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Autore: Alkimia    22/03/2013    5 recensioni
[CONCLUSA]
***SEGUITO di "A series of unfurtunate events"***
Ognuna delle opzioni possibili è rischiosa e potrebbe danneggiare Nadia. Per non parlare dell'altra faccenda in ballo: qualcuno vuole distruggere la Terra... tanto per mantenersi nel solco della tradizione.
Nadia è in America per cercare, insieme allo S.H.I.E.L.D, un rimedio ai danni provocati dall'energia della pietra. Loki è prigioniero sul pianeta dei Chitauri ma ha ancora dei piani. Eppure, ancora una volta, troppe cose non vanno come lui sperava. Vecchi nemici tornano da un passato lontano che lui continua a rinnegare, costringendo gli Avengers a tornare in campo; episodi e sentimenti inaspettati lo porteranno a dover decidere da che parte stare. E non è detto che la decisione finale sarà quella giusta...
Genere: Azione, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Loki, Nuovo personaggio, Tony Stark/Iron Man
Note: Movieverse | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'A waltz for shadows and stars'
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Capitolo ventiseiesimo
Endgame – part three


Luci, nient'altro che luci.
L'interfaccia robotica gli getta davanti agli occhi una sequela di informazioni, immagini schematiche, coordinate che cambiano e vengono ricalcolate rapidamente, ma Tony non riesce a leggerle.
Il grigio della città sfila in un'unica massa informe sotto di lui. La voce di Jarvis dice qualcosa, fa una domanda, ma lui non sente, non sente niente, lascia scorrere le luci davanti agli occhi e l'aria tutt'attorno.
Ha detto a Pepper che sarebbe andato tutto bene, ha cercato di riportare la calma nel suo sguardo annebbiato dall'ansia con un sorriso che deve esserle sembrato troppo retorico per suonare sincero. Eppure non stava mentendo, non è lui ad essere in pericolo... o no?
Sembra un brutto elettrocardiogramma visto da qui, pensa mentre il ponte di Brooklyn compare in lontananza a rigare il cielo. Elettrocardiogramma... già.
Tony vira, eseguendo un mezzo giro attorno a uno degli imponenti pilastri. Forse di sotto si è fermato il traffico e la gente si è sporta dai finestrini delle auto per guardarlo volare via, verso la città, chiedendosi quale altro brutto guaio i loro eroi risolveranno quel giorno.
Vorrebbe che fosse tutto così semplice e lineare.
Ora le luci all'interno della maschera disegnano i profili dei palazzi in mezzo ai quali sta sfrecciando. Si sforza di prestare attenzione: sarebbe imperdonabile finire contro un edificio del centro come un moscerino sul muso di un camion. E a Pepper verrebbe un colpo...
Chissà se anche lei adesso se ne sta attaccata al vetro della sala comandi del macchinone volante di Fury a guardare il cielo in attesa del suo ritorno.
Devono assolutamente prendersi una vacanza, appena finisce questa storia. La loro ultima vacanza, quella a Venezia, non è stata molto riposante.
Ripensa a Venezia e nella sua mente si apre uno squarcio, il viso di Nadia fa capolino attraverso due lembi sbrindellati di ricordi differenti. Nadia che si fa accoltellare per salvare Pepper, sangue scuro che scivola tra le dita esangui appoggiate sulla ferita; Nadia che si fionda tra le braccia di Loki appena lui ricompare in mezzo al bosco, come se nei due mesi in cui loro hanno tentato di salvarla, lei non avesse fatto altro che aspettare il suo ritorno.
La ragazza non si meritava quella sfuriata, o forse sì... sicuramente non in quel momento, non in quel modo e non con quelle parole. Sicuramente nessuno può fargliene una colpa se è innamorata del dio bastardo – e questo Tony lo ha sempre saputo, da quando l'ha portata a casa sua, da Venezia, da sempre. Lo ha saputo anche prima che lei stessa se ne rendesse conto. E forse Steve Rogers ha sempre avuto ragione, dopotutto, forse in parte c'entra anche la gelosia, perché tra sé e sé a Tony è sempre sembrato inconciliabile il fatto che lei potesse amare Loki e allo stesso tempo amare tutti loro. O forse, semplicemente, aveva paura di cosa avrebbe scelto Nadia.
«Siamo vicini alla destinazione, signore» annuncia Jarvis.
Tony vira e vola basso dietro un grande edificio, forse una scuola. Atterra su un tetto lì vicino.
Alla fine poi la ragazza ha scelto. Ha scelto bene. Per questo non si meritava quella sfuriata, per questo sarebbe stato molto più giusto gridarle contro al momento opportuno, invece che pensare sempre e solo a proteggerla. Al momento opportuno, Nadia avrebbe potuto capirlo, avrebbe potuto non esserne ferita. E adesso, cosa ha ottenuto? La soddisfazione di sfogarsi per tutta la frustrazione accumulata. Un risultato misero, inutile e anche un po' meschino.
Tony salta giù dal tetto, atterrando in un cortile dove affacciano le porte delle cucine di alcuni ristoranti; un gatto randagio annusa speranzoso una scatola di latta rotolata giù da un bidone e non presta la minima attenzione al tizio fasciato di oro e titanio che scintilla in mezzo al cortile.
Ci sarà tempo per parlare con Nadia, quando sarà tornato da quella missione. Ci sarà tempo per rimettere le cose a posto. Tutte le cose a posto.
«Jarvis, avvia la comunicazione con l'agente Romanoff»
«Sì, signore».
Dalla base volante dello S.H.I.E.L.D. gli stanno mandando le coordinate per trovare Loki. Tony sa che deve fare tutto molto in fretta.  
E una volta che lo avrà trovato?
Gli sembra di sentirle la voce del dio, vede quel suo sorriso affilato e indisponente in una macchia sul muro, come se lo stesse osservando da ogni angolo della città.
Una volta che mi avrai trovato, cosa farai, uomo di metallo? La voce di Loki sembra vibrare nel vento freddo che si è lasciato nella sua scia. Quanto a fondo pensi di spingerti? Mi odi più di quanto io odio voi tutti?
Certo che lo odia! Lo ha scaraventato giù da una torre per farlo fuori, ha ucciso Phil, ha ucciso decine di innocenti, ha messo a ferro e fuoco la sua città...
«Stark?»Stark?
«Agente Romanoff. Dillo che ti stavi struggendo al pensiero di avermi lontano!».
Il sospiro teso di Natasha è un fruscio negli auricolari.
«Stark! Lo so che ti è difficile crederlo, ma ti assicuro che non abbiamo bisogno di te». È Rogers, sta letteralmente ringhiando.
«Ci eri più comodo sul bestione volante ad aiutare Banner a programmare quell'aggeggio» si aggiunge Barton.
«Il dottore se la caverà egregiamente senza di me. Ma serve qualcuno che pari il divin deretano di Raperonzolo, e nessuno di voi può farlo abbastanza in fretta quanto me».
«Non so se un infarto riuscirebbe a uccidermi, Tony» interloquisce Bruce, sembra provato. «Ma se sopravvivo, te la vedrai con l'Altro».
«Benissimo. Ora che abbiamo detto una battuta ciascuno come alla recita delle elementari, posso andare a cercare Bambi o deve venire una maestra a prendermi a bacchettate sulle nocche?»
«L'obiettivo è a due isolati di distanza, signore» annuncia Jarvis.
Dall'altra parte si fa silenzio, forse i suoi compagni di sfighe assortite hanno deciso che hanno di meglio da fare che sgridarlo perché si è imbucato alla festa.
Dopo qualche secondo però sente un rumore ovattato dal canale aperto di comunicazione. E sente la voce di Rogers, bassa, come se si fosse allontanato e si sia messo a parlare con lui in modo che gli altri non possano sentirlo.
«Lo odi così tanto?» gli chiede.
«Magari oggi lo scopriremo, Capitano» risponde, fingendo un tono leggero. «Passo e chiudo».  
Tony sospira, tentare di quantificare il suo odio per Loki è inutile e riportare alla mente tutte le nefandezze che quel mostro ha compiuto non basta a dare una risposta alle sue domande. Quanto a fondo può spingersi? Non lo sa, ma sa che più di una volta si è immaginato torreggiare su Loki mentre i suoi occhi di ghiaccio si spegnevano, e ogni volta si è ritrovato a chiedersi se questo non fa anche di lui un mostro alla stessa stregua del dio degli inganni.
Parte di nuovo in volo.

