The way you look tonight
«
Ehi, Big B, guarda un po' laggiù. »
Sbuffando, interrompo il
mio minuzioso lavoro -che comprende lo sfregare del polpastrello sul
graffio sulla mia moto nella speranza che svanisca- e alzo gli occhi
su Max, per poi seguire la direzione indicata dal suo dito.
Neil
Henton sta attraversando la strada per raggiungere la nostra parte di
vialetto insieme a quella sua amichetta bionda. Quando ci vede,
però,
impallidisce e fa dietrofront, trascinandosi appresso la biondina
che comincia a protestare. Non fa abbastanza in fretta,
però, per
non sentire quello che Max gli urla dietro:
« E inutile che ti
fai vedere con la Evans, Henton! Tanto lo sanno tutti che ti piace
prenderlo da dietro! »
Una coppia di mezza età che passeggia il
cane ci guarda, un'espressione scandalizzata in volto. La biondina
invece si gira e ci lancia uno sguardo duro, mentre Neil Henton
diventa rosso e affretta il passo, strattonando l'amica che si
affretta a mettergli una mano sulla spalla e a sussurrargli qualcosa,
prima di sparire oltre l'angolo.
Io ritorno a strofinare il mio
graffio sulla vernice, mentre Max si appoggia con aria noncurante
alla sella della mia moto, sigaretta tra indice e medio e sguardo
verso il cielo plumbeo.
« Devi essere sempre così stronzo? »
chiedo, con tono annoiato.
« E' divertente. Dovresti provarci
anche tu. Ora non potrà tornare da queste parti per almeno
altre tre
ore. La cena gli diventerà pappetta. »
« Se lo dici tu »
mugugno, poco convinto.
Neil Henton è il mio vicino di casa, ed
è un tipo particolare. O almeno, pensavo fosse solo
particolare -e
sono gentile, perché si veste in maniera assurda- ma da
quando è
iniziato il liceo è diventato chiaro che fosse gay. Non che
la cosa
mi importi più di tanto, ma a quanto pare tutti si divertono
a
prenderlo in giro ed è sempre il bersaglio preferito. A me
non fa né
caldo né freddo, ma ammetto che alcune sue trovate sono
davvero
difficili da ignorare -come quando si è messo una canotta
con un
grosso cuore al centro e sotto una camicia a fiorellini. Quella volta
anch'io mi sono fatto una bella risata, perché era a dir
poco
ridicolo.
« Ehi, Big Burt, ho i biglietti per la partita di
domani. Tu e il tuo vecchio ci siete? »
« Sicuro, Maxpower. Ci
becchiamo lì. »
Max butta a terra il mozzicone, ci passa sopra
il piede e poi mi saluta con una spallata. « Rimani ancora un
po'
qua intorno e ricorda di salutare
come si deve il nostro amico Henton se si fa vedere troppo presto.
»
aggiunge con un sogghigno.
Faccio un cenno di assenso col capo.
Quando vedo che Max è abbastanza lontano, con la sua
camminata
strascicata e le mani in tasca, mi avvio verso il garage senza
voltarmi indietro.
*
«
Si può sapere cosa diavolo avevi
intenzione di fare? »
Alzo
gli occhi verso la furia bionda che si è avventata su di me
e mi
porto un attimo la lattina alle labbra per mandarne giù un
altro
sorso. « Io? Io non ho fatto niente. »
La tipa si avvicina
ancora. Ah, mi ricordo, è l'amichetta di Neil Henton. Evans,
mi pare
si chiami. Dovrebbe smetterla di frequentarlo, è bella
abbastanza da
diventare una delle più popolari della scuola. «
Appunto! » quasi
mi urla contro.
Sbatto le palpebre, confuso. E' pazza?
« Che
problema hai? »
« Ho appena visto Neil uscire dal bagno con un
occhio nero e un labbro spaccato. Non voleva dirmi chi l'ha conciato
in quel modo, ma direi che dopo quello che gli avete urlato dietro
l'altro giorno posso farmi un'idea precisa. »
Appoggio la
schiena contro questa specie di albero piantato nel cortile, che in
realtà è solo un tronco dalle radici sconnesse e
senza nemmeno una
foglia. « Non sono stato io, non c'entro. »
« Oh, questo lo
so » sibila lei a denti stretti. Finalmente mi degno di
guardarla
bene in viso e posso vedere una fiamma combattiva e fiera nei suoi
occhi azzurri. Diamine, sono davvero azzurri. Come fa ad esistere un
fuoco nel mare?
«
So che sei “la spalla”, quello che non fa niente e
si limita a
fare il palo. Ma potevi intervenire, quelli quasi quasi gli
spaccavano il naso! » continua, irata.
