Storie originali > Fantasy
Segui la storia  |       
Autore: theplatypus_    22/03/2013    3 recensioni
Sono pazza. Completamente pazza. Ingurgito farmaci di tutti i gusti dalla mattina alla sera.
Probabilmente quei dottori sono soltanto cospiratori che progettano piani malvagi su di me.
Ma poi mi rendo conto che non sono loro il problema. Sono io.
Non sono normale, sono diversa.
Ma non pensavo che quest'affermazione fosse davvero fondata.
Diciamo che do' una svolta alla mia vita. Smetto di ingurgitare farmaci di tutti i gusti dalla mattina alla sera e inizio a sentirmi una vera ribelle. Una ragazza che finalmente non viene più giudicata per la sua anormalità.
Genere: Avventura, Azione, Drammatico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
   >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
 
                                                                                                            Capitolo 1




 
 
Il medico mi ha prescritto altri farmaci. Che io ovviamente dovrò prendere con regolarità, altrimenti finisco nella gabbia dei matti. Più che aiuto, suona più come un ricatto. Perchè quei farmaci mi intontiscono solo. E mi fanno ingrassare. 
Dicono che mi aiuteranno. Ma credo di poter sapere solo io cosa mi aiuterà. E di certo non sono quelle pillole che ti gonfiano come un maiale. 
Aspetto che la signorina Grass faccia uscire l'altro paziente, per entrare.
Dio, quanta tristezza mi mette questo posto. E' tutto troppo freddo. Persino i quadri, se così li posso chiamare. 
Faccio tamburellare le dita sui jeans a ritmo di quella canzone country che ho sentito ieri sera in radio.
Già, ieri sera era stato piuttosto fico. Niente pillole, niente ramanzine e niente psicologi o dottori che si tenevano alla larga da te. Solo io e quella canzone. 
Dopo che ebbi finito di mangiare, aspettai che mia madre chiamasse papà a telefono e me ne sgattaiolai fuori dall'appartemento per correre in macchina.
Era da un mese che non me ne stavo un po' per i fatti miei. 
Allo scattare della porta, alzo il viso verso James. Ci eravamo scambiati giusto qualche parola per sapere come ci chiamavamo e che malattie avavamo:
- Bipolarismo - aveva detto.
- Ho tentato il suicidio -.
Mi aspettavo un'altra faccia scandalizzata, ma lui si limitò a fare spallucce e un saluto col capo.
Qui sono tutti simpatici. Tranne che i dottori e la segretaria.
Quando mi alzo dalla sedia, faccio scivolare le mie braccia lungo i fianchi per far passare di lato James. 
-Tutto apposto? - chiedo
- Tutto apposto -.
Sorrido e mi giro verso Miss. Grass. Non è che è antipatica, è solo che come tutti i dottori, porta la nausea. 
Nascondo un piccolo sospiro e, come da copione, mi vado a sdraiare sul lettino dei pazienti.
- Allora Kate...come ti senti oggi? -.
Sono stanca. Ho freddo. Sono stordita per colpa di quei farmaci del cazzo. Mi sento inutile. 
Ah, e grazie a te ho anche la nausea.
- Bene - mi limito a rispondere.
La signorina Grass fa scorrere la penna sul suo block notes, dove immagino avrà scritto che sono una povera malata in cerca di affetto.
- Se stessi davvero bene non ci sarebbe bisogno di farti venire qua, non credi? - pare un po' spazientita. Se si scoccia, le sedute possono finire qui.
- E' quello che mi dico anche io, sà? -.
Sospira. Poi si gira verso la scrivania e prende una caramella all'arancia. Se la ficca in bocca. Poi ne prende un'altra e me la porge.
- Vuoi? -
Odio le caramelle all'arancia. Sanno di medicina. E per i miei gusti ne ingerisco fin troppa. E' come se usassero quelle caramelle per far credere ai pazienti che sono solo innuocui dolcetti alla frutta, quando magari sono una concentrazione di farmaci. 
La prendo senza esitare, per far credere che non mi faccio tanti problemi per una caramella.
- Allora. Che ne dici se ti ripeto la domanda e tu cerchi di rispondermi sinceramente?-
Senza aspettare una mia risposta, mi ripone la domanda.
- Bene - ripeto. Di certo non vado a dire i miei pensieri contorti a una che puzza di caramelle d'arancia e che mi assilla ogni martedì. 
Sospira di nuovo.
- Che dobbiamo fare, Kate? - si avvicina verso di me con uno sguardo mieloso - Che dobbiamo fare per farti capire che siamo dalla tua parte?-
Socchiudo gli occhi, riflettendo un'attimo su quella domanda. Ci sono miliardi di risposte che potrei utilizzare, ma la più accettabile è:
- Lasciatemi vivere in pace. Lasciatemi vivere come se fossi una ragazza normale. Ho commesso un errore, è vero. Ma tutti ne commettono. In fondo è anche per questo se siamo esseri umani, no? -
Dirigo lo sguardo verso di lei, che a quanto pare la mia risposta l'ha fatta solo impietosire di più.
- Amo la tua saggezza, Kate. Ma quello che hai fatto non è un errore. O, almeno, per te non lo è. Tu eri intenzionata a farlo. E noi siamo qui per capire perchè l'hai fatto e per farti capire che sei una ragazza meravigliosa e piena di doti. -
Una ragazza meravigliosa e piena di doti. Strano, i miei compagni di scuola mi facevano capire che era il contrario. 
Senza dire niente, mi alzo, prendo la borsa e me ne esco dallo studio, lasciando la psicologa allibita.
Non vado lì a perdere tempo. Pensavo che, in fondo, dessero risposte sensate. E inceve mi vengono a dire tutto l'opposto di quello che mi aspettavo.
Se ero meravigliosa, non avrei fatto quello che ho fatto. Se ero meravigliosa sarei stata accettata per quello che ero. Se ero meravigliosa, avrei almeno baciato un ragazzo.
E questo non è mai accaduto. Forse prima di diventare pazza, avrei avuto qualche possibilità. Ma come ho detto, queste possibilità sono morte insieme alla mia stabilità mentale.
Sempre se ne ho avuta una. 
Tira freddo, così mi cingo meglio la sciarpa al collo. Le lacrime iniziano a solcarmi il viso, ma grazie al vento i passanti non se ne accorgono.
Cos'ho di sbagliato? E' come se qualcuno stessa assistendo alla mia vita e mi stesse tirando  sassi per farmi cadere. E una volta c'è quasi riuscito. Non voglio più sentirmi così.
Inizio a correre, talmente che sono disperata. Lascio cadere la borsa lungo il marciapiede, ma non me ne curo. Intralciava solo la mia corsa disperata verso casa. 
Quando arrivo sotto il portone a causa degli occhi grondanti di lacrime, non riesco a trovare la chiave per entrare.
Scaccio via le lacrime che mi offuscano gli occhi e metto a fuoco la chiave.
Apro il portone e quando mi ritrovo dentro casa, mi faccio scivolare sul pavimento. 
-Tesoro, sei in casa? - 
Era come risvegliarmi da un sogno: non mi ero accorta che mia madre era lì. Cerco di asciugare le lacrime dal viso e di far andare via il rossore dalle guance, senza grandi risultati.
Mi alzo e vado in cucina, dove mi aspetta mia madre intenta a "preparare" il pranzo per oggi. 
La trovo in mutande e canottiera, girata verso i fornelli.
Quando mi sente arrivare si gira di scatto e scaccia via una ciocca di capelli dal viso.
- Oh...sei qui, allora - dicee mentre si rigira verso la padella per rompere due uova.
Odio la superficialità di mia madre. So benissimo che il centro l'ha già chiamata, avvertendola del mio atto trasgressivo.
- Ho saputo della tua fuga -. Mi mordo il labbro. Che tatto, mamma.
Inizia a girare le uova nella padella, aggiunge il sale e viene a sedersi davanti a me.
Dopo che si è seduta comodamente con le braccia distese sul tavolo, mi rivolge un semplice:
- Beh? -
Beh cosa? Ho distrubi, cazzo. Se mi sento depressa, do' di matto. Il bello è che lei fa come se fossi una ragazza nella norma. Che non ho attacchi schizofrenici.
