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Autore: Libra Prongs    25/03/2013    7 recensioni
[AU! James/Lily; Romantico-Sentimentale]
Londra, 1950. Prendete Lily Evans e James Potter, con i loro caratteri diversi e complementari.
Immaginateli nell'Inghilterra del dopoguerra, alle prese con l'imminente partenza per l'università e un incontro casuale in un lussuoso Club.
Proiettateli in un mondo "normale", in cui le sole cose magiche sono la musica e l'amore.
E preparate violini e cuoricini.
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Dalla storia:
«Però, drastica.»
«Solo realista.»
«Mi piacciono le donne decise.»
«Buon per lei, James.»
«Mi piaci tu, signorina Evans.»
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: James Potter, Lily Evans | Coppie: James/Lily
Note: AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun contesto
- Questa storia fa parte della serie 'James e Lily-L'Amore conta '
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NB: specifico anche qui, se a qualcuno fosse sfuggito, che questa storia è una AU, pertanto ambientata in un universo alternativo rispetto a quello creato dalla Rowling. In parole povere, nel mondo babbano. xD 
Buona lettura! 




 

"L" come Lilium, "J" come Jazz.
- di Libra Prongs - 


• ● •  



Periferia di Londra, tardo Settembre 1950

 
 
L’autunno giunse grigio e sonnacchioso, quell’anno, opponendo ai vivaci colori estivi le intense tinte rosse e ocra delle foglie crocchianti. Settembre trascorse in fretta, accartocciandosi in giornate sempre più brevi e crepuscoli freschi, che cedettero gradualmente il posto a sere di nebbia e vento profumato di mosto.
Le chiome dei molti platani del parco prospiciente il Potter & W. Montgomery Club — esclusivo ritrovo sportivo e mondano dei giovani rampolli della città — avevano ormai assunto calde sfumature d’arancio e tra i ciuffetti d’erba ai piedi dei castagni giacevano ricci irti di spine.
Il disinvolto personale del club era intento nella minuziosa riorganizzazione dell’offerta da proporre ai clienti occasionali nonché agli associati più prestigiosi, rinviando le attività prettamente estive — e l’uso delle connesse attrezzature — alla bella stagione successiva.
Le terrazze furono svuotate degli ampi ombrelloni squadrati color avorio, che avevano offerto riparo e sollievo dalla calura estiva, come delle graziose poltroncine in vimini decorate da cuscini pervinca; i vasti campi da tennis in terra rossa furono sottoposti alla dovuta manutenzione; le piscine all’esterno svuotate e coperte. Era venuto ormai il tempo dei buffet a base di ostriche e champagne nelle sontuose sale interne; delle serate trascorse al tepore dei raffinati focolari a decori floreali nell’ampio salone a Ovest, tra chiacchiere d’affari, cozzare sordo di palle da biliardo e aroma di sigari pregiati.
Nella minuscola dependance al limitare del parco, dal suo angolino accanto alla finestra, una ragazza osservava rapita le distese deserte di prato inglese che circondavano il sontuoso edificio in stile Liberty, brillante chiazza color malva e avorio nel verde spento della natura autunnale.
«Lily, cara» apostrofò un’affettuosa voce tremolante, «la cena è in tavola.»
«Arrivo subito, nonna!»
Lily lisciò le pieghe del semplice abito e, allo specchio, raccolse i capelli rossi in una treccia laterale dirigendosi nella modesta cucina intrisa del profumo invitante del pasticcio di carne.
«Ho un’ottima notizia» annunciò il signor Evans quando furono tutti a tavola.
«Di che si tratta, George?» domandò l’anziana donna dagli occhi verdi — profondi e a mandorla, identici a quelli di Lily.
L’uomo si concesse un sorriso e carezzò la guancia di sua moglie, poi si rivolse alla giovane nipote.
«Lily, tesoro, questo pomeriggio potavo le siepi in giardino e ho scambiato quattro chiacchiere con Mr. Potter. Mi ha chiesto di te. E si è detto molto contento per la notizia della tua borsa di studio, quando l’ha saputo.»
Lily annuì, abbozzando un sorriso, mentre versava dell’acqua dalla caraffa.
«Oh, e cos’altro ha detto, cos’ha detto?» incalzò la signora Evans, deliziata.
«Be’ ha detto che le fa onore, che Cambridge potrà pregiarsi di una studentessa modello, ha detto. E, Lily, cara, mi ha pregato di riferirti che sarai la benvenuta alla festa su al club, domani sera.»
Lily non afferrò il messaggio, dapprima, immersa in soavi fantasie sull’imminente partenza per Cambridge, il luogo in cui i suoi sogni di bambina si sarebbero avverati... ancora non riusciva a credere che di lì a due settimane sarebbe stata ufficialmente una studentessa di Legge tra le mura di una delle università più prestigiose d’Europa.
Sembrava così remota, ormai, la guerra; pareva la vita di un’altra quella che si accingeva ad affrontare, strappata alle proprie radici e proiettata in una dimensione tanto nuova e incerta quanto affascinante. Mai, fino a sei anni prima, avrebbe osato sperare tanto, assordata dal boato dei bombardamenti il cui ricordo, ancora adesso, la sorprendeva sveglia e ansante nel cuore della notte. Mai avrebbe accarezzato con tale ardimento l’idea di avere un futuro, tantomeno un futuro a Cambridge.
La guerra le aveva sottratto ogni cosa: i genitori, la sorella, l’identità. E i progetti, i sogni, le speranze per l’avvenire erano stati relegati a forza sul fondo della valigia frusta che Lily aveva portato con sé dal Belgio all’Inghilterra, salvandosi fortuitamente grazie a un passaporto falso e all’ausilio di anime gentili che l’avevano sottratta all’ennesima crudele retata nazista. Il ricordo del distacco da sua madre la dilaniava come fa un avvoltoio con la carcassa di una preda già freddata dal fucile del bracconiere, senza pietà, e Lily sapeva che quel dolore non l’avrebbe mai lasciata.
Eppure era grata, grata per aver ritrovato una parte di sé nei nonni, nella loro genuina semplicità, nell’affetto incondizionato che le dimostravano. La partenza per il College avrebbe imposto un ulteriore distacco, ma loro erano stati i primi a incoraggiarla e la notizia della borsa di studio, che Lily aveva ottenuto per merito come migliore studentessa del proprio corso, aveva reso quell’estate la più felice che la ragazza riuscisse a ricordare.
«Non dici nulla, gioia mia?»
«Nonna, certo, è meraviglioso… la fest—»
In quell’istante, Lily realizzò di non possedere un solo abito che fosse adeguato all’occasione.
 