« Senti, dolcezza, non
sono affari miei questi. Non mi piace immischiarmi. Dì al
tuo
amichetto di tenersi lontano dai bagni dei maschi e vedrai che non
avrà fastidi. »
« E dove dovrebbe andare, di grazia? »
« Non lo so. In quelli delle ragazze? »
Ammutolisco. Non è
quello che volevo dire. Mi frega poco di chi piace a Henton o con chi
se la fa, fino a quando non viene a seccarmi. Ma dopo che passi tutta
la tua giornata a sentire insulti come se fossero la cosa
più
normale del mondo, dopo un po' anche tu pensi siano la cosa giusta da
dire.
La Evans mi guarda come se fossi la cosa più disgustosa in
cui abbia mai avuto la sfortuna di incappare.
« Sei solo un
ignorante, Hummel. Un idiota senza cervello, come tutti i tuoi amici.
» mi sputa addosso, per poi andarsene camminando con grazia e
forza
allo stesso tempo. Io rimango fermo, appoggiato al tronco. Mi porto
la lattina alla bocca, per poi schiaffarla per terra con forza. Mi
giro il cappello ed esco dal cancello, con l'intenzione di saltare il
resto della giornata scolastica.
*
Sono
sdraiato sul muretto davanti casa, le gambe a cavalcioni, la schiena
dolorante contro il cemento mentre guardo il cielo scuro. Non ce la
facevo più a rimanere in casa a sentire i miei che mi
facevano
pesare il fatto di essere stato sospeso per la millesima volta. Al
diavolo, non è stata colpa mia. In tutti i casi pensavo
già di
farla finita con la scuola; non sono bravo e comunque non mi serve
per tirare avanti.
Nonostante tutto non posso fare a meno di
sentirmi un po' un fallimento. E' come se finora, in tutta la mia
vita, non avessi combinato nulla di buono. Tutto ciò fa
schifo.
« Tutto ok? »
Mi alzo di scatto, cercando di individuare la
fonte della voce.
« Scusa, non volevo spaventarti. » dice Neil
Henton, indietreggiando un poco.
« Niente » faccio,
rimettendomi coricato. « Hai bisogno? »
« No. Io... » esita
un attimo, incerto. « Stavo buttando la spazzatura e ti ho
visto
qui. Sembravi... triste. »
« Non sono fatti tuoi. »
«
Si, lo so. Io... scusami. Mi chiedevo solo se magari ti serviva una
mano o... » le parole gli muoiono in gola e gli si legge in
faccia
che si aspetta di prendersi un pugno per essersi permesso di
parlarmi.
Ovviamente non ho nessuna intenzione di farlo.
«
Ok, ok. Scusa se sono stato brusco. Sto bene, grazie. »
« Ok.
Allora... ci si vede. »
Per la prima volta perdo un po' di tempo
per guardare Neil Henton. E' un ragazzo mingherlino e molto curato, e
il suo sorriso è gentile. Chissà
perché ha deciso di preoccuparsi
di vedere come stavo.
Alzo le spalle; non mi interessa,
dopotutto.
« Ci si vede. »
*
«
Che fate, ragazzi? » dico, uscendo di casa e raggiungendo il
gruppo
nel viale. Max si gira verso di me con in mano una confezione di
uova.
« Ehi, Big B! Ci manchi a scuola. Vedi questa? E' la
macchina nuova di Henton. Pensavo che questo fosse un ottimo modo per
inaugurarla. » Risate da parte degli altri e grida di assenso.
«
Perché non lo lasciate in pace? Chissà quanto gli
è costata. E lui
non vi ha mai fatto niente. »
« Stai diventando sentimentale,
Big B? Lo sai cos'è. Il suo modo di essere da solo mi urta.
»
Mmmh. Io potrò essere un po' ignorante, ma questa
affermazione è
davvero stupida.
« Dai, ci divertiamo solo un po'. A te l'onore
» e mi passa un uovo.
Non mi va di farlo ma mi stanno guardando
tutti, incitandomi. Chiudo gli occhi e lancio l'uovo che si frantuma
proprio sul parabrezza della macchina nuova di Neil.
Gli altri
ridono e cominciano a bombardarla. Io rimango un po' in disparte, e
il mio sguardo viene catturato da una tenda scostata in casa Henton.
Dietro c'è Neil che guarda e la sua faccia stanca, abbattuta
e
ferita non è facile da mandar giù.
*
Dio,
che schifo. Il puzzo di uova marce mi è entrato anche nel
cervello.
Con la spugna strofino , per poi passarci l'acqua del tubo sopra. E'
difficile da pulire, e il ribrezzo mi sta prendendo tutto. Mi accorgo
di Neil che mi guarda solo quando ormai mi ha raggiunto, ma non gli
do conto e strofino ancora, con più forza.
Dopo un po' lui rompe
il silenzio. « Perché lo stai facendo? »
« Non te la
prendere, ma mi sembri un po' troppo delicato per pulire questo
schifo da solo. »
Neil accenna un sorriso. « No, intendevo...
perché ti stai prendendo la briga di aiutarmi? »
La briga?
« Senti, amico, non farlo. »
« Fare cosa? »
« Non
parlarmi come se io fossi chissà quanti gradini
più in alto di te.
