la Slytherin, mentre veniva quasi strangolata. “Non ti vedo da così tanto tempo!” Continuò Florinda sempre più pimpante. Lysandra sospirò rassegnata: in realtà erano passati appena quattro giorni. “E poi vi stavamo aspettando!” “Stavate..?” Riuscì solo a ripetere l’altra, solo dopo essersi scrollata l’amica di dosso. “Ciao, Black!” Comparve in quel momento Eric. “Horwood… Dovevo immaginarlo.” Sbuffò l’altra. Non era mica una buona cosa, si disse, da quando quello lì e la sua Stupidpuff si erano ufficialmente fidanzati non esisteva più attimo di pace: i due, continuando a pomiciare, le davano ogni volta la nausea. Una tale noia, poi, manco fossero stati sposati! Ad un tratto la ragazza si bloccò, correggendosi: “Beh, teoricamente i due lo sono… O, meglio, sono stati… Nel futuro, cioè, nel passato…” Farfugliò confusa. Al diavolo, in realtà ciò che più le importava in quel momento era sfuggire al diabete che prima o poi, stando in loro compagnia, l’avrebbe colpita.
“Tu devi essere Lysandra! Oh, Florinda mi ha detto molto di te!” Disse un uomo entrando. I suoi piccoli occhi grigi furono fissi sui nuovi arrivati: era il vecchio Olivander. “… Davvero?” Chiese l’altra, “Quella Stupidpuff..!” Pensò poi, rassegnata. “E tu sei Pantofolo, non è forse così?” Continuò quello avvicinandosi al biondino. “Ehm… Ecco, io, veramente mi chiamo Jo…” “T’immaginavo completamente diverso, sai?” “Io, un Animagus? Non…” “Ma certo! Tu ti sai trasformare in un gufo, no? Notevole per la tua età, davvero!” Lysandra sbiancò di colpo. “Un gufo? Ma io non so nulla di…” Tentò di ribattere, ma venne interrotto: “Non, non eravamo qua per prendere una bacchetta??” Domandò di colpo la Slytherin, non avrebbe mai permesso al Babban… Ehm, Gryffidiota di sapere. “Eh, eh! Quanto siamo frettolose! E io che credevo che prima voleste un po’ del mio famoso tè al caramello…” “Ca, caramello..??” Eric ebbe un brivido, “Di nuovo?” Piagnucolò. Lysandra a quel punto non resistette e scoppiò in una fragorosa risata: chissà da quanto era lì quel poveretto e, soprattutto, quanti litri di quella tisana orribile era stato costretto a bere per non offendere il futuro suocero! “Altro che diabete il suo!” Commentò piano la Slytherin. Nessuno la udì.
Ad un tratto ci fu un urlo: “Ollyyyyy!!!” L’uomo s’irrigidì, temendo il peggio: era arrivata. In un frettoloso rumore di tacchi a spillo, Serafina fu nella stanza. Era vestita in una tutina attillata, con delle scarpe gialle tacco 12 gialle ed una giacca dello stesso colore (come lo smalto, del resto). Con un gesto secco salutò Eric: “Possibile che fosse sempre da quelle parti?” Pensò. Poi divertita, passò affianco a Florinda e le bisbigliò qualcosa all’orecchio: “Ragazza, tienitelo stretto questo qui, ci vuole fermezza e decisione per quelli del sesso opposto, non te lo scordare!” L’altra le sorrise e annuì. Amava molto quel (come era solito definirlo lei) parlare da donna a donna, che solo con Serafina le riusciva. Con lei poteva parlare di tutto e i suoi consigli erano certamente i migliori, ne era assolutamente convinta. Lo sguardo di Eric incrociò quello di Olivander: quando le due donne di casa si mettevano a confabulare non significava nulla di buono, soprattutto per loro. Da quando Serafina era riuscita a sposare il suo prediletto, la vita del povero Olivander era diventata più caotica che mai: non esisteva attimo di tregua. Alla fine ci era caduto, era caduto nella trappola a lui tesa da 23 anni e ora nulla l’avrebbe più potuto salvare. Dal canto suo, Serafina, non perdeva mai occasione di dimostrare alle amiche quanto fosse stato stupendo il suo matrimonio e quanto fosse felice ora con il suo nuovo maritino. Lo amava follemente, Olivander, ma ancora più adorava vincere: ecco perché non aveva mai voluto abbandonare quell’uomo ed aveva pazientemente aspettato il momento più propizio per attaccarlo e farlo cedere al suo volere (sotto le utili direttive di Lysandra, bisogna riconoscerlo). Anche Olivander provava qualcosa per la sua signora. Ebbene sì, strano a dirsi, ma pure il vecchio Olly era innamorato di sua moglie e in maniera profondissima per giunta. Solo che non poteva ammetterlo: il suo cuore non gliel’avrebbe mai permesso. Solamente quando la sua dolce metà era fra le beatitudini del sonno si lasciava andare alle più appassionate e romantiche parole, cosicché lei non potesse udirlo. In realtà Serafina lo sapeva bene, così il più delle volte faceva finta di dormire, per lasciarsi cullare da quella scia di dolcezza infinita. Ma questo era un segreto, di cui la sola Florinda era a conoscenza.