 

• ● •

 

«Ne sei sicura, nonna?»
La signora Evans annuì vigorosamente, gli occhi velati di nostalgia.
«Mai stata più sicura. Tua madre lo adorava» disse, porgendole l’involucro morbido che aveva estratto dall’armadio.
Lily lo osservò, avvertendo un crescente magone alla gola.
Un vestito di sua madre… qualcosa di lei… lei. Quanto le mancava.
«Lo so, tesoro. Loro mancano anche a me, ogni giorno. È una fitta qui, sempre, sempre» sussurrò la nonna, sfiorandosi lo stomaco e baciandole una tempia, interpretando il suo muto dolore.
Lily sorrise, carezzando il telo di cotone in cui era avvolto l’abito e indugiando sulla consistenza soffice del tessuto che s’indovinava al di sotto, senza trovare il coraggio di guardarlo. Fu la nonna a spingerla, con uno sguardo dolce e complice. Insieme scostarono il telo, che rivelò un abito in seta di un verde incantevole.
«Mio… Dio—» mormorò Lily, ammirata, nel tentativo di ricacciare indietro le lacrime. «È… troppo, per me.»
«Invece è perfetto. Edmund avrebbe voluto così, fidati, fu lui a regalarlo a tua madre.»
«Un regalo di papà…»
«Con i tuoi occhi sarà un incanto» assicurò la signora Evans accostando il vestito al corpo di Lily, che fissò il proprio riflesso allo specchio, titubante.
Non si sentiva avvenente né interessante, con le clavicole sporgenti e il seno appena accennato. Negli ultimi anni, i fianchi avevano assunto curve piuttosto aggraziate, ma era il solo connotato davvero femminile che riuscisse ad attribuire al suo fisico. Nulla a che vedere con le giovani aristocratiche che avrebbero popolato il salone del club, con i loro inglesi capelli biondi, i loro frivoli cappellini, gli abiti da centinaia di sterline a fasciare le forme seducenti.
«Devo proprio farlo, nonna? Andarci, intendo.»
«Tesoro, sai quanto tuo nonno ci tenga. Lavora qui da oltre trent’anni, non declinerebbe mai un invito di Mr. Potter, che è stato così gentile. Sarà piacevole, ne sono certa, e potresti fare incontri interessanti
Lily scosse la testa, divertita dal tono allusivo di sua nonna.
«Se speri ancora che James Potter possa piacermi, nonna, devo nuovamente deluderti», sorrise, «ma va bene. Lo farò per il nonno.»
«Sei un angelo, grazie. Ma cosa ti fa pensare che alludessi al giovane Potter?»
«Oh, semplice intuito di nipote.»
Le due ridacchiarono, complici.