La briga? Lo faccio quasi volentieri. Mi sento davvero in dovere,
dato che è stato un gesto infantile e stupido e che inoltre
io ho
anche iniziato il tutto. »
Ritorno a sciacquare l'auto meglio
che posso, mentre con la coda dell'occhio sbircio Neil che sembra
cercare di accumulare abbastanza coraggio per dire chissà
che cosa.
« Beh, » dice, « allora forse non avresti
dovuto iniziare? »
Alzo gli occhi su di lui.
« Ok, ok, scusa. Non dovevo dirlo.
Io... »
« Ma la smetti? Non ho mica intenzione di picchiarti.
E comunque hai ragione. »
« Davvero? »
« Sicuro. Non
avrei dovuto iniziare. Solo... non mi andava di mettermi nei casini.
Niente di personale, amico, io non ho davvero nessun problema con te.
Puoi dirlo anche alla tua amichetta, così può
smetterla di
minacciarmi. »
Neil batte le palpebre due volte. « Intendi...
Elizabeth? »
« Non so come si chiami. Quella biondina
combattiva. »
« Sì, Elizabeth. Non sapevo vi foste parlati.
»
« Beh, ecco, è venuta giusto a seccarmi un po'. E
a
insultarmi.»
« Non so se essere infastidito o lusingato dalla
sua intromissione. Non penso che volesse fare qualcosa di male, solo
che è... molto protettiva nei miei confronti. Sembra che la
mia
colpa sia quella di essere fiero di quello che sono, e per questo ho
l'impressione di avere davvero bisogno di qualcuno che mi protegge.
»
Neil abbassa lo sguardo, imbarazzato. Mi fa quasi stare male
pensare che la maggior parte dei problemi di questo ragazzo sono
causati dal gruppo con il quale sono solito uscire.
« Entra
dentro, ti prenderai freddo con solo quella giacchetta borchiata
addosso. Forse dovrei regalarti un gilet imbottito, che ne dici?
»
Neil sorride, ma la sua espressione è un po' schifata.
« Penso
che declinerò gentilmente l'offerta. »
Sorrido. Questo ragazzo
è divertente. Lo guardo avviarsi verso casa, quando
all'ultimo si
gira.
« Burt? »
Lo guardo, sorpreso. Non mi ha mai chiamato
per nome. « Si? »
« Grazie. »
Gli rispondo con un cenno
del capo. In realtà ho come la sensazione che dovrei essere
io a
ringraziare lui
*
« So tutto. »
«
Ma che-? Che ho fatto sta volta? »
Elizabeth alza un
sopracciglio. « Hai la coda di paglia? Intendevo solo che so
quello
che hai fatto per Neil. La cosa della macchina. »
«
Ah » faccio, per poi rimettermi sdraiato sul muretto davanti
casa
mia. E' il mio posto preferito, anche se non è né
particolarmente
tranquillo o comodo e di sera fa un po' freddo, come adesso. E
soprattutto non è appartato, come dimostra il fatto che
questa tipa
è venuta a seccarmi ancora.
« E' stato inaspettato da parte
tua. In realtà era il minimo che potevi fare, ma
è stato pur sempre
inaspettato. »
« Senti, chiariamo una cosa. Io non ce l'ho con
Henton, ok? Non mi frega niente di chi gli piace e chi no. E a parte
quell'uovo non gli ho mai fatto niente. »
« Beh, non hai
neanche mai impedito che i tuoi compari se la prendessero con lui.
»
Mi sollevo un attimo il berretto e mi passo una mano tra i miei
-pochi, ahimè- capelli. « Io... sono un tipo
tranquillo, ok? Non
mi piace avere dei nemici, e difendere Henton me li avrebbe
procurati. Mi dispiace non aver mai fatto niente, ma ora è
diverso.
Ho mollato la scuola, e ho intenzione di trovarmi una compagnia
diversa. »
Elizabeth mi scruta per un po', come valutandomi. «
Ti vedo spesso qui. Ti piace? »
Scrollo le spalle. « Mi piace
guardare il cielo. Lo faccio ogni volta che succede una cosa bella.
Siccome non ne succedono tante, mi ci metto sempre e spero che
qualcosa di bello accada presto. » Elizabeth è
evidentemente
sorpresa, ma poi improvvisamente sorride. Stranamente mi ritrovo a
pensare che è davvero carina quando sorride; si illumina
tutta e le
sue efelidi vengono messe in risalto.
« Se vuoi puoi unirti a
noi! »
Quasi cado dal muretto. « Come? »
« Sì. Sei un
po' apatico e hai l'aspetto di un camionista, ma ho l'impressione che
tu sia di una pasta diversa rispetto ai tuoi amichetti. Bisogna solo
lavorarla un po'. »
Non so bene se offendermi o prenderlo come
un complimento, in realtà.
« Non saprei... »
« Dai,
vieni, stavo giusto andando da Neil. Puoi passare una serata tra
ragazze con noi. »
Oh, Cristo. Qui le cose stanno
degenerando.
