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Autore: FrankieEternity    21/03/2013    2 recensioni
Era una ragazza strana, forse fin troppo. Trascorreva le sue giornate a scrivere le sue riflessioni e i suoi sogni su un taccuino. Avrebbe mai trovato l'amore? Si sarebbe mai aperta al mondo circostante?
Genere: Guerra, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
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Orgoglio e Dignità


La fortuna di abitare in un paese che affaccia sul mare è il poter andare in spiaggia in qualunque occasione, già nel mese di Giugno. Di solito non ci sono molti turisti, sono ancora ben immersi nel proprio lavoro, e  il lido è semideserto. Potervi stare in piena tranquillità è una gran fortuna. Non mi piacciono granché la sabbia e il sole, per cui mi limito a stare sotto l’ombrellone o all’ombra di un albero presso la pineta che precede la spiaggia. Lì mi trovo perfettamente a mio agio, come se fossi in sintonia con il resto del mondo. Da sola, con le spalle contro la corteccia di un pino, scrivo frasi sul mio taccuino. A volte sono poesie vere e proprie, altre volte solo semplici pensieri su ciò che mi circonda.  Di frequente annoto qualche mia fantasticheria. I miei viaggi mentali sono piacevoli e necessari per me. D’improvviso mi trovo alla corte di un signore del Quattrocento oppure in un altro pianeta, fra extraterrestri che mi sorridono con gentilezza. È incredibile come riesca a perdere il contatto con la realtà per interminabili minuti, guidata dalla mia singolare immaginazione. Quasi non m’accorgo delle occhiate scettiche che qualche passante mi rivolge, con l’ombrellone su una spalla, seguito dalla sua chiassosa famiglia. Il caos non interrompe l’instancabile flusso dei miei pensieri. Concentrata su me stessa, talvolta mi è capitato d’addormentarmi lì seduta e svegliarmi dopo qualche ora. A differenza dei sogni ad occhi aperti, quelli che compio ad occhi chiusi li ricordo a malapena. Sono confusi, bizzarri, perfino insensati. Ripercorrono perlopiù attimi di vita quotidiana e li stravolgono. Risento in sogno frasi che credo di aver già udito da sveglia. Mi fa così strano che cerco di pensarci il meno possibile.
Il mio taccuino sembra piccolo, ma ha molte pagine e io scrivo con la mia solita grafia minuscola per non sprecare fogli di carta. Non per l’ambiente o per altro, al contrario perché amo questo taccuino. Ha una copertina rosso fuoco, il mio colore preferito, e le righe che lo attraversano non sono troppo marcate. Ha un aspetto invidiabile, moderno, frizzante. È vero che era l’ultimo taccuino rimasto in edicola, ma credo che l’avrei scelto fra decine e decine di suoi simili. Conserva la parte più preziosa di me, la più particolare, la più evidente. Potrei sembrare semplicemente strana e nient’altro quando prendo a scrivere all’impazzata sui suoi fogli bianco sporco, e in effetti credo che più d’una persona lo pensi, ma questa è la mia arte, è il mio mondo; sebbene sia solo un piccolo spazio, è pur sempre solo per me. I giorni estivi, che a tutti appaiono così simili, sono ognuno diverso dall’altro, perché in ognuno di essi penso a qualcosa di diverso. Non ho un viaggio di fantasia preferito, viaggio e basta. E così sono felice, non m’importa cosa pensino gli altri. Un giorno, però, qualcosa mi sconvolse. Lo ricordo come se fosse ieri quel ragazzino con il corpo esile, un asciugamano sulla spalla, costume corto azzurro e nero. Mi rivolse un’occhiata e io lo fissai dritto negli occhi. Aveva un’espressione divertita. Chissà cosa gli faceva ridere di me, non penso di essere così ridicola. Si voltò, poi i suoi occhi cristallini mi scrutarono di nuovo e più intensamente. Parlò con voce gelida e strascicata.
<< Non vieni in spiaggia? >>. Sorrise sornione. << Sei ogni giorno seduta lì sola, non t’annoi? >>.
Scossi la testa. << Scrivo poesie >>. A quelle parole, scoppiò a ridere a crepapelle. << Ah, scrivi poesie? >> fece. << È una buona cosa, ma dovresti anche divertirti ogni tanto >>. I suoi occhi cerulei avevano uno strano effetto su di me. << Non ho amici >> dissi a denti stretti, << non so con chi parlare >>. Fece segno d’aver capito. Era bellissimo, quando annuiva. << Allora vieni >>. Mi tese la mano, la afferrai e mi aiutò a rialzarmi. Trascorremmo il pomeriggio in spiaggia insieme, fra partite di beach volley con i suoi cugini, gare di castelli di sabbia e chiacchiere varie. Mi parlò molto di lui. Era un solitario e confessò che la gente non si fidava di lui. Si descrisse come un ragazzo cinico, maleducato e insensibile. Lo disse un po’ con tristezza e un po’ con orgoglio e io provai a comprenderlo. Mi accorsi che eravamo troppo diversi. Io, immersa nelle mie fantasie d’adolescente strampalata, e lui, distaccato giovane con i piedi ben piantati a terra. Mi ascoltò. Anche se non condivideva i miei punti di vista, li comprendeva. Il suo sorriso sembrava più genuino, dopo quella chiacchierata. Ci salutammo di sera. Avevo ancora l’immagine dei suoi occhi ben stampata nella testa. Quell’avvenimento mi ha scossa. Mai nessuno mi aveva avvicinata prima d’allora, quando ero nella pineta. E adesso che mi ci ritrovo, sono giorni che non riesco più a sognare ad occhi aperti come prima. Sul mio taccuino scrivo unicamente dediche a lui. Il suo nome è “Pietro” e il suo cuore è pietra, a quanto diceva lui. Spero di rincontrarlo, perché quell’incontro mi ha segnata ormai. Anche se è accaduto in un giorno qualsiasi di fantasticherie, ho trovato un sogno nella vita reale. Sono felice, ripensando alla sua voce gelida e ai rigidi lineamenti del viso, alle braccia esili che, però, potrebbero stringermi e proteggermi come nessun altro saprebbe fare. Se venisse, gli direi “Sei un amico, sei il mio primo amico dopo anni e anni di solitudine”. Se venisse, ora. Però, sono trascorse settimane. E’ quasi finito il mese di Giugno, che tanto amo. Il lido si fa più caotico, gli stranieri abbondano. Il caos mi è solo d’ostacolo, perché devo ogni volta guardare con maggiore attenzione fra la folla per vedere se c‘è. Il cuore inizia a far male nell’attesa. Sospiro. Quanto altro devo aspettare? Poi lo vedo, sei tu, mio Pietro? Asciugamano in spalla e costume stavolta violaceo. Si volta, mi sorride. Oh, quanto tempo è passato! Mi alzo e corro a braccia aperte verso di lui. È un po’ scosso, ma si lascia stringere. << Mi sei mancato >> sussurro. << Ti voglio bene >>. Sospiro. Di nuovo, sospiro. << Ti voglio bene anch’io >> risponde.
È una sensazione bellissima, sento il suo respiro. Mi si stringe lo stomaco dall’emozione, finalmente l’ho ritrovato. << Andiamo >>. Mi prende, lo seguo. In un luogo appartato, mi parla, è sincero. Dice che desidera proteggermi, che, anche se siamo diversi, vuole prendersi cura di me. Provo sollievo. Lo avvicino al mio petto, lo ringrazio, sussurrandogli poche parole all’orecchio. Poi alza la testa, mi bacia, prima che possa rendermene conto le sue labbra sono incollate alle mie. Quasi sussulto, mentre il cuore mi inizia a battere all’impazzata. Stringo le braccia attorno al suo collo e per la prima volta lo sento. Quell’odore di tabacco sulla sua maglia, o forse sul suo petto, che sa di bruciato, d’erba, di cenere, di un non so che di attraente. Le sue mani mi sfiorano il corpo con delicatezza, mi bacia dappertutto e il suo fervido alito mi fa sentire più calda, più calda, sempre più calda. Lontani dalla confusione, diventiamo una cosa sola. Ci amiamo in silenzio, quasi di nascosto. Il tepore che mi trasmette è indescrivibile, vorrei solo sentirlo per sempre. Il contatto con la sua pelle è incomprensibilmente piacevole, anzi magnifico. Il sapore dolce del nostro amore mi è rimasto fra le labbra, assieme all’odore delle sigarette sulla mia pelle. Ci siamo salutati, di nuovo. Gli ho detto di tornare presto. Poi che lo amo. Lui ha risposto solo: << Ti voglio bene, tornerò presto >>. L’eco di quelle parole si è sentito solo nella mia testa. È forte e mi rimbomba nel petto. Lo aspetto, passa qualche giorno, e non si fa vivo. Sul mio taccuino al posto di frasi appaiono cuori e i nostri nomi, uniti da un paio di frecce colorate. Mi chiedo come abbia fatto l’amore a portarmi lontana dal mondo in cui vivevo, non credevo potesse essere possibile. Soffro. Passano i giorni e credo poco in un suo ritorno. L’odore del tabacco ormai è sparito, ma il suo esile corpo nel mio è un ricordo ancora vivido. È amore, o è ancora una volta un mio viaggio, persino un po’ più stupido del solito? Fine luglio, il caldo mi attanaglia il petto. Una bolgia infernale di persone mi confonde e forse anche lui si nasconde tra di loro. Lo vedo, ha un cappello bianco e blu sul capo, cammina, facendosi spazio fra la gente con le braccia. Lo chiamo. << Pietro, Pietro! >>. Perché non m’ascolta? Continuo a ripetere il suo nome, strillando con quanto fiato io abbia in gola. Poi capisco. La sua mano è stretta ad un’altra, quella di un’altra ragazza. È alta qualche centimetro in più di lui, ha il classico fisico da modella che a me manca e un sorriso angelico. Abbasso lo sguardo, perché è una visione troppo atroce per me. Scoppio a piangere in silenzio, nello stesso modo in cui abbiamo fatto l’amore in quel luogo appartato che ormai sapeva di noi. Siamo troppo diversi, aveva ragione. Siamo due anime che non potrebbero mai unirsi, se non nei miei sogni. Fantasie innocue che si sono trasformate in amorose, a causa di quell’incontro.<< Il tuo nome è Pietro e il tuo cuore è pietra >> gli direi. Gli urlerei in faccia quanto sono delusa e amareggiata, lo prenderei a schiaffi, fra una lacrima e l’altra. Eppure, mi sento debole e inerme, un cadavere vivente. Vorrei odiarlo e poter fare in modo che il suo ricordo s’allontani, perché mi strappa, secondo dopo secondo, il cuore. Il taccuino, che in passato avevo stretto così avidamente a me, l’ho gettato in un cestino posto nel bel mezzo della pineta. Così ho perso tutti i miei straordinari viaggi con la fantasia e i miei pensieri d’amore, ho lasciato alle spalle la mia innocenza di bambina troppo cresciuta. Adesso voglio essere diversa. Voglio trovare un posto in questo mondo, degli amici, un motivo per vivere, lontano da qui. E, soprattutto, lontana da lui. Un tempo mi chiesero se conoscessi la differenza fra orgoglio e dignità e d’istinto risposi di sì, perché mi parve una cosa ovvia. Ebbene, in realtà non lo sapevo. Solo adesso mi sembra di aver finalmente afferrato il concetto. La mia dignità è stata calpestata. Questo è il mio addio, Pietro.
   
 
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