01. Coltello |
02. Corda |
03.
Veleno |
04.
Pistola |
05.
Fuoco |
06.
Vetro |
07.
Medicine |
08.
Rasoio |
09.
Posacenere |
10.
Cuscino |
COMPLETATE: 0/10 |
Capitolo
1 Suicidi
01.
Coltello
Le
nuvole candide
solcavano il cielo azzurro, sopra la serie di lapidi. Le fotografie di
Bulma,
Vegeta, Gohan e degli altri eroi erano più o meno
ingiallite. Le lapidi erano
ingrigite, solo una, più vicina alla casetta a forma di
cupola, era ancora
candida.
Davanti
ad essa stava
una figura femminile ingobbita.
Pan
sollevò il coltello
da cucina, guardando la propria immagine riflessa nella lama liscia, e
sorrise.
Si allontanò una ciocca di capelli ingrigita da davanti al
viso e unì le
ginocchia. Sollevò la testa, segnata da delle rughe
profonde, e accarezzò la
lapide bianca. Le sue labbra sottili tremavano, lasciando scoperti i
denti
ormai irregolari.
“Ho
sbagliato a farti
allenare, del mio nonnino avevi solo il nome nipotino mio”
sussurrò. Sollevò la
mano e accarezzò la scritta incisa nel marmo:
‘Goku jr.’.
Strinse
l’elsa di legno del
coltello con entrambe le mani, fino a far sbiancare le nocche delle
mani
ossute, dalla pelle ingiallita segnata da macchie nere.
“Questa
volta non sarò
io a seppellire un altro caro” disse con voce stanca. Si
conficcò il pugnale
nella gola, incidendo la pelle, il sangue schizzò sulla
lapide e sporcò il
vetro sopra la fotografia. Coprendo la figura sorridente del bambino e
gocciolando sulla superficie candida.
Il
corpo di Pan cadde
nell’erba umida e il coltello, sporco di sangue, rimase
abbandonato nella mano
aperta della donna.
02. Corda
Yamcha
si sporse sulle
punte dei piedi e appoggiò la mazza da baseball
nell’ultimo ripiano dello
scaffale di legno, accanto alla fotografia ingiallita di Pual, intento
a
sorridere con gli occhi chiusi.
Il
terrestre si grattò
la guancia, si passò il polpastrello sulla macchia nera
sotto le rughe intorno
agli occhi, il suo viso invecchiato era ingrigito. Si sfilò
il cappellino e
rimise i talloni a terra. Si voltò e fece un paio di passi,
lanciò il copricapo
sul tavolo, sopra il giornale. Quest’ultimo era ingiallito
dal tempo,
spiegazzato, nella prima pagina riportava la foto di un giovane Yamcha
con la
coppa di baseball tra le mani e la sua squadra festante alle spalle.
Yamcha
raggiunse lo
specchio e lo raddrizzò, sporcando di lunghe strisce nere il
muro, si allontanò
un paio di ciocche bianche da davanti al viso. Sentì dei
tonfi, delle sirene e
sorrise.
Le
luci blu delle
macchine della polizia si rifletterono sui vetri del suo appartamento.
“Per
un po’ di conti non
pagati la fanno davvero tragica, in fondo un tempo ho salvato questo
pianeta”
biascicò Yamcha. Si leccò le labbra, sentendole
secche e si girò. Salì sulla
sedia, afferrò i lembi della corda e infilò la
testa nel cappio. Spinse la
sedia e la fece cadere a terra con un tonfo, l’osso del collo
si spezzò di
netto, mentre la corda si stringeva intorno a lui.
La
sua ombra appesa,
leggermente intenta ad ondeggiare, si allungava sulla parete illuminata
dalle
luci blu.
03.
Veleno
C18
si appoggiò alla
parete rosa della Kame-house e chiuse gli occhi. Si
allontanò un ciuffo di
capelli biondi da davanti agli occhi, le sue iridi azzurre brillarono
glaciali.
Avvertì una serie di fitte al petto, infilò la
mano sotto la casacca e ne estrasse
una fiala.
“Quindi
se bevo questa sostanza risulterà del veleno per
me?” domandò C18. Piegò di
lato la fiala e guardò il liquido azzurrognolo,
batté un paio di volte le
palpebre e si girò verso Bulma.
“Sì,
sta attenta” le rispose la scienziata.
C18
stappò la fiala e se
la avvicinò alle labbra, annusò e
soffiò. Sentì le narici bruciare e chiuse gli
occhi.
“Alla
tua salute Crilin,
in qualsiasi paradiso o inferno tu ti trovi”
sancì. Si portò il bordo alle
labbra e diede una sorsata. Il suo cervello iniziò a dare
una serie di errori a
cascata, la sua visuale divenne totalmente blu, mentre delle scintille
sprizzavano da tutti i circuiti del suo corpo. I suoi arti si piegarono
in modo
innaturale e cadde a terra schiantata, chiuse gli occhi e si spense.
04.
Pistola
C17
infilò i proiettili
nel fucile, caricandolo, allungò le gambe e
sospirò. Il collo dalla pelle
pallida era arrossato sotto il fazzoletto che portava e gli stringeva
la pelle.
Accarezzò il manico di legno levigato della sua arma.
“Sei
sempre stato il mio
migliore amico” bisbigliò. Socchiuse gli occhi, li
sentiva bruciare e strinse
le gambe.
“Come
cacciatore e come
cyborg non ti preferirei nemmeno una macchina da corsa”.
Aggiunse con voce
roca, fu scosso da una serie di brividi. Si portò la canna
alle labbra e chiuse
gli occhi, i capelli neri gli aderivano al viso. “Per questo,
mio fidato, non
posso chiederlo a nessun altro”. Aggiunse.
<
Ora aiutami ancora
una volta, fammi raggiungere mia sorella > pensò,
sentendo il metallo sotto
le labbra. Premette il grilletto e lo sparo risuonò nella
stanza.
Uno
stormo di corvi
spiccò il volo fuori dalla finestra.
05.
Fuoco
“Spero
che tu possa bruciare all’inferno con lei,
Trunks” bisbigliò. Lasciò cadere
l’accendino e la benzina intorno a lei prese
fuoco, avvolgendola.
Le
sue urla riempirono l’aria.
06.
Vetro
Bra
si avvicinò allo
specchio, si accarezzò il viso sentendo le rughe sotto le
dita. I capelli grigi
le incorniciavano il volto pallido, le occhiaie le lasciavano dei segni
neri
intorno agli occhi azzurri. Passò più volte
l’indice sulle macchie nere e
rabbrividì vedendo una macchia giallastra accanto al mento.
“Una
vita senza bellezza
non è vita” ringhiò. Gettò a
terra lo specchio frantumandolo e ghignò. Afferrò
il bordo del vetro, i polpastrelli si tagliarono e il sangue
scivolò lungo il
vetro, oscurando il suo riflesso. Premette il frammento dello specchio
nel
polso e aprì una ferita. Dal segno bianco iniziò
a sgorgare del sangue, lasciò
cadere il pezzo di vetro sporco di liquido vermiglio e si
appoggiò contro il
divano.
<
Rimarrò qui,
lasciando che l’esistenza scorra via da me. Addio linfa
vitale >.
07.
Medicine
“Mi
dispiace fratellone,
hai fatto tutto il possibile” sussurrò Goten. Si
piegò in avanti, si sporse e
accarezzò la spalla del fratello.
Gohan
singhiozzò, il
viso era in ombra coperto dai corti capelli neri. Sollevò la
mano e accarezzò
quella del minore.
“Ti
prego, portami un
bicchiere d’acqua” implorò.
Goten
allontanò la mano
e sospirò.
“Sì,
fratellone”
sussurrò.
Gohan
sentì i suoi passi
allontanarsi, si piegò in avanti e accarezzò il
viso di Videl. Sentì la pelle
gelida sotto le dita e singhiozzò più forte.
“Potevamo
passare ancora
molti anni insieme” mugolò. Le
allontanò una ciocca nera dal viso e le chiuse
gli occhi, le iridi erano bianche.
“Non
è giusto” ringhiò.
Si voltò, afferrò una boccetta e
l’aprì. Si versò delle pillole rosse
sulla
mano e strinse il pugno.
“…Ma almeno passeremo insieme la
morte” bisbigliò. Si portò le
medicine alla bocca e le ingoiò tutte insieme.
08.
Rasoio
La
piccola Chichi si
sporse sulle punte e abbassò la maniglia, spinse la porta ed
entrò. Udì un
tonfo, rabbrividì e avanzò. Batté un
paio di volte le palpebre e afferrò la
lama sul caschetto che teneva in testa, si spostò di lato
evitando il casco del
genitore abbandonato sul pavimento.
Raggiunse
il letto
matrimoniale, appoggiò le mani sul materasso e si
issò. Abbassò il capo, la
coperta bianca era macchiata di sangue.
Sollevò
la testa e
strillò, portandosi la mano alla bocca. Le mani di sua madre
erano abbandonate
su un rasoio, conficcato nella sua gola.
La
sovrana era immersa
nel suo stesso sangue.
09.
Posacenere
“Vedi
piccola mia, non
si deve fumare. Fa davvero molto male alla salute”
sussurrò la donna. Piegò di
lato il capo e sorrise in modo innaturale.
La
piccola Videl deglutì
e annuì. I suoi occhi dalle iridi azzurre incontrarono
quelli della madre.
La
mora più grande fece
un paio di passi avanti, facendo strofinare il bordo della vestaglia
sul
pavimento. Si piegò in avanti e afferrò un
posacenere di cristallo, colpì il
tavolinetto un paio di volte, questo tremò, e il
soprammobile si spaccò a metà,
facendo volare frammenti tutt’intorno.
La
bambina saltò in
piedi e la sedia dietro di lei cadde a terra con un tonfo.
La
madre ridacchiò,
strinse con entrambe le mani il frammento di cristallo appuntito,
graffiandosi
le dita.
“Ormai
per la mamma è
troppo tardi” disse, conficcandoselo nel ventre.
10.
Cuscino
Vegeta
afferrò il
cuscino e se lo strinse al viso, inspirò e chiuse gli occhi.
Allungò le gambe e
sentì gli occhi pizzicare, una lacrima gli solcò
la guancia.
“Ha
ancora l’odore di
mia madre” biascicò con voce roca.
La
regina si piegò in avanti e gli accarezzò il viso.
“Un
giorno diventerai come tuo padre e io non vorrò
esserci” sussurrò. Il figlio batté
le palpebre e si morse il labbro. Guardò la madre girarsi e
raggiungere la
finestra.
La
donna abbassò la maniglia e aprì le ante.
Il
piccolo si mise in piedi guardandola salire sul cornicione.
“Madre”
chiamò.
Rosicheena
fece un passo avanti e precipitò nel vuoto.
“Madre”
chiamò il
bambino. Digrignò i denti e strinse più forte gli
occhi, dimenando la coda.