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Autore: Wake Me Up Inside    25/03/2013    2 recensioni
Una protagonista senza nome. Unghie che graffiano sul legno. Dei piedi senza padrone.
Una ragazza misteriosa senza tempo, senza dimensione. Eleonora.
E una sola frase in grado di fermare l'oscurità:
"Io non dimentico."
Genere: Dark | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Unghie che graffiano sul legno.
Ho mal di testa.
Colpi forti, che fanno vibrare la terra intorno.
Le mie tempie incandescenti.
Gridi. Un grido straziante, animale. Inumano. Nessuno ti sente, nessuno ti libera, le tue dita cominciano a sanguinare.
Sono stanca, questo mal di testa è insopportabile; vado a stendermi sul letto.
Il verso di un corvo che sparisce fra le nuvole.
Piedi che corrono. Sono piedi nudi, volano sull’asfalto. A volte le macchine sfiorano quei piedi; allora i conducenti gridano, e scivolano giù per il dirupo.
E i piedi riprendono a correre.
Finalmente mi addormento, l’eco di passi nella testa.
I piedi corrono ancora, ma questa volta hanno i palazzi intorno: gente, luci, negozi. Tutto ciò li disgusta. Corrono via.
Un uomo li pesta per sbaglio. Alzando lo sguardo sul loro proprietario, il suo viso si trasforma in una maschera d’orrore e si perde nell’aria, e un attimo dopo la strada è libera, i piedi volano via.
Altre strade, altra gente.
Entrano in un negozio; tutti alzano lo sguardo, si immobilizzano, le luci si fulminano. Si ferma il tempo.
Mi sveglio di colpo.
I talloni sbattono sull’asfalto, la terra vibra al loro passaggio.
Il mio respiro spezzato. Sono veloce, ma non abbastanza; il pavimento freddo mi gela fin nelle ossa. Il corridoio buio che dovrebbe essermi familiare si estende all’infinito, l’oscurità lo divora. Non arriverò mai.
Sono persa.
I piedi avanzano alla cieca, portano con sé un soffio d’inferno. Bloccano il tempo.
Sbatto contro il muro, ma so che non sono ancora arrivata. Mi volto e tasto : pareti, solo pareti. Sono in trappola.
Una mano gelida mi afferra, le dita scheletriche si chiudono sul mio polso; il vento, un vento fortissimo gioca con i miei capelli, sussurrandomi parole arcane.
Chiudo gli occhi per un istante, la presa sul mio polso si fa più forte, polverizzandomi le ossa.
Cado. Sento che sto cadendo all’infinito, eppure non ho paura. Una strana pace mi riempie il cuore, una pace inquietante, falsa: so che non è finita, che mi aspettano altri orrori, altre angosce, ma mi aggrappo a quella sensazione effimera.
E intanto cado.
-Adesso sai cosa si prova.- mi soffia sul viso una voce d’argento.
Apro gli occhi di scatto.
L’erba bagnata su cui sono stesa mi solletica la pelle, gli alberi secolarismi coprono con le loro ombre; è una notte senza luna né stelle, ma c’è una luce fioca, fredda, che sembra scaturire direttamente dal terreno.
Alzo lo sguardo e incrocio i tuoi occhi neri di carboni ardenti, precipito in essi in un attimo di eternità; la tua figura alta sembra erigersi fino a toccare il cielo, il tuo viso candido sostituto della luna, i capelli di notte cadono giù in una cascata fino a sfiorarmi la pelle.
Sei esattamente come ti immaginavo; eppure c’è qualcosa di strano nel luccichio sinistro del fuoco nei tuoi occhi, nella piega delle labbra di velluto, anche nel vestito vittoriano che indossi, così fuori posto. E ancor più fuori posto sono le chiazze rosso scuro che ne imbrattano la preziosa stoffa bianca, il rivolo del medesimo, crudele colore che lascia pigramente la tua bocca.
Non sei più tu.
-Non hai mai saputo chi fossi.-sibili ancora, e la tua voce rimbomba tutto intorno, impregnando il terreno con il suo suono sadicamente angelico.
-Forse è vero – rispondo, fissando dritto il fondo dei tuoi occhi,- ma io mi ricordo di te.
Un lampo squarcia il cielo, inizia a piovere; dapprima una pioggerella leggera, che si fa via via più fitta, inzuppando i miei capelli, il tuo vestito bianco. Il tuo sguardo è ancora più crudele ora, di una crudeltà metallica; cadi in ginocchio accanto a me, stringi la mia gola con entrambe le piccole mani.
-Non ho dimenticato, Eleonora.- dico con il poco fiato che mi è rimasto.
Ridi, una risata argentina ma sadica. Vuota.
Un’improvvisa, immensa luce mi acceca: è bianchissima, e sembra scaturire direttamente dalla tua figura.
Faccio appena in tempo a notare questo strano fenomeno, prima che il buio scivoli su di me, inghiottendomi.
 
C’è luce. E bianco. E silenzio.
Sono seduta accanto alla tua lapide con dei gigli bianchi in mano, e guardo la tua foto.
Sei bella, e ridi; ridono anche i tuoi occhi limpidi come l’acqua, fanno male al cuore. Ma noto che, a partire dalle tue spalle, qualcosa di bianco oscura tutto lo sfondo:sembrano ali, ali piumate.
Tocco con le dita il vetro freddo che protegge la foto.
-Io ricordo tutto, Eleonora. Ricorderò sempre.- sussurro.
Un corvo nero, lucente, si posa sulla lapide, cantando come un usignolo.
E io non mi accordo che dagli occhi liquidi della foto si staccano due lacrime reali.
 
 
Ciaaao gente!
Intanto precisiamo  che sono in ritardo clamoroso,
questa storia doveva essere per il 9 marzo...
e che l’ho messa fra gli horror, ma non penso che lo sia,
in realtà. Era solo un esperimento.
Un esperimento dedicato ad un angelo.

  
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