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Autore: Dark_lady_22    23/03/2013    1 recensioni
Il signor Andrzej Piotrowski è un ex detenuto polacco dei gulag della fredda Siberia. A causa del suo successo in carriera, un suo vecchio e invidioso compagno di scuola lo denuncia senza alcuna prova al regime Staliniano come un nemico dello stato. Oggi però Piotrowski è libero e viene invitato ad una trasmissione televisiva dove gli viene richiesto di raccontare la sua triste e drammatica esperienza.
Genere: Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Oggi è quella che definirei una splendida giornata primaverile. Il sole brilla in cielo, l’aria è fresca al punto giusto, gli uccelli cantano e i fiori colorati cominciano a schiudersi emanando un dolce e piacevole profumo. Dalla finestra, oltre che ai tanti passanti con abiti dalle tonalità pastello, intravedo anche il vecchio Mikolaj che come tutti i giorni apre la sua edicola, la signora Boleslawa che porta il barboncino a spasso e i bambini con gli zaini in spalle pronti per andare a scuola. Irina, mia moglie, ha preparato il caffè, l’odore si sente già da qui. Eppure nonostante siano ormai passati molti anni dalla mia detenzione nei gulag della fredda Siberia non riesco a dimenticare quando a farmi svegliare la mattina non era il dolce canto degli uccelli né le innocenti risate dei bambini sotto casa ma una sirena dal suono lugubre e  penetrante e le urla in lingua russa delle guardie. Ad aspettarmi puntuale non era il solito e buon caffè ma una fredda e disgustosa zuppa d’orzo che sapeva di vomito. Fortuna che però adesso è tutto finito. Oh, guarda! Sembra che il postino abbia messo qualcosa nella buca delle lettere, non mi resta che andare a controllare. È un telegramma da parte della TV di stato polacca, un invito a partecipare ad un programma televisivo e raccontare la mia storia, credo si chiami “Życiewięźnia”. Sono davvero imbarazzato, non saprei cosa dire! Nessuno mai mi ha chiesto di farlo, la gente la ritiene particolarmente noiosa e monotona. Vorrei tanto consultarmi con mia figlia Olga, lei è una grande giornalista e sicuramente saprebbe come aiutarmi ma in questo momento è fuori città e non intendo assolutamente disturbarla. Probabilmente mi direbbe di essere me stesso, lasciarmi andare ma non troppo, mantenere la calma e dire quello che sento in cuore. Beh, se fosse così facile potrei cominciare col dire..... era il 1949, i russi avevano da poco liberato la Polonia dal dominio nazista. La gioia e l’entusiasmo aleggiavano nell’aria, ciascuno riassaporava il piacere della libertà, accarezzando il sogno di un futuro radioso. Io invece insegnavo storia e filosofia all’università di Varsavia. Credevo profondamente nel comunismo sovietico ma solo dopo capì di esser stato uno sciocco. Molti insegnanti di altre università polacche aspiravano il mio posto, percepivo invidia nei miei confronti, soprattutto da parte di Albert Kowalski nonchè mio vecchio compagno di scuola. Dopo qualche mese, quando tutto sembrava procedesse per il verso giusto, io e mia moglie Irina mentre cenavamo sentimmo bussare alla porta.  Chi poteva essere a quell’ora? Irina spaventata andò a nascondersi in cucina, io invece mi precipitai ad aprire. Due alti uomini in divisa  mi dissero: < Signor Andrzej Piotrowski? Ci segua!>. Mi condussero al loro quartier generale in via Lipowa e lì, dove avermi sottoposto ad un interrogatorio estenuante condito di insulti e percosse, mi contestarono di essere un nemico dello stato e di aver procacciato politiche contrarie al credo comunista. Quello che sembrava essere il loro comandante, un uomo dai modi rozzi e sbrigativi, mi comunicò che mi attendeva un lungo e piacevole “soggiorno” presso una struttura di rieducazione dove avrei avuto certamente modo di riflettere sui miei errori. Quello che mi era stato presentato inizialmente come luogo di rieducazione si dimostrò, come immaginavo, uno squallido e lugubre campo di concentramento che i russi chiamavano “Gulag”. Vivevamo in fredde e umide baracche di legno senza riscaldamento, ammassati su delle brande puzzolenti e piene di pulci. Con me c’era un uomo dall’aspetto molto stanco e trasandato di nome Igor che mi disse:. Poco dopo si accasciò a terra e non disse più nulla, così le guardie lo portarono via e da quella sera non lo rividi mai più. Tutti i giorni la sirena ci svegliava alle quattro del mattino e al freddo eravamo costretti a tagliare legna, spalare neve e a svolgere lavori ancora più duri e stancanti. Durante la mia permanenza all’interno del gulag conobbi molti uomini ma con due in particolare strinsi un rapporto di sincera amicizia. Il primo era Nikolaj, un prete russo, rinchiuso nel campo poiché riteneva la volontà di Dio superiore a quella di Stalin. Il buon uomo si riteneva uno dei più umili strumenti del Creatore e ogni giorno pregava, di nascosto alle guardie, per tutti noi. Il secondo era Eric, un ex soldato delle SS, silenzioso e dagli occhi di ghiaccio. Nei primi mesi del suo domicilio forzato persisteva nel mantenere un atteggiamento fiero e sprezzante nei confronti delle guardie, ma a poco a poco, fiaccato dalle percosse e dalla mal nutrizione finì con lo spegnersi diventando mansueto e remissivo.
Il trillo del citofono mi riporta alla realtà. Olga è tornata a trovarci dopo aver trascorso un lungo periodo a Praga per un importante reportage su cui stava lavorando. Adesso è il momento giusto per parlarle dello strano invito che ho ricevuto. le dico. Le riassumo brevemente i termini della richiesta che mi è stata fatta dall’emittente televisiva: raccontare davanti a migliaia di spettatori la mia drammatica esperienza vissuta all’interno del gulag e soprattutto esprimendole il dilemma che mi porto dentro senza risposta ovvero se rievocare una fase dolorosa della mia vita che intendevo dimenticare oppure rendere con forza una testimonianza di una grande tragedia che ha sconvolto milioni di vite. Lei mi guarda dritto negli occhi e con estrema semplicità mi risponde:< Fa’ quello che ti dice il cuore, come sempre hai fatto e come hai insegnato a fare anche a me>. A questo punto le chiedo semplicemente se domani pomeriggio ha del tempo da dedicarmi, magari che so, accompagnare un vecchio ottantenne a uno studio televisivo…
 

  
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