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Autore: Nike93    11/10/2007    7 recensioni
[RIS - Delitti imperfetti] Fabio non ha mai rivelato ad Anna i suoi sentimenti verso di lei per paura di perderla. Sarà un duro colpo scoprire che, facendolo, avrebbe potuto salvarla.
Genere: Romantico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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E’ l’autrice che parla: questa è una delle mie prime fic, ispirata al telefilm “RIS, delitti imperfetti”. L’ho scritta di getto e di certo non pensavo di pubblicarla. Ma chissà! Io ci provo! Buona lettura!

La fontana

Anna sbuffa, guarda l’orologio. Sono le undici passate.

Si guarda un po’ intorno, con l’aria indecisa, tamburella le dita sul tavolo. Alla fine si toglie il camice e si scioglie i capelli: una cascata di riccioli castani scende libera sulle sue spalle.

- Ti sei decisa, finalmente. –

- Caro Fabio, ho una notizia da darti: anche Anna Giordano ha un limite di resistenza. –

E ride. Quella risata che riserva a pochi. Quel modo di ridere che ha solo lei: le ride tutto, la bocca, gli occhi, persino i capelli.

Vorrei vederlo più spesso, quel sorriso.

- E dài, è notte fonda, stacca un po’, per una volta. –

Sorride ancora e scuote la testa.

- Se hai un limite così basso, perché non ti prendi una pausa anche tu, ogni tanto? –

- Chiedilo al Capitano, non a me. – Alzo le mani in segno di scusa. – Non che volessi offendertelo. –

Anna non risponde, si limita a fare lo stesso gesto di prima: sorride e scuote la testa. Non se la prende mai con nessuno, Anna. Neanche se le offendessi il suo Capitano.

E quanta voglia ho di farlo! Perché vorrei trovarmi al suo posto.

Non ho mai sofferto di quella curiosa malattia chiamata gelosia, ed è strano per me provarla. Non sono mai stato in buoni rapporti con il Capitano Riccardo Venturi, ma da quando lui e Anna stanno insieme, neanche provo più ad andare d’accordo. Dovrei odiare anche lei.

Ma come faccio? Come si fa ad odiare Anna?

Come faccio, di colpo, a odiarla dopo due anni che la amo in segreto? Perché così tanto tempo?

Che c’è, Fabio? Hai paura?

- Glielo chiederò io da parte tua. – prosegue Anna sistemando da parte il suo camice e rimettendo insieme tutti i fogli che erano sparsi sulla sua scrivania.

Allora? Hai paura?

- Anna… -

- Sì? –

- Ehm… volevo dirti… - Dài, cretino. Parla. Diglielo. Sputa il rospo. - …Di riposarti, ecco. – Ma perché faccio così?

- Grazie! – Posa su una sedia l’impermeabile che stava per indossare. – Hai ragione, questa storia dell’Uomo delle Bombe non sta facendo bene a nessuno di noi. –

- In particolare a te. – Forza. Sta per uscire, sbrigati, parla, parla! – Ha cercato di colpirti già tre volte. Non devi più correre questi rischi. –

- Non è colpa mia, Fabio. – Per la prima volta nella giornata sembra risoluta. Poi torna serena. – Questa storia finirà. Non può durare per sempre. – Fa qualche passo avanti e mi abbraccia.

Adoro i momenti come questo…

- Sono felice che tu sia mio amico. –

Io no. Non mi basta più.

- Ora vado. Odio guidare col buio. –

Ma casa tua è a due passi, vorrei dirle. Che bisogno c’è di prendere l’auto? Ma già, tu hai un appuntamento col Capitano. Alla fontana. Vai pure con calma, lui si farà aspettare, come sempre. Fossi al suo posto non mi assumerei la responsabilità di questo lusso. Da te, Anna, non mi farei mai aspettare.

Ma non è forse quello che sto facendo?

Un bacio sulla guancia, un sorriso, e lei è già fuori. E io rimango solo. Come sempre.

Che c’è, Fabio, ti spaventi di parlarle? Hai paura di rovinare l’amicizia? O di far incavolare Venturi?

O più semplicemente credi che il mondo non sia pronto ad accogliere la notizia che anche Fabio Martinelli, con la sua freddezza professionale e la sua chiusura verso l’umanità, abbia un cuore che sa amare?

E’ troppo?

No. Niente è troppo per Anna. E chi se ne frega di Venturi, dell’amicizia, di tutto? Ho deciso. Le vado dietro, la chiamo, la fermo e glielo dico. TI AMO. Magari mi ignorerà, mi riderà in faccia, lo racconterà al Capitano. No, non lo farebbe mai. Non è da lei.