Non vorranno mettermi lo smalto per le unghie, vero?
*
Niente
smalto, ma sono lo stesso semi-traumatizzato. Neil era così
entusiasta di sapere che mi univo a loro che ha cominciato a
farneticare senza sosta -e io che pensavo fosse un tipo timido- e a
un certo punto, non si sa come, è saltato fuori che per
qualche
assurdo motivo non va bene come sono vestito.
« Quella camicia a
quadrettoni fa davvero troppo campagnolo. Scusami, ma è
inguardabile. »
Io lo fisso, confuso. « Ma è comoda. »
« Beh, che mi dici di quel gilet semi-imbottito? »
« Tiene
caldo. Mi dici che accidenti di problema hai? »
« E togliti
quel cappello, per l'amor del cielo. Non sei ancora pelato, metti in
mostra quei quattro peli che hai. »
Non sono sicuro del fatto
che, in fondo, non si meriti tutti gli spintoni presi.
*
E'
da un po' che frequento Neil ed Elizabeth e ho scoperto che in
realtà
non sono poi così male, anche se più che altro
sono loro a
tampinarmi ovunque io vada mentre cerco disperatamente di farmi i
fatti miei. Sono anche divertenti a volte, Neil è
decisamente un
tipo esilarante ed Elizabeth è... beh, Elizabeth.
Avevo capito
subito che era una ragazza combattiva, ma non sapevo che possedesse
anche una parte sorprendentemente dolce e protettiva, soprattutto
verso Neil. Lo tratta come se fosse un fratellino minore, e anche con
me è gentile e simpatica. Anche se non manca di decisione,
questo
no. Poi lei e Neil insieme sono terribili. Si pensi che una volta
stavamo litigando su cosa fare la sera; io volevo andare a vedere la
partita di football -è un obbligo e non andarci è
sacrilegio-
mentre loro volevano assistere a chissà quale concerto di
non so
quale boyband molto famosa (che io ovviamente non avevo mai sentito
nominare).
Fatto sta che alla fine, non si sa come, mi sono
ritrovato al volante del mio pick-up per scarrozzarli fino al
concerto mentre loro urlavano come fangirl impazzite. E mi hanno pure
costretto a sorbirmi quella palla colossale che loro chiamano
musica.
Devo confessare che, in fondo, mi sono comunque divertito.
Ovviamente avrei preferito farmi evirare che ammetterlo davanti a
loro.
*
«
Ommioddio, ommioddio! Lo sapevo, lo sapevo! »
« Zitto! Giuro
che... »
« Lo sapevo! Ce l'avevi scritto in faccia! »
«
Guarda che ti taglio i gioielli di famiglia, e poi voglio vedere come
fai a spassartela con Jason... » « Ok, ok, scusa.
» Neil si
calma, ma ha comunque stampato in faccia un sorriso così
grande che
mi viene voglia di strapparglielo con le dita. Siamo nella sua
camera, seduti per terra in mezzo a tremila cuscini, e sotto grande
insistenza gli ho appena confessato il mio interesse per Elizabeth.
Non l'avessi mai fatto.
« Allora, hai intenzione di dirglielo? »
« Certo che no. Insomma, non posso dirle “mi
piaci”. Fa
troppo liceale senza esperienza. »
« Burt, hai solo vent'anni,
non parlare come un vecchio. »
« Ok, bene. Sapevo che non
dovevo dirtelo, accidenti a me... »
« Ma che c'è di male?
Elizabeth è la ragazza migliore di cui potevi innamorarti
e... »
« “Innamorarti”? Ora non esageriamo, non
sono messo così
male... »
« Ma se sei diventato tutto rosso solo a parlarne!
Guarda, la tua pelata sembra un pomodoro maturo. »
« Non è
vero! E comunque non sono pelato, vedi? Ho i capelli. Ce li ho!
»
Neil ride, per poi annuire con fare accondiscendente.
« Hai
ragione, sei proprio un capellone. »
« Fottiti. »
« Mi
piacerebbe, ma da solo è un po' difficile e Jason torna solo
tra due
giorni. »
« Aaah! Non voglio sentire queste cose. Preferisco
non sapere. »
Neil ridacchia, per poi tornare serio. « Senti,
Burtie,secondo me ci sono buone possibilità che Elizabeth
ricambi.
Vi conoscete da anni ormai, no? »
« Sì, però... »
«
Ora ascoltami bene. Lei è la mia migliore amica e non voglio
che
soffra per nessun motivo, quindi ho bisogno di chiederti: ti piace
davvero? »
« Questi non sono affari tuoi. »
« Sono
serio, Burtie. Tengo molto a lei. »
Ci guardiamo per un attimo
negli occhi. Infine sospiro, sconfitto. « Sì. Mi
piace molto. »
« Esattamente cosa ti piace di lei? »
Rifletto per un attimo.
