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Autore: Sisthra    25/03/2013    1 recensioni
L'uomo nero non esiste, come tutti gli altri mostri. E' una cosa che tutti i bambini imparano, prima o poi.
Cosa fare quindi quando ci appaiono vivi e reali nella nostra vita di ormai adulti?
(Missing Moment sugli eventi immediatamente precedenti al primo Assassin's Creed.)
Genere: Angst, Introspettivo, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Desmond Miles
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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- Fai il bravo, altrimenti viene l'uomo nero e ti porta via.-
Era una delle frasi più comuni usate dai genitori per far stare buoni i loro figli, eppure Desmond non l'aveva mai sentita; non da suo padre, almeno.
- Mamma, chi è l'uomo nero?- ricordava di averlo chiesto quando aveva forse quattro o cinque anni, dopo aver sentito quella frase da uno degli altri bambini alla Fattoria. Sua madre  aveva riso.
- Non aver paura Desmond, l'uomo nero non esiste.- gli aveva risposto.
- E allora perchè gli altri adulti ne parlano sempre?-
- E' solo un modo per far spaventare i bambini quando non vogliono ascoltare i loro genitori.-
Sua madre lo aveva abbracciato, baciandolo sulla fronte.
- Tu hai sempre fatto il bravo, perciò non te lo abbiamo mai detto.- di colpo lo aveva stretto a sè, con forza, quasi a voler impedire a qualche invisibile aggressore di strapparglielo via.
- Nessuno ti porterà via. Nessuno.- aveva concluso, a bassa voce. Desmond era rimasto in silenzio, non capendo il tono improvvisamente serio della madre: aveva appena detto che l'uomo nero non esisteva, di chi avrebbe dovuto avere paura?

C'era anche un'altra parola che Desmond sentiva spesso alla Fattoria, una parola che stavolta sembrava preoccupare più gli adulti che i bambini: "Abstergo".
Nonostante fossero una trentina scarsa di persone, c'era sempre qualcuno alla Fattoria che parlava dell'Abstergo, e quando poco dopo aveva imparato a leggere, aveva trovato la parola scritta sulla loro cassetta del pronto soccorso. La scoperta lo aveva confuso: era di questo che avevano paura gli adulti?

- Impegnati, Desmond!- la voce irata di suo padre lo raggiunse mentre cadeva rovinosamente a terra dall'albero sul quale avrebbe dovuto arrampicarsi. Desmond, dodici anni, si rialzò cercando di prendere fiato.
- Io... io ci provo.- rispose, posando una mano sul tronco dell'albero per sorreggersi. Alle orecchie gli arrivò il sospiro spazientito del padre.
- Invece non ci provi affatto, Desmond. Lo vedo che non ti impegni.-
William Miles lo squadrò, le mani sui fianchi.
- Perchè non prendi l'allenamento sul serio come gli altri ragazzi, Desmond? E' per il tuo bene, lo sai. Riprova. -
Desmond inspirò.
- No.- disse, stringendo i pugni.
- Che cosa hai detto?- suo padre abbassò la voce, poco più di un calmo sussurro, ma chiarissima al ragazzo che aveva imparato da tempo ad associare quell'apparente calma con la collera del genitore. La calma prima della tempesta.
- Ho detto che non voglio.- ripetè. Era la prima volta che rifiutava.
- Pensi che tutto questo sia un'esagerazione?- la voce del padre esplose dopo un breve, ma intenso, istante di silenzio.
- Pensi che viviamo nascosti e isolati dal resto del mondo per divertimento? Questo non è un gioco, Desmond!- Il viso di William Miles era contratto in una smorfia di rabbia, rabbia e frustrazione per quel figlio che non voleva saperne di capire, di accettare la verità.
- Non capisci? Se i Templari...-
- I Templari!- sbottò Desmond, senza riuscire a trattenere una risata.
- Parli sempre dei Templari, ma non è mai successo niente...-
- E lo sai perchè?- William lo interruppe di nuovo, alzando la voce e stringendo i pugni. Desmond si ritrasse leggermente dalla figura paterna: suo padre non lo aveva mai picchiato, ma quando era arrabbiato Desmond non poteva mai escludere che non lo avrebbe fatto.
- Perchè ci sono altri là fuori che rischiano la vita per sviare i sospetti e far perdere le nostre tracce!-
Desmond scosse la testa alla sfuriata del padre, lo sguardo basso; aveva sentito quelle parole decine di volte, per lui avevano ormai perso qualsiasi significato... un attimo dopo però, William lo sorprese posandogli una mano sulla spalla.
- Desmond, ascoltami. Per una volta.-
Con una smorfia, il ragazzo obbedì, alzando lo sguardo e fissandolo in quello del padre.
- Se ci scoprono, se un giorno per un malaugurato errore dovessero attaccarci... devi essere pronto, Desmond. Loro non si fermeranno solo perchè sei un bambino. Devi essere pronto a scappare, a lottare per salvarti la vita.- il tono del padre era insolitamente calmo, preoccupato, più una leggera sfumatura di qualcosa che Desmond non riuscì a identificare.
- Perciò promettimi Desmond, che qualsiasi cosa accadrà tu farai esattamente ciò che ti dico... d'accordo?-
Il ragazzo deglutì e abbassò lo sguardo. Avrebbe voluto credere a quelle parole, avrebbe voluto farlo con tutto sé stesso, perchè suo padre suonava davvero preoccupato, eppure... non ci riuscì. Per quanto a volte si sforzasse, ormai non riusciva più a prenderlo sul serio.
- Va bene.- mormorò, a capo chino. Il padre sorrise incerto, consapevole come lui di quanto poco valesse quella promessa.
- Bravo. Ricominciamo, forza.-

 Aveva deciso d'impulso, anche perchè, sinceramente, non si aspettava che il suo piano funzionasse. A notte fonda aveva scavalcato la cancellata e si era tuffato verso la macchia di alberi che circondavano la Fattoria. A quel punto aveva semplicemente iniziato a correre alla cieca, spinto da un misto di esaltazione e dalla paura di venire riacciuffato.
- Desmond! Desmond, torna indietro!- aveva sentito la supplica quasi disperata di sua madre e aveva accellerato il passo, rifiutandosi di voltarsi a guardare anche solo un attimo per paura di vedere le luci accese e la figura della madre stagliata sulla porta, i capelli scompigliati e lo sguardo orripilato di un genitore che vede il figlio fuggire di casa.
No, doveva solo continuare a correre e tutto sarebbe andato bene; finchè non si fermava, finchè il rumore dei passi, dei rami spezzati e delle foglie secche copriva quello delle grida che ancora sentiva risuonare non avrebbe dovuto preoccuparsi. Non era eccezionalmente veloce, ma aveva una grande resistenza, dote che suo padre aveva cercato di fargli sviluppare facendolo correre per più di due ore al giorno da quando aveva 5 anni. Ora che finalmente quell'addestramento che aveva preso a odiare fin dalla tenera età gli tornava utile, Desmond sorrise all'ironia della situazione; il sorriso si trasformò in una risata sguaiata alla sensazione di inebriante libertà quando si rese conto che le voci alle sue spalle erano cessate. Orano c'erano solo lui e la foresta.

- Ehi Desmond! Come si chiama quel drink che mi hai fatto l'altra volta?-
- Sharley Templar.-
- Sharley Templar? E cosa ci hai messo?-
- Il solito, più un po' di gin.-
- Era spettacolare! Daccene quattro!-
Desmond sorrise mentre si chinava a prendere lo shaker da dietro il bancone. Gliene avevano messo in mano uno dal primo giorno di lavoro, e aveva imparato a usarlo piuttosto in fretta. Dopo due anni che lavorava lì, aveva ormai imparato anche tutti i piccoli trucchetti e acrobazie con l'oggetto, che lo avevano reso piuttosto popolare al locale: spesso i clienti chiedevano che fosse espressamente lui a preparare loro i drink, e se era di turno solo nelle ore più tarde, alcuni di loro preferivano addirittura aspettare che arrivasse prima di ordinare. Si era fatto un cerchio di conoscenze piuttosto ampio in quei nove anni, ma nessun amico. Per quanto cercasse di convincersene, sapeva che nessuno dei clienti abituali del bar poteva essere definito "amico".
- Ehi  Des, noi andiamo un party. Il tuo turno è quasi finito, no? Ti unisci a noi?-
Ci pensò su un attimo, poi scosse la testa.
- Nah, non mi va di uscire stasera.- rispose, afferrando uno strofinaccio ed iniziando a pulire il bancone.
- La verità è che hai paura di fare una figuraccia mentre balli come è successo l'altra volta, eh? Ok, ok, ti capisco... ci si vede, amico.-
Salutò con un cenno il rumoroso gruppo che uscì dal bar lasciandolo nel silenzio più assoluto, poi riprese a pulire il bancone. Alzò lo sguardo per la seconda volta in pochi secondi quando udì aprirsi la porta.
- Siamo chiusi.- annunciò, secco: il suo turno era finito, se qualcuno entrava mentre era impegnato a pulire non era tenuto a servirlo.
- ... lei è il signor Miles?- chiese una delle due figure entrate: indossavano entrambi lo stesso giubbotto blu scuro e cappelli con la visiera;  scrutandoli per un istante si sentì improvvisamente a disagio, pur senza riuscire a spiegarsi il perchè, oltre al fatto che i due sembravano conoscerlo.
- ... nel caso lo fossi?- chiese, lentamente, passando lo sguardo dall'uno all'altro. Uno dei due uomini alzò appena la visiera del cappello, lanciandogli un'occhiata affatto divertita.
- Desmond Miles?- chiese solo, per avere conferma. L'inquietudine aumentò. Lo stavano cercando, lo conoscevano. Ma chi poteva essere interessato a lui?
- Cosa volete da me?- chiese, uscendo da dietro il bancone. I due lo precedettero e si spostarono davanti alla porta, bloccandogli la via di fuga.
- Dovrebbe essere così gentile da seguirci, signor Miles.- l'agente infilò una mano nella tasca interna del giubbotto, e fu in quel momento che notò il marchio stampato in bianco sulla manica. Tre trapezi disposti a formare un triangolo bianco e, sotto, la scritta "Abstergo."
Rimase a fissarla, impietrito. Non poteva essere. Doveva essere un caso. Non potevano essere sulle sue tracce per quello... l'Abstergo era una ditta farmaceutica, per l'amor del cielo, le ditte farmaceutiche non pedinavano le persone per poi... per poi cosa? Cosa gli avrebbero fatto?
"Loro non si fermeranno solo perchè sei un bambino."
Scattò quasi senza rendersene conto, rifilando una spallata all'agente davanti a lui e lanciandosi verso la porta: l'importante era uscire, e una volta fuori, fare quello che gli riusciva meglio, correre...
La convinzione di potercela fare durò meno di un istante, quando il secondo agente gli sferrò un colpo alla mascella con il calcio della pistola estratta dalla giacca.
Cadde a terra bocconi, troppo stordito per reagire. Quando lo tirarono in piedi a forza riuscì a riscuotersi abbastanza da agitarsi debolmente, ma un pugno allo stomaco lo fece desistere. Rimase inerte, senza fiato, mentre lo bendavano e trascinavano verso una macchina parcheggiata davanti al locale. Non riuscì a muoversi nemmeno quando lo spinsero rudemente sul sedile posteriore, dove atterrò di faccia. Rimase immobile anche quando la macchina si mise in moto, nelle narici l'odore intenso di polvere tipico delle macchine vecchie.
Da piccolo non aveva mai avuto paura dell'uomo nero di cui tanto parlavano gli altri bambini. Sua madre gli aveva detto che era una finzione e la storia era finita lì. Suo padre invece, per tutti quegli anni, aveva cercato di metterlo in guardia contro altri mostri. Non si nascondevano sotto il letto, tantomeno nell'armadio, non avevano occhi rossi o lingue biforcute. Erano antichi e potenti e si nascondevano ovunque, proprio come gli aveva sempre detto suo padre. Ma Desmond non gli aveva mai prestato ascolto.
E ora, per punizione, i mostri lo avevano portato via.

"La prossima fic che scrivo sarà sugli antenati, sì."
...
LOL, nope.  :°D
L'idea di una fic sul momento in cui Desmond viene catturato dall'Abstergo mi è venuta a notte fonda qualche giorno(notte?) fa. L'idea includeva anche il motivo per cui ho deciso di inserire tutta la storiella dell'uomo nero, ma non lo ricordo. Avevo sonno, pazienza. xD
E fu così che Desmond venne catturato dall'Abstergo  perchè non sapeva ballare. ù___ù
   
 
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