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Autore: Aya_Brea    22/03/2013    6 recensioni
"E alla fine, con un ultimo schioppo di fucile, Ran ripiombò alla realtà. La torre di Arnolfo era ancora lì, immobile, robusta, imponente. 
Eppure, per un istante soltanto, le era sembrato di intravedere un lembo bianco svolazzare in cima a quel torrione."
 
In occasione del diciottesimo compleanno di Ran, lei e gli altri decidono di trascorrere alcuni giorni presso la meravigliosa città di Firenze. Nell'entusiasmo generale, la ragazza ha la consapevolezza di voler ricevere soltanto un regalo da quella notte: il ritorno di Shinichi. 
Contemporaneamente, dall'altra parte del globo, il Ladro Gentiluomo, Kaito Kid, si ritrova a dover affrontare una delle prove più difficili della propria vita: il confronto burrascoso col proprio passato, e l'inquietudine di un nuovo, insolito, presente. 
Ma quando tutto sembra destinato a franare rovinosamente verso l'oblio, ecco che una nuova speranza torna a ricollegare le vicende di due mondi apparentemente differenti, ma così ineluttabilmente simili.  
Genere: Introspettivo, Malinconico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Aoko Nakamori , Kaito Kuroba/Kaito Kid, Ran Mori, Shinichi Kudo/Conan Edogawa, Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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I'll see you on the dark side of the moon






1. Gli angeli caduti
 
 