- Senti...sai com'è andata. Immagino che non ti avranno risparmiata di un dettaglio, quindi me ne vado in camera -.
Mi alzo, facendo strusciare la sedia sul pavimento.
- Ehi - mi sento bloccare il braccio. Mi giro e vedo mia madre che mi tira verso di lei. Cerco di trattenermi, ma la corsa mi ha sfinito; così finisco sulle gambe di mia madre.
- Voglio solo aiutarti -
-Non mi sembra che tu sia specializzata tanto in questo campo - mi scollo e dato che voglio una risposta da parte sua, rimango eretta davanti a lei, con le mani conserte.
La vedo abbassare la testa e portare una mano a scompigliarsi i capelli. Dice sempre che l'aiuta a riflettere.
- Sai che non sono il tipo di madre perfetta...sto facendo quello che posso -.
Alzo gli occhi al cielo e lascio cadere le braccia lungo i fianchi. Come dimenticarlo. Il triste racconto di lei sedicenne che viene messa incinta dal primo cafone che passa. Quando se ne usce con quella storia diventa sempre lei la vittima. Quella che non ha potuto partecipare al ballo della scuola perchè era incinta. Quella che ha avuto una figlia per errore. Quella che ha una figlia malata.
Sospiro e me ne vado. Mentre sto per salire le scale, però, la sento dire:
- Perchè non chiami quel tuo amico...com'è che si chiamava? Nate? -.
Mi blocco. Nate. Non ci parliamo da un bel po'. Diciamo pure che non ci parliamo da anni. Da quando ho tentato il suicidio non mi rivolge la parola. Non so se perchè ha paura o perchè i suoi amici lo prenderebbero per un pazzo come me. Decido di optare per la seconda. 
Salgo su per le scale e mi chiudo in camera mia. 
Entro a passo lento e mi lascio cadere sul letto, sospirando. Mi avvicino al telefono e lo inizio ad osservare. Non perchè sono talmente pazza da essere interessata ad un telefono, ma perchè sono combattuta per il fatto di chiamarlo oppure no. 
Cosa potrei dire?
'Ehi, Nate. Ti ricordi di me? Sono Kate. La tua ex migliore amica, quella che hai lasciato sola mentre doveva combattere per salvarsi da sè stessa. No, eh? Beh, ci si vede'
Sospiro e butto il telefono sul letto. Poi, d'istino mi alzo, prendo la borsa e scendo le scale.
- Io esco - urlo a mia madre, sperando che senta.
Apro la porta facendola sbattere e inizio a correre per il viale. Ricordo ancora la strada: andare dritto, svoltare a destra, continuare dritto ed infine girare a sinistra.
La pioggia continua a cadere incessantemente e ormai i miei capelli grondano di acqua.
Quando arrivo davanti il portone, scosto una ciocca umida dall'occhio e busso.
Aspetto cinque minuti sotto la pioggia, in attesa che qualcuno mi apra. Infine esito per un momento e ribusso. 
Aspetto altri cinque minuti invana. Nessuno risponde, nessuno mi viene ad aprire. 
Ho capelli talemente bagnati che il mio occhio è mezzo aperto a causa di una ciocca di capelli che lascia cadere gocce d'acqua. 
Faccio per andarmene, quando la porta viene aperta.
Mi giro e vedo Nate in pantalone da tuta e una canottiera sporca di unto.
Quando mi vede la sue espressione è un misto di sorpresa e confusione. Esita per cinque minuti, poi decido di rompere il silenzio.
- Ti dispiace? - faccio un cenno col capo all'interno di casa sua.
Nate non cambia espressione, ha le ciglia ancora aggrottate; tuttavia mi fa spazio e mi lascia entrare.
Quando entro resto impalata ad osservare casa sua. Nonostante gli anni passati, è rimasta la stessa di sempre. Emana ancora quell'odore di pane.
Come svegliata, poi, mi tolgo il giaccone bagnato e lo poggio sul braccio.
- Da' qua -Nate mi parla. Ed è strano tutto ciò, perchè non mi parla da anni e la prima cosa che riesce a dirmi è 'Da' qua'. Lo guardo intensamente, mentre appende il mio giaccone all'attaccapanni.
Poi avanza in soggiorno, dove la televisione è accesa ad un volume altissimo. E' una partita di calcio. Non riesco a definire le squadre a causa della mio disinteressamento a quello sport. Immagino che non mi abbia risposto subito alla porta perchè il volume è troppo alto.
Con saggezza, Nate decide di prendere il telecomando e di abbassare. 
Mi fa un cenno per dirmi di sedere sul divano. Accetto la sua proposta e lo osservo ficcarsi in bocca delle patatine. 
Poi, dopo aver dato un ultimo sguardo alla partita, decide di sedersi sul divano accanto a me. 
Il mio petto si alza e si abbassa freneticamente a causa della situazione. E' abbastanza imbarazzante, perchè non mi aspettavo così la nostra riconciliazione. E' solo che ho bisogno di qualcuno con cui sfogarmi...e lui è l'unico di cui possa fidarmi. Almeno lo era.
Esito un attimo e poi dico tutto d'un fiato:
- Ho bisogno di parlarti -.
Si gira verso di me e mi guarda con i suoi occhi nocciola. Prima mi rassicuravano, adesso aumentano solo la mia agitazione. Probabilmente è anche colpa dei farmaci. 
- Dimmi -.
Poi prende il telecomando e spegne definitivamente la televisione. 
Diavolo, non me lo aspettavo da un ragazzo.
Scrocchio le mie dita, cercando di trovare le parola giuste. Infine sospiro.
- Beh... - Nate mi guarda intensamente e il mio disagio cresce.
Intreccio disperatamente le mie mani, cercando di non fare una figura di merda.
Apro e chiudo la bocca senza accorgermene e questo rende nervoso anche Nate, che si fa più vicino.
Mi mette un braccio intorno alle spalle.
- N-no - lo scaccio e mi allontano.
- Kate...che ti succede? -.
Mi alzo innervosita. Cerco di calmarmi, ma quello che sento è solo la rabbia che mi ribollisce all'interno. Dopo tutti questi anni solo adesso riesce a chiedermi 'Che ti succede?'. 
Senza riflettere lo spintono contro lo schienale del divano e gli tiro uno schiaffo.
- Bell'amico sei! - stringo i pugni, tentando di calmarmi e di riportare la mia respirazione normale. 
Nate si tiene la guancia ormai rossa e lo sguardo basso.
- Oddio, scusami... - 
Mi avvicino allungando le braccia, sperando che non ce l'abbia con me. Fortunatamente mi lascia libero accesso alla sua guancia accaldata.
Corro in bagno a prendere una pezzetta bagnata e ritorno da lui. Mi siedo cautamente sul divano e gliela porgo sulla guancia.
Non ho dato l'impressione di una ragazza che ha ripreso il controllo di se stessa. Ho sbagliato tutto. Avevo bisogno solo di un abbraccio e invece ho schiaffeggiato il mio ex migliore amico.
- D-davvero scusami - la mia mano che passa la pezzetta bagnata sulla sua guancia trema, e a quanto pare anche Nate lo capisce perchè me la prende dalla mano e inizia a raffreddarsela da solo. 
- No, fa niente... -.
E' così freddo. Se avessi fatto una cosa del genere qualche anno fa, mi avrebbe iniziato ad insultare e a tirarmi cuscini in testa.
Avrei preferito mille volte un calcio. 
Non sapendo cosa fare, mi alzo e lo resto a guardare per un po'.
Che fosse un bel ragazzo tutti lo pensavano. Altrimenti come spiegarsi tutta la fila di ragazze che gli andava dietro? Solo che lui non aveva mai avuto occhi per nessuna di loro.
- Beh...io vado - dissi riprendendo la borsa caduta a terra.
Sospiro, abbasso lo sguardo e dopo un secondo mi ritrovai le braccia di Nate che mi avvolgono in un abbraccio che avevo desiderato da fin troppo tempo.
Quasi non ci credo e, mentre cerco di chiudere la bocca per la sorpresa, ricambio, circondando le sue spalle con le mie braccia. 
- Va tutto bene, Kate. -
  
Leggi le 3 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
   >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Fantasy / Vai alla pagina dell'autore: theplatypus_