Cosa mi piace di lei? Facile. « Beh, tutto. E' perfetta. Mi
piace
come parla, come cammina, come si comporta. Mi piacciono i suoi occhi
e vorrei che nostro figlio un giorno ne avesse un paio come i suoi.
Mi piace la sua voce sia quando è gentile sia quando mi
minaccia. Ma
soprattutto mi piace quello che è; una persona pura e senza
pregiudizi. E' solo grazie a lei se ora sono qui a parlare con te, se
sono tuo... amico. »
Neil
mi guarda, serio. Sono un po' in imbarazzo e mi sento messo a nudo,
come se Neil potesse giudicarmi non appena apre bocca.
«
Cielo... sei inquietante. Seriamente pensi già a come
saranno i
vostri figli? »
Arrossisco violentemente. « Davvero è questa
l'unica cosa che ti ha colpito del mio discorso? »
« Oooh,
Burt sono-grande-grosso-e-insensibile è arrossito! Scommetto
che ti
immagini già tu, lei, una grande casa con un giardino e i
vostri
sette pargoli dagli occhi azzurri che rincorrono il cane mentre...
»
Gli tiro un cuscino che lui schiva, ridendo.
« Ti odio. »
« Penso che mi odierai ancora di più quando ti
girerai e vedrai chi
ha ascoltato tutta la nostra conversazione. »
Raggelo,
terrificato. « Ti prego, non dirmelo. »
« Eh, già. » fa
Neil, ridacchiando sotto baffi.
« Sono un uomo morto. »
« Nah, non direi. Solo un po' sfigato, questo si. »
Prendo
fiato e mi giro verso la porta, non prima di aver lanciata
un'occhiata a Neil che urla “con te faccio i conti
dopo”. Mi giro
e vedo Elizabeth, più bella del solito perché ha
addosso uno dei
sorrisi più grandi che io le abbia mai visto.
« Questo è
davvero imbarazzante. »
« Non preoccuparti, BurtBear. E' stato
commovente sentire dei tuoi prematuri progetti riguardo i nostri
futuri figli. »
« Voglio morire, ora. »
Elizabeth
ridacchia ancora e si avvicina a me, per poi inginocchiarsi e
baciarmi con tenerezza la pelata.
Insomma, voglio dire, la mia
testa piena di folti e fluenti capelli.
*
Sono
in officina e sto sistemando le ultime cose prima di tornare a casa.
Mi prendo un momento per guardarmi attorno, più soddisfatto
che mai;
questo posto è stato l'affare migliore che potessi portare a
termine. Lo sento giusto, lo sento mio. E' ancora un po' vuoto, non
ci sono clienti né auto mezze riparate e alcuni scatoloni
sono
ancora lì che aspettano di essere aperti, ma sento che
è questo il
posto adatto in cui trascorrere le mie giornate a fare quello che mi
è sempre piaciuto fare.
Non potrei essere più felice di adesso;
ho una bella casa, una moglie che amo con tutto me stesso, un buon
fondo cassa e adesso ho anche questa fantastica officina che presto
diventerà la più rinomata di Lima. Mi sento
completo e non vedo
come le cose potrebbero andare meglio.
Devo ricredermi quando
arrivo a casa e scopro che Elizabeth mi ha preparato i cupcakes al
cioccolato, ripieni di cioccolato, con la glassa di cioccolato e
delle praline di zucchero sopra. Lei mi ha sempre fatto una testa
tanta sull'importanza di una dieta sana, quindi è ovvio che
c'è
qualcosa che bolle in pentola.
« Beth, dimmi la verità: mi hai
tradito e ora cerchi di comprarti il mio perdono? Perché ti
servirà
molto più di qualche dolcino per farla franca. Magari una
torta.»
Elizabeth ridacchia, anche se noto che è un po' nervosa.
« No,
BurtBear, non ti ho tradito. Dopotutto erano solo delle partite, e le
avevi già viste... »
Deglutisco, la gola secca. « Hai
cancellato tutte le mie registrazioni delle finali? »
Stavolta
ride apertamente. « Tranquillo, le tue partite sono sane e
salve
nello scaffale. Puoi anche rilassarti, o la vena della tempia ti
scoppierà. Devo davvero dirti qualcosa, però.
»
« Dimmi. Sai
che puoi dirmi tutto. »
« Non ti va un cupcake prima? »
« Beth. »
« Sono deliziosi, li ho fatti come piacciono a
te... »
Esasperato, ne agguanto uno e gli do un morso.
Buonissimo. « Fatto. Ora spara. »
« Ecco, io non so se è il
momento giusto. Insomma, ci siamo appena trasferiti, e tu non hai
neanche aperto l'officina, e questo comporterà davvero tante
spese... »
« Elizabeth, cosa diavolo... »
« Sono
incinta. »
Mi cade il cupcake di mano. Nemmeno lo vedo
schiantarsi al suolo e sbriciolarsi, non penso minimamente a tutto
questo spreco di bontà. Tutto ciò che riesco a
fare è alternare lo
sguardo dal volto angelico di mia moglie al suo ventre piatto.