 

• ● •



L’orchestrina in fondo alla sala suonava brani di jazz americano e le note della tromba scivolavano lente, fungendo da piacevole sottofondo al chiacchiericcio fitto degli ospiti in smoking che gremivano il raffinato ambiente. Le candele accese sul lungo tavolo del buffet proiettavano bagliori che divenivano cangianti riflessi cristallini a contatto con i vetri sfaccettati dei sontuosi lampadari. Lily avanzava con cautela, inaspettatamente a proprio agio nell’abito leggero che si era rivelato, oltre ogni previsione, perfetto per la sua corporatura: la avvolgeva pudicamente donandole una grazia che persino lei aveva dovuto apprezzare. I capelli erano acconciati in maniera modesta ma elegante, i lobi ornati dei soli orecchini — un paio di perle pendenti — di cui sua nonna disponesse, eredità senza prezzo di generazioni della medesima famiglia.
Quando raggiunse il centro della sala, Lily scorse il signor Potter, al quale si avvicinò come il nonno le aveva detto di fare. Aveva avuto pochissime occasioni di incontrare il celebre proprietario del Potter & W. Montgomery Club, tutte collocabili entro un arco di tempo compreso tra i propri  quattordici e sedici anni, ma aveva di lui, tutto sommato, un ricordo positivo. Era un uomo notoriamente impegnato, come il signor Evans non mancava di ricordare ogniqualvolta venisse toccato l’argomento (“Mr. Potter sarà sicuramente a Londra, quest’oggi, è molto, molto richiesto”, “Temo di dover presentare il problema al signor Montgomery, dal momento che il signor Potter è fuori città”, et similia) e delegava in genere le incombenze del club al suo socio in affari, uno yankee spaccone, per citare il nonno.
«Che incantevole visione, Miss Evans, buonasera» la accolse l’uomo, cordiale.
«Buonasera, signor Potter.»
«Sono davvero, davvero lieto di averla come ospite, questa sera. Gradisce qualcosa da bere?»
«La ringrazio» annuì Lily, accettando un calice di vino rosso.
«Una futura studentessa di Cambridge, eh? Mi permetta di complimentarmi di persona. Ho già espresso le mie congratulazioni al vecchio George, suo nonno ha di che andare fiero, signorina. Ah, guardi, lì c’è mio figlio! Conosce già James?»
Lily annuì. Conosceva ‘James’, eccome.
Quell’irritante ragazzino con gli occhiali che trascorreva le estati scorrazzando nel parco insieme ai suoi altrettanto irritanti compari di malefatte. Li aveva visti molte volte, dalla finestrella della depandance; li aveva sentiti, soprattutto. E aveva sentito il nonno, poi, crucciarsi perché le siepi di ginepro che aveva potato con cura, spaccandosi la schiena già scricchiolante al sole di agosto, avevano misteriosamente assunto forme sghembe di discutibile gusto. Diversi anni prima — era la prima estate che Lily trascorreva in Inghilterra — aveva persino avuto modo di incontrarlo da vicino, nel patio fiorito dell’edificio. Il nonno era stato convocato dal signor Potter e lei aveva insistito per seguirlo, salvo poi essere lasciata in attesa fuori dall’ufficio perché si trattava di “noiose questioni di lavoro tra uomini, tesoro”. Ebbene, mentre si trastullava ammirata nei pressi delle aiuole di rose muscose, l’occhialuto ragazzino era sopraggiunto e aveva preso a fissarla con inopportuna insistenza, giocherellando con una pallina da golf. Sulle prime, Lily l’aveva ignorato, studiando con forzato interesse i boccioli di rosa. In seguito la sua maleducazione aveva cominciato a darle sui nervi e si era voltata verso di lui, sostenendone lo sguardo con aria di sfida. Sei carina, le aveva detto, facendole sgranare gli occhi per la sorpresa. Qual è il tuo nome?, aveva domandato, senza aspettare una risposta o un cenno. Ho capito! Sei la nipote del giardiniere, aveva concluso infine, lanciando la pallina e afferrandola a mezz’aria. A quel punto il nonno era uscito, raggiungendola con un sorriso, e il ragazzo l’aveva salutato pigramente, riservando a lei un “Ci si vede, Evans” del tutto fuori luogo. Ma non si erano più visti, un po’ perché Lily aveva accuratamente provveduto a evitarne l’eventualità, un po’ perché il giovane Potter aveva trascorso gli ultimi anni in un prestigioso collegio privato in Scozia e il solo ricordo che avesse di lui era tanto spiacevole quanto sfocato.
«Avvicinatevi, signori. Vorrei presentarvi una gradita ospite» disse il signor Potter, accennando a un gruppetto di uomini non lontano.
Lily passò velocemente in rassegna i volti dei giovani che si accostarono, stringendo mani e accennando sorrisi di circostanza.
«Ed ecco James. Figliolo, ti ricordi della signorina Lily Evans?»
Il ragazzo dai capelli corvini inarcò un sopracciglio, interdetto.
Poi, un mezzo sorriso ironico gli piegò le labbra.
«La signorina Evans... come no. Enchanté.»
 