Loki è nascosto nel cono d'ombra di un edificio di mattoni rossi, in un piazzale di asfalto chiuso da una fitta cancellata.
Tony riconosce la costruzione, è la sede di una banca. E per fortuna a quell'ora è chiusa.
Sul tetto dell'edificio si scorge il profilo di una costruzione bianca, forse una specie di serra.
Se è lì che Hope e i suoi hanno organizzato l'incontro, è probabile che anche le armi siano lì. Non le avrebbero lasciate incustodite e, per quanto Thor possa essere arrendevole, di certo i suoi nemici sanno che ci vuole un bel po' di lavoro per un uccidere un super dio, super eroe, super principe, super tutto il resto.
È assai probabile quindi che nemici e armi siano tutti concentrati lì. Non cambia molto, in termini di pericolosità o di prospettive di vittoria, ma è già qualcosa.   
Tony ha dovuto usare tutta la cautela possibile per avvicinarsi, volando basso, tra un tetto, un cortile e piccole stradine chiuse e deserte.
Quando atterra di fronte a Loki, lui lo guarda con aria annoiata.
Tony fa scattare verso l'alto la visiera dell'armatura: vuole guardarlo faccia a faccia, da essere umano a dio e imprimergli nella mente una volta per tutte l'idea che gli esseri umani non hanno proprio niente da invidiare a individui come lui.
C'è senz'altro qualcosa di attraente in quel tizio, persino qualcosa di bello in quel suo viso dai tratti sottili e regolari, nella sua figura elegante, alta e slanciata; ma se anche Tony non lo conoscesse per il terribile pericolo che Loki è, anche senza tutti gli avventurosi trascorsi, lo troverebbe comunque sgradevole, quel tipo di individuo che ti fa sentire minacciato, quel tipo di persona che se la incontri per caso in strada finisci a guardarla di sottecchi chiedendoti se gli batta un cuore in petto o se non sia viva per qualche strano scherzo della natura.  
Quel tipo di persona assolutamente impossibile da amare.
«Cosa diavolo hai fatto a quella ragazza?» chiede, sinceramente curioso. Domanda assolutamente poco pertinente, ma gli è scappata di bocca senza che riuscisse a trattenersi.
Per un attimo passano nubi cupe nello sguardo del dio, riflessi di chissà quali contorti e malsani sentimenti, ma il mezzo sorriso con il quale tenta di nasconderli cancella ogni speranza di trovare anche solo un briciolo di umanità in lui.
«Te lo direi, ma detesto essere triviale» ghigna.
Tony ha l'impulso di lanciarsi contro di lui, come è già successo, ma servirebbe a poco.
Con un gesto lentissimo, apre le dita della mano; l'energia converge nel propulsore anteriore.
«Il tuo grugno da guerriero solitario si ammorbidirebbe se ti dicessi che nessuno morirà oggi?» sospira Loki, ostentando un'aria di paziente sopportazione, come se lui fosse un bambino molesto che chiede con insistenza un altro giro di giostra.
«Quindi tu sei venuto a salvare il tuo amato fratello? E io dovrei berla?»
«Non è mio fratello» si affretta a precisare il dio. «Ma devo essere io a sconfiggerlo, non quei pezzenti»
«Molto romantico... è un'usanza del tuo popolo dagli strani vestiti?».
Loki annuisce, sembra persino un po' sorpreso che lui abbia centrato il punto. Tony vorrebbe dirgli che deve smetterla di sottovalutare la sua intelligenza, che se facessero la conta dei risultati ottenuti quelli di Loki avrebbero a che fare con qualche calcinaccio di grattacielo e una serie di cadute da un angolo di galassia all'altro, lui invece è... un genio, miliardario, playboy, filantropo.
«Se vuoi una corona, devi far saltare la testa che è destinata a indossarla» dice Bambi, a mo' di spiegazione. «Ma come ho già detto, devo essere io e non sarà oggi».
«E perché? Potresti approfittare del fatto che il figlio venuto bene è tenuto sotto tiro da Hope e compagni, intervenire e farlo fuori...»
«E dopo chi mi aiuterà a distruggere i profughi di Nornheim?».
Tony ammutolisce. Loki ha il potere di confonderlo malgrado la sua brillante intelligenza, di questo bisogna dargliene atto, e lui ha bisogno di tirare un istante le somme.
Bambi non vuole uccidere Thor perché vuole fargliela pagare ai tizi di Nornocoso e il fratellone la sa lunga in fatto di pestaggi? E perché? Non ha senso, Loki stesso era pronto a stringere un accordo con Hope e offrirsi di aiutarlo a far fuori Thor e magari anche tutti gli altri Avengers.
È forse preoccupato che quei loschi figuri possano essere ancora un pericolo per Nadia?
«Nessuno morirà oggi» ripete Loki, semplicemente, come se fosse la soluzione ovvia di un problema lungamente sviscerato ed analizzato.
Tony sente l'energia come un pulsare caldo tra il metallo dell'armatura e il palmo della sua mano.
«Non. Ti. Credo.» dice.
Alza il braccio contro Loki, con uno scatto fulmineo. La visiera si chiude davanti a lui. È solo un istante.
Il dio finisce sbalzato per aria e ricade violentemente contro l'asfalto, strisciando per almeno due metri in una nuvola di polvere.
Tony guarda truce la polvere dissolversi attorno alla sagoma ammantata di verde. Sa che ci vuole ben altro per farlo fuori... anzi, non sa cosa ci vuole per farlo fuori.
Mentre guarda Loki rannicchiato a terra, capisce che c'è un limite oltre il quale non può spingersi, per Nadia e per Thor. E per se stesso.
Qualsiasi pensiero violento Loki gli abbia indotto, qualsiasi idea di vendetta gli abbia mai fatto venire, qualsiasi paura gli abbia instillato, Tony si rende conto che la differenza tra quelli come lui e quelli come il dio degli inganni sta semplicemente nel fare una scelta: premere o meno il grilletto; affondare o no la lama. Ed è una scelta che Tony Stark, ex fabbricante di armi, ha fatto già molto tempo fa.
Loki punta i palmi delle mani a terra. Volta la testa come un animale in gabbia e realizza con un certo evidente sgomento di essere lui praticamente in ginocchio ai piedi del nemico.
Per Tony è una bella sensazione, in effetti. Lo guarda e...
Ehi, un momento. Nel trambusto generale che è seguito la sua sparizione dall'Elivelivolo, nessuno si è chiesto come diamine il cerbiatto sia riuscito a lasciare indisturbato una base volante e spuntare nel bel mezzo di New York.
Sulla fronte di Loki si è aperto un taglio profondo che sta cominciando a sanguinare. Su quella pelle bianchissima il sangue sembra essere nero come l'inchiostro, pece e veleno che cola sul ghiaccio.
La furia negli occhi del dio è spaventosa. La stessa furia di quando gli chiuse le dita attorno al collo e lo spinse giù nel vuoto, la stessa furia che grida morte.
«Lunghe settimane qui. Così tanto tempo speso con Nadia...» sibila Loki. Il sorriso ferino che gli affiora sulle labbra si mischia con una smorfia di  dolore ed è quasi grottesco. «Quanta energia credi che io abbia raccolto dalla pietra? Abbastanza per ridurti in polvere?».
Tony pensa mille cose, tutte concentrate in un unico istante. Pensa alle difese da attuare. I missili sibilano sollevandosi dalla placca dell'avambraccio, ma non fanno in tempo a partire.
Loki si alza, muove la mano come se stesse mimando lo sbocciare di un fiore.
E Tony non sa se è un'illusione ottica, se è il panico o se sta succedendo davvero, ma gli sembra che l'aria tra la mano di Loki e i suoi occhi si accartocci e deformi ogni cosa. È solo un battito di ciglia, non può dirlo con certezza.
Sente qualcosa di caldo che lo invade e lo solleva. Sente il calore far diventare incandescente il metallo fino a quando i pezzi dell'armatura non si sfaldano e schizzano via, staccandosi dal suo corpo.
Lo sente, ma non vede niente. Vede solo la massa di colori indistinti, quell'aria venefica che fa sciogliere l'immagine come un fuoco che brucia una tela.
Poi non vede e non sente più niente.

*

Thor arriva a destinazione. Si guarda in giro, stringe le dita attorno all'impugnatura del martello e dà un colpo secco.
Il tuono quasi scuote la città. Spera che i suoi compagni lo abbiano udito.
Sul tetto dell'edificio c'è una costruzione di una strana tela lattiginosa. Il dio del tuono vede figure indistinte muoversi al di là dei pannelli opachi, poi le porte si aprono e compare un uomo, lo stesso che ha sentito parlare nel filmato.
C'è odio nei suoi occhi. Thor non sa perché, ma ne ha quasi pietà.
«Il principe di Asgard» dice l'uomo, avvicinandosi. I suoi compagni e Nadia lo chiamano Hope.
Dentro la costruzione bianca, Thor vede decine di altre persone. Se tutto va come sperato, entro sera saranno tutte a marcire nelle prigioni di Asgard, o in quelle che il comandante Fury riterrà di dover assegnare loro.
Se le cose non dovessero andare come sperato... i suoi compagni avranno un'altra occasione di usare il marchingegno ideato da Stark per mettere fuori uso le armi.
Se le cose non dovessero andare come sperato...
Thor non ha mai pensato alla sua morte, anche durante le mille e mille battaglie combattute, non ha mai creduto di poter essere sconfitto, non ha mai pensato che la sua vita potesse aver fine in modo violento, per mano di un nemico. Per molto tempo non ha mai nemmeno davvero pensato di avere dei nemici, gli sembrava che quelli affrontati sul campo di battaglia fossero più simili a cuccioli da divertirsi a domare.
Stolto e arrogante che non era altro. Forse non può biasimare il vecchio principe di Nornheim per il suo odio e la sua voglia di vendetta. Ma quella guerra era una guerra per porre fine al dispotismo di un re tiranno e inadeguato, non ha mai davvero voluto far del male al ragazzo che quel principe era...
Il dio del tuono lascia cadere il martello, alza le mani in un gesto di resa.
«Ti chiedo perdono per il dolore che ti ho arrecato. Ero un giovane che capiva troppo poco» dice, umile e sincero.
Hope e i suoi seguaci vanno fermati ad ogni costo e meritano di pagare per il pericolo a cui hanno esposto la Terra, e per il rapimento di Jane e di Nadia e di lady Pepper. Ma ciò non toglie che lui sia profondamente rammaricato per essere stato la miccia che ha acceso la fiamma che ha portato a quell'orribile situazione.
«Il tuo pentimento non ti salverà, figlio di Odino» dice l'uomo.
Thor non ha mai pensato alla sua morte. Ma mentre raggiungeva la città ha chiuso gli occhi per difendersi dal vento e le ha viste, tre volti in mezzo al nero: le Norne, coloro che conoscono il destino che nemmeno gli dei possono cambiare. Coloro che sanno e che a volte lanciano avvertimenti, mettono in guardia, sussurrano brevi aliti di futuro alle orecchie dei mortali.
Qualcuno morirà, oggi. Thor lo sa, lo sente dentro, nel suo cuore temprato dall'immenso scorrere del tempo che ha vissuto.
«Non cerco la tua clemenza» asserisce, con calma. «Ma voglio che tu sappia...»
«Silenzio!».
Il dio del tuono serra le labbra. L'uomo che si fa chiamare Hope lo guarda con una rabbia gelida.
Thor guarda il cielo con la coda dell'occhio. I suoi compagni gli avevano detto di aspettare il loro segnale per dirgli che la macchina di Stark aveva compiuto il suo lavoro e fargli sapere che era fuori pericolo e che la gente del quartiere era salva.
Non arriva nessun segnale e Thor si accorge di non provare alcuna paura. Come quando camminò deciso incontro al Distruttore che Loki aveva mandato per ucciderlo. Solo che pensa che se proprio la sua morte deve servire a placare un cuore, avrebbe preferito che fosse quello di suo fratello.
«Non ci sono discorsi da fare, figlio di Odino» aggiunge l'uomo. Pronuncia le parole a fatica, con un certo disgusto. «Non starò qui a fare elucubrazioni e perdere tempo in discorsi di addio. Non è una favola a cui trovare una morale, questo è solo il giorno della tua fine e della tua stirpe sul trono di Asgard».
Thor non ha mai pensato alla sua morte. Ora però si rende conto che avrebbe preferito morire combattendo. Pensa alle molte vite che sta salvando, alle centinaia di persone che abitano in quella zona della grande città.
Dai suoi compagni non arriva nessun segnale. E ora il dio del tuono sente montare una rabbia sorda, non verso i Vendicatori, verso il destino.
Pensa a Jane. La ama, la amerà in qualsiasi luogo ci sia ad attenderlo dopo la fine, ma non sopporta l'idea del dolore che lei dovrà sostenere. Né quello di chiunque provi affetto per lui.
Pensa che vorrebbe almeno provare a difendersi, anche se è solo e loro sono in molti, ma non può rischiare che un suo gesto li metta in allarme e li costringa ad attivare le armi.
Hope allunga una mano, uno dei suoi sottoposti gli passa qualcosa di affusolato. La parte anteriore di un oggetto che ha la stessa identica forma della lancia di Odino.
Dev'essere quello di cui gli ha parlato Nadia, quello che lei ha spezzato quando l'hanno obbligata a provare ad usare l'energia sul metallo alieno.
L'uomo solleva la lancia spezzata contro il suo petto. Il dio vede sottili strisce di luce bianca cominciare ad agitarsi sulla superficie scura di quello strano materiale ferroso.
Le strisce diventano sempre più spesse, sfrigolano con un sommesso respiro elettrico.
Dai suoi compagni nessun segnale. Non ce l'hanno fatta. Se potesse parlargli, gli direbbe di non sentirsi in colpa.
Thor non ha mai pensato alla sua morte e ora che la morte sta per arrivare i suoi pensieri sono un unico groviglio confuso che ha la dimensione del nulla.