«
Sei... sei sicura? »
« Si. » Non dice altro. Aspetta la mia
reazione. E' un po' nervosa, ma gli occhi le brillano.
I suoi
bellissimi occhi azzurri sono quasi abbaglianti da tutta la
felicità
che posso vederci riflessa.
Con due falcate la raggiungo oltre il
tavolo e la prendo tra le braccia, sollevandola e facendola
volteggiare. Lei lancia dei gridolini alternati a dei
“mettimi giù!
Mettimi giù!”. Lo faccio, salvo poi prenderle il
viso tra le mani
e coprirlo di baci.
« Sei felice, a quanto pare » dice
ridendo.
« Felice? Dio, mi sembra di scoppiare. E' perfetto. Tu
sei perfetta, noi lo siamo, e lo sarà anche la creatura.
»
«
Non penso proprio di essere perfetta. »
Mi allontano un po' per
guardarla negli occhi. « Cosa ti preoccupa? »
Elizabeth
sospira, evitando di guardarmi. « Io... non so. E se non
fossi una
buona madre? Sono davvero pronta per tutto questo? Non so. Mi sembra
così... difficile. Riuscirò a dargli una buona
educazione? Ad
insegnargli come comportarsi, a trasmettergli dei valori? »
«
Beth. » Le prendo il mento e glielo alzo delicatamente,
così che i
suoi occhi si incontrino con i miei. « Tu sei la persona
più bella
che io abbia mai conosciuto. Non solo esternamente; è quello
che hai
dentro che è limpido, puro, bellissimo. Tu mi hai fatto
diventare un
uomo migliore. Mi hai insegnato che l'importante è quello
che una
persona ha dentro, e che tutto il resto non conta. E io non
potrò
mai ringraziarti per questo. » Faccio una pausa, mentre
scruto i
suoi occhi un po' umidi. « Ma soprattutto non
potrò mai
ringraziarti abbastanza per tutta la felicità che mi hai
dato e che
continui a darmi. Anche ora. Questo bambino, o bambina, sarà
perfetto. Sarà buono, sarà giusto, e lo
sarà perché avrà dei
genitori che lo amano e che faranno del loro meglio per crescerlo. Io
credo in te, e credo in noi. »
La stringo in un abbraccio,
affondando il viso nei suoi capelli biondi. Lei ricambia,
abbracciandomi stretto.
« Dovremmo chiamare Neil. Mi piacerebbe
fosse il padrino di nostro figlio. »
Sento
Elizabeth sorridere. « Chi l'avrebbe mai detto che sareste
diventati così amici. »
Già, chi l'avrebbe detto? Io no di
certo.
*
«
Beth. »
« Mmm? »
« Penso dovremmo parlare. »
«
Non possiamo farlo domani? »
« No, è importante. »
Elizabeth apre gli occhi e mi scruta, assonnata. « Va bene,
ma
parla piano, o sveglierai Kurt. »
Guardo un attimo la scena che
ho di fronte, godendomela appieno; Elizabeth è sdraiata sul
letto,
girata verso di me, e tiene il piccolo Kurt addormentato stretto in
un abbraccio. Sono ciò che ho di più prezioso al
mondo e li amo
immensamente; ringrazio ogni singolo giorno la vita per avermi dato
questa famiglia.
« Non credi che sia un po'... strano, che Kurt
abbia voluto come regalo dei... dei... »
Elizabeth alza un
sopracciglio. « Tacchi? »
« Beh, si. »
« E' soltanto
un bambino, Burt, vuole solo giocare. »
« Ma non credi che
dovremmo... non so, fargli capire che non sono cose adatte a un
maschietto? Prima che sia troppo tardi? »
« Burt, è
intelligente. Lo capirà da solo. Qual è il vero
problema? »
Deglutisco, incerto su cosa dire. « Non pensi che tutte
queste sue
fissazioni per i tuoi trucchi, per le riviste di moda che a stento
riesce a leggere e la sua avversione per le macchinine possano essere
dei segni che preannuncino... »
« Cosa? »
« Che possa
essere... gay? »
« Burt, è ancora presto per saperlo. E' solo
un bambino, non penso sappia con precisione da chi è
attratto. E
comunque, se anche si dovesse scoprire gay in futuro, non vedo quale
potrebbe essere il problema. Tu stesso hai sempre accettato Neil, no?
»
« Ma con Neil... insomma, è diverso. Lui non
è mio figlio.
Io... » prendo fiato, cercando di spiegarmi, « non
so. Cioè,
finché ad esserlo è qualcuno di esterno non mi
crea nessun
problema; la vita è loro e possono passarla con chi
vogliono. Ma
qualcuno di così vicino, della mia stessa famiglia
è... strano. Non
so come potrei prenderla, in realtà. »
Elizabeth non dice
niente, si limita a guardarmi e ad accarezzare i capelli soffici di
Kurt. All'improvviso mi sento un mostro per quello che ho pensato, un
ignorante per quello che ho detto e un pessimo padre. Affondo la
faccia nel cuscino.
« Ehi » mi chiama Elizabeth, mettendo una
mano sulla mia guancia. « Va tutto bene. Io posso comprendere
i
tuoi timori. Ma ti conosco, e so come sei; so che tu amerai nostro
figlio con tutto te stesso, indipendentemente da tutto, e che
accetterai le sue scelte. Che lo guiderai nei momenti difficili e che
sarai felice per lui quando troverà la persona giusta, uomo
o donna
che sia. »
Riapro gli occhi e vedo quel sorriso dolce che mi fa
sempre sentire bene. « Sì. Te lo prometto, Beth,
lo farò. »
« Grazie, BurtBear. »
« No, Beth, grazie a te. »
« E
di che? »
« Di essere quello che sei, di darmi quello che mi
dai e per avermi fatto diventare la persona che sono e che spero di
riuscire a essere sempre. »
« Non ho fatto niente, BurtBear.
Sei sempre stato speciale, solo serviva che qualcuno facesse emergere
il tutto. »
Rimaniamo in silenzio, a guardarci.
« Eri così
bella stasera, Beth »
Elizabeth sorride in un muto
ringraziamento. « Oggi è un giorno bellissimo, il
compleanno del
nostro angelo e non abbiamo guardato le stelle; non abbiamo onorato
la tradizione. »
« Non ho bisogno di andare fuori per guardare
le stelle, dato che ce ne sono due davanti me che brillano
più
intensamente di tutte. E non ho bisogno di desiderare che qualcosa di
bello accada, perché non potrei desiderare di più
dalla vita. »
Elizabeth mi da uno scappellotto, piano. « Ogni volta che
dici
queste cose romantiche mi sembra che mi prendi in giro, BurtBear
»
dice ridacchiando.
*
«
Papà, è vero? »
« Cosa, amore? »
« Che non vedrò più
la mamma. »
No. Non devo piangere di nuovo.
« Chi te l'ha
detto? »
« La maestra. Ha detto che le dispiaceva molto che
non posso vedere più la mamma. »
« Beh, la maestra ha torto.
Tu puoi vederla sempre, ogni volta che vuoi. »
« Davvero? »
Gli occhi di Kurt sono grandi e spalancati per la sorpresa. Quegli
occhi così azzurri, uguali a quelli di Elizabeth.
La mia
Beth.
Nonostante i miei sforzi, mi sfugge un singhiozzo.
«
Davvero. Basta che chiudi gli occhi e crei nella tua mente la sua
immagine. Ti ricordi com'era bella? Sempre sorridente e gentile.
Riesci a vederla? »
« Sì » risponde Kurt. Poi riapre gli
occhi, afflitto. « Ma lei non può vedermi.
»
« Vieni con
me, » gli dico, porgendogli la mano. Lui la prende e lo guido
fino
al giardino sul retro. Mi stendo sul muretto e mi metto Kurt sullo
stomaco, sdraiato su di me.
« Vedi le stelle? »
« Sì »
« Indicami quelle per te più luminose. »
Kurt scruta un
po' il cielo, per poi indicare un punto indefinito col dito.
«
Bene. Quelle sono gli occhi della mamma. Ricordi com'erano i suoi
occhi? Come brillavano quando rideva? La loro lucentezza non
è
andata persa, Kurt. E' qui, e la puoi trovare in tutte le cose belle
nel mondo. In una stella particolarmente luminosa, in un fiore appena
sbocciato, in un gattino appena nato. In ogni cosa bella c'è
un po'
della tua mamma, perché lei era ciò di
più bello al mondo. Cerca
sempre di attorniarti di cose belle, di persone belle, di sentimenti
belli, Kurt. Così sarai sempre in compagnia della mamma, e
lei potrà
sempre guardarti e vedere con orgoglio l'uomo che so che diventerai.
»
Non
mi accorgo delle lacrime che mi scendono sulle guance finché
non
vedo le loro gemelle negli occhi di Kurt. « Mi manca tanto,
papà.
»
« Lo so, figliolo. Manca tanto anche a me. »
*
«
Kurt, ragazzo. Stai bene? »
Kurt evita il mio sguardo. « E'
tutto ok, papà. Ora passa. »
« Parlerò a Carole di Finn,
puoi starne certo. »
« Non c'è bisogno che ti preoccupi
tanto. Sono abituato a quel genere di appellativi. »
« Beh,
non dovresti esserlo » ribatto, andandomi a sedere accanto a
lui sul
divano. « Tu vai benissimo così come sei e nessuno
dovrebbe
permettersi di etichettarti. »
Kurt accenna a una risata senza
allegria. « Non la pensano tutti così
papà. Finn è ok, deve solo
ancora venire a patti con l'idea che vivremo tutti insieme. Non
voleva offendermi, so che non voleva. Ma è una situazione
difficile
e ognuno ha i suoi tempi. »
Guardo il mio ragazzo, che sta
diventando uomo in fretta. Sembra ieri che lo tenevo sulle spalle
perché sperava di riuscire ad arrivare abbastanza in alto da
toccare
il cielo e raggiungere la mamma, e ora deve affrontare ogni giorno
una battaglia che sento lo sta sfinendo sempre di più.
« E tu
come la stai prendendo? »
« Bene. Davvero papà, sono felice
per te e Carole. »
« Io non vorrei che tu pensassi che... sto
rimpiazzando tua madre, o qualcosa del genere. Perché non
potrei
mai, lo sai. »
Kurt mi guarda con quei suoi occhi azzurri e
profondi e mi ci vuole tutta la mia forza di volontà per non
distogliere lo sguardo da quei pozzi blu così simili ai suoi.
« Lo so, papà. Non penso niente del genere. Anche
tu meriti di
essere felice, e Carole mi piace davvero. Non preoccuparti, resti
sempre il miglior padre del mondo. »
« Non so se sono il
migliore, figliolo, ma di sicuro faccio del mio meglio. »
« E
lo fai alla grande. Davvero. Non so quanti padri avrebbero impiegato
così poco ad accettare che il proprio figlio sia gay. So che
l'avevi
sempre sospettato ma... immagino che averne la certezza sia stata
comunque una batosta. »
Trattengo un sorriso al ricordo. «
Voglio raccontarti qualcosa. Non so se ti ricordi lo zio Neil? Quello
coi capelli ossigenati? »
« Mmm... vagamente, più no che sì.
E' quello che vive in Australia, vero? »
« Sì. Purtroppo dopo
la morte di tua madre abbiamo perso i contatti. » mi
interrompo. Non
voglio intristirmi. « Lui andava alla mia stessa scuola, era
il
migliore amico di tua madre ed era gay. Ai miei tempi era ancora
più
difficile essere un adolescente gay, tutti gli rendevano la vita un
inferno e io non ero da meno. Ma un giorno gli parlai e capii che era
davvero una bravissima persona. L'avevo sempre saputo, ma continuavo
a sentirmi a disagio a stare con lui. Fu tua madre che mi
aiutò a
capire che non c'era niente di diverso, che le preferenze di Neil non
avevano niente a che fare col tipo di persona che era. Mi ci
è
voluto un bel po', ma lei mi ha aiutato. E' grazie a lei che io ho
avuto una delle amicizie più importanti della mia
adolescenza, ed è
grazie a lei che ho saputo come affrontare la situazione con te. Non
è stato facile, lo ammetto, e spesso ho voluto che lei fosse
qui per
aiutarmi, dirmi cosa fare e come comportarmi. Avevo paura che non
sarei riuscito a gestire la cosa, che ti avrei fatto sentire a
disagio, che non ti avrei dato il supporto necessario. Ma ho fatto
del mio meglio, e spero che tu lo sappia. »
Kurt è
evidentemente commosso; di sicuro non si aspettava un discorso
così
lungo. In realtà non me l'aspettavo neanche io.
« Certo che lo
so, papà. La mamma sarebbe fiera di te, e di noi.
»
Allungo una
mano e gli scompiglio i capelli, strappandogli un gridolino di
protesta. « Lo sarebbe eccome. »
« Era una donna
straordinaria, vero? »
« Lo era davvero. »
*
Sono
disteso sul muretto nel giardino sul retro; non sto più
comodo come
una volta -colpa dei chili accumulati negli anni- ma è
comunque
rilassante stare qui. E' una bella notte, limpida e senza una nuvola,
perfetta per guardare le stelle. Chissà com'è il
tempo a New York.
Kurt non mi ha ancora chiamato, ma spero lo faccia presto. Non voglio
essere io a telefonargli, rischio di sembrare asfissiante. Il mio
ometto è cresciuto ormai e sa cavarsela da solo.
Ah, mi deve
essere entrato qualcosa nell'occhio, perché mi rifiuto di
credere
che sto piangendo di nuovo. Altro che BurtBear, più che un
orso
sembro un chihuahua piagnucolone. E' che sono così fiero di
lui, di
quello che è diventato, di quello che ha fatto e che vuole
ancora
fare. Io ho adempiuto al mio compito meglio che ho potuto, ed ora
è
tempo che cammini sulle sue gambe. E' tempo di ritirarsi dietro le
quinte e lasciare il palco alle nuove stelle.
Chiudo gli occhi e
faccio quello che Kurt era solito fare sempre da piccolo; immagino il
volto di Elizabeth, ricordandone tutti i particolari. Ricordo anche
il suo profumo, il calore nel suo sguardo. Saresti anche tu davvero
fiera del nostro ometto, Beth. Lui è quello che è
adesso grazie a
te, e lo sono anch'io.
Ti devo così tanto, Beth, così tanto. Ti
ringrazio. Mi si incurvano le labbra pensando che la tua risposta
sarebbe stata “e di che?”
Di avermi aperto gli occhi, di
avermