Fanfic su artisti musicali > Altri
Ricorda la storia  |      
Autore: DazedAndConfused    26/03/2013    1 recensioni
[George Michael]
Anselmo Feleppa era un uomo, forse un uomo come tanti altri, ma non per George Michael.
Per lui era l’unica persona che fosse riuscita a stregarlo al Rock in Rio, tra migliaia di volti tutti uguali e sfuocati, il primo che avesse mai desiderato di poter avere al proprio fianco per tutta la vita che gli restava ancora da vivere.
Anselmo Feleppa era un uomo e, come tale, aveva il sacrosanto diritto di condurre un’esistenza dignitosa.

[Aderente all'iniziativa 101 kisses]
[#056, crystal tears]
Genere: Introspettivo, Malinconico, Song-fic | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Altri
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

And the love we would have made, I’ll make it for two.

prompt: #056, crystal tears

 

Anselmo Feleppa era un uomo, forse un uomo come tanti altri, ma non per George Michael.

Per lui era l’unica persona che fosse riuscita a stregarlo al Rock in Rio, tra migliaia di volti tutti uguali e sfuocati, il primo che avesse mai desiderato di poter avere al proprio fianco per tutta la vita che gli restava ancora da vivere.

Anselmo Feleppa era un uomo e, come tale, aveva il sacrosanto diritto di condurre un’esistenza dignitosa.

 

Per questo motivo, seppure ogni giorno il cantante si alzasse sperando in un miracolo, gli bastava rivolgere una sola occhiata al viso sparuto di Anselmo per capire che la vita esigeva anche lui come pegno, e che a nulla sarebbero servite le lacrime e le preghiere con cui inzuppava quotidianamente il suo capezzale.

Il senso d’impotenza che provava di fronte a quel qualcosa d’immensamente grande e altrettanto terribile lo stava divorando lentamente dall’interno, quasi fosse un cancro inguaribile, quasi fosse AIDS.

George cercava di celare lo sconforto agli occhi del proprio amato, nonostante avesse capito da tempo che ogni sforzo era vano: Anselmo infatti sembrava essere sempre lì, a fissarlo, anche quando le sue palpebre si abbassavano e il respiro diveniva più lento e regolare, segno che stava finalmente riposando.

Dal canto suo, Feleppa sapeva benissimo quanto fosse pesante il carico di sofferenza che il suo partner si stava trascinando da qualche mese a quella parte e per questo, ogni volta in cui lo vedeva con gli occhi lucidi, gli faceva cenno di avvicinarsi; dopodiché, piegando le labbra in un sorriso debole che per George però aveva sempre l’aspetto di una meraviglia, gli asciugava le lacrime con un polpastrello, quasi fosse suo figlio.

Lacrime di cristallo, le chiamava.

 

George era solito pensare che Anselmo incarnasse perfettamente le virtù di Cristo: come Gesù stava infatti attraversando il proprio Calvario ma, nonostante il dolore provato quotidianamente, trovava sempre il tempo per cercare di alleggerirgli il fardello.

Per questo il cantante si sforzava di sorridergli e d’imitarlo nei modi gentili e delicati, quasi fosse suo discepolo, quasi fosse un bimbo desideroso d’imparare ad amare.

 

 

Il 26 marzo 1993 tutto sommato si preannunciava come una bella giornata d’inizio autunno (nell’accezione che “autunno” può assumere in Brasile, s’intende): la temperatura era ancora mite e il Sole faceva capolino da qualche nuvola passeggera, cercando di spazzare via quel grigio così innaturale per gli standard che quella stagione aveva in Sud America.

George se ne stava alla finestra, perso nei propri pensieri: a Londra in quel momento di sicuro c’era la nebbia, stava piovendo e le persone correvano freneticamente per la strada, quasi fossero formiche impazzite.

Aveva imparato ad amare il Brasile proprio per la calma e la tranquillità con cui i nativi vivevano la vita di tutti i giorni e che permetteva loro di non essere ancora travolti dalla mentalità occidentale, il cui peccato risiedeva proprio nell’essere incondizionatamente dedita alla fretta, cosicché imparare a rallentare risultasse pressoché impossibile.