*

Stark è a terra, seduto appoggiato al muro; apre gli occhi a fatica e solleva il capo ciondolante per lanciare verso Loki uno sguardo traboccante di odio.
Solo odio, nemmeno la più piccola traccia di paura. Sarebbe bello sentirlo implorare per avere salva la vita, ma è una soddisfazione che il dio dell'inganno ora sa di non poter ottenere. Non gli resta che finirlo, e poi andare a fermare la follia che lo aspetta lì di sopra all'arrivo di Thor. E poi lasciare una volta per tutte quel dannato piccolo mondo e cercarsi un posto sicuro dove prepararsi per un'altra battaglia.
Si piega sulle gambe e resta lì per qualche istante, con le braccia a penzoloni dalle ginocchia a scrutare la faccia tumefatta di Stark.
Ucciderlo è così facile che quasi non gli dà soddisfazione, eppure dovrebbe essere contento, la morte di quell'uomo lo porterebbe di un passo più vicino alla vendetta. Malgrado ciò, Loki esita.
«Su, Bambi, che aspetti» lo sfida Stark con voce strascicata.
Se è vero quello che hanno detto sulla sua diavoleria per mettere fuori uso le armi di Nornheim, allora morirà comunque, non c'è bisogno che lui si sporchi le mani.
Da quando in qua sporcarsi le mani è divenuta una preoccupazione?
La voce. Loki strizza gli occhi, agita la testa. Non si tratta di Stark, dannazione...
Il dio dell'inganno prende un profondo respiro. Ha già vinto, e questo lo sa, ha dimostrato al grande Tony Stark che non è invincibile, che non conta quanti trucchi nasconda, lui è comunque più forte. Ucciderlo o meno non farebbe alcuna differenza.
Da quando in qua perdi così tanto tempo a pensare a cose del genere?
Non sta pensando di risparmiarlo per puro cuore: lui non ha un cuore, se lo è strappato via quella sera, nei sotterranei del palazzo di Asgard, quando Odino è stato costretto a dirgli la verità sulle sue origini, quando in un unico doloroso istante tutti i tasselli di quel tremendo mosaico sono andati al loro posto e lui ha capito che era già condannato. Che era nato con il peso della condanna nel sangue, scritto sulla pelle.
Non sta pensando di risparmiarlo per bontà, ma per umiliarlo. E anche per un'altra ragione. Quella a cui si rifiuta di dare un nome, quella che gli ha fatto pesare l'assenza del suo stesso cuore.
Afferra Stark per un lembo della maglia che indossa sotto quel che resta dell'armatura, lo solleva di peso e lo rimette in piedi, gettandolo con malagrazia contro il muro.
L'uomo di metallo lo guarda stupito.
«Su di te ho già vinto, Stark» gli dice Loki con un sorriso crudele. «Ora sai che non sarai mai più al sicuro, che un giorno tornerò e non sarò nuovamente tanto generoso. Ma come ti ho detto, nessuno morirà oggi»
«Un giorno tornerai e io non mi farò cogliere di sorpresa con tanta leggerezza, lurido verme». Per quanto voglia darsi un'aria battagliera, il caro piccolo umano è più prossimo a perdere i sensi di quanto creda e Loki sa che deve sbrigarsi. Deve sistemare quella questione perché Thor potrebbe arrivare da un momento all'altro.
«Saltiamo la parte degli insulti e veniamo al dunque» dice. «La ragazza, Stark»
«Cosa? Che c'entra lei? Pensavo che fosse fuori pericolo adesso...»
«Lo è. Ne sa abbastanza da poter convivere con la pietra senza che l'energia la uccida. Ma se tieni al suo bene, appena tutto questo sarà finito, mettila su un aereo e rimandala a casa. Tienila lontana da voi, e tieni Fury e lo S.H.I.E.L.D. lontani da lei».
Stark aggrotta le sopracciglia e deve costargli uno sforzo immane a giudicare da come è ridotta la sua faccia. Impiega qualche secondo, poi sembra afferrare. Annuisce e impasta la bocca come per dire qualcosa, ma Loki gli ha già voltato le spalle e ha cominciato ad allontanarsi.

*

«Lo sapevo che sarebbe andato tutto a puttane» mormora Clint.
Cioè, non è che lo sapeva, e nemmeno voleva pensarlo, ma adesso sono nella merda.
Stark ha interrotto la comunicazione con loro e non riescono a rintracciarlo, e se non rintracciano Stark non possono assicurarsi che lui sarà fuori portata quando accenderanno lo smagnetizzatore. Se non accendono lo smagnetizzatore rischiano di far accoppare Thor, nella migliore delle ipotesi, nella peggiore rischiano di far saltare in aria un intero quartiere, con scuola, centro commerciale, macchine e tutto quanto.
La scelta è: o Stark, o Thor, o qualche centinaio di persone innocenti.
Le persone innocenti è l'opzione più in assoluto fuori discussione, non rientra nel canone di ''limitare i danni''. Thor viene da un altro pianeta e sarebbe uno scandalo diplomatico intergalattico che a confronto l'affondamento del Lusitania nella Grande Guerra era uno scherzo di cattivo gusto. Andando per esclusione resterebbe il rischiare di far fuori Tony Stark, ed è ridicolo il solo pensarlo.
Che poi, a lui può sembrare ridicolo finché gli pare, ma più passa il tempo e più la necessità di prendere una decisione si fa impellente.
E in tutto questo: dov'è Loki?
Clint si massaggia le tempie e sospira stizzito.        
Bruce Banner è impegnato con cacciaviti e fili all'interno dell'aggeggio. Rogers gira rotelle e pigia tasti a casaccio sulla trasmittente, nella speranza di recuperare la comunicazione con Stark.
Nat è di sopra, ad aspettare il segnale di Thor.
«E se quando Thor dà il segnale noi ancora non sappiamo che fine ha fatto Stark?» domanda Bruce Banner, sfilandosi gli occhiali e pinzandosi la radice del naso.
«Lo troveremo in tempo» risponde Clint. Non ci crede nemmeno lui, e infatti Banner gli lancia un'occhiata di preoccupato scetticismo.
Rogers picchia contro il muro una delle trasmittenti.
«Quel... dannato... imbecille... con la... sindrome... del Messia!». Un colpo per ogni parola.
Se Clint volesse restare fedele al suo addestramento e ai principi che gli hanno inculcato da quando è entrato nello S.H.I.E.L.D, dovrebbe semplicemente concludere che Stark se l'è cercata: ha messo  repentaglio l'intera operazione, non si è attenuto al piano e se dovesse tirare le cuoia la colpa sarebbe soltanto sua. Clint si è già lasciato alle spalle colleghi e compagni che hanno compiuto errori simili e lo ha fatto senza battere ciglio.
Ma non è così semplice adesso. C'è un motivo se le regole prevedono che gli agenti non debbano occuparsi di casi e situazioni nelle quali sono coinvolti a livello personale, e in quella situazione sono coinvolti tutti, maggiormente Stark, e Clint lo capisce, perché più degli altri comprende il suo risentimento per Loki.
Il coinvolgimento personale ha già funzionato una volta, con la morte di Coulson. Ma ora le carte in tavola sono completamente diverse e forse Fury ha sbagliato qualche calcolo e di certo, per quanto Stark sia testardo e prevaricatore, il buon vecchio Nick avrebbe potuto spendere qualche energia in più per fermarlo e impedirgli di lasciare la base volante.
Clint si alza e decide di raggiungere Natasha. Con lei il discorso è rimasto odiosamente in sospeso da quando li hanno interrotti quella mattina in ospedale e lui si sente un idiota: agente super addestrato che contribuisce a salvare il pianeta, distruggere demoni alieni, salvare ragazzine con l'attrazione per i guai, non sa risolvere le cose con la propria donna.
Ok, Nat non è la sua donna. Ma lo è... cioè, non potrebbe essere altrimenti.
Vaffanculo, Clint...prendersi a parolacce da solo è un bruttissimo sintomo.
Apre la porta di metallo che immette sul terrazzo. Lei è seduta sul cornicione e guarda tutto attorno con un binocolo. Non ce n'è molto bisogno, il segnale di Thor si udirà più che essere visto, ma è bene stare all'erta.
«Ho parlato con Fury. Proprio ora. Conversazione riservata.» dice Natasha. Sa che è lui senza bisogno di voltarsi a guardarlo.
Clint si siede accanto a lei, voltato in modo da poterla guardare. Sa cosa significa quello che gli ha detto: Fury li ha sollevati dall'onere di fare una scelta, ha deciso da solo e ha comunicato l'ordine. E a loro non resta che obbedire.
«Capisco» dice Clint. «Immagino che l'ordine sia di accendere lo smagnetizzatore, che Stark sia nei paraggi o meno».
Natasha risponde con il silenzio. Un silenzio che vuol dire ''sì''.
È la scelta più ovvia, lui stesso ci aveva già pensato. Solo che non sa se stavolta ha voglia di obbedire.
«Lo farò io» dice lei.
Clint cerca qualcosa in quelle tre parole e nel suo viso impenetrabile. Cerca il rammarico o qualcosa del genere, ma la maschera di indifferenza di Natasha è sempre stata una delle sue migliori armi e a volte a lui fa male non riuscire sempre ad essere in grado di tirargliela via.
«Rogers impazzirà, e anche Banner, e se lui impazzisce... e la signorina Potts, e Nadia...» mormora Clint. E io non so se te lo lascerei fare, non so se avrei il coraggio di lasciare che tu prenda sulle spalle il peso di un simile rimorso. Perché nel cuore della Vedova Nera c'è spazio per il rimorso, c'è spazio per tante cose, almeno lui ha sempre voluto crederlo.  
«Nat...»
«No, ascolta, c'è una cosa che tu non sai riguardo a Stark, a quando Fury mi mandò a tenerlo d'occhio».
E invece lui sa tutto, perché glielo disse Coulson. Al secolo, Clint si chiese come mai gli stesse raccontando dell'intera operazione nei minimi dettagli, dato che lui era in Sud America e poi fu spedito in New Mexico a fare la guardia al martello di Thor piovuto dal cielo. C'è voluto un bel po' di tempo perché si rendesse conto del fatto che Phil la sapeva lunga, ah se la sapeva lunga! Nemmeno lui credeva fosse così evidente, e forse non lo era, ma Phil Coulson aveva occhio per certe cose. Phil Coulson forse sarebbe uscito a cercare Stark, invece di starsene lì a discutere su chi dovesse o non dovesse premere un pulsante. Anche se uscissero a cercare Stark, non lo troverebbero in tempo... ma uno come Coulson ci avrebbe provato comunque.
«Cosa c'è che non so?» domanda.
Natasha comincia a parlare ma il rumore di un tuono copre le sue parole.
Thor è arrivato. È ufficialmente in mano a una forza ostile. Devono fare qualcosa.
Clint e Natasha si guardano per un istante, poi corrono di sotto. Al pianterreno Bruce Banner si è allontanato dal macchinario e lo fissa come se mordesse; Steve Rogers ha la fronte imperlata di sudore.
Thor è da qualche parte dall'altro lato del quartiere ad aspettare che loro mandino un segnale in risposta, per dirgli che le armi sono fuori uso, che quei dannati bastardi non hanno più niente in mano e se vuole può pestarli come l'uva con quel suo martello.
Thor è da qualche parte dall'altro lato del quartiere e conta su di loro.
«Abbiamo sentito il tuono. Lo smagnetizzatore è pronto» mormora Banner, torcendosi le mani.
«Dobbiamo...» tenta di dire Clint.
«No». Rogers scuote energicamente la testa. «Ancora qualche minuto».
«E tu pensi che entro qualche minuto avremo notizie da Tony Stark?» domanda Natasha con fermezza.
«Ogni minuto che passa è un rischio per Thor o peggio, per la gente del quartiere e per noi stessi» osserva Clint. «E per quanto ne sappiamo, Stark potrebbe già essere abbastanza lontano».
Anche questa è un'ipotesi, dopotutto. Più che un'ipotesi è una speranza e anche molto remota. L'altra ipotesi è che Stark abbia trovato Loki e che sia già successo qualcosa di orribile.
«Ora ci allontaniamo tutti da quell'affare per un paio di minuti, ok?» dice Banner, con una voce che non promette niente di buono. Non sta minacciando, è un semplice dato di fatto: si sta agitando. Si sta agitando molto.
Non resta che fare come dice. Clint e Natasha si scambiano uno sguardo: tu lo distrai, io premo il bottone, sembra dirgli lei. L'uomo annuisce con un movimento quasi impercettibile.
«Bruce...». Rogers ha sfogato la sua agitazione prendendosela con la ricetrasmittente, adesso sembra essersi ripreso un po' e batte amichevolmente la mano sulla spalla di Banner.
Natasha guarda nervosamente l'orologio, mima il numero sei con le mani. Sono passati sei minuti da quando Thor ha dato il segnale.
Clint sente il tempo scorrere. Lo sente quasi come se fosse una cosa fisica, una forza schiacciante.
«Otto minuti» dice Natasha. «Dobbiamo accendere lo smagnetizzatore».
Si voltano verso il macchinario.
Clint non crede a quello che ha davanti agli occhi.
Stark, pezzi anneriti dell'armatura stanno appesi come per miracolo al tessuto della tuta, sembra un albero di Natale malriuscito; il viso è coperto di lividi e piccoli tagli. Negli occhi arrossati brilla per un attimo una scintilla della sua consueta irriverenza.
«Sapevo che senza di me non sapevate accenderlo!» esclama. La voce è esausta, ma il tono è quello solito, quello che ti fa venire voglia di prenderlo a pugni.
Alza una mano escoriata verso il comando di accensione dello smagnetizzatore. Loro quattro si tendono in avanti, istintivamente, come per tentare di fermarlo.
Rogers aveva ragione, quell'uomo ha davvero la sindrome del Messia. E risparmiare a tutti loro il peso della scelta di premere quel tasto è un gesto di una generosità tale che sconfina nella follia.
«Stark... non...» balbetta Rogers.
«Nove minuti, Capitano» risponde Tony, allargando il suo sorriso sornione che è una virgola bianca sulla faccia pesta e annerita.
Poi accende lo smagnetizzatore.

*

Loki ha lasciato Stark ed è salito, non visto, sulla cima dell'edificio.
Ha atteso nascosto, immobile e silenzioso, con la pazienza dei predatori e degli assassini. E alla fine il figlio di Odino è arrivato.
Ha sentito il tuono scuotere l'aria e rimescolare le nuvole nel cielo della città.
Con enorme cautela, si è spostato attorno alla serra sul grande terrazzamento e ha assistito alla scena. Una scena dannatamente patetica.
Thor che lascia cadere Mjolnir. Thor che si arrende e chiede perdono. Thor che prova a parlare.
Come se le parole potessero domare l'odio. Ma del resto, cosa ne sa lui, l'erede del Padre degli dei, dell'odio? Lui che è cresciuto nella gloria e nella luce più fulgida!
Hope, il principe caduto di Nornheim, è un personaggio assai più interessante. Non perde tempo in ciarle, decide subito di arrivare al dunque.
Loki, nascosto dietro a un grosso serbatoio di metallo, lo vede prendere la lancia spezzata che uno dei suoi uomini gli sta porgendo, lo vede puntare l'arma al petto di Thor e vede l'energia cominciare a spandersi dal ferro scuro.
E i Vendicatori? Gli eroi che avevano giurato e spergiurato di salvare il loro nobile compagno mettendo fuori uso le armi dei nemici? Che fine hanno fatto?
Il fallimento riguarda anche gli eroi, dopotutto. Loki assapora quel pensiero con un compiacimento che è quasi gioioso.
Il dio dell'inganno infila una mano tra le pieghe della casacca e ne estrae una piccola lama dalla forma allungata, con il manico scuro di argento e ossidiana. Odino gli aveva fatto dono di quei pugnali molto tempo prima, quando lui era molto giovane e la sua corporatura esile così  diversa da quella del fratello – per non parlare del tempo speso nella biblioteca di palazzo a discapito di quello passato ad allenarsi –  lo rendeva inadatto a impugnare armi troppo pesanti. L'ansia di eccellere in una qualche abilità guerriera aveva convinto Loki a esercitarsi con quelle piccole lame fino a sfiorare la perfezione. Possedeva la mano ferma e la calma necessaria ad essere un ottimo tiratore, la sua mira era eccellente e quei pugnali non lo avevano mai tradito in battaglia.
Non lo tradiranno nemmeno ora, pensa.
Stringe saldamente l'estremità del piccolo pugnale, la lama è lucida, perfettamente affilata e a forma di rombo. Si concede qualche secondo per concentrarsi. Fa un respiro lungo e rilassa i muscoli del braccio.
Tira.
Il coltello fende l'aria, vola come un minuscolo lampo nero, quasi invisibile. Sfiora il braccio di Thor e va a conficcarsi al centro esatto del petto dell'uomo.
Hope ha un singulto e sobbalza all'indietro. Per qualche istante nessuno sembra accorgersi di quello che è accaduto, almeno non fino a quando la vittima si china in avanti per poi cadere di schiena perdendo la presa sulla lancia che sbatte sul pavimento nudo con un tremendo clangore metallico.
Un mormorio esterrefatto scuote tutti i presenti. Thor si volta nella direzione in cui ha visto arrivare la lama e sgrana gli occhi, nella sua espressione si mischiano il panico e la sorpresa.
Loki scambia un lungo sguardo con il figlio di Odino, prima che tre degli uomini di Hope gli siano addosso. Sente le loro mani afferrarlo e spingerlo in avanti, vede il pavimento venire contro di lui e cade.
Succede tutto con una rapidità sconvolgente.
Sente il mulinare del Mjolnir sopra la sua testa e con un unico movimento del braccio, Thor gli ha già tolto di dosso i primi assalitori.
«Sei folle!» grida il dio del tuono.
Anche stavolta, nemmeno l'ombra di un ringraziamento.
«Ora distruggeranno ogni cosa, tutto questo quartiere e persino te!»
«Se saltiamo in aria, saltano in aria anche loro! Sei tu il folle se credi che ora che il loro capo è morto questi sciocchi si lasceranno uccidere per la vecchia vendetta di un uomo morto...».
Sono circondati, realizza Loki un attimo dopo.
Gli uomini di Hope potranno anche non avere alcuna voglia di morire facendo saltare tutto in aria, ma sono armati con lame costruite con quel dannato poderoso metallo scuro e il dio è abbastanza certo che quel metallo possa uccidere anche un asgardiano.
Loki fa un passo all'indietro e urta contro la schiena di Thor.
«Proprio come un tempo, fratello» esclama il dio del tuono.
«Non puoi risparmiarmela stavolta?».
Thor si china, battendo il martello con quanta più forza può contro il pavimento. Fulmini scintillanti di luce azzurrina piovono sui loro nemici, metà di quelli che hanno un'arma metallica in mano vengono sopraffatti dalla potenza dei lampi. Ora ci sono meno nemici, ma il pavimento sotto di loro si sta spaccando.
«Di certo non abbiamo vinto le nostre battaglie passate grazie alla tua intelligenza» dice Loki, mentre il pavimento trema sotto i loro piedi e i loro assalitori si guardano attorno preoccupati.
«Non puoi risparmiarmela stavolta?». Thor gli fa il verso. Un attimo dopo stanno precipitando di sotto.
Atterrano su un piano ingombro di armi. L'arsenale di Nornheim, basterebbe davvero poco a liberare l'energia di tutto quel metallo e distruggere mezza città.
Loki sente il peso di Thor sopra di sé e gli si spezza il respiro. «Alzati, per gli inferi!».
Sono tutti frastornati per la caduta, ma i nemici non impiegano molto a imbracciare quante più armi possono, almeno tutte quelle che possono essere tenute in mano.
Se Thor usasse i fulmini, questi potrebbero rimbalzare su tutto quel metallo, spandersi e ferire anche loro, se non addirittura ucciderli. Oppure potrebbero incrementare l'energia delle armi e renderle ancora più letali, farle esplodere come previsto.
Non hanno altra scelta che combattere. Ma sono in tremendo svantaggio, e se anche Loki potesse metterne fuori gioco un bel po' con la magia, resterebbero comunque in troppi, armati con strumenti sufficienti a provocare la morte di un dio.
«Rammentami, fratello, perché sei venuto a salvarmi?» chiede Thor, respingendo un assalto di quattro uomini, sbaragliandoli con un colpo del Mjolnir in pieno viso.
«Non è un salvataggio. E non sono tuo fratello». Loki spinge un pugnale su per la gola di uno dei nemici. «Si tratta di riservarmi l'occasione di fare le cose a modo mio».
Gli assalitori si gettano su di loro in un'unica carica, urlando e spingendo avanti le lame.
Loki sente qualcosa trapassargli una gamba e sente il bruciore di un taglio ad altezza del fianco. Anche Thor lancia un ruggito di dolore.
Il dio degli inganni sta per lanciare un incantesimo, un'onda di energia che gli tolga di dosso almeno parte dei suoi aguzzini prima che lo concino come un puntaspilli. Poi, da lontano, arriva un suono fortissimo, perfettamente udibile anche in mezzo alla cacofonia di quella tremenda mischia.
«Cos...»
«Il segnale!». Thor lo grida a fatica, ma con enorme entusiasmo.
E così, alla fine, i Vendicatori hanno smagnetizzato le armi? Ottima notizia, se solo loro riuscissero a tirarsi fuori da quell'inferno di pugnalate e pugni e colpi e urla...
Thor si volta verso di lui, ora non sono più schiena contro schiena. Prima che Loki abbia il tempo di rendersene conto, il dio del tuono lo afferra per l'attaccatura del mantello, lo solleva sopra la massa di lame e mani impegnate a colpire, poi lo scaraventa lontano, facendolo finire bocconi sulle scale del pianerottolo.
Loki è stordito per la caduta e i colpi subiti e sente in bocca il sapore ferruginoso del sangue. La vista gli si appanna e l'ultima cosa che vede è un fulmine che sembra un polipo dai mille tentacoli calare nella stanza attraverso il soffitto sfondato.

*

Un attimo prima, Nadia era stretta nell'abbraccio di Pepper.
La sua amica le aveva fatto un lungo discorso sul fatto che non dovesse prestare troppa attenzione alle parole di Tony, che si era trattato di uno sfogo dovuto alla tensione accumulata, alla frustrazione del momento.
Le ha creduto; sa che Tony non avrebbe mai voluto farle del male, ma non per questo le cose che le ha detto e i loro sottintesi sono meno veri.
La ragazza ha cercato di calmarsi, che Pepper e Jane non avessero da preoccuparsi anche di una sua crisi di pianto o di qualcosa del genere. Là fuori ci sono persone che tutte e tre amano.
Un attimo prima, Nadia ha trattenuto una lacrima annidata nella coda dell'occhio come una pozzanghera in una buca.
Poi tutto è sembrato precipitare e che le lacrime cadessero o meno ha smesso di fare la differenza.
Fury ha tolto il viva voce e loro non potevano più sentire quali notizie giungessero dall'altro lato. Hanno provato ad ascoltare almeno cosa stesse dicendo il direttore dello S.H.I.E.L.D, ma hanno ottenuto solo quattro agenti che le hanno gentilmente accompagnate fuori dalla sala comandi.
Qualcosa stava andando storto a New York.
Pepper e Jane hanno capito subito che era inutile protestare o fare domande. Si sono sedute davanti a un grande oblò a scrutare il cielo. Se sono le donne di due degli eroi più forti del mondo ci sarà un motivo...
E adesso Nadia si sente quasi un'intrusa. Darebbe l'anima per ognuno di loro, ma quel momento non è il suo momento. Perché l'ultimo suo contributo a quella faccenda sono state parole in difesa di Loki. Perché non ha mai saputo scegliere tra lui e loro, e credeva che in fondo neanche fosse giusto farlo.
Passa un'eternità, in silenzio. Le gambe incrociate perdono sensibilità, ma la ragazza non ha il coraggio di muoversi, è quasi certa di non star nemmeno respirando.
Anche standosene alle spalle di Jane e Pepper, vede l'apertura dell'oblò. Nel ritaglio di cielo che incornicia vede passare il lampo nero del jet che si avvicina per atterrare.
Le due donne si voltano di scatto, scatta anche lei. Corrono di sotto, dove si apre la botola che permette ai passeggeri del jet di scendere e accedere alla base volante.
Fury è già lì, nella sua posa rigida, le mani strette dietro la schiena. Accanto a lui ci sono alcuni infermieri e tre barelle.
Tre...
Tre, come lei, Jane e Pepper, che ora lanciano occhiate spaesate al portellone del jet che si apre lentamente. Troppo lentamente.
La prima cosa che vedono è il viso di Steve, incupito come Nadia non lo aveva mai visto prima, comparire centimetro dopo centimetro. Appoggiato alla spalla di Steve c'è Tony.
È il primo tuffo al cuore. Non ha più l'armatura, e anche la tuta che porta sotto le placche di metallo non è in buono stato, ma soprattutto, il suo viso non è in buono stato. È coperto di lividi e piccoli tagli incrostati di sangue rappreso, e sotto quello scempio si intravede un pallore malsano che non promette nulla di buono.
Ma almeno è vivo.
Dietro Steve e Tony, arrivano Bruce e Clint. Sembrano molto provati ma stanno bene... Nadia non capisce il motivo delle loro facce da funerale, dato che nella loro scia camminano anche Natasha – tutta intera anche lei – e Thor e Loki, che visti così sono persino un po' buffi. Sono entrambi feriti e camminano con passo strascicato l'uno accanto all'altro. Loki, in particolare, zoppica e ha un brutto taglio sulla fronte. E sembra che qualcuno abbia tentato di ricavare coriandoli dai loro mantelli. Procedono lentamente fuori dal jet, sembra che si stiano trattenendo a stento dall'appoggiarsi l'uno all'altro per una sorta di pudore da nemici giurati. Quando Loki inciampa, Thor si tende verso di lui, ma il dio dell'inganno allontana la mano dell'altro con un gesto secco.
Intanto Steve sta aiutando Tony a stendersi sulla barella. Thor si lascia cadere seduto su quella destinata a lui e Jane gli corre incontro. Loki nemmeno prova ad avvicinarsi alla sua, cerca di restare stoicamente in piedi e di trattenere una smorfia di dolore quando tenta di raddrizzare la schiena e recuperare il suo portamento da principino.
Nadia gli lancia una lunga occhiata che lui ricambia. Non sa cosa sia successo a New York, ma in quel momento capisce di aver avuto ragione: Loki non era andato in città per fare altri danni, voleva davvero salvare Thor e probabilmente lo ha fatto. Il pensiero le riempie il cuore di un sollievo che si avvicina vertiginosamente alla felicità. Forse non ha poi sbagliato così tanto su di lui. Forse tutto quello che ha provato per lui non è stato vano.
Felicità e sollievo. Ma allora perché quelle facce da funerale? I suoi eroi ce l'hanno fatta, ancora una volta, è andato tutto bene, sono salvi e...
«No!». La voce di Pepper.
Nadia si volta di scatto, verso di lei che è in piedi accanto alla barella di Tony. Oltre la spalla della donna riesce a vedere che gli hanno aperto la maglia, sul petto costellato di ematomi e piccoli segni rossastri di bruciature c'è un anello metallico, l'alloggio del reattore Arc. Non lo aveva mai visto prima, quel piccolo cerchio di luce azzurrina che...
Oh, Dio, ti prego, ti supplico, no!
La luce va a intermittenza, come una lampada che si sta fulminando.
«Non faccia l'isterica, signorina Potts» dice Tony, cercando di mettere assieme tutta l'ironia e la leggerezza che può.
Un attimo dopo la luce azzurrina si spegne.
Nadia sente il cielo precipitarle sulle spalle, ed è certa che è la stessa identica sensazione che stiano provando tutti lì dentro.
Gli infermieri si affrettano a portare via la barella di Tony e l'unica cosa che impedisce a Pepper di cadere a terra sono le braccia di Steve che si affretta a sorreggerla.












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Note:
Nella scena di Thor in cui Thor e compagnia combattono su Jotunheim, ognuno di loro mostra di “essere specializzato” nell'uso di una certa arma: Loki usa piccoli pugnali che lancia con straordinaria precisione. Credo che uno di quei pugnali a forma di rombo sia lo stesso con cui accoltella Thor al fianco nella scena sul terrazzo della Stark Tower, in The Avengers. Unendo queste cose, nella mia testa si è creata la convinzione che Loki sia bravissimo con i pugnali, quando non usa la magia... tra l'altro avevo già parlato di questa cosa che Odino aveva regalato a Loki quei pugnali e tutto il resto nell'altra fanfcition pubblicata nella sezione su Thor.

Naturalmente il mio cuore ormai somiglia a una scatoletta di cibo per cani e non era previsto che le cose prendessero una piega tanto tragica. Arrivati a questo punto persino Loki ha pietà di me, oggi si è offerto di prepararmi il brodino di pollo...
 
Torno a piangere sulle copertine di Iron Man e a vedere di recuperare qualche pezzetto di cuore dalla pattumiera prima che il cane dei vicini lo inghiotta.

Venerdì prossimo pubblicherò la puntata conclusiva di questa fanfiction, l'ultimo capitolo. E poi ci sarà il canonico breve epilogo.
L'ho finita, giusto ieri ho messo il punto di conclusione all'epilogo. Sono sotto shock. Cercherò di riprendermi. 
   
 
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