“Allora, ragazzo, è giunto il momento, non è così?” Sorrise in quel momento il vecchio venditore, porgendogli la prima bacchetta. “Suvvia, agitala!” Lo esortò poi, vedendo che quello non si era ancora mosso. L’altro obbedì, ma nulla accadde. L’uomo non si scompose, dopotutto poteva capitare. Gliene passò subito un’altra, ma il risultato fu lo stesso. Alla fine i presenti giunsero tristemente alla conclusione che ogni bacchetta del negozio lo ignorava, senza alcuna distinzione. “Mica sei Laurie, dannazione!” Sbottò Lysandra, sconcertata e proprio in quel momento, quasi sotto evocazione, giunse Ellen, seguita dal Gryffidiota. “Che mi sono persa?” Chiese entrando, “Che sono quel musi lunghi?” “Il qui presente gufo è più incapace della Stupidpuff.” Rispose la Slytherin. “Ma, ma, ma l’abbiamo visto tutti utilizzare la spada dei Gryffindor, non dovrebbe essere difficile per lui trovare la bacchetta adatta!” Sostenne Laurie, da giorni sempre incollato alla Ravenclaw. A lei non dispiaceva poi così tanto avercelo sempre appresso, dopotutto per portarle i libri era utile e poi nessuno lo notava mai, quindi… “Bada bene a come parli! Non dire certe cose su Flo!” Saltò su Eric rivolto a Lysandra. E fu così che fra i due nacque un’animata discussione su chi fosse la più incapace delle loro due metà (Eric sosteneva esserlo Florinda, mi pare giusto).
“Tu sei Ellen, non è così?” Chiese Olivander sorridendo, l’altra annuì. “E tu sei…” Continuò, questa volta rivolto a Laurie, “Ehm, tu chi sei?” “Laurance Weasley!” Esclamò il poveretto, perché nessuno si ricordava mai di lui?? Che aveva fatto di male?! “Ah…” Commentò l’uomo, “Di solito le ricordo sempre le facce.”
“Comunque è strano, come mai Panti non riesce ad usare la propria magia?” Domandò Eric pensieroso, “È un mago, l’abbiamo visto tutti!” L’altro non rispose, non se lo sapeva davvero spiegare. “Mi spiace…” Si scusò poi, con un filo di voce. “Non sono all’altezza della situazione, non sarò mai un mago: io non ho poteri. Forse è meglio andarcene da qui, vi sto solo facendo perdere tempo… Scusa, Lys, non sono il supereroe che credevo di essere.” “Supereroe..?” Chiese Ellen, fin troppo interessata. “Certo: sono venuto fin qui per prendermi una bacchetta magica ed usare la magia, come fossi un supereroe… Volevo essere in grado di prendermi cura degli altri, è questo che solitamente fa uno con dei poteri, non ti sembra? Ma a quanto pare ho fallito…” Concluse, chinando tristemente il capo. I suoi occhi blu erano colmi di tristezza, guardandoli fu toccata nel profondo da quelle parole così sincere e capì davvero come si dovesse sentire. “Non fa nulla.” Disse, senza nemmeno pensarci: le parole le erano uscite di bocca da sole. “Anche se dovessi rimanere un inutile Babbano per sempre, non importa…” Farfugliò, accorgendosi di essere arrossita. La tristezza, che fino a poco prima regnava nel cuore di Panti, si dissolse e il suo sguardo fu questa volta pieno di tenerezza. “No, non guardarmi così!” Volle urlargli contro la ragazza, ma non lo fece, continuando a fissarlo come rapita da quel blu. “BOMBARDA!” Improvvisamente ruppe il silenzio della stanza. Era Ellen che con la bacchetta alla mano aveva invocato l’incantesimo. Un raggio di luce si scagliò proprio sopra la testa di Lysandra, colpendo un grosso lampadario che cadde a terra. Parte del soffitto s’incenerì e una nuvola di fumo avvolse tutto. Fu allora che il boato di una seconda esplosione riecheggiò ed un altro lampo comparve davanti agli occhi dei presenti. “Lys!” Urlò disperata Florinda, poco prima di essere agguantata da Eric e venire praticamente lanciata dalla parte opposta della stanza. Poi più nulla. Qualche istante dopo la nube bianca si dissolse ed i presenti poterono vedere Pantofolo sdraiato sopra Lysandra, con ancora la mano aperta verso l’alto: il lampadario non era altro che briciole ai suoi piedi ora. “SECCHIONCLAW!!” Fu l’urlo di Lysandra che seguì. “Che cosa speravi di fare, eh?!” Sbraitò, agitando i pugni (unica parte del corpo che riusciva a muovere sotto il peso del ragazzo). “Non agitarti tanto, che ha funzionato.” Sospirò l’altra, ritornando a leggere, come se nulla fosse accaduto. A quella frase Lysandra si calmò di colpo, voltandosi: “Tu, tu… Tu mi hai salvata, tu mi hai salvata con la magia!” Pantofolo, il più incredulo di tutti, rispose: “Sì, credo di sì… Ho agito d’istinto, almeno credo…” “Infatti,” Li interruppe Ellen, senza nemmeno guardarli, “La tua magia si attiva solamente quando è davvero necessaria, tutto qui. Ne ero quasi certa.” “Quasi?? Quasi?! Significa che non sapevi se il lampadario mi avrebbe schiacciato o meno?!” Si riaccese la collera di Lysandra. “Ma che importa, ha funzionato, no?” “TU..!” Volle rinfacciarle le peggio cose la Slytherin, ma fu interrotta dalla voce di Olivander che, dietro al bancone (dove era stato trascinato con forza da Serafina), esclamò: “Strabiliante! Non hai bisogno di bacchette magiche tu, sai usare la tua magia senza l’uso di nient’altro e senza incantesimi per giunta!” Pulendosi i vestiti uscì dal proprio nascondiglio: “Sei davvero speciale!” Continuò euforico, per nulla preoccupandosi del proprio lampadario. Da quando Florinda aveva preso la propria bacchetta sapeva bene che il suo negozio era pressoché indistruttibile.
“State tutti bene?!” Chiese Alice entrando, “Cos’era quel botto??” La seguì Gwendolyn. “E voi che ci fate qui??” Chiese Laurie. “Passavamo, a Wendy serviva un nuovo calderone… Ehi, ma che diavolo state facendo qui?!” Domandò di colpo Alice, notando Lysandra sotto Pantofolo. “Non ditemi che… Black! Ma… Ma…” “Non farti strane idee, non è come credi!” Tentò di difendersi il ragazzo alzandosi. “Andiamocene, Wendy, quel che è troppo è troppo!” Non lo ascoltò l’altra, prendendo la porta. “Addio!” La seguì Gwendolyn. “Che persone strane…” Commentò la povera Florinda che, ovviamente, non aveva inteso nulla.
“La magia di Panti,” Continuò Olivander quando le cose si furono un po’ calmate, “È forse la più potente con cui abbia mai avuto a che fare. Certo, non può sempre essere utilizzata… Ma quando avviene, ragazzi miei, sono scintille! Credo però non esista bacchetta capace di contenere tutto questo potere, ecco perché nessuna su di lui ha effetto.” “Lo dicevo io.” Confermò soddisfatta Ellen. “Quindi alla fine siamo venuti fin qui per nulla…” Sospirò Lysandra, “Tutta colpa di quest’idiota e della sua strana magia!” “Idiota che ti ha salvato la vita per ben due volte, cara.” Pensò Eric, ridacchiando. “Quanto si è fatto tardi!” Esclamò Serafina, “Devo aprire il negozio, oh Santo Cielo, i miei clienti!” Concluse, scomparendo nel nulla. “Quella pazza ha ragione, pure per me è ora di aprire, fra poco qui sarà pieno di gente…” Fissò per un attimo il lampadario in cenere, “È meglio che io mi dia una mossa.”  “Allora noi andiamo.” Gli si avvicinò Florinda, stampa dogli un grosso bacio sul naso, prima di dirigersi saltellando all’uscita, seguita dagli altri, finché anche Lysandra fu alla porta.  Ma proprio quando stava per uscire, il vecchio le parlò: “Sai tu mi ricordi molto…” “Bellatrix? Sì, lo so, lo so…” Lo interruppe Lysandra, abbassando il capo. “No, ti sbagli, lei non avrebbe mai potuto usare la bacchetta che tu ora possiedi: le si sarebbe rivolta contro. Magari esteriormente un po’ la ricordi, ma non per questo le somigli davvero.” La ragazza si ritrovò stupita: nessuno le aveva mai parlato in quel modo. “Prima parlavo di Sirius Black, tuo zio. Siete due gocce d’acqua.” La Slytherin ebbe un sussulto: quell’uomo nella sua famiglia non poteva nemmeno essere nominato. Era stato cacciato e poi ucciso dai suoi stessi parenti, sapeva solo questo di lui, chiedere qualcosa era assolutamente proibito. “Aveva un gran cuore e lottava sostenendo le proprie idee, proprio come fai tu, rinnegando i valori imposti dalla tua famiglia. Lysandra, non devi essere per forza ciò che ti hanno imposto, ricordalo. Tu puoi essere ciò che desideri, come tutti: non ci sono regole per questo.” “Non si preoccupi, lo so bene.” Fu la risposta. “Ma… Grazie.” Concluse a voce bassa, finalmente uscendo.
“Ehi, perché ci hai messo tanto?” Chiese Florinda venendole incontro, “Olly ti ha detto qualcosa?” “No, nulla d’importante…” Mentì l’altra. “Sirius… Chissà che persona era…” Pensò Lysandra. “Se anche poco mi somigliava, beh, di sicuro doveva essere straordinario.” Concluse in un sorriso e in pochi passi raggiunse gli altri, verso un’altra, nuova e straordinaria avventura.


FINE
(e questa volta per davvero… O forse no?)

  
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