Col passare delle ore il tempo era andato via via peggiorando: il coperchio di nubi informi e bigie creava una cappa di umidità pazzesca, dando l’impressione a chi stava sotto di poter soffocare da un momento all’altro.

Stando ben attento alle raccomandazioni dei medici, George aprì leggermente la finestra, facendo sì che l’aria iniziasse a circolare: dentro di sé coltivava l’ingenua speranza che un misero refolo di vento potesse spazzar via l’atmosfera cupa e rarefatta che aleggiava in quella stanzetta asettica da ormai troppo tempo.

-… hai fatto bene.-

Sentì pronunciare quella manciata di parole da Anselmo, la voce ormai ridotta ad un sussurro spezzato; allora si voltò istintivamente verso di lui e gli si avvicinò, per paura che potesse sforzarsi troppo a costo di farsi sentire.

-Mi piacerebbe andare a fare una passeggiata sul lungomare… ormai non so nemmeno più di che colore siano le acque dell’Atlantico.- riprese quindi a parlare quello, le parole che gli si arrampicavano in gola quasi fossero picconi sui sassi aguzzi.

-L’Atlantico non si muove di lì, Anselmo: quando ti sarai ristabilito ti ci porterò, va bene? Però non avere fretta, ci vuole tempo.-

-Lo so, lo so… hai ragione.- tagliò corto quello, girando di scatto il volto dall’altra parte e impedendogli di incrociare il suo sguardo fattosi immediatamente malinconico.

Anselmo odiava farsi vedere abbattuto, odiava farsi vedere sconfitto dalla cruda realtà, specialmente se chi lo stava a guardare era George.

 

George si pentì immediatamente del tono saccente con cui l’aveva liquidato, quando in realtà quello era l’ultimo effetto che avrebbe voluto ottenere.

Sospirò pesantemente e prese a guardarlo: Anselmo, che in passato era sempre stato di corporatura esile ma comunque vigorosa, giaceva molle sul materasso, sempre più simile ad un semplice mucchietto di ossa e pelle, mentre le mani, un tempo così belle ed affusolate da averlo conquistato sin dalla prima volta in cui avevano stretto le sue, erano ormai ridotte alla foggia dei rami secchi e nodosi della vecchia quercia spoglia di Hyde Park.

Mentre contemplava la decadenza che l’amato stava attraversando, gli balenò quasi subito in mente La Pietà di Michelangelo, opera maestosa e altrettanto straordinaria: Anselmo era il Cristo, adagiato tra le pieghe del vestito della Vergine Maria, impegnata a vegliare sul suo corpo ormai esangue.

George non osava paragonare se stesso alla Madonna: di sicuro non possedeva la sua purezza né la sua grazia, e non voleva assolutamente che qualcuno lo credesse capace di detenere tali virtù.

Però, come lei, amava l’uomo racchiuso in quel corpo inevitabilmente straziato, ne amava l’essenza e non avrebbe mai smesso di farlo.

Per questo strinse d’istinto una mano che l’altro aveva abbandonato mollemente lungo il fianco, facendolo sussultare; forse si era addormentato e lui con quel gesto l’aveva disturbato, ma lo sguardo curioso e tuttavia privo di rimproveri di Anselmo lo rassicurò.

-Sei ancora qui.- fece quello, cercando di sembrare il più asciutto possibile.

-Ti ho forse mai dato l’impressione di volermene andare?- gli rispose il cantante, e a quelle parole Anselmo non riuscì a reprimere un sorriso.

-No, altrimenti non saresti la mia croce.- si decise quindi a stringergli la mano, facendolo rabbrividire per il paragone inconsapevolmente azzeccato.

George infatti non ne aveva mai fatto parola con nessuno, non aveva detto neanche ad Anselmo che si ritrovava sempre più spesso a rimuginare sul fatto che lui e Cristo avessero più cose in comune di quel che si potesse pensare.

Lo fissò, indeciso se intraprendere o meno quella discussione, mentre l’altro lo guardava a sua volta, inclinando leggermente il capo come un gatto.

Quel gesto intenerì il cantante, che decise istantaneamente di non fiatare: in fondo erano solo manie sue, e poi non voleva passare il tempo a tediare l’amato con discorsi sulla religione, quello era poco ma sicuro.

-Stavo pensando… magari in questi giorni riprendo a comporre, che dici?-

-Dico che è un’ottima idea, George. Di tue canzoni in circolazione non ce ne sono mai abbastanza…- gli strizzò l’occhio Feleppa, facendolo ridacchiare.

-Lo dici solo perché sei di parte…- lo rimbeccò, per poi fermarsi a riflettere qualche secondo –Ora che ci penso… potrei anche provare a scriverne una che parli di te.-

A quelle parole Anselmo sbarrò gli occhi esterrefatto, cercando di tirarsi su, tanto che l’altro dovette dargli una mano ad appoggiarsi al guanciale.

-Come, scusa?-

-Dai che hai sentito benissimo!- lo stuzzicò George, tentando inutilmente di soffocare le risate che stavano per scappargli di bocca.

Si era sempre divertito a canzonare Anselmo, e sapeva che la riservatezza era uno dei suoi punti deboli per eccellenza; per questo aveva puntato subito lì e, a giudicare dall’espressione allarmata del brasiliano, doveva aver fatto centro per l’ennesima volta.

-Spero tu stia scherzando… Lo sai che mi metteresti in imbarazzo!-

-… te l’ho detto proprio per questo motivo.- gli sorrise sornione il cantante, e a quel punto Feleppa si rilassò, bofonchiando un –cretino!- con il sorriso sulle labbra.

-Comunque…- ricominciò George, titubante –Mi piacerebbe veramente scrivere qualcosa su di te. Ovviamente non sbandiererò ai quattro venti il tuo nome, però tra i versi si riuscirebbe comunque a percepire la tua presenza.-

-Una canzone d’amore, dunque. Mi piace.-

-No, non proprio… Una canzone di vita e d’amore, Anselmo.-

A quelle parole l’uomo si voltò nuovamente per cercare d’intravedere il panorama oltre la finestra, notando che una pioggerellina salvifica aveva iniziato a cadere silenziosamente.

Dopodiché strinse la mano dell’altro e lo tornò a fissare negli occhi, quegli occhi mediorientali che tanto amava.

-Non vedo l’ora di poterla ascoltare, George. Ma promettimi di non parlare solo di me: voglio che nella canzone ci sia anche tu, così sarò più al sicuro.-

Il cantante sussultò leggermente, per poi intrecciare meglio le proprie dita con le sue.

-Lo farò, è una promessa. Dopotutto “noi” suona meglio.-

Anselmo gli sorrise nuovamente: poesia, aveva sempre saputo di essersi innamorato di una poesia.

Con la coda dell’occhio George lo vide reprimere uno sbadiglio, gesto che lo indusse a proporgli di riposarsi almeno per un’oretta.

-Va bene, a patto che lo faccia anche tu. So che hai passato la notte in bianco per stare al mio fianco, credi forse che sia cieco?-

-Credevo dormissi…- gli rispose lui, sinceramente stupito –Comunque ci sto, hai vinto anche stavolta.-

E, detto quello, appoggiò la propria testa sul bordo del letto, le braccia a sorreggergliela.

 

Quando si risvegliò, George ebbe l’impressione di aver urtato qualcosa, o meglio, che qualcosa avesse cozzato contro la sua fronte.

La prima cosa che i suoi occhi misero a fuoco fu Anselmo che si reggeva la testa tra le mani, il volto contratto in una smorfia di dolore.

Istintivamente gli si fece vicino, chiedendogli se avesse bisogno di un medico, ma quello lo tranquillizzò dicendogli che si trattava solamente di un’emicrania.

Dopodiché abbozzò un sorriso stanco, particolare messo però subito in secondo piano dalle mani tremanti e dall’espressione terribilmente confusa e affaticata dipinta sul suo volto emaciato.

-Vado a chiamare il medico!- ripeté George, il terrore vivido negli occhi, ma venne bloccato dalla stretta debole e gentile con cui Anselmo aveva avvolto il suo polso destro.

-Resta qui con me, per favore.-

La razionalità del cantante scalpitò furiosa dentro di lui, ma l’amara consapevolezza che quelli potessero essere gli ultimi istanti trascorsi insieme ad Anselmo lo fece desistere.

-Volevo solo ringraziarti per essere entrato a far parte della mia vita. Porterò sempre con me il ricordo di questi mesi vissuti in tua compagnia, George.-

-Non salutarmi, non sono ancora pronto…-

-Ricordati quel che mi hai promesso: non permettere a nessuno di toglierti il sorriso, né tantomeno di azzittirti. E non pensare che Dio stia morendo con me.-

La stretta di Anselmo cominciò ad affievolirsi sempre di più, così come la sua vista. George lo scoprì sempre più distante e si aggrappò ostinatamente a quel che restava dell’uomo che stava per perdere in un battito di ciglia, prendendogli le mani tra le sue.

Gli occhi si velarono di lacrime, impedendogli di riuscire a mettere perfettamente a fuoco il suo volto, cosa per cui si maledisse mentalmente.

-Ah, le tue lacrime di cristallo… Mi mancheranno anche loro.- sorrise stancamente l’altro –Abbi cura di te, amore mio.- e, com’ebbe detto quello, le palpebre calarono per l’ultima volta, sipario di una vita conclusasi a soli trentasei anni.

George si chinò immediatamente su di lui, poggiando le labbra su quelle dell’uomo che aveva amato più di ogni altra cosa al mondo.

 

With your last breath you saved my soul

 

 

Un’ultima lacrima andò a intaccare la bellezza ormai sfiorita di un amore consumato troppo in fretta, mentre le sue braccia avvolsero ancora per una volta il corpo di colui che, per pochi mesi, gli aveva insegnato nuovamente a vivere.

 


 

Credits titolo: Jesus to a Child - George Michael. 

 

And just when it began, He took your love away

È il 25 gennaio 1991: George Michael si esibisce alla seconda edizione del Rock in Rio e incrocia lo sguardo di un uomo in prima fila, non riuscendo più a staccargli gli occhi di dosso per tutto il resto della performance.

Alla fine del concerto questi partecipa ad un party privato e qualcuno glielo presenta: è Anselmo Feleppa, lavora come designer per la ditta d’abbigliamento del padre e ha conquistato il cuore di George, che in seguito confesserà come quell’incontro gli abbia drasticamente cambiato la vita.

Il cantante ammetterà di non essersi mai sentito così bene come nei sei mesi che seguirono quell’incontro, e dichiarò che Anselmo “demolì il mio ritegno vittoriano, e mi mostrò come vivere, come rilassarmi, come godermi l’esistenza.”

Non fu la sua prima esperienza omosessuale, ma fu certamente la prima volta in cui s’innamorò di qualcuno e desiderò che la loro relazione fosse duratura.

“È difficile essere fiero della tua sessualità se non ti ha mai dato un po’ di gioia. Una volta che riesci ad associarla con l’amore e la gioia, diventa facile essere orgogliosi di se stessi.” dichiarò anni dopo, e fu proprio la relazione con Feleppa a farlo liberare da tutte le paure e le costrizioni con cui aveva dovuto convivere per anni.

Appena cinque mesi dopo l’inizio della loro storia, Feleppa comunicò a George la necessità di fare un test per l’HIV, e l’esito fu purtroppo positivo: da parte sua George rischiava di essere altrettanto infetto.

Nonostante quest’ultimo gli avesse proposto di trasferirsi in Inghilterra per sottoporsi alle cure necessarie, Feleppa rifiutò e decise di restare in Brasile: non voleva finire sotto la luce dei riflettori, e sapeva che seguire George nel Regno Unito avrebbe soltanto significato la distruzione della privacy della sua famiglia.

A malincuore il cantante tornò a casa propria senza di lui, e il 24 novembre rimase sconvolto dalla morte di Freddie Mercury; come altri artisti si mobilitò per dar via a varie iniziative allo scopo di raccogliere più fondi possibili per la ricerca sull’AIDS.

Un giorno concesse inoltre un’intervista sulla morte del front-man dei Queen e scoppiò in lacrime, gesto che in fondo racchiudeva la sua disperazione per quello che lui e il suo partner stavano sopportando silenziosamente.

George trascorse il Natale del 1991 a casa propria, circondato dai familiari ma immerso nella più totale angoscia e solitudine: a casa sua nessuno sapeva del suo orientamento sessuale, e la consapevolezza di non poter rivelare a nessuno la propria disperazione (Anselmo gli aveva proibito di confidare agli altri il risultato del test, anche agli amici che erano al corrente della loro relazione) lo stava lacerando.

Arrivò il 20 aprile 1992 e il cantante si esibì al Freddie Mercury Tribute Concert, offrendo quella che, secondo il parere di molti, fu la performance migliore dell’intero concerto: nessuno riuscì ad avvicinarsi così tanto alla voce di Mercury, e Somebody To Love risuonò ancor più emozionante del solito, perché George la cantò con il cuore in mano, sapendo che Feleppa stava assistendo all’esibizione, seduto di fronte alla tv della propria casa in Brasile.

I mesi volarono rapidamente e il cantante s’impegnò in due progetti tanto importanti quanto straordinariamente lontani: la causa giudiziaria che voleva intentare contro la Sony, rea di non lasciarlo libero di svincolarsi da un contratto restrittivo stabilito qualche anno prima, e il desiderio di trascorrere più tempo con Feleppa.

Anselmo morì il 26 marzo 1993, a causa di un’emorragia cerebrale e, contrariamente a quel che ho narrato in questa fanfiction, George non era lì con lui al momento del decesso, bensì in Inghilterra.

Il cantante si convinse sempre di più che se il partner avesse acconsentito a farsi curare negli Stati Uniti o in Europa, tutto quello non sarebbe successo; la convinzione che Feleppa avesse rifiutato la sua proposta per paura di essere assalito dai giornalisti alimentò il risentimento che George nutriva nei confronti della stampa da parecchi anni.

A tutto questo si aggiunse il fatto che l’ex membro degli Wham! non avesse potuto partecipare al suo funerale sempre a causa dei paparazzi, ma quel fatto gli infuse nuovo coraggio: il giorno dopo confessò ai genitori di essere omosessuale, e loro la presero bene.

Non molto tempo dopo riuscì finalmente a far visita alla tomba di Feleppa, portando con sé dei fiori, e lì incontrò sua madre: la vicenda è narrata nella bellissima canzone You Have Been Loved, tratta dall’album Older che George pubblicò nel 1996.

Il processo contro la Sony fu particolarmente aspro ed estenuante, e lo stesso Michael in seguito dichiarò che la causa fu intentata anche affinché potesse trovare una valvola di sfogo per tutto il dolore e il risentimento che aveva covato negli ultimi anni della sua vita.

In seguito alla morte di Feleppa il cantante sprofondò in una forte depressione e non riuscì più a comporre per 18, lunghissimi mesi.

Poi, un giorno, in poco meno di un’ora scrisse la meravigliosa Jesus to a Child, che fa da base a questa storia.

Io la ritengo una delle canzoni d’amore più belle di sempre: la melodia è stupenda (bossanova, giusto per ricordare le origini di Anselmo), e non mi soffermerò ulteriormente sul testo, perché sarebbero solamente parole sprecate.

Vi linko testi e traduzioni di questo brano (anche se c’è un piccolo errorino: sarebbe “he took YOUR LOVE away”) e del già citato You Have Been Loved, (in cui narra la storia di Anselmo anche dal punto di vista di sua madre) perché possiate accorgervi dei vari riferimenti disseminati in giro per la fanfiction.

Anni dopo, a causa di un incidente, George fu costretto a fare outing, ma da allora, ogni volta che esegue Jesus to a Child, la dedica a Feleppa.

 

Ancora oggi George si riferisce ad Anselmo chiamandolo “l’amore della mia vita”.

 

 

Questa storia era in cantiere da quasi due anni, e sono felice di essere finalmente riuscita a completarla: in due anni ho imparato a conoscere meglio la storia di George e le sue canzoni, e non mi pento affatto di aver dovuto aspettare tutto questo tempo per scriverla.

Ho deciso di pubblicarla oggi perché sono trascorsi esattamente vent’anni dalla morte di Feleppa, e non posso non chiedermi cosa stia facendo George in questo esatto istante: sono sicura che lo stia pensando e che, da qualche parte, Anselmo stia facendo lo stesso.

È a loro che dedico questa storia, perché credo che ognuno di noi, nella vita, meriti di vivere un amore così bello ed innocente come il loro.

 

Dazed;

   
 
Leggi le 1 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Fanfic su artisti musicali > Altri / Vai alla pagina dell'autore: DazedAndConfused