Succeda quel che succeda. Non posso scoppiare.

Quanto mi rimane da lavorare? Poco. Ce la posso fare. Finisco tutto, chiudo e ci vado. Arriverò prima di Venturi.

- Incredibile! La Giordano ha mollato? Manchi solo tu, ormai. –

La voce è quella di Davide. Collega e coinquilino, divertente, compagnone e rompipalle.

- Spiritoso. No, ormai ho quasi finito. – …Ma di certo non ti dico il motivo della mia fretta.

Incito con gli occhi il computer. E dài, muoviti. Finalmente l’operazione è completata. Premo un tasto per uscire dal programma e improvvisamente non vedo più niente. Cala il buio totale.

- Beh? – Il premio Nobel per il coraggio tenta di nascondere la sua ansia.

- E’ saltata la corrente, genio! – Ecco, perfetto. Non poteva filare tutto liscio. – Ma non fa niente, sistemiamo tutto domani. Ora sono stanco. –

- Certo, così poi finisce come due mesi fa: una settimana senza acqua, luce e corrente, e niente lavoro. –

- Ti sembra una prospettiva così brutta? –

- Invece di fare l’idiota, vedi se funziona almeno il telefono. – Raggiungo a tentoni il primo telefono che mi capita. Alzo la cornetta: nessun segnale. Cavolo. E Davide, purtroppo, ha ragione: finché non torna la corrente, siamo chiusi dentro.

Anna…

- E’ morto. Perfetto. Barricati. – Inutile chiedergli se ha il cellulare: l’ultima volta che se l’è portato dietro è stato circa tre mesi fa. Cerco di accendere il mio, ma naturalmente è scarico. Comincio a sentire una strana angoscia, ma non per l’oscurità totale che mi impedisce di vedere i miei stessi piedi: riesco soltanto a pensare che perché tutto si sistemi possono passare cinque minuti come due ore…

Anna…

Perché, perché adesso?

Devo andare da lei.

E mi prende il panico, come se sapessi che se non vado adesso da Anna, poi sarà troppo tardi. Come se questa fosse la mia unica possibilità. Avanti, Fabio, non fare il paranoico… E’ solo un piccolo guasto… Entro dieci minuti, anzi no, cinque, si aggiusterà tutto e potrò andare da lei…

Me lo ripeto incessantemente da mezz’ora e passa mentre sento Davide trafficare cercando di far tornare la luce.

- Ohi, Davide, ti sei addormentato? –

- Ma che è quest’ansia? Invece di criticare, potresti anche aiutarmi! – Ma non gli rispondo. Sento una smania indescrivibile. Subito dopo il RIS è inondato di luce. Davide sorride trionfante.

- Aha! Visto che ci ho messo un attimo? –

- Un attimo dura mezz’ora? – Ma Davide non fa in tempo a ribattere, perché il telefono comincia a squillare. Ho sentito mille volte quel suono, ma ora… ha un nonsochè di minaccioso. Esito, non rispondo. Allora Davide alza gli occhi al cielo, sbuffa e alza la cornetta.

- RIS di Parma, Davide Testi. – Gli piace mantenere quest’aria ufficiale. Il sorriso scompare all’istante dalle sue labbra. – C-come? Dove? Oh cazzo… -

Non mi piace per niente quello sguardo fisso e incredulo.

- Sì… arriviamo subito. – Butta giù la cornetta, ma non mi guarda.

- Davide. – Silenzio. – Davide! Cos’è successo? – Finalmente si volta e fissa il suo sguardo nel mio. Dalla bocca gli esce una sola parola. Un nome che non avei mai voluto sentirgli pronunciare. Non con quella faccia, perlomeno.

- Anna… -

- Anna COSA? –

- L’Uomo delle Bombe… di nuovo… l’ha… - Deglutisce. – Era De Biase. Venturi l’ha trovata… morta. –

Il sangue mi si gela nelle vene. Il respiro accelera paurosamente.

- Sei… sei sicuro di aver capito bene? – Ti prego, dimmi di sì, dimmi che la linea era disturbata… Invece, Davide afferra il suo giubbotto ed esclama:

- Forza, sbrigati, andiamo! –

Fortunatamente guida lui: di certo io non ho la lucidità per farlo senza andarmi a schiantare. Cerco disperatamente di non pensarci, ma poi mi dico che sono un idiota, perché è semplicemente impossibile non pensarci. Guardo fuori dal finestrino: la notte ha avvolto case, strade e alberi. E’ una notte senza luna.

Anche il cielo sente la drammaticità del momento. Ha il mio stesso stato d’animo.

Le parole di Davide non sono altro che un confuso brusio di sottofondo.

- Doveva vedersi con Venturi… Non ho capito se è stata lei ad anticipare o sia stato lui che è arrivato troppo tardi… Ha trovato un pacchetto sul bordo della fontana, e credeva che fosse stato Venturi a lasciarglielo… A quanto ho capito era un braccialetto… L’ha indossato… Conteneva un veleno che ha dato subito il suo effetto. – Chiudo gli occhi e mi nascondo la faccia tra le mani. Non è possibile. Sembra un film. – E’ stato l’Uomo delle Bombe a metterlo lì. Lui sapeva… sapeva del loro appuntamento… -

- Davide, accidenti, vuoi stare zitto un attimo?! – lo interrompo bruscamente. Così bruscamente che il mio collega trasale e si zittisce all’istante. – Che me ne frega di come è successo, che me ne frega! Anna è morta… morta! Riesci a capirlo, questo? – Volto la testa dall’altra parte e non lo guardo più in faccia per tutto il tragitto. Da parte sua, Davide non proferisce più parola.

Lui non può capire perché sono così sconvolto. Può solo stupirsi, pensando “Toh, guarda un po’, il mio amico è più sensibile di quanto pensassi. Credevo che fosse di ghiaccio, e invece è anche troppo emotivo. Certo che fare così per una collega…!”.

Se solo non fosse saltata la corrente… Se non fossi stato trattenuto…

Arriviamo a destinazione in meno di un quarto d’ora, quindici minuti di domande, di tormento e frustrazione.

Le immagini mi si confondono davanti agli occhi.

Poliziotti. Tanti poliziotti. Buio. Una fontana. Solo una fontana, illuminata dai fari delle volanti della polizia. Una fontana, e due corpi nell’acqua.

Non realizzo subito. Vedo quelle due figure e mi chiedo se non siano solo frutto della mia immaginazione. Ma poi le metto a fuoco: un corpo sottile, la testa abbandonata sul bordo, immobile, i lunghi riccioli intrisi d’acqua, un braccio penzoloni fuori dalla fontana. Anna.

E un’altra persona accanto a lei, scossa, tremante, con le braccia strette attorno alla vita di quel corpo inerte. Il Capitano, Riccardo Venturi. Anche lui zuppo d’acqua dalla testa ai piedi. Alza lo sguardo verso di noi, che guardiamo immobili quella scena terrificante, ed è uno sguardo disperato, un’espressione che non ha mai attraversato i suoi occhi di ghiaccio.

Davide china la testa, Vincenzo de Biase si copre la faccia con le mani, il generale Tosi non si muove dal suo posto, guarda atterrito quelle due persone immerse nell’acqua come se fossero un unico corpo.

Con una sola differenza. Una di loro è priva di vita.

Attorno al polso di Anna c’è ancora il bracciale avvelenato. Lungo il dorso della mano scende un sottile filo di sangue.

Quanto può essere sottile il filo che separa la vita dalla morte?

Venturi piange, abbraccia Anna, chiama il suo nome, come se servisse a qualcosa. “Lasciala in pace!” vorrei gridargli. “A cosa serve tormentarla così?”

Tu, Capitano, ti illudi di poterla riportare in vita standotene semplicemente abbrancato al suo corpo.

Io, invece? Mi sono illuso di poter cambiare le cose in modo molto meno radicale, ma ci ho comunque creduto.

Guarda in faccia la realtà, Fabio. Cinque minuti di ritardo, ed ecco cosa è successo. D’accordo, magari a una stupida e impacciata dichiarazione d’amore non sarebbe seguito nulla. Ma ora non me ne starei qui fermo, mentre Le volanti, gli alberi, la fontana, Venturi e Anna si dissolvono davanti a me, e le loro immagini si perdono insieme alle lacrime che inondano i miei occhi. Non starei a smaniare disperatamente per essere al posto di Venturi, per poterla toccare, abbracciare, baciare. Anche se lei non mi sentirebbe. Ma forse è meglio così. Chissà che io non mi stia solo comportando da egoista e che al posto del Capitano non soffra ancora di più. Ero legato ad Anna, ma fino a che punto? E soprattutto, fino a che punto lei era legata a me?

La verità è che in quella fontana sono terminate due vite: quella di Anna è stata portata via dall’acqua, vi si è dissolta per sempre. In quella stessa acqua si sono sciolte le mie speranze, i miei desideri e le mie poche certezze, lasciandomi completamente vuoto. Come se morissi anch’io. Forse non ci avevo creduto davvero, finché non siamo arrivati qui. Mi ero ripetuto che era tutto un gioco, uno scherzo, un brutto incubo.

Poi sbatti addosso alla realtà e ti fai male, molto male.

Quanto vorrei essere al posto di Venturi…

No. No, Fabio, no, non pensarlo neanche. Se stai già male così, figuriamoci in quel caso…

Non posso impormelo. Mi ci è voluto talmente tanto tempo per decidere di fare una cosa molto più semplice, di dire ad Anna che l’amavo, che mi ci vorranno anni per incassare quest’altra botta.

Ora riesco solo a pensare che, se tutto fosse filato liscio, se non ci fosse stato quello stupido imprevisto, avrei raggiunto Anna, le avrei parlato, magari l’avrei persuasa a non andare all’appuntamento… Oh, no, questo certamente no. Ma Venturi sarebbe arrivato prima di lei. Avrebbe guardato il pacchetto, avrebbe detto che non era da parte sua e lei si sarebbe salvata.

Non sarebbe mai stata mia. Oh, certo, potevo solamente sognarlo.

Ma sarebbe stata ancora viva.

Magari, passato qualche giorno d’iniziale imbarazzo, avremmo cominciato perfino a riderci su. Sì, credo che sarebbe andata così, per il tipo che è… cioè, che era Anna. L’avrei raccontato a Davide, ci saremmo fatti quattro risate. Proprio lui, che passa da una donna all’altra ma riesce pur sempre ad amarle tutte, mi avrebbe preso in giro a tempo indeterminato.

Ma ora…? A chi potrò dirlo, ora? Posso avvicinarmi al corpo senza vita di Anna, posso dirglielo senza che lei mi senta… ma chissà che non l’avesse già capito.

Con Venturi non riuscirò mai ad avere più di un rapporto professionale. E poi, sentire una cosa del genere sarebbe per lui il colpo di grazia.

Vincenzo… Vincenzo è il più vecchio del gruppo, ha una famiglia, una moglie sempre in apprensione per via del suo lavoro e una figlia che passa da una clinica all’altra nel disperato tentativo di camminare di nuovo. E’ buono, Vincenzo, è comprensivo, ma… cosa potrebbe dirmi?

Beh, Anna. A quanto pare dovremo condividere questo segreto. Mi dici di dimenticarmene? Mi dispiace, non posso. Non ora. E va bene, mi porterò dentro questo peso per un bel po’. Soffrirò, sì, mi tormenterò ripensando al tempo che ho perso, ma cos’altro posso fare?

Il generale Tosi si avvicina al Capitano, gli tocca una spalla, lo guarda, sussurra parole indistinte.

- Vieni via… coraggio… è finita… - giunge alle mie orecchie.

Venturi chiude gli occhi, china la testa sul petto di Anna. Non è nient’altro che un riflesso sfocato dell’uomo inflessibile che conoscevamo fino a poche ore fa.

Un’ultima carezza, uno sguardo sconsolato e poi esce dalla fontana. Scavalca il muretto basso in pietra, si passa una mano tra i capelli bagnati, guarda verso un punto imprecisato. Non ci rivolge una sola occhiata. Domani girerà come un fantasma per tutto il RIS, cercando di darci ordini come sempre, e dopodomani sarà di nuovo rigido e inflessibile. Farà finta di dedicarsi solo e totalmente alle indagini. Non ci mostrerà più quel lato del suo carattere.

Chissà se anch’io continuerò a dare l’impressione di stare sotto una campana di vetro. Ora come ora non so niente, non sono sicuro di niente.

Non sono più così convinto che al posto di Venturi soffrirei di più. Sarò egocentrico, ma non riesco a immaginare un dolore più grande di quello che prova un uomo vedendo morire la donna che ama prima di averle espresso il suo amore. Proprio un attimo dopo aver deciso di farlo, finalmente, dopo due anni.

Starò tanto meglio di un uomo che si è innamorato, a quanto dice lui, di quella stessa donna in meno di una settimana? Un uomo che non ha fatto altro che farsi aspettare… per quanto quella donna fosse felice di attendere.

Donna? Malgrado tutto, quasi mi viene da ridere. Anna non era che una ragazza di poco più di venticinque anni. E io, che la aspettavo da tutta la vita senza neanche saperlo, l’ho persa in un attimo, un soffio di vento.

Volto le spalle alla fontana, caccio le mani nelle tasche e inghiotto le ultime lacrime. Mi appello a tutte le mie forze per non raggiungerla di corsa e gettarmi in acqua ad abbracciare quel mio amore perduto.

Non voglio verificare da quale posizione potrei soffrire di più. Mi basterà ricordare un sorriso radioso e due vispi occhi scuri incorniciati da morbidi riccioli castani. E sperare che a soffrire di più non sia stata proprio lei.

  
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