La notte era piombata così, di soppiatto. Il tramonto era ormai una scia lontana del tempo trascorso troppo in fretta, del piccolo spicchio di luce che la luna aveva ormai inghiottito e portato con sé: quella sfera brillante aveva rubato anche quel giorno, senza remore, senza timore e nella più completa indifferenza. 
Le strade di Tokyo erano investite di soffice ed intensa luce bianca, ma ogni oggetto appariva come caratterizzato da una patina bluastra: le strade erano ricoperte da una sottile brina luccicante, testimonianza della pioggia scrosciante che vi si era riversata al mattino. A differenza delle sere precedenti, quella notte l'aria non era immobile, né tanto meno asciutta: c'era una fitta coltre di umidità sospesa nell'atmosfera. 
In lontananza si udivano le sirene spiegate della polizia che latravano come cani rabbiosi in procinto di afferrare finalmente la preda; unici sprazzi in quel dipinto bicromatico, le luci rossastre ed opache delle loro automobili. I bolidi della giustizia sfrecciavano lungo le strade, facendo schizzare il brecciolino dell'asfalto. Ogni angolo, ogni anfratto, ogni porzione della città andava setacciata, perché solo così avrebbero potuto stanare il soggetto in fuga, uno fra i più temibili ladri a cui il nuovo millennio avesse spalancato le porte del crimine: Kaito Kid. 
L'ispettore Nakamori se ne stava accoccolato al fianco del poliziotto che guidava la volante in testa a tutte le altre, oltre il vetro vedeva soltanto la strada che si faceva largo di fronte ai propri occhi: si stava mordicchiando il pollice nella spasmodica attesa di intravedere nuovamente il mantello candido di Ladro Kid. “Maledizione! Stavolta non ci sfugge. Me lo sento, questa è la notte in cui finalmente sbatterò quel ladruncolo da due soldi in gattabuia. Ce lo spedirò per l'eternità, lo giuro!” 
Mentre pronunciava le sue parole con fervore e a denti stretti, dai sedili posteriori si sporse una ragazza dai capelli castani, oramai arruffati a causa dei continui sballottamenti in automobile. Si portò fra l'ispettore e il poliziotto e tese il braccio verso il parabrezza, con tanto di indice sollevato. “Babbo! Guarda, è Kid! Ha appena svoltato l'angolo a sinistra.” Esclamò, entusiasta. Il padre si protese in avanti e spinse i pugni contro il sedile, nuovamente animato dallo spirito combattivo. 
“E' lui. Forza, Kikuchi, schiaccia quel piede sull'acceleratore, avanti!”
Aoko si acquietò e maledisse mentalmente quella dannata notte: non sapeva per quale motivo era stata coinvolta nell'ennesimo inseguimento del padre, sperava vivamente che quello sarebbe stato l'ultimo di una lunga serie. D'altronde le dispiaceva assistere sempre ai fallimenti del proprio genitore, fallimenti che non facevano altro che affossarlo sempre più nella depressione e nella convinzione di essere un inetto. Rivolse il suo sguardo abbattuto alla Luna, che nonostante la velocità con cui viaggiassero, rimaneva sempre immobile nello stesso punto. 
Un po' come loro, alle spalle di Kid. 
D'improvviso una brusca frenata la fece rinsavire dai suoi pensieri, sentì persino lo scricchiolio delle gomme, poi vide il grigiore di un fumo denso e rarefatto che li aveva letteralmente inglobati: il poliziotto alla guida dovette sterzare in derapata per evitare di sbattere contro il muro in corrispondenza della curva, ma non appena il veicolo riuscì a fermarsi, i tre si sentirono sbalzati violentemente da terra: la lunghissima pattuglia dietro di loro aveva dato vita ad un incredibile effetto domino, così, le vetture si erano schiantate le une sulle altre come fossero state lattine di alluminio. 
L'ispettore Nakamori emise un gemito di dolore: aveva sbattuto il gomito contro la portiera dell'auto, eppure il suo primo pensiero andò alla figlioletta che stava rannicchiata sui sedili posteriori. Allungò il braccio verso la sua gamba per poterla scuotere. “Aoko, tesoro, va tutto bene?” 
Ma la figlia non rispose, scansò malamente la mano del padre e con uno scatto fulmineo spalancò la portiera, slanciandosi fuori dall'automobile. Non appena se la richiuse alle spalle sentì chiaramente le urla di Ginzo: il nome di 'Aoko' riecheggiò più volte, disperdendosi in una tetra eco lontana. Lontanissima. 
La ragazza cominciò a correre nella stessa direzione di Kaito Kid: il ladro non si era accorto della sua presenza, così lei avrebbe potuto seguirlo indisturbata. Le sue gambette si muovevano agili sull'asfalto, sentiva la spinta data dalle scarpe da ginnastica, poi, quando le sirene della polizia divennero sempre più fioche, cominciò a percepire anche lo scalpiccio regolare dei suoi passi, infine il martellare impetuoso del suo cuore. Se non ce l'aveva fatta il padre, sarebbe stata la figlia dell'ispettore Nakamori ad acciuffare quel gabbiano dalle morbide ali bianche. Quando la gola cominciava ormai a farle male, ella svoltò l'angolo e dovette addirittura frenare la sua corsa, poiché non appena trovò riparo al di là del muro, scorse la figura del ladro gentiluomo. Era a pochi passi da lei: lo osservò spiccare un agile balzo su di una scala metallica, poi si librò dolcemente fino a raggiungere la sommità dell'edificio: il suo manto bianco scivolava dietro di lui con estrema grazia. 
Aoko lasciò trascorrere alcuni secondi, poi scelse il momento giusto per uscire allo scoperto e salire anche lei le scale a chiocciola. Cercò di rendere i suoi passi ovattati, finché non arrivò in cima al palazzo: si intrufolò in una finestrella e si accorse di essere in una casa abbandonata. I muri erano completamente scrostati e l'intonaco cadeva in pezzi, il pavimento ne era cosparso quasi integralmente. Una sottile polvere di cemento si era levata in alto, probabilmente perché Kid era piombato in terra con tutto il proprio peso. Alcune colonne cilindriche erano disseminate qua e là ma lei notò immediatamente un lembo bianco svolazzare dietro ad una di esse. Si accucciò al suolo e attese: l'angolazione era perfetta. Non appena spaziò lo sguardo altrove, infatti, incrociò un mucchio di vetri rotti, fra i quali svettava una lastra specchiata che rifletteva proprio l'immagine di Kid, seppur disseminata da minuscoli residui di sporco. Poco importava. Riusciva a vederlo. 
La luce lunare filtrava attraverso le finestrelle poste a destra della stanza, il vento si inoltrava all'interno poiché i vetri erano completamente assenti. Fu allora che Aoko vide Kaito sfilarsi il mantello bianco. Lasciò che quel tessuto quasi evanescente scivolasse giù, dopodiché il Ladro si chinò in terra per raccogliere una specie di scrigno metallico: dai suoi gesti delicati intuì che doveva trattarsi di qualcosa di molto importante. Si sedette in terra e si sfilò il cappello a cilindro, dopodiché fu il turno del monocolo: anche la cravatta risultava fastidiosa, così se la allentò con la mano sinistra. 
Aoko si morse il labbro con forza: inizialmente non seppe se credere ai proprio occhi, eppure lui era lì, riflesso in quello specchio, assorto nella lettura di un foglio dai contorni ingialliti. Kaito Kuroba. Non si trattava più di Kaito Kid. Lo aveva sempre sospettato, ma mai e poi mai lo avrebbe creduto in grado di impersonare un ruolo simile. 
Improvvisamente un turbinio di ricordi si fece largo fra i mille interrogativi che vorticavano nella sua mente: il giovane liceale che si spacciava per il suo migliore amico d'infanzia era soltanto uno sporco traditore. Si chiese principalmente per quale motivo le avesse mentito. E poi un'altra domanda sorse spontanea: aveva bisogno, Kuroba, di vestire i panni di un'entità che non gli apparteneva? Perché? 
Le labbra rosate della ragazza furono percorse da un tremito, ma poi si schiusero con rabbia, permettendole di urlare e di sputargli in faccia tutto il suo rammarico: “Kaito Kid! Sei un vigliaccio! Mi hai mentito per tutto questo tempo.” Aoko dovette stringere i denti ed i pugni, per sostenere anche fisicamente quel che le si stava rimescolando nel cuore. 
Kaito, dal canto suo, avrebbe potuto riconoscere la voce di quella fanciulla fra mille altre, eppure non appena scattò in piedi, la saliva gli si azzerò proprio in fondo alla gola: incrociò gli occhi di Aoko, impallidita ancora di più per via della Luna e con quelle iridi screziate che si riempivano di lacrime. Si slanciò verso di lei e l'unica cosa che riuscì a pronunciare fu un banalissimo: “Posso spiegarti, non scappare!”. Ma la fanciulla volò via come una colomba, portandosi con sé il disprezzo ed il rammarico per non essersi goduta la liberà che le spettava. Kid scivolò giù dalle scale con un balzo, ma l'inseguimento fu del tutto inutile. La colomba aveva oramai spiegato le ali verso il cielo blu. 
Per la prima volta, il famoso Ladro Gentiluomo si sentì privato della sua magia. Incapace di strappare un sorriso sul volto della persona a cui teneva di più.
 
 
 
 
 
Al di là delle nuvole, l'aereo aveva solcato il cielo come un gigantesco gabbiano dalle ali bianche ed i passeggeri non avevano fatto altro che rivolgere lo sguardo oltre i finestrini, osservando come le tinte del tramonto si trasformassero così rapidamente. Un manto scuro aveva avvolto in pochi istanti l'intera volta celeste: alcuni iniziarono a sonnecchiare, altri si attardarono fra le pagine di libri e riviste, altri ancora, con le cuffie ben piazzate nelle orecchie, si cullarono fra le note delle musiche più svariate. 
Proprio nella fila centrale dell'aereo, stavano seduti Conan, Ran, Sonoko, Kogoro e la giovane combriccola dei Detective Boys, accompagnati fedelmente dal dottor Agasa e tecnicamente, anche da Ai. Il piccolo occhialuto era al fianco di Ran, che, premurosa come suo solito, gli aveva stretto all'inverosimile le cinture di sicurezza. 
“Ran, quanto manca?” Conan osservò i suoi compagni e notò con piacere che si erano appisolati: Genta russava sonoramente. 
La ragazza aveva gli occhi piantati fuori dall'oblò: un morbido vestitino bianco le scendeva dolcemente sul corpo. Sembrava completamente persa nei propri pensieri, tanto che si rivolse a Conan soltanto dopo il terzo richiamo. “Oh, Conan. Scusami, stavo osservando il panorama. Ci sono tantissime luci. Dicono che l'Italia sia uno dei paesi più illuminati del mondo.” In effetti, proprio sotto di loro, lo stivale era disseminato di minuscoli lumini gialli, tanto fitti che le arterie stradali si perdevano in quel guazzabuglio luminoso. “E' meraviglioso.” Un sorriso le si dipinse sul visino, visibilmente stanco per la durata del viaggio. Non vedeva l'ora di toccare terra. 
Arrivarono in Italia a notte ormai inoltrata: Kogoro aveva scelto di regalare alla figlia un viaggio, proprio per festeggiare i suoi diciotto anni. Erano tutti consapevoli che sarebbe stato un traguardo importante, la stessa Ran non stava più nella pelle per l'emozione. Aveva scelto di visitare Firenze, piuttosto che Roma, perché le era sembrata più piccolina e meno caotica, e poi la stagione primaverile avrebbe reso tutto più romantico ed affascinante. Prelevarono le loro valige e in pochi minuti furono fuori dall'aeroporto: una moltitudine di gente si stava diramando in più direzioni, Conan e gli altri presero la navetta notturna che li avrebbe condotti in città. 
Nonostante fosse ormai calato il buio, durante il loro tragitto a piedi, poterono subito osservare la fisionomia dei palazzoni fiorentini: alcuni, più di altri, erano visibili a causa dell'illuminazione notturna. Kogoro e Ran erano alla testa del gruppo, ma entrambi percepirono l'entusiasmo che si diffondeva alle loro spalle: i bimbi erano persi fra quei mattoni così imponenti, respiravano un'aria che sembrava totalmente nuova ed erano così ammaliati da non guardare neanche ad un palmo dal loro naso. Ai si stupì della sua crescente curiosità, e per una volta, si sentì in linea con i Detective Boys: persino Conan aveva gli occhioni spalancati. Sembrava quasi volesse carpire subito i segreti di quella città così piena di storia. Si ritrovò a pensare che in fondo ognuno di loro avrebbe voluto mollare subito i bagagli e cominciare ad esplorare le vie di Firenze. Eppure fu la stanchezza ad averla vinta, quella notte. 
Giunsero nei pressi dell'albergo e varcarono la soglia uno dopo l'altro: la hall era meravigliosa nel suo sfarzo. Era un'immensa sala contornata da divani e poltrone in tessuto bordeaux, alle pareti vi erano alcune riproduzioni di quadri famosi e agli angoli della sala erano collocati alcuni vasi ricolmi di fiori dalle tonalità pastello. Il pavimento aveva tutta l'aria di essere tremendamente scivoloso, ma aveva il pregio di essere brillante come uno specchio di cristallo: fortunatamente un lungo tappeto rosso si srotolava fino alla reception, posta proprio sul fondo della stanza: ai lati correvano sinuose, due rampe di scale che si univano nel ballatoio centrale, la cui ringhiera affacciava sull'ingresso e contemporaneamente su di un ampio finestrone da cui si poteva osservare tutta Firenze. La luce calda proveniva dai due lampadari sul soffitto, carichi anch'essi di fronzoli e pendenti scintillanti. Ran si morse il labbro per cercare di contenere la sua emozione, ma il suo tentativo di rimanere sobria fu vanificato in maniera eclatante dalla ricca ereditiera, Sonoko, la quale sciolse le braccia e le aprì a guisa d'aquila. “Ma è meraviglioso!” Persino lei, che era abituata al lusso delle tenute del padre, rimase sbalordita dalla bellezza dell'albergo. “Scommetto che in buona parte è un regalone di tua madre, Eri, non è vero Ran?” Rivolse un sorrisino malefico al padre dell'amica, che di tutta risposta sollevò le sopracciglia nel tentativo di lasciar correre. 
“Ma dai, Sonoko! Smettila. Lo sai che mio padre ormai è un grande Detective. Non è più come ai vecchi tempi.” Ribatté Ran, imbarazzata e stizzita.
Conan raccolse le braccia proprio dietro alla nuca, come era solito fare poi assunse la sua tipica espressione seccata. 'Si, certo. Come no. Un grande Detective.' 
Alla reception distribuirono le stanze e ad ognuno venne consegnata la rispettiva chiave. Il ragazzo dietro al bancone li salutò cordialmente augurando loro la buonanotte in un inglese un po' stentato, ma non si creò molti problemi perché riconobbe lo stesso livello di pronuncia anche per i giapponesi. 
Fra lo strepitio di Ayumi e co. I vacanzieri si salutarono a malapena: erano tutti così sfiniti da non riuscire neanche a ragionare. Avevano prosciugato le ultime energie per gioire alla vista di quell'hotel così bello. 
Ran, Sonoko, Ayumi ed Ai decisero di condividere la stessa stanza: all'interno si somigliavano un po' tutte, ma erano egualmente belle e piene di decori, sia per via delle lenzuola in raso e per le tende sottili e morbide, sia per la moquette color panna. La prima a sdraiarsi sul lettone matrimoniale fu Sonoko, seguita poi dalle altre due ragazze: Ai si tenne in disparte e preferì dare una rapida occhiata al panorama: le chiese di Firenze svettavano sui profili bassi delle case, ma ciò che la colpì immediatamente fu il grande torrione di Palazzo Vecchio. Quel torrione si levava in alto a vegliare costantemente sulla città, il quadrante circolare dell'orologio segnava le quattro meno cinque. La piccola Haibara sussultò non appena sentì Ran alle proprie spalle, che proprio come lei, stava rivolgendo gli occhi nelle sua stessa direzione. “Quel palazzo venne costruito con l'intento di voler realizzare una specie di fortezza per le famiglie più ricche di Firenze. Durante il Rinascimento fu l'abitazione di Cosimo de' Medici.” Le ragazze si soffermarono ad osservarne la merlatura guelfa, poi Ran continuò a parlare con voce placida e leggermente bassa. In fondo era tardi. “Sembra un re che raccoglie a sé tutti i propri cittadini. Veglia su di loro anche quando tutto tace e quando ognuno dorme sicuro nelle proprie case.” Sonoko ed Ayumi erano sprofondate fra le braccia di Morfeo, si udivano i loro respiri lenti ma profondi. Ai si scansò dalla finestra. 
“Ran, vado a lavarmi, se non ti dispiace. Buonanotte.” La piccola si richiuse nel bagno e lasciò che l'acqua cominciasse a scorrere. 
Invece Ran rimase lì, ad osservare Firenze al di là dei vetri della finestra. Per un attimo la storia sembrò essersi impossessata di lei e della propria mente, trascinandola e tenendole la mano, dirette entrambe in un mondo che valicava i confini della realtà: una bandiera con lo stemma fiorentino sventolava accompagnata dal vento, un gruppo di soldati in uniforme spiegava le bombarde contro il nemico, mentre pallottole di metallo schizzavano nell'aria carica di fumo e polvere. Le sembrò quasi di sentire l'odore acre e penetrante della polvere da sparo. Poi girò lo sguardo ed improvvisamente vide un soldato, proprio sulla sommità del Palazzo della Signoria: osservava l'orizzonte attraverso un cannocchiale, incurante del forte vento che rischiava di sbalzarlo da quell'altezza vertiginosa. 
E alla fine, con un ultimo schioppo di fucile, Ran ripiombò alla realtà. La torre di Arnolfo era ancora lì, immobile, robusta, imponente. 
Eppure, per un istante soltanto, le era sembrato di intravedere un lembo bianco svolazzare in cima a quel torrione. Il cuore le si arrestò nel petto, poi riprese a pulsare  normalmente non appena riaprì le palpebre. La lancetta delle ore segnava le cinque, forse era giunto il momento di farsi una bella dormita. 
 
 
 
 
 
 
Il giorno seguente Ran si svegliò di buon umore, nonostante avesse dormito ben poco. Al suo risveglio però, non trovò nessuno nella propria camera: le coperte delle altre ragazze erano piegate ordinatamente ed apparentemente sembrava essere tutto tranquillo. Eppure non appena uscì dalla porta della stanza, i Detective Boys le urlarono contro e cominciarono a cantarle gli auguri a squarciagola. Li vide sorridere tutti, persino Conan ed Ai applaudirono allo 'spettacolo' offerto dai più piccoli. Sonoko si era presentata al suo cospetto con un immenso vassoio ricolmo di pasticcini ed un sorrisone stampato sul volto. Si chiese come facesse quella ragazza ad essere sempre così vivace. Così erano scesi nella Hall per fare colazione tutti insieme. Ran aveva chiesto espressamente di comportarsi nella maniera più sobria possibile, anche perché non amava le cose fatte in grande: le stavano scomode, si sentiva a disagio. Ma con loro fu tutto diverso. 
Trascorsero il giorno fra le vie di Firenze, visitando le chiese più famose ed intrise di storia: più che un viaggio, fu un vero e proprio percorso attraverso le epoche, compiuto con gli occhi del passato. Ran non fece altro che ridere: si stava divertendo. Alle volte si ritrovava a fissare Conan. E quando i loro occhi si incrociavano, lei non poteva far altro che sorridergli. Era felice. E conosceva bene il motivo di quell'ebbrezza. Scattarono innumerevoli foto ed Ai si rivelò un'ottima fotografa, anche se prediligeva i ritratti paesaggistici: per una buona mezz'ora la ragazza si ritirò presso un'altura ad osservare il tramonto, mentre gli altri chiacchieravano all'ombra di un platano. Così si concluse quel primo giorno: in realtà era stato piuttosto faticoso e stancante, anche perché non erano riusciti ancora ad ambientarsi. Avevano preferito rimanere nei pressi del Centro Storico, in modo da ritrovare facilmente l'albergo. 
Per la sera, Kogoro aveva prenotato un tavolo ad un ristorante dislocato proprio nei pressi di Ponte Vecchio: lo aveva scelto assieme a Conan perché sapevano entrambi quanto Ran fosse idealista e romantica. Per non rivelarle subito dove si stavano dirigendo, Sonoko le premette le mani sugli occhi e la condusse pian piano verso il ristorante, dove la stavano già aspettando tutti. 
“Se ti vedesse Shinichi penso che si mangerebbe anche i gomiti per essersi fatto aspettare tutto questo tempo.” 
Ran rise, ma le sue guance si colorarono subito di un rosso vivo: non vedeva la strada di fronte a sé, rischiava di inciampare con quei tacchi vertiginosi. Sentiva la tiepida brezza del fiume sbatterle contro il viso, così inspirò a pieni polmoni quell'aria così particolare. “Secondo me Shinichi non si accorgerebbe neanche del vestito che indosso. Sarà pur sempre un Detective, ma è così ottuso.” Le due ragazze risero all'unisono e fra uno scherzo ed un altro, Sonoko si fermò, poi lasciò che le dita scivolassero sulle spalle di Ran: le strinse vigorosamente. 
“Siamo arrivati. Ci sono tutti.” 
La ragazza mora poté finalmente riaprire gli occhi, e non appena le immagini divennero nitide, subito si appannarono nuovamente. Due grandi lacrimoni le attraversarono le guance. Si fermò a guardare gli amici di sempre con la stessa intensità con la quale si guardano delle persone che sono appena tornate da un lungo viaggio. Si portò una mano al volto bagnato e lo asciugò, mentre sorrise di cuore nel vedere Conan indossare un vestitino elegante ed un piccolo cravattino rosso.  
Il Piccolo Detective lanciò mentalmente una maledizione nei confronti dell'Organizzazione che lo aveva rimpicciolito: se solo avesse indossato i panni di Shinichi, le sarebbe corso incontro e l'avrebbe stretta a sé perché non potesse più allontanarsi da lui. In quel vestito nero che pareva essere stato cucito sul suo corpo e che si fermava proprio al di sopra delle ginocchia, Ran era splendida. Le sembrò così irraggiungibile, pur essendo proprio di fronte ai suoi occhi. Tra lui e lei, materialmente vi erano soltanto pochi metri, ma fra di loro come anime, vi era un'incommensurabile distanza che niente avrebbe colmato. 
Così lontani, eppure, così vicini. Conan Edogawa si sforzò di sorriderle. Tutti le avevano fatto i complimenti, meno che lui. 
Quando si sedettero al tavolo, Ran si accorse che il ristorante si affacciava proprio sul fiume: la superficie dell'acqua era increspata dolcemente dal vento, e le infinite luci delle case vi si specchiavano come fiammelle tremolanti. Si intravedeva Ponte Vecchio che collegava armoniosamente le due rive, e su di esso, un gran via vai di turisti. Si udiva persino la musica di alcuni chitarristi che si stavano esibendo proprio lì vicino. Era tutto perfetto. Anche se mancava lui. 
Ran si strinse vicino al proprio padre e lo abbracciò forte, sussurrando un 'Grazie papà, ti voglio bene'. Di tutta risposta, l'uomo le accarezzò il volto e le asciugò il viso ancora bagnato dalle lacrime.
“Smettila di piangere, dai.” Le consigliò gentilmente. 
“Non sto piangendo.” Dopo quel breve scambio di affetto, la ragazza si rivolse nuovamente ai propri amici, anche se Conan le parve strano. Aveva un'ombra sul volto che lo faceva apparire carico di malinconia. Magari più tardi gli avrebbe chiesto che cosa fosse successo. 
Le portate di cibo erano una più buona dell'altra, la cucina italiana era decisamente differente da quella giapponese, soprattutto per la totalizzante presenza della pasta.
“Ehi, c'è pasta ovunque, in ogni piatto.” Genta si stava ingozzando senza neanche capire cosa stesse infilando sotto i denti. La sua filosofia era quella di riempire lo stomaco, indipendentemente da cosa vi finisse dentro. 
'Che scemo. Ingurgiterebbe anche i calcinacci.' Pensò Conan, masticando il suo boccone con estrema lentezza: anche la fama sembrava essersi volatilizzata. Ai gli diede una gomitata. 
“Kudo, la vuoi piantare di mortificarti?” La scienziata glielo disse con voce bassa mentre si guardava in giro con circospezione. “Con questo tuo atteggiamento non fai altro che ferirla. Lo sai quanto vuole bene a Conan. Sono sicura che dentro di lei sta soffrendo per la mancanza di Shinichi. Manca solo lui al suo compleanno. Eppure sta sorridendo. Non fare l'egoista.” 
Conan deglutì, il boccone gli andò quasi di traverso. Dopo essersi scolato un bicchierone di acqua, le si rivolse con sguardo contrito. “No. Non è così, Ai. Ran ha la certezza che Shinichi verrà. Stasera stessa.” 
Ai strinse i denti e lo guardò più in profondità, nei suoi occhioni blu. “Tu sei pazzo. Cosa hai intenzione di fare?” 
“Ragazzi, ma di cosa state confabulando così teneramente? Rendeteci partecipi.” Sonoko dovette interrompere il loro discorso, al chè i due furono costretti ad abbandonare la conversazione, ma Ai non mancò di bisbigliare un ultimo avvertimento.
“Qualsiasi cosa tu abbia intenzione di fare, falla con la testa Kudo. Il cuore non ha sempre ragione.” 
Quella frase rimbombò nella testa di Conan come una lancetta di orologio, sempre pronta a ticchettare nel silenzio, incessantemente. Come un tarlo che rosicchia di continuo il legno e se ne nutre avidamente. Eppure non volle darle ascolto. Non appena la cena si concluse ed i ragazzi si avviarono verso l'albergo, il Detective corse nella cucina del ristorante e cominciò a rovistare febbrilmente in tutte le ante che contenevano liquori.
“Ehi, moccioso, ma che diavolo stai facendo?” Il capo cuoco italiano lo afferrò per la collottola e lo sollevò ad un palmo da terra, ma il piccolo aveva ottenuto quel che voleva, ed infatti brancolava a mezz'aria una bottiglia dove l'etichetta recava il nome di 'Paikal'. Sgattaiolò dalla presa dell'uomo nerboruto e si rifugiò sul retro del locale. C'era soltanto un gatto randagio che saltellava fra i bidoni e fra i sacchi di rifiuti. Col cuore in gola e con la saliva azzerata, Conan richiuse gli occhi e si scolò metà di quel liquore. 
Il suo corpo fu immediatamente colto dagli spasmi, arcuò le dita alla gola e se la strinse con violenza: quel liquido che scivolava lungo l'esofago gli bruciava come fosse stato alcol puro. Dio, se fosse sopravvissuto, avrebbe detto a Ran che quel vestito l'aveva resa ancor più incantevole del solito. Se solo fosse sopravvissuto. 
 
 
 
 
 
Ran era salita nella sua camera d'albergo e aveva aspettato che tutti dormissero, dopodiché era uscita in punta di piedi e aveva consegnato le chiavi della stanza alla reception: aveva deciso di indossare nuovamente l'abito della sera. 
Percorse silenziosamente i vicoli bui di Firenze, non priva di un certo timore che la inquietava. Non si sentiva sicura a passeggiare da sola in una città a lei sconosciuta, ma fortunatamente non appena svoltò l'angolo per raggiungere Ponte Vecchio, alcune coppiette le tagliarono la strada. Significava che c'era ancora qualcuno che gironzolava per la città. Si trattava specialmente di turisti. Trasse un sospiro di sollievo e procedette con passo più svelto. Il cuore le esplodeva letteralmente nel petto. Giunse in pochissimi minuti presso il ponte, dopodiché si fermò proprio nella parte centrale, dove vi era l'arco che affacciava sulla porzione più ampia del fiume. Sia a destra che a sinistra, riconobbe i contorni dei palazzi che avevano visitato quella mattina. Era incredibile come fosse riuscita a percepire la città come propria, in così poche ore. Forse era semplicemente l'atmosfera del luogo. Si sfilò dalla borsa il biglietto con l'elegante calligrafia di Shinichi: l'avrebbe riconosciuta fra mille, così piena di ghirigori ed inclinata verso destra. 
 
'Ci vediamo a mezzanotte sul Ponte che abbraccia l'Arno. 
 Tanti auguri, Ran. 
 
Shinichi.' 
 
 
 
 
 
Conan riaprì gli occhi e sentì un dolore allucinante pervadergli le membra: tentò di muovere le braccia, eppure si rese conto di averle serrate dietro la schiena da una corda pesante e robusta. Probabilmente era svenuto, ma qualcosa non doveva essere andato come prevedeva. Perché era legato? 
Si guardò intorno, ma quel che vide fu solo un magazzino dismesso e poca luce: c'erano alcuni scatoloni ammassati negli angoli della stanza, un fetore di umidità e di acqua sporca si infiltrò prepotentemente nelle sue narici. Tossì, e dal tono di voce si rese conto di essere ancora Shinichi Kudo. 
Ricordava soltanto di essersi cambiato d'abito e di essere sceso in strada, dopodiché, l'unico frammento che gli era rimasto incastonato nella mente, era un terribile dolore alla nuca. Qualcuno lo aveva rapito. Ma chi diavolo poteva avere interesse nel rapirlo? Forse l'organizzazione? Come avevano fatto a seguirlo? Erano forse approdati addirittura in Italia pur di ammazzarlo? 
Un brivido percorse la sua schiena: sentiva ancora il profumo del dopobarba che si era spruzzato prima di uscire. 'Maledizione.' Si morse il labbro con violenza, quasi a farsi male.
Qualcuno si stava avvicinando, sentiva i passi ovattati al di là della porta d'ingresso. 
Alla fine, la porta si spalancò, e Shinichi non poté far altro che sgranare gli occhi. 



 
 

Saaaaaalve miei cari!! :) 
Sono tornata con una nuova storia! Spero vi piaccia! Ho deciso di trattare qualcosa di diverso, uno stile ed un genere completamente diverso da quello a cui ho abituato i miei lettori... per questo sono mooooooolto titubante sul risultato.
Comincio col dirvi che non si capisce ancora molto bene come si svilupperà la storia, ma sappiate che avrà dei risvolti veramente molto insoliti. 
Che dire? Si, a parte che sono crudele con i miei personaggi, cos'altro??? Ahahhahaaha!! Dovrete abituarvi ;) Il titolo è ripreso dai Pink Floyd, gruppo che io adoro alla follia! Trovo azzecate le loro melodie alla mia storia, per cui non potevo far altro che rendere loro omaggio. E d'altronde credo che dietro questo titolo ci sia una riflessione filosofica sull'intera storia, che spero riuscirete a capire più avanti!
Ops, dimenticavo. Fatemi sapere cosa ne pensate con un commentino qui sotto! Ne sarei infinitamente felice e ve ne sarei infinitamente grata. 
Potrete lasciare anche recensioni negative, non mi offendo mica XD d'altronde siamo qui su EFP per sognare e per imparare sempre qualcosa di nuovo, no?
Dimenticavo alla seconda. 
Vorrei dedicare questo primo capitolo a Flami, che sicuramente voi del fandom di DC conoscerete. 
Diciamo che ti dedico l'intera storia va.. ahahahahah!! Così facciamo prima :P 
Ti voglio bene!!
Concludo dandovi un fortissimo abbraccio!
Al prossimo Capitolone,


Aya_Brea

 
  
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