 

• ● •



«Non la ricordavo così graziosa, devo ammettere.»
«Io la ricordavo esattamente così, invece.»
Stavano passeggiando sotto il pergolato di rampicanti, nel lungo viale che conduceva alla piscina.
«Così… come? Se posso.»
«Così sfacciato
Lily abbozzò un sorriso, ma quell’espressione tagliente non valse ad addolcire le sue parole. Il ragazzo, invece, rise di gusto. Sembrava trovare divertente la vena di sottile irritazione che accompagnava le risposte di lei.
«È una mia caratteristica imprescindibile, temo. Spero non costituisca un problema per il nostro rapporto.»
«Oh, no di certo. Anche perché non abbiamo un rapporto.»
«Non ancora, questo è ovvio. Ma non vedo alcun ostacolo nell’intraprenderlo da adesso, dico bene?»
Lily strinse le labbra, guardando il percorso lastricato dritto dinanzi a sé.
«Mi spiace contraddirla. La volontà è il presupposto fondamentale per iniziare una conoscenza e qualora questa manchi, come in tal caso, a una delle parti interessate, non può esserci alcun seguito.»
«Però, drastica.»
«Solo realista.»
«Mi piacciono le donne decise.»
«Buon per lei, James.»
«Mi piaci tu, signorina Evans
Lily trasalì, le narici dilatate. James Potter era diventato esattamente il ventenne che ci si sarebbe aspettati, date le premesse. Al di là dello smoking dal taglio pregiato, della sicurezza che ostentava — da buon rampollo di una delle più ricche famiglie londinesi — e dell’eccellente carriera universitaria che si accingeva ad intraprendere, gli occhi vispi dietro le lenti erano rimasti gli stessi di tanti anni prima: irriguardosi, arroganti e spudorati.
«Non rammento di averla autorizzata a darmi del ‘tu’» ribatté, sdegnosa.
«Questo è vero. Mi scuso se sono stato avventato, Miss» concesse James, senza tuttavia abbandonare la vena ironica.
«Scuse accettate.»
Camminarono per un tratto in silenzio. La fioca luce lunare accarezzava i profili delle colonnine del pergolato, conferendo al sentiero un’illuminazione soffusa e piacevole.
«Lily è un bel nome. Come il fiore, no?» disse James d’un tratto.
«Sì, rimanda esattamente al Lilium. Il fiore… » Lily esitò.
«Fiore dal profumo inebriante, il giglio. E nome più che calzante, direi» osservò James, avvicinandosi.
Lily avvertì una scia di brividini lungo la schiena scoperta.
«Mio nonno dice che il profumo del Lilium ha proprietà rilassanti» si trovò a dire, sorpresa da sé stessa.
«Sul serio? Dovrò procurarne parecchi vasi, allora, da disporre nella mia stanza. Di qui a poche settimane avrò assoluto bisogno di rilassarmi, dopo lo studio.»
Parlare di floricoltura con James Potter rientrava nella lista delle cose più inverosimili cui Lily riuscisse a pensare. Eppure stava accadendo.
«Oh, non bisogna esagerare. Quando il profumo diventa troppo intenso le proprietà benefiche vengono sprecate» spiegò, rammentando quanto suo nonno le aveva insegnato.
«Va preso a piccole dosi, insomma.»
«A piccole dosi.»
«E tu? Vai presa anche tu a piccole dosi, Lily?» sussurrò James, guardandola con intensità. Non era, però, la fanciullesca insistenza con cui l’aveva fissata da adolescente, quella volta nel patio. Sembrava, piuttosto, un sincero interesse, un vivo desiderio che Lily non aveva mai letto in altri occhi.
Seppe di arrossire e distolse lo sguardo.
«Comincia a far freddo, qui. Vorrei rientrare, James» annunciò, mettendo un punto a quell’argomento.
«Offrirti la giacca non servirebbe a convincerti a restare, giusto?»
«Giusto.»
Si incamminò verso l’edificio, precedendo James di qualche passo.
La sensazione del suo sguardo lungo la schiena scoperta non l’abbandonò per il resto della serata.

