And the love we
would have made, I’ll make it for two.
prompt: #056, crystal tears
Anselmo Feleppa era un
uomo, forse un uomo come tanti altri, ma non per George Michael.
Per lui era l’unica persona che fosse
riuscita a stregarlo al Rock in Rio, tra migliaia di volti tutti uguali
e sfuocati, il primo che avesse mai desiderato di poter avere al proprio fianco
per tutta la vita che gli restava ancora da vivere.
Anselmo Feleppa era un uomo e, come tale, aveva
il sacrosanto diritto di condurre un’esistenza dignitosa.
Per questo motivo, seppure ogni giorno il
cantante si alzasse sperando in un miracolo, gli bastava rivolgere una sola
occhiata al viso sparuto di Anselmo per capire che la vita esigeva anche lui
come pegno, e che a nulla sarebbero servite le lacrime e le preghiere con cui
inzuppava quotidianamente il suo capezzale.
Il senso d’impotenza che provava di fronte
a quel qualcosa d’immensamente grande e altrettanto terribile lo stava
divorando lentamente dall’interno, quasi fosse un cancro inguaribile, quasi
fosse AIDS.
George cercava di celare lo sconforto agli occhi
del proprio amato, nonostante avesse capito da tempo che ogni sforzo era vano:
Anselmo infatti sembrava essere sempre lì, a fissarlo, anche quando le
sue palpebre si abbassavano e il respiro diveniva più lento e regolare,
segno che stava finalmente riposando.
Dal canto suo, Feleppa
sapeva benissimo quanto fosse pesante il carico di sofferenza che il suo
partner si stava trascinando da qualche mese a quella parte e per questo, ogni
volta in cui lo vedeva con gli occhi lucidi, gli faceva cenno di avvicinarsi;
dopodiché, piegando le labbra in un sorriso debole che per George
però aveva sempre l’aspetto di una meraviglia, gli asciugava le
lacrime con un polpastrello, quasi fosse suo figlio.
Lacrime di cristallo, le chiamava.
George era solito pensare che Anselmo incarnasse
perfettamente le virtù di Cristo: come Gesù stava infatti
attraversando il proprio Calvario ma, nonostante il dolore provato
quotidianamente, trovava sempre il tempo per cercare di alleggerirgli il
fardello.
Per questo il cantante si sforzava di
sorridergli e d’imitarlo nei modi gentili e delicati, quasi fosse suo
discepolo, quasi fosse un bimbo desideroso d’imparare ad amare.
Il 26 marzo 1993 tutto sommato si preannunciava
come una bella giornata d’inizio autunno (nell’accezione che
“autunno” può assumere in Brasile, s’intende): la
temperatura era ancora mite e il Sole faceva capolino da qualche nuvola
passeggera, cercando di spazzare via quel grigio così innaturale per gli
standard che quella stagione aveva in Sud America.
George se ne stava alla finestra, perso nei
propri pensieri: a Londra in quel momento di sicuro c’era la nebbia,
stava piovendo e le persone correvano freneticamente per la strada, quasi
fossero formiche impazzite.
Aveva imparato ad amare il Brasile proprio per
la calma e la tranquillità con cui i nativi vivevano la vita di tutti i
giorni e che permetteva loro di non essere ancora travolti dalla
mentalità occidentale, il cui peccato risiedeva proprio
nell’essere incondizionatamente dedita alla fretta, cosicché
imparare a rallentare risultasse pressoché impossibile.
Col passare delle ore il tempo era andato via
via peggiorando: il coperchio di nubi informi e bigie creava una cappa di
umidità pazzesca, dando l’impressione a chi stava sotto di poter
soffocare da un momento all’altro.
Stando ben attento alle raccomandazioni dei
medici, George aprì leggermente la finestra, facendo sì che
l’aria iniziasse a circolare: dentro di sé coltivava
l’ingenua speranza che un misero refolo di vento potesse spazzar via
l’atmosfera cupa e rarefatta che aleggiava in quella stanzetta asettica
da ormai troppo tempo.
-… hai fatto bene.-
Sentì pronunciare quella manciata di
parole da Anselmo, la voce ormai ridotta ad un sussurro spezzato; allora si
voltò istintivamente verso di lui e gli si avvicinò, per paura
che potesse sforzarsi troppo a costo di farsi sentire.
-Mi piacerebbe andare a fare una passeggiata sul
lungomare… ormai non so nemmeno più di che colore siano le acque
dell’Atlantico.- riprese quindi a parlare quello, le parole che gli si
arrampicavano in gola quasi fossero picconi sui sassi aguzzi.
-L’Atlantico non si muove di lì,
Anselmo: quando ti sarai ristabilito ti ci porterò, va bene? Però
non avere fretta, ci vuole tempo.-
-Lo so, lo so… hai ragione.- tagliò
corto quello, girando di scatto il volto dall’altra parte e impedendogli
di incrociare il suo sguardo fattosi immediatamente malinconico.
Anselmo odiava farsi vedere abbattuto, odiava farsi vedere sconfitto dalla
cruda realtà, specialmente se chi lo stava a guardare era George.
George si pentì immediatamente del tono
saccente con cui l’aveva liquidato, quando in realtà quello era
l’ultimo effetto che avrebbe voluto ottenere.
Sospirò pesantemente e prese a guardarlo:
Anselmo, che in passato era sempre stato di corporatura esile ma comunque
vigorosa, giaceva molle sul materasso, sempre più simile ad un semplice
mucchietto di ossa e pelle, mentre le mani, un tempo così belle ed
affusolate da averlo conquistato sin dalla prima volta in cui avevano stretto
le sue, erano ormai ridotte alla foggia dei rami secchi e nodosi della vecchia
quercia spoglia di Hyde Park.
Mentre contemplava la decadenza che
l’amato stava attraversando, gli balenò quasi subito in mente La
Pietà di Michelangelo, opera maestosa e altrettanto straordinaria:
Anselmo era il Cristo, adagiato tra le pieghe del vestito della Vergine Maria,
impegnata a vegliare sul suo corpo ormai esangue.
George non osava paragonare se stesso alla
Madonna: di sicuro non possedeva la sua purezza né la sua grazia, e non
voleva assolutamente che qualcuno lo credesse capace di detenere tali
virtù.
Però, come lei, amava l’uomo
racchiuso in quel corpo inevitabilmente straziato, ne amava l’essenza e non
avrebbe mai smesso di farlo.
Per questo strinse d’istinto una mano che
l’altro aveva abbandonato mollemente lungo il fianco, facendolo
sussultare; forse si era addormentato e lui con quel gesto l’aveva
disturbato, ma lo sguardo curioso e tuttavia privo di rimproveri di Anselmo lo
rassicurò.
-Sei ancora qui.- fece quello, cercando di
sembrare il più asciutto possibile.
-Ti ho forse mai dato l’impressione di
volermene andare?- gli rispose il cantante, e a quelle parole Anselmo non
riuscì a reprimere un sorriso.
-No, altrimenti non saresti la mia croce.- si
decise quindi a stringergli la mano, facendolo rabbrividire per il paragone
inconsapevolmente azzeccato.
George infatti non ne aveva mai fatto parola con
nessuno, non aveva detto neanche ad Anselmo che si ritrovava sempre più
spesso a rimuginare sul fatto che lui e Cristo avessero più cose in
comune di quel che si potesse pensare.
Lo fissò, indeciso se intraprendere o
meno quella discussione, mentre l’altro lo guardava a sua volta,
inclinando leggermente il capo come un gatto.
Quel gesto intenerì il cantante, che
decise istantaneamente di non fiatare: in fondo erano solo manie sue, e poi non
voleva passare il tempo a tediare l’amato con discorsi sulla religione,
quello era poco ma sicuro.
-Stavo pensando… magari in questi giorni
riprendo a comporre, che dici?-
-Dico che è un’ottima idea, George.
Di tue canzoni in circolazione non ce ne sono mai abbastanza…- gli
strizzò l’occhio Feleppa, facendolo
ridacchiare.
-Lo dici solo perché sei di parte…-
lo rimbeccò, per poi fermarsi a riflettere qualche secondo –Ora
che ci penso… potrei anche provare a scriverne una che parli di te.-
A quelle parole Anselmo sbarrò gli occhi
esterrefatto, cercando di tirarsi su, tanto che l’altro dovette dargli
una mano ad appoggiarsi al guanciale.
-Come, scusa?-
-Dai che hai sentito benissimo!- lo
stuzzicò George, tentando inutilmente di soffocare le risate che stavano
per scappargli di bocca.
Si era sempre divertito a canzonare Anselmo, e
sapeva che la riservatezza era uno dei suoi punti deboli per eccellenza; per
questo aveva puntato subito lì e, a giudicare dall’espressione
allarmata del brasiliano, doveva aver fatto centro per l’ennesima volta.
-Spero tu stia scherzando… Lo sai che mi
metteresti in imbarazzo!-
-… te l’ho detto proprio per questo
motivo.- gli sorrise sornione il cantante, e a quel punto Feleppa
si rilassò, bofonchiando un –cretino!- con il sorriso sulle
labbra.
-Comunque…- ricominciò George,
titubante –Mi piacerebbe veramente scrivere qualcosa su di te. Ovviamente
non sbandiererò ai quattro venti il tuo nome, però tra i versi si
riuscirebbe comunque a percepire la tua presenza.-
-Una canzone d’amore, dunque. Mi piace.-
-No, non proprio… Una canzone di vita e
d’amore, Anselmo.-
A quelle parole l’uomo si voltò
nuovamente per cercare d’intravedere il panorama oltre la finestra,
notando che una pioggerellina salvifica aveva iniziato a cadere
silenziosamente.
Dopodiché strinse la mano
dell’altro e lo tornò a fissare negli occhi, quegli occhi
mediorientali che tanto amava.
-Non vedo l’ora di poterla ascoltare,
George. Ma promettimi di non parlare solo di me: voglio che nella canzone ci
sia anche tu, così sarò più al sicuro.-
Il cantante sussultò leggermente, per poi
intrecciare meglio le proprie dita con le sue.
-Lo farò, è una promessa.
Dopotutto “noi” suona meglio.-
Anselmo gli sorrise nuovamente: poesia, aveva
sempre saputo di essersi innamorato di una poesia.
Con la coda dell’occhio George lo vide
reprimere uno sbadiglio, gesto che lo indusse a proporgli di riposarsi almeno
per un’oretta.
-Va bene, a patto che lo faccia anche tu. So che
hai passato la notte in bianco per stare al mio fianco, credi forse che sia
cieco?-
-Credevo dormissi…- gli rispose lui,
sinceramente stupito –Comunque ci sto, hai vinto anche stavolta.-
E, detto quello, appoggiò la propria
testa sul bordo del letto, le braccia a sorreggergliela.
Quando si risvegliò, George ebbe
l’impressione di aver urtato qualcosa, o meglio, che qualcosa avesse
cozzato contro la sua fronte.
La prima cosa che i suoi occhi misero a fuoco fu
Anselmo che si reggeva la testa tra le mani, il volto contratto in una smorfia
di dolore.
Istintivamente gli si fece vicino, chiedendogli
se avesse bisogno di un medico, ma quello lo tranquillizzò dicendogli
che si trattava solamente di un’emicrania.
Dopodiché abbozzò un sorriso
stanco, particolare messo però subito in secondo piano dalle mani
tremanti e dall’espressione terribilmente confusa e affaticata dipinta
sul suo volto emaciato.
-Vado a chiamare il medico!- ripeté
George, il terrore vivido negli occhi, ma venne bloccato dalla stretta debole e
gentile con cui Anselmo aveva avvolto il suo polso destro.
-Resta qui con me, per favore.-
La razionalità del cantante
scalpitò furiosa dentro di lui, ma l’amara consapevolezza che
quelli potessero essere gli ultimi istanti trascorsi insieme ad Anselmo lo fece
desistere.
-Volevo solo ringraziarti per essere entrato a
far parte della mia vita. Porterò sempre con me il ricordo di questi
mesi vissuti in tua compagnia, George.-
-Non salutarmi, non sono ancora pronto…-
-Ricordati quel che mi hai promesso: non
permettere a nessuno di toglierti il sorriso, né tantomeno di
azzittirti. E non pensare che Dio stia morendo con me.-
La stretta di Anselmo cominciò ad
affievolirsi sempre di più, così come la sua vista. George lo
scoprì sempre più distante e si aggrappò ostinatamente a
quel che restava dell’uomo che stava per perdere in un battito di ciglia,
prendendogli le mani tra le sue.
Gli occhi si velarono di lacrime, impedendogli
di riuscire a mettere perfettamente a fuoco il suo volto, cosa per cui
si maledisse mentalmente.
-Ah, le tue lacrime di cristallo… Mi
mancheranno anche loro.- sorrise stancamente l’altro –Abbi cura
di te, amore mio.- e, com’ebbe detto quello, le palpebre calarono per
l’ultima volta, sipario di una vita conclusasi a soli trentasei anni.
George si chinò immediatamente su di lui,
poggiando le labbra su quelle dell’uomo che aveva amato più di
ogni altra cosa al mondo.
With your last breath you saved my soul
Un’ultima lacrima andò a intaccare
la bellezza ormai sfiorita di un amore consumato troppo in fretta, mentre le
sue braccia avvolsero ancora per una volta il corpo di colui che, per pochi
mesi, gli aveva insegnato nuovamente a vivere.
Credits titolo: Jesus to a Child - George Michael.
And just when it
began, He took your love away
È il 25 gennaio 1991: George Michael si
esibisce alla seconda edizione del Rock
in Rio e incrocia lo sguardo di un uomo in prima fila, non riuscendo
più a staccargli gli occhi di dosso per tutto il resto della
performance.
Alla fine del concerto questi partecipa ad un party
privato e qualcuno glielo presenta: è Anselmo Feleppa,
lavora come designer per la ditta d’abbigliamento del padre e ha
conquistato il cuore di George, che in seguito confesserà come
quell’incontro gli abbia drasticamente cambiato la vita.
Il cantante ammetterà di non essersi mai
sentito così bene come nei sei mesi che seguirono quell’incontro,
e dichiarò che Anselmo “demolì il mio ritegno vittoriano, e
mi mostrò come vivere, come rilassarmi, come godermi
l’esistenza.”
Non fu la sua prima esperienza omosessuale, ma fu
certamente la prima volta in cui s’innamorò di qualcuno e
desiderò che la loro relazione fosse duratura.
“È difficile essere fiero della tua
sessualità se non ti ha mai dato un po’ di gioia. Una volta che
riesci ad associarla con l’amore e la gioia, diventa facile essere
orgogliosi di se stessi.” dichiarò anni dopo, e fu proprio la
relazione con Feleppa a farlo liberare da tutte le
paure e le costrizioni con cui aveva dovuto convivere per anni.
Appena cinque mesi dopo l’inizio della loro
storia, Feleppa comunicò a George la
necessità di fare un test per l’HIV, e l’esito fu purtroppo
positivo: da parte sua George rischiava di essere altrettanto infetto.
Nonostante quest’ultimo gli avesse proposto di
trasferirsi in Inghilterra per sottoporsi alle cure necessarie, Feleppa rifiutò e decise di restare in Brasile: non
voleva finire sotto la luce dei riflettori, e sapeva che seguire George nel
Regno Unito avrebbe soltanto significato la distruzione della privacy della sua
famiglia.
A malincuore il cantante tornò a casa propria
senza di lui, e il 24 novembre rimase sconvolto dalla morte di Freddie Mercury; come altri artisti si mobilitò per
dar via a varie iniziative allo scopo di raccogliere più fondi possibili
per la ricerca sull’AIDS.
Un giorno concesse inoltre un’intervista sulla
morte del front-man dei Queen e scoppiò in lacrime, gesto che in fondo
racchiudeva la sua disperazione per quello che lui e il suo partner stavano
sopportando silenziosamente.
George trascorse il Natale del 1991 a casa propria,
circondato dai familiari ma immerso nella più totale angoscia e
solitudine: a casa sua nessuno sapeva del suo orientamento sessuale, e la
consapevolezza di non poter rivelare a nessuno la propria disperazione (Anselmo
gli aveva proibito di confidare agli altri il risultato del test, anche agli
amici che erano al corrente della loro relazione) lo stava lacerando.
Arrivò il 20 aprile 1992 e il cantante si
esibì al Freddie Mercury Tribute Concert, offrendo
quella che, secondo il parere di molti, fu la performance migliore
dell’intero concerto: nessuno riuscì ad avvicinarsi così
tanto alla voce di Mercury, e Somebody To Love
risuonò ancor più emozionante del solito, perché George la
cantò con il cuore in mano, sapendo che Feleppa
stava assistendo all’esibizione, seduto di fronte alla tv della propria
casa in Brasile.
I mesi volarono rapidamente e il cantante
s’impegnò in due progetti tanto importanti quanto
straordinariamente lontani: la causa giudiziaria che voleva intentare contro la
Sony, rea di non lasciarlo libero di svincolarsi da un contratto restrittivo
stabilito qualche anno prima, e il desiderio di trascorrere più tempo
con Feleppa.
Anselmo morì il 26 marzo 1993, a causa di
un’emorragia cerebrale e, contrariamente a quel che ho narrato in questa fanfiction, George non era lì con lui al momento del
decesso, bensì in Inghilterra.
Il cantante si convinse sempre di più che se il
partner avesse acconsentito a farsi curare negli Stati Uniti o in Europa, tutto
quello non sarebbe successo; la convinzione che Feleppa
avesse rifiutato la sua proposta per paura di essere assalito dai giornalisti
alimentò il risentimento che George nutriva nei confronti della stampa
da parecchi anni.
A tutto questo si aggiunse il fatto che l’ex
membro degli Wham! non avesse potuto partecipare al
suo funerale sempre a causa dei paparazzi, ma quel fatto gli infuse nuovo
coraggio: il giorno dopo confessò ai genitori di essere omosessuale, e
loro la presero bene.
Non molto tempo dopo riuscì finalmente a far visita
alla tomba di Feleppa, portando con sé dei
fiori, e lì incontrò sua madre: la vicenda è narrata nella
bellissima canzone You Have Been Loved, tratta
dall’album Older che George pubblicò nel 1996.
Il processo contro la Sony fu particolarmente aspro ed
estenuante, e lo stesso Michael in seguito dichiarò che la causa fu
intentata anche affinché potesse trovare una valvola di sfogo per tutto
il dolore e il risentimento che aveva covato negli ultimi anni della sua vita.
In seguito alla morte di Feleppa
il cantante sprofondò in una forte depressione e non riuscì
più a comporre per 18, lunghissimi mesi.
Poi, un giorno, in poco meno di un’ora scrisse
la meravigliosa Jesus to a Child, che fa da base a questa
storia.
Io la ritengo una delle canzoni d’amore
più belle di sempre: la melodia è stupenda (bossanova,
giusto per ricordare le origini di Anselmo), e non mi soffermerò
ulteriormente sul testo, perché sarebbero solamente parole sprecate.
Vi linko testi e traduzioni di questo brano (anche se
c’è un piccolo errorino: sarebbe “he took
YOUR LOVE away”) e del già citato You
Have Been Loved, (in cui narra la storia di Anselmo anche dal
punto di vista di sua madre) perché possiate accorgervi dei vari
riferimenti disseminati in giro per la fanfiction.
Anni dopo, a causa di un incidente, George fu
costretto a fare outing, ma da allora, ogni volta che esegue Jesus to a Child, la dedica a Feleppa.
Ancora oggi George si riferisce ad Anselmo chiamandolo
“l’amore della mia vita”.
Questa storia era in cantiere da quasi due anni, e sono felice di essere finalmente
riuscita a completarla: in due anni ho imparato a conoscere meglio la storia di
George e le sue canzoni, e non mi pento affatto di aver dovuto aspettare tutto
questo tempo per scriverla.
Ho deciso di pubblicarla oggi perché sono trascorsi esattamente
vent’anni dalla morte di Feleppa, e non posso
non chiedermi cosa stia facendo George in questo esatto istante: sono sicura
che lo stia pensando e che, da qualche parte, Anselmo stia facendo lo stesso.
È a loro che dedico questa storia, perché credo che ognuno di
noi, nella vita, meriti di vivere un amore così bello ed innocente come
il loro.
Dazed;