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Autore: Tary Prince    21/03/2013    0 recensioni
Sentendo le avvisaglie di un grave pericolo, due personaggi si mettono in viaggio verso un nuovo futuro, armati solo della speranza.
Genere: Drammatico, Guerra | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Il viaggio
 
Quando le onde cominciarono ad avvicinarsi inesorabilmente verso la nave, nella mente di Aman non c’era spazio per i ricordi, ma solo per la serie di cause che lo avevano portato lì. Per morire.
E dire che quella giornata era iniziata come tutte le altre. Si era alzato all’alba, sua moglie gli aveva preparato le kofta avvolte nel naan, si era recato al suo bazar e aveva cominciato a servire i primi clienti.
Tutto si era svolto nel giro di un’ora: un ragazzo che doveva avere circa vent’anni, si stava avvicinando al negozio per fare i suoi acquisti, quando un paio di militari lo avevano fermato e gli avevano intimato di seguirli. Il ragazzo aveva chiesto spiegazioni. Nello stesso istante in cui gli dissero che era in stato di arresto per aver aderito ad alcune sommosse contro il partito del rais, il ragazzo aveva mollato un pugno a uno dei due e si era messo a correre. Solo per un attimo Aman aveva creduto che potesse farcela, ma lo scintillio del kalashnikov di uno dei soldati cancellò quel pensiero, prima ancora che potesse terminarlo. Non aveva mirato a punti vitali di proposito, lo aveva semplicemente ferito ad una gamba. Aman non sapeva se ammirare o compatire quel ragazzo, che, nonostante non potesse più camminare, continuava a trascinarsi a fatica il più lontano possibile dai suoi persecutori. Il soldato che gli aveva sparato si prese il gusto di avvicinarsi a lui lentamente, lasciandolo crogiolare nella sua paura. Lo chiamò per nome. Quello si voltò, si raddrizzò come meglio poté, e gli piantò addosso uno sguardo che Aman non avrebbe più dimenticato, neanche quando vide la marea abbattersi su di lui.
Quando tutto finì, se ne andarono lasciando il corpo riverso nella polvere della strada. Aman, che fino a quel momento era rimasto paralizzato, aveva chiuso il bazar ed era fuggito.
Mariam lo vide entrare trafelato dalla porta di casa e gli chiese come mai fosse tornato così presto. Non le rispose, perché quasi non aveva sentito la domanda. Entrò nella stanza più interna di casa sua. Seduto sul letto, intento a leggere, c’era Rahim, suo padre.
All’uomo bastò una rapida occhiata per comprendere che il figlio era profondamente turbato. “Cos’è successo?”
“Hanno ucciso un ragazzo davanti al bazar, baba. Lo accusavano di essere un ribelle”.
Rahim impallidì, ma quando parlò la sua voce era fredda e distaccata. “Ne stanno facendo fuori molti in questi giorni…”
Aman non fiatò.
“Tu sai, cosa significa, vero?” gli chiese il padre.
“Che il rais sta cominciando a sentire il sale sulla coda…” rispose.
“Prima uccideranno tutti i ribelli. E poi uccideranno i parenti dei ribelli. Soltanto allora cominceranno ad uccidere gli innocenti”.
A quelle parole, un silenzio carico di tensione scese tra i due.
Aman non era l’unico figlio di Rahim. Anni prima, aveva avuto un fratello, Sohrab, più grande di lui di otto anni, che tutti conoscevano per la sua intelligenza e per il carisma. Un vero leader, lo aveva definito qualcuno. E un leader era diventato, nella fazione di coloro che resistevano contro gli assalti del capo del governo.
Ma con il tempo era diventato un avversario scomodo.
Una notte, silenziosi come gatti, dei killer lo avevano assalito nella sua stessa casa.
Rahim non si era mai ripreso del tutto.
“Devi andartene” sentenziò, fermo.
Gli occhi di Aman erano lo specchio della sua disperazione.
“Come faccio? Dove andremo?”
“Ho saputo che si stanno organizzando degli sbarchi clandestini per tutti quelli che possono pagare. Prepara il necessario, prendi tua moglie e sali su una di quelle navi. Ti porterà in Italia. Da lì poi saprai cavartela, le capacità non ti mancano”.
“E tu?” mormorò Aman.
Rahim sbottò in una risata amara. “Dove vuoi che vada, Aman? Sono mezzo paralizzato e mi muovo da questo letto appena due volte al giorno…”
“Mi stai chiedendo di abbandonarti qui?” ribatté tagliente il figlio “credi davvero che sarei capace di farlo?”
“Tu dovrai farlo, Aman, perché preferisco morire ora, togliendoti questo peso, piuttosto che rimanere insieme in questa casa fino a quando non arriveranno i soldati a portarmi via un altro figlio!”
“E cosa farai dopo che ce ne saremo andati?”
“Chiederò aiuto a degli amici che mi procureranno l’indispensabile per sopravvivere, non ti preoccupare. E quando loro arriveranno, mi troveranno pronto ad attenderli”.
Dicendo così, estrasse da un cassetto un revolver che possedeva da molti anni.
“Almeno mi toglierò la soddisfazione di portarne qualcuno con me”.
La fredda calma di Rahim, lasciò attonito Aman. “Mariam non può intraprendere questo viaggio”.
La determinazione di suo padre vacillò. “Ma certo…dimenticavo il bambino…” mormorò tra sé e sé.
“Aman…so che quello che sto per dirti ti suonerà terribile, ma…non ci sono altri modi. Se uscirete dal paese ufficialmente, vi fermeranno al primo posto di blocco e troveranno una scusa qualsiasi per arrestarvi. Perderete la vostra vita e allora non ci sarà più nessun bambino senza di voi” continuò inesorabile.
Aman fece per uscire, curvato sotto il peso di quella decisione. Suo padre lo richiamò, all’istante. Si voltò a guardarlo di nuovo.
“Non voglio che queste siano le ultime parole che ti ho detto” soggiunse “sappi solo che avrei fatto di tutto per risparmiare tutto questo a te e a Mariam…Aman, buona fortuna…”
Il caos regnava sovrano nei pensieri di Aman.
Sin da quando erano bambini, Sohrab era stato il prediletto di Rahim ed era stata la sua morte la causa scatenante degli innumerevoli malesseri del padre.
Fino ad allora, l’uomo si era convinto di non valere quanto il fratello per Rahim ed ora, nell’addio, scopriva un volto nuovo di suo padre.
Aman sentì formarsi un groppo alla gola che gli impediva di rispondere. Non trovando le parole, semplicemente gli si avvicinò e lo abbracciò.
Mariam non fece alcuna opposizione. Ora stava impilando l’indispensabile dentro una valigia di media grandezza, tutto quello che avrebbero posseduto quando sarebbero giunti in Italia. Aman la guardava in silenzio, accarezzandola con lo sguardo, che si soffermò sul ventre, al sesto mese di gravidanza.
Si voltò di scatto verso un’altra direzione. Non riusciva a togliersi dalla testa la conversazione che aveva fatto con Rahim.
Cominciò a girare per le stanze di casa sua: apparteneva da due generazioni ai Khan, la sua famiglia. Era orientata verso est, in modo che il sole, al suo sorgere, salutasse l’entrata della loro abitazione e la illuminasse per tutto il giorno.
Ma non era questo il motivo per cui suo nonno l’aveva comprata. A Khaled, il padre di Rahim, piaceva raccontare a tutti che quella casa aveva qualcosa di speciale, che si trovava proprio ai margini del loro giardino.
Anni dopo, suo nipote ricordava quella storia mentre osservava il centenario albero che aveva conquistato la fantasia di Khaled Khan. Aman doveva ammettere che quell’ulivo possedeva veramente un fascino soprannaturale, con le sue foglie perennemente verdi e i frutti che già dall’aspetto preannunciavano il loro magnifico sapore.
Rientrò in casa e si diresse verso il nascondiglio dove tenevano i risparmi di una vita. Rifletté sul fatto che probabilmente non avrebbero più avuto neanche quelli quando il viaggio sarebbe terminato.
Mariam, nel frattempo, osservava un libro con espressione assorta.
Aman gli si avvicinò e vide che si trattava del Corano.
“Non entrerà nella valigia” le disse.
Lei si voltò e lo guardò con aria dura: “Non mi sono ribellata all’idea di intraprendere questo folle viaggio, ma almeno permettimi di portarlo con me, anche a costo di tenerlo in mano per tutto il tragitto”.
Suo marito si accigliò; comprendeva il profondo desiderio di sua moglie, ma sarebbe stato comunque d’intralcio trasportarlo.
“Potrebbe servirci” disse, quasi in un sussurro, Mariam.
Si voltò e ricominciò a fare l’inventario di tutte le loro cose.
Lasciarono la casa verso le undici di sera. Avevano caricato la valigia con circospezione sulla macchina che si erano fatti prestare da Hassan Massud, un amico di Rahim, il quale era stato lieto di poter fare qualcosa per loro.
Avevano impiegato circa mezz’ora per raggiungere il porto. Presero le loro cose e si diressero nel punto che gli aveva indicato Hassan.
Videro circa trecento persone, di diverse etnie: arabi, berberi, tuareg, che a loro volta erano sunniti, kharigiti o ibaditi.
In quel momento però nessuno di loro ricordava di provenire da culture diverse, perché tutti erano accomunati dalle stesse emozioni: paura, tristezza e speranza.
I due si misero in coda insieme agli altri e attesero, lo sguardo fisso verso il mare.
Ironia della sorte, proprio in quel momento Aman si rese conto di non essere mai riuscito ad imparare a nuotare come si deve. Imprecò in silenzio, in modo che Mariam non avvertisse il suo disagio.
Con il trascorrere dei minuti, Aman rifletté che non c’era niente di peggio dell’impotenza. L’idea di non poter far nulla per porre fine a quell’attesa angosciante, lo snervava. Allo stesso tempo era combattuto, perché nel profondo del suo cuore non desiderava affatto partire.
La nave attraccò verso l’una del mattino, proprio quando Aman stava cominciando a pensare che quella storia fosse tutta una follia.
Il capitano scese e annunciò alla massa che chi voleva salire a bordo, avrebbe dovuto sborsare 100 dineri a persona, lo stesso prezzo sarebbe valso anche per i bambini.
Era una cifra considerevole, soprattutto per le famiglie numerose. Qualcuno protestò, ma il vocio si spense subito quando il capitano fece calare la passerella e le prime persone cominciarono ad accalcarsi per prendere i posti migliori.
Riuscire a guadagnare terreno in mezzo alla calca fu un’impresa titanica per Aman, che con una mano doveva tenere la loro valigia e con l’altra sorreggeva Mariam, che sbuffava sotto il peso del ventre prominente, proteggendolo istintivamente con le braccia.     
Arrivò il loro turno e Aman si sporse verso un uomo di trent’anni che si assicurava che tutti pagassero la loro quota.
“Siamo in due, io e mia moglie” gli disse, sbrigativo.
“Devi pagare 200 dineri” borbottò quello, che parlava l’arabo con un forte accento.
Aman glieli porse mentre l’uomo osservava sua moglie.
Ghignando aggiunse: “Devi darmi altri 100 dineri”.
“Come?” chiese Aman perplesso.
“Tua moglie è incinta. Tuo figlio è un passeggero quanto te e lei” fu la risposta.
Aman rimase di sasso davanti a tanta ingiustizia e avrebbe reagito, se Mariam non gli avesse posato delicatamente una mano sul braccio.
“Paga, Aman jan, è inutile discutere in questo momento”.
Aveva ragione. Pagò ed entrambi si affrettarono a salire.
Ci vollero un altro paio di ore prima che tutti fossero sistemati e potessero partire.
Aman decise di ricordare Bengasi così come la vedeva ora, avvolta nello splendore della notte, mentre diventava un punto sempre più piccolo. Infine scomparve. 
Mariam era riuscita a ritagliare un angolo grande abbastanza per entrambi. La corsa per salire l’aveva un po’ strapazzata, ma ora si stava preparando per la preghiera della sera che non erano riusciti a fare a casa, prima della partenza.
Il cuore di Aman si strinse al pensiero che, solitamente, era suo padre a condurre il namaz. Quel pensiero lo avrebbe tormentato anche in seguito.
Si prostrarono sul tappeto, con il capo rivolto verso ovest e lasciarono che l’armonia delle sure riempisse loro la bocca, mentre Mariam teneva il Corano alto sopra di loro e Aman stringeva nella mano un rosario che era appartenuto al suocero, un mullah molto rispettato per la sua devozione.
Quando finirono le preghiere tradizionali, tutti e due ne aggiunsero un’altra, in silenzio, che chiedeva ad Allah la buona riuscita di quel viaggio.
 
Una cosa che colpì Aman, durante il tragitto, fu la facilità con cui tutti facevano amicizia su quella nave. Già la mattina dopo, Mariam chiacchierava allegra con due donne più grandi di lei, che si complimentavano per la sua prossima maternità, ricordando divertenti aneddoti di quando anche loro erano spose novelle e avevano avuto i primi figli. L’aria di complicità che si instaurò tra di loro, fece sentire un po’ escluso l’uomo, che decise di salire sul pontile.
Alla luce sfolgorante del sole, Aman constatò che le condizioni della loro nave non erano buone come aveva pensato la sera precedente.
Vide un uomo tutto solo, come lui, e si avvicinò per imbastire una conversazione.
Quello si presentò come Akim e gli raccontò di essere anche lui in viaggio con la moglie e i tre figli.
“Che mestiere facevi, Aman?”
“Ero proprietario di un bazar” spiegò “e tu?”
“Ero insegnante di lettere all’università”.
Quella risposta spiazzò un po’ Aman.
“Ti stupisce il fatto che io sia un insegnante?” domandò, ridendo, Akim.
“Già…chissà perché, non credevo che avrei trovato un intellettuale su questa bagnarola!” rispose Aman, ridendo a sua volta.
“Anche gli intellettuali muiono, Aman, se una bomba o un proiettile li raggiunge. La stessa cosa vale per i ricchi o i poveri, i belli e i brutti”.
Quelle parole rimasero impresse nella memoria di Aman per la loro semplicità e, allo stesso tempo, per la veridicità.
“Quanto pensi che ci voglia per arrivare in Italia?”
“Ho sentito dire che solitamente questi viaggi durano due o tre giorni” spiegò Akim “a patto, ovviamente, che la nave e il mare reggano” aggiunse.
Akim parlò con leggerezza, ma Aman vide la preoccupazione nascosta nel suo volto, la stessa che probabilmente lui stava esibendo in quel momento.
Inshallah” aggiunse Akim. Se vuole Dio.
Non accadde nulla di particolare nel pomeriggio e nella notte successiva, salvo che qualcuno si sentì male, a causa dell’aria irrespirabile sotto coperta e del mal di mare. Ma il pomeriggio del terzo giorno, nubi grigiastre addensarono il cielo. “Pensi che pioverà?” era la domanda che tutti rivolgevano a tutti.
“Credo di sì” fu la risposta che Aman ebbe da un pescatore che era tra loro “questa sera dovremo prepararci a qualche scossone”.
Aman propose ad Akim di spostare la sua famiglia nell’angolo dove si trovavano lui e Mariam. “Starete più comodi e ci faremo compagnia” spiegò.
Non confessò all’amico che lo terrorizzava l’idea di affrontare da solo quella notte. Akim accettò volentieri.
Quando la sua famiglia si dispose accanto a loro, Aman notò come Mariam si era fatta pallida e stava sudando. Si preoccupò, soprattutto perché fino a quel pomeriggio, sua moglie era apparsa serena come al solito.
Fariba, la moglie di Akim, le si sedette vicino e prese una boccetta che teneva in una borsa. La svitò e, con un fazzoletto, cominciò a inumidire il viso di Mariam con il contenuto della boccetta. Aman le fu enormemente grato, vedendo come la moglie riprendeva un po’ di colore.
“È acqua di rose” spiegò la donna “la aiuterà a respirare meglio”.
Proprio in quel momento si sentirono le prime avvisaglie del temporale che si stava scatenando fuori.
“Ho paura che non sarà una cosa da poco” aggiunse la donna, gettando uno sguardo d’intesa al marito. Istintivamente, Akim posò una mano sulla spalla della figlia più piccola, in segno di protezione.
Quel piccolo gesto chiuse lo stomaco di Aman, sempre più teso.
Proprio in quel momento, Mariam cominciò a urlare. Lo strazio della donna era stato così improvviso che per una frazione di secondo, tutti rimasero paralizzati, compresi gli altri immigrati dietro le due famiglie.
Aman prese convulsamente tra le braccia la moglie, che continuava a emettere urli, ora più forti, tenendosi le mani strette sul grembo.
“Mariam! Che succede?” l’uomo cercava di tenere a bada il terrore, ma la domanda uscì strozzata dalle sue labbra.
Con la coda dell’occhio vide Fariba tirar fuori alcuni pezzi di stoffa dal suo bagaglio, mentre Akim allontanava i suoi figli, che erano sotto shock. “Aman! Conosco un medico, lo chiamo subito!” gli urlò, correndo dalla parte opposta della stiva.
Aman cominciò a pregare, continuando a tenere Mariam. Fariba aveva alzato con discrezione il vestito della donna e commentò, pallida: “Le si sono rotte le acque, il bambino vuole uscire”.
“Ma è solo al sesto mese!” esclamò, disperato.
“So solo, che se non lo facciamo uscire subito, tua moglie rischia di non farcela”.
“Dov’è Akim? Abbiamo bisogno di quel dottore, ora!”
“Vallo a cercare, Aman! Digli di fare presto!”
L’uomo si alzò il più in fretta possibile, depositando delicatamente la moglie, e cominciò a correre nella direzione che aveva preso Akim.
Aman salì a rotta di collo le scale, aprì il portellone e fu fuori sul ponte.
Volse lo sguardo e vide Akim, per terra privo di sensi, con una ferita alla testa che perdeva sangue. Qualcosa doveva essere caduto dall'alto e lo aveva colpito.
Corse verso di lui, lo afferrò e cercò di trascinarlo verso la cabina di pilotaggio. Riuscì a raggiungerla e a spalancarla. Si gettò a peso morto insieme all’amico.
“Che diavolo ci fate qui dentro?” sbraitò l’uomo che aveva raccolto i soldi dei passeggeri. Dietro di lui, il capitano e altri tre marinai si affaccendavano attorno al timone, cercando di mantenere la rotta.
“Il mio amico è ferito e mia moglie sta partorendo! Ho bisogno di un dottore!”
“Non vedi che qui stiamo cercando di salvare la pelle a tutti? Se non superiamo questa tempesta, nessuno avrà più speranze!”
Una voce imperiosa, in una lingua straniera, ordinò qualcosa all’uomo, che si zittì. Aman scorse un tizio avvicinarsi e parlargli nella sua lingua: “Mi faccia vedere quell’uomo”.
Aman gli mostrò la ferita di Akim e quello subito la fasciò come poté. “Sopravviverà” sentenziò “ora mi porti da sua moglie”.
I due si precipitarono sul pontile, e fu allora che Aman vide le onde.
Erano gigantesche, spaventose e, probabilmente, micidiali.
In quel momento Aman ripensò al ragazzo che era stato ucciso davanti al suo bazar, a suo padre che gli diceva di partire, al tacito consenso di Mariam.
E poi il buio.
Sentì una gran confusione attorno a sé. Grida di gioia.
“Aman jan! Sei sveglio!” la voce di Akim.
Una mano gli sorresse la testa, mentre sentiva diverse persone che gli si avvicinavano.
“Che è successo?”
“Un’onda, amico mio…ti ha travolto e stava per buttarti giù dalla nave, insieme a quel dottore italiano” gli rispose Akim.
“Ma tu sei vivo, Aman! È un miracolo!” esclamò Fariba, felice.
“Mariam?”
La domanda che più temeva. Vide i volti di marito e moglie farsi scuri.
“Sta bene?”
“Ora sta meglio…” mormorò Fariba.
“Cosa c’è che non va?”
“Ha perso il bambino, Aman jan…e non parla più da quando siamo arrivati”.
Aman si coprì il volto con le mani.
“Fatemela vedere” disse dopo un po’. Più che una richiesta era un ordine.
I due non si opposero; lo aiutarono ad alzarsi e lo condussero in una stanza vicino alla sua.
Mariam dava loro le spalle, guardando fuori dalla finestra.
“Vi lasciamo soli” disse Akim. Lui e sua moglie si allontanarono in silenzio.
Aman le si avvicinò e la strinse a sé. Non servivano parole per capire cosa provavano entrambi.
 
Era una bella mattina di giugno quando Aman uscì insieme a Mariam da quell’ospedale. Camminarono per un po’, senza una meta precisa.
“Voglio vedere il mare” chiese Mariam, sorprendendo Aman.
La portò lungo una bellissima spiaggia, dove la sabbia era bianca e morbida e le acque talmente chiare da potervisi specchiare.
Mentre lo sguardo di sua moglie vagava verso quel magnifico spettacolo, qualcosa attirò l’attenzione di Aman.
Si voltò e lo vide. Ai margini della spiaggia, dove cominciava la terra, c’era uno splendido ulivo, che ad Aman appariva identico a quello che aveva lasciato a Bengasi. Si avvicinò e avvertì la stessa pace che provava quando osservava il suo.
Mariam adesso era accanto a lui. Aman la circondò con un braccio.
Ora erano a casa.
Potevano ricominciare.
  
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