 

• ● •



«Ah, Miss Evans. Vorrei farle conoscere una persona, permette?»
Lily seguì il signor Potter verso il centro della sala, una volta rientrata.
Fu condotta a un tavolo appartato al quale sedevano alcune ragazze. Fu alla più graziosa di esse che il signor Potter si rivolse, accennando a Lily.
«Marlene, cara, vorrei presentarti Lily Evans. Scoprirete di avere qualcosa in comune» disse, enigmatico, lasciandola con la bionda Marlene.
«Ciao, Lily. È un piacere, ti va di sederti con noi?»
«Oh, sì, direi di sì. Grazie.»
L’imbarazzo e il senso di inadeguatezza, che Lily aveva temuto di provare in presenza di coetanee belle e ben vestite, si rivelarono paure infondate.
Marlene Mckinnon era la figlia di un amico di vecchia data dei Potter e, come Lily, avrebbe frequentato l’università di Cambridge. Non necessitava dell’ausilio di una borsa di studio, ovviamente, ma fu un aspetto che passò del tutto in secondo piano quando la ragazza cominciò a parlare. Era affabile, intelligente, del tutto priva di supponenza.
Quando si sentì dire che considerava adorabile il suo abito verde, Lily seppe di aver trovato una potenziale ottima amica.
 

 

• ● •



«Lily, cara. Ti sarai accorta che non fa che fissarti, no?»
«Scusa?»
«Quel ragazzo laggiù. Lo vedi? James Potter. È piuttosto insistente, anche.»
Lily sospirò, ma non represse un sorriso.
«James Potter. Sì, lo so.»
E raccontò a Marlene i brevi momenti in cui aveva avuto il piacere di conversare con James.
«Interessante» fu il commento ultimo di Marlene, che bevve d’un fiato il suo Merlot e sorrise criptica.
«Che vuoi dire?»
«Se c’è una cosa che ho imparato di James, in tutti questi anni, è che può essere ostinato come l’edera che si inerpica lungo un tronco, per continuare con le vostre metafore vegetali.»
«Non erano metafore. Parlavamo del Lilium, e—»
«Oh, Lily. Se ha parlato del tuo profumo è una cosa seria» scherzò Marlene, levando il calice. «Alla salute.»
 

 

• ● •



La sera trascorse veloce, il vino francese scivolò piacevolmente lungo la gola, le occhiate di James sfiorarono più e più volte il corpo di Lily.
Quando ritenne di essersi trattenuta a sufficienza, la ragazza si congedò da Marlene con la promessa di trovarsi a Cambridge di lì a pochi giorni e salutò il signor Potter, ringraziandolo per la serata e promettendo di recare al nonno i suoi saluti. Nell’uscire dal caldo salone, non le sfuggì lo sguardo deluso di James e così indugiò dinanzi all’ampia porta a vetri.
Quando non sperava più che lui la raggiungesse, ne avvertì il consueto tono ironico a pochi centimetri.
«Stavo cominciando a pensare che volessi andare via senza permettermi di salutarti» disse, raggiungendola.
«Stavo per farlo. Ma ho pensato che sarebbe stato scortese, dopotutto.»
«Certo. Specialmente se te ne fossi andata senza concedermi un ballo.»
«Un… no, non ballo, io—»
Ma James le aveva già circondato la vita con un braccio, mentre con l’altra mano sfiorava il suo palmo.  
«Balla con me, Lily.»
Il tono non fu perentorio, ma Lily non riuscì comunque a trovare alcunché da replicare.
La musica era suadente, un soffio di note sussurrate e avvolgenti che si susseguivano creando una melodia armoniosa e imprevedibile.
«Amo il jazz» disse James, mostrando la sua abilità nelle movenze leggere con cui conduceva Lily, con una naturalezza invidiabile.
«Trascinante, mai banale, articolato, così sorprendente… quando pensi di poter indovinare il seguito della melodia, ti ritrovi a meravigliarti per un inatteso virtuosismo.»
Parlava sottovoce, come rapito, senza per questo perdere il controllo sui passi né il contatto con gli occhi di Lily.
«Non ti facevo così amante della musica. È molto bello.»
«Suono il piano. È una cosa che mi fa sentire invincibile… infinito. Fino a ieri era l’unica cosa, ma poi… poi ho visto te. Voglio vederti ancora, Lily» bisbigliò, carezzandole la guancia.
E Lily si sentì annuire, catturata da quell’assolo imponderabile che era James.
 

 

