Altair trattenne il fiato, nascondendosi tra le fronde di palma, verdi e bruciate dal sole.
L’ufficiale templare si tolse l’elmo e sganciò la maglia ferrata che le copriva il capo.
Aveva dei bei capelli. Bruni, come la terra.
Avrebbe voluto scendere; si accontentò di sporgersi in avanti per osservarla meglio, per quanto gli fosse possibile senza rischiare di essere notato.
Si morse le labbra.
Era bella. E bello era guardarla da lontano, poter sperimentare quel sentimento a distanza, senza che se ne accorgesse.
Immaginò ancora i suoi occhi. Quegli occhi azzurri, vivi, carichi di foga battagliera.
La strada era vuota. C’era solo lei, a bagnarsi il viso alla ricerca di refrigerio, quel giorno a Gerusalemme.
C’era solo lei, seduta sul bordo della fontana con la spada di fianco, guardando l’acqua, mentre si scioglieva i capelli.
Altair si disse che era solo per curiosità, o per dovere. Stava spiando un ufficiale templare da cui avrebbe carpito delle informazioni.
Nulla di diverso. Ma si vergognò molto quando si accorse di cercare l’inclinazione giusta per non vederle la croce sulla tunica.
Per non sentirsi colpevole.
Sei così sbagliata. Sei così bella.
Sembrava un dipinto. Era un peccato non osservarla.
Era terribile non poter essere parte di quella caotica femminilità.
 
Un soldato le si avvicinò, e con sua sorpresa notò come le sue mani si fossero agitate e contratte sul tronco della palma.
“Dobbiamo andare, Maria”
L’assassino strinse gli occhi per vedere meglio come si allontanava, mentre si infilava l’elmo sul viso.
Maria? È questo il tuo nome?
Si sorprese per come fosse semplice pronunciarlo. Facile. Come innamorarsi.
Avrebbe voluto tendere la mano, ad afferrare la sua piccola figura che si allontanava nella via inondata dal sole arabo, quel giorno a Gerusalemme.