• ● •



«Quando parti?»
«Tra due giorni.»
Faceva freddo, quella sera, e scovare una scusa plausibile per uscire senza dare tante spiegazioni ai nonni era stato piuttosto arduo. Aveva inventato un appuntamento con Claire, una vecchia amica da salutare prima della partenza per Cambridge. Il nonno non aveva fatto altre domande, mentre per ingannare la signora Evans, Lily ne era conscia, non era bastata quella motivazione banale. Claire non era a Londra, quell’estate, Lily sapeva che la nonna sapeva. Eppure non aveva dovuto aggiungere altro. Era uscita presto, prima del tramonto, assicurando di rientrare per cena.
«Due giorni, troppo pochi per farti innamorare, ma sufficienti a rendermi indimenticabile per te» sospirò James, spegnendo la sigaretta contro un muretto di mattoni.
«Sei così convinto delle tue potenzialità?»
Lily rise, stringendosi nella sua giacca in tweed, che questa volta aveva accettato per proteggersi dal vento. Aveva un profumo intenso, come di tabacco e cannella.
«E sono ancora più convinto delle tue debolezze.»
«Impertinente! Quali sarebbero?»
«Be’, tanto per cominciare i ragazzi affascinanti che si chiamano James Potter» disse lui, cingendole la schiena con un braccio.
«Superbo e vanesio, anche.»
«Terribilmente, confesso.»
«Non so come faccia a star qui con te.»
«Deve valerne la pena, altrimenti non avresti mentito ai tuoi nonni. Già mi vedo il signor Evans, minaccioso con le sue forbici da potatura… »
«Oh, sì. Il nonno potrebbe essere pericoloso, soprattutto se gli spifferassi che eri tu l’artefice di tutti i misfatti a danno delle sue piante.»
«Crudele. No, non glielo dirai, Lily.»
«Cosa te lo fa pensare?»
«Non posso dirtelo.»
«E perché, sentiamo?»
Lily si era voltata verso di lui — riusciva a riflettersi nelle sue lenti.
«Perché se te lo dicessi dovrei ucciderti.»
«Ma io voglio saperlo!» protestò, divertita.
«Va bene, allora. Ma devi chiudere gli occhi» stabilì James, abbassandole le palpebre con i pollici.
«Ma… no, così non—»
«Fidati.»
Lily sbuffò, ma smise di lamentarsi e attese in silenzio e col cuore in gola.
«Rimani così, per favore.»
«Sì, ma sbrigati…»
Qualche istante dopo, la voce di James provenne da un punto imprecisato e pericolosamente vicino al suo viso.
«Quella volta nel patio, ricordi? Non l’ho mai dimenticata. Sono passati non so quanti anni, ma quel pomeriggio d’estate una parte remota del mio cuore», e Lily sentì le dita di James sfiorarle il petto, «decise che, semmai ti avessi rivista da grande, ti avrei baciata fino a toglierti il respiro.»
E lo fece.
Lily spalancò gli occhi solo per vedere le lunghe ciglia nere di James che le solleticavano gli zigomi e, quando li richiuse, le sue labbra la baciarono dolcemente.
 

 

• ● •



«Ti scriverò ogni settimana, Lily.»
«Aspetterò ogni giorno una tua lettera.»
«Non ti scordar di me.»
«È un fiore.»
«E una preghiera. Non dimenticarmi.»
«Non potrei neppure volendo.»
«Non volerlo.»
Il ricordo del bacio che seguì fu custodito da Lily nei mesi a seguire come il più prezioso dei tesori, nei cassetti più intimi dell’anima.
 
 

• ● •

 

Cambridge University, Novembre 1950

 
 
James mantenne la promessa.
Ogni sabato pomeriggio, al medesimo orario, Lily riceveva una lettera o una cartolina da Oxford. L’attendeva con trepidazione e si ritagliava dieci minuti per leggerla e rileggerla fino a impararne il testo a memoria. Marlene sorrideva, dal suo angolo, sentenziando che era irrimediabilmente innamorata e Lily negava, celando il rossore dietro una pila di libri.
Così trascorsero i mesi, intervallati da frequenti contatti con i nonni e appassionate missive di James, alle quali Lily rispondeva con entusiasmo.
Si raccontarono molto della loro vita, delle giornate all’università, delle lezioni. Poi fu la volta del passato, e lei trovò il coraggio di confidargli di quanto dolore la guerra avesse appesantito il suo cuore. James si mostrò confortante, ma anche agguerrito nei confronti della crudeltà che aveva tinto quel secolo del rosso sangue di troppi innocenti.
Si scrivevano anche di letteratura, musica, teatro, scambiando opinioni su questo o quell’artista. James prese ad apostrofarla ogni volta col nome di un fiore diverso, alludendo ai significati più disparati, senza tuttavia padroneggiare a sufficienza il linguaggio dei fiori, diversamente da Lily.
Così, ad esempio, l’affetto nascente simboleggiato dal geranio rosa fu soppiantato dall’offensiva indifferenza del gladiolo, che suscitò una certa perplessità in Lily.
 

“Mio piccolo Gladiolo,
penso a te più spesso di quanto credessi possibile.
Spero di vederti per Natale.
Tuo, J. C. P.”

 
Dopo una consultazione con Marlene, fu chiaro che James avesse involontariamente confuso i due fiori, e la risposta di Lily fu ironica quanto divertita.
 

“Mio tenero Narciso,
temo che tu abbia sbagliato pianta.
Ma ti invio lo stesso un petalo di anemone, col mio perdono.
L. E.”

 
 

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Periferia di Londra, Dicembre 1950

 
 
Durante le vacanze di Natale James non tornò a Londra.
Lily affogò la delusione nello studio e nelle crostate ai mirtilli di sua nonna, augurandosi che le previsioni di Marlene non si fossero avverate.
“Se ti innamorerai di Potter non avrai scampo, mia cara.”
 
 

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Da James Charlus Potter a Lily Evans, tardo Gennaio 1951

 
 

“Mio dolcissimo Lilium,
il mio cuore lacrima per la tua mancanza. Ho desiderato ardentemente di poter trascorrere con te giorni felici a Londra, ma sono sopraggiunti degli impedimenti. Conto di risolverli il prima possibile, così da poterti rivedere almeno per le festività pasquali. Desidero stringerti e baciare le tue labbra, non chiedo altro. Ho davvero acquistato un vaso di gigli, sai? Il mio compagno di stanza ha tentato di fare storie, ma gli ho spiegato che ho bisogno di quel profumo per rilassarmi. La verità è che mi aiuta a sentirti più vicina. Ho bisogno di te, in dosi tutt’altro che ridotte.Voglio inebriarmi di te.
Con paziente tenacia,
la tua Edera.”
 

 

• ● •

 

Cambridge University, Marzo 1951

 
 
Un martedì pomeriggio, Lily Evans fu convocata nell’ufficio del Prof. Smith con una certa urgenza. Quando chiese cosa fosse accaduto, già lievemente in ansia, l’uomo le disse di tranquillizzarsi, ché si trattava di una semplice telefonata interurbana. Le indicò il telefono a muro con la cornetta sollevata e uscì dalla stanza, ricordandole di non trattenersi oltre i dieci minuti.
«Pronto? Chi parla?» domandò titubante, afferrando la cornetta.
La voce metallica all’altro capo del filo non lasciò dubbi.
«Lily! Lily, sono James, mi senti?»
«James! James, sì, sì, ti sento. Come stai? Perché questa telefonata?»
«Sta’ a sentire, Lily, non ho molto tempo. Sono riuscito a chiamare di soppiatto dall’ufficio di un docente, dovevo sentire la tua voce. Mi manchi!»
«A-anche tu, ma stai bene? Perché non hai scritto, questa settimana?»
«Okay, Lily. Non è una bella notizia, ma devo dartela. Ricordi quando, dopo Natale, ti scrissi di quegli impedimenti? Bene, a quanto pare ho bisogno di più tempo per risolverli, e di molta più pazienza. Ma ce la farò, maledizione, io—»
«Non capisco, James. Di che parli?»
Dalla cornetta si udì un lungo sospiro.
«Non ho ben capito come, ma i miei sono stati informati delle lettere che settimanalmente spedivo a Cambridge. E sono arrivati a te, al nostro rapporto. Per questo a Natale mi hanno impedito di tornare a casa, non vogliono che ci vediamo.»
James aveva parlato in fretta, senza tuttavia tradire la tensione.
«Non è colpa tua, Lily. Tu non c’entri. Sono loro che si illudono di poter programmare la mia vita, di poter scegliere quale stupida ereditiera appiopparmi. Prima Oxford, ora questo. Ma non gliela darò vinta, troverò il modo di vederti, te lo prometto.»
«Cosa? Io— io credevo di piacere a tuo padre…»
«Non è così semplice, purtroppo. Ha saputo che… dannazione, mi vergogno per lui. Ha saputo che tua madre era ebrea e ha detto che no, non ha nulla contro gli ebrei, ma proprio non può lasciare che suo figlio corra rischi in futuro, visto cosa è accaduto in passato.»
Lily tacque, disorientata.
«Lily. Tu  devi dirmi solo una cosa: credi di potermi aspettare? Dimmi di sì, ti prego. Dimmi di sì e tornerò sempre da te.»
«James, ma—»
«Dimmi di sì.»
«Va bene. Va bene, io… ti aspetterò.»
 
 

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Periferia di Londra, Giugno 1951

 
 
«Ha davvero detto così?»
«Davvero, sì.»
«Oh, ripetilo!»
«Dovrei lasciarti fare il musicista squattrinato, forse? Per l’amor del cielo, ragazzo!» esclamò James ancora una volta, scimmiottando suo padre.
«E tu?» chiese Lily, divertita.
«E io gli ho detto che non aveva scelta, che suo figlio sarebbe diventato o un musicista vagabondo e squattrinato, o uno studente modello ma con la ragazza scelta da lui.»
«Anche se questa ragazza ha origini ebree?» domandò Lily, rabbuiandosi.
«Lily, “ebreo” non è una parolaccia. La guerra è finita e tutte queste idiozie non hanno più alcun significato —non ne hanno mai avuto, per me. Io voglio stare con te.»
«E hai praticamente ricattato tuo padre.»
«Ha funzionato, però. Papà non poteva perdere il suo unico erede, è stato un colpo da maestro!»
«Vergognosamente vanesio, questo maestro…»
«Vergognosamente innamorato.»
«Solo vergognosamente?»
«Oh, anche disgustosamente, pazzamente, incondizionatamente—»
«Va bene, va bene, il concetto è chiaro. E quindi?»
«E quindi adesso vieni qui, mia adorata rosa rossa. E lasciati amare.»
 

• ● •  

 
 
Gocce di sudore imperlavano la schiena della ragazza dai capelli rossi, rendendola lucente e scivolosa sotto i polpastrelli. James la accarezzava senza posa dalla nuca alle natiche fresche, che lei sollevava e abbassava seguendo docile il ritmo cui lui l’aveva iniziata.
Le tende della stanza rendevano ovattata la luce che filtrava dalle finestre aperte, le lenzuola erano un ammasso informe che pendeva sul pavimento.
Nell’aria si spandeva a poco a poco il profumo dei gigli freschi posti sul davanzale e le note di una languida melodia si propagavano dal grammofono.
«Se mi chiedessero dove desidererei essere in questo momento, risponderei “nient’altro che qui”» sussurrò Lily, baciando un orecchio di James.
«Nient’altro che qui, sotto di te» precisò lui, malizioso.
«Sei—»
«Il tuo unico amore, lo so.»
E Lily gli morse il collo, sorridendogli contro la pelle.
«Sei la mia musica.»
«Se continui così, Lil, dovremo parlare molto presto di fiori d’arancio.»
La strinse al petto dolcemente, sfiorandole con le labbra il naso lentigginoso.
I loro corpi nudi erano un intreccio di vivida bellezza baciata dal vento estivo. 



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Note notevoli (?) 

Salve a tutti! Come va? 
Comincio col dirvi che sicuramente dimenticherò qualcosa, il che non è molto rassicurante. Ma proverò a dire tutto quello che devo dire. Allora. 

1. Questa storia nasce nella notte dei tempi (no, non è vero, ma comunque parecchio tempo fa) e oggi ha finalmente trovato la luce. 
Il mio intento era di pubblicarla in occasione della speciale ricorrenza del COMPLEANNO del mio amato JAMES POTTER, che cade il 27 Marzo. Tra tre giorni, dunque, ma mi sono anticipata. Insomma, una volta tanto che riesco a portare a termine qualcosa prima della scadenza, tanto vale pubblicarla. u.u 

2. Ovviamente, la stesura di questa OS prescinde da quella della long "Come cadere", ma, altrettanto ovviamente per me, mi ha sottratto il già esiguo tempo che avevo per aggiornare il sesto capitolo. Morale della favola: per la long dovrete pazientare più del solito, ma spero che questa vi sia gradita, durante l'attesa. 

3. Riferendomi alla trama di questa storia, vi informo semplicemente che, nell'immaginare un Universo Alternativo in cui ambientarla ho pensato all'Inghilterra del dopoguerra. Non è un paese razzista, tutt'altro, ma piuttosto conservatore. Ecco il perché dell'atteggiamento del padre di James. 

4. Quanto alle origini di Lily, ho immaginato che suo padre -figlio dei nonni con i quali lei attualmente vive- fosse un medico inglese e sua madre una giovane ebrea. I due si innamorarono e si trasferirono in Belgio, dove ebbero due figlie, una delle quali venne deportata poi insieme alla madre di Lily. Il padre venne catturato dai nazisti perché aiutava ebrei e altri perseguitati. (Che allegria, lo so... .-.) 
Lily si salvò grazie all'aiuto di alcuni inglesi che le fornirono un passaporto falso e la condussero dagli unici parenti in vita che avesse: i nonni Evans. Il nonno, in particolare, è il decennale giardiniere di fiducia del club e vive da sempre nella depandance con sua moglie. 

5. I riferimenti ai significati dei fiori sono stati tratti da qui: http://www.significatodeifiori.com/ 

6. E' probabile che, inconsciamente, questa storia risenta dell'influsso di un'opera che ho amato molto, "Espiazione" di Ian McEwan. 
Ed è altrettanto probabile, considerato che ne leggo a iosa con crescente ammirazione e amore, che risenta anche dell'influsso di alcune opere di una delle mie fanwriter di riferimento: 
Roxar, la "signora delle Jily". 

7. Nulla, io sono sempre convinta di aver dimenticato qualcosa. Spero che questa storia vi piaccia e mi auguro che vogliate lasciarmi un parere. Di qualunque genere esso sia, è assolutamente gradito. 

Ora scappo! 
Alla prossima. 

Sempre vostra, 
Libra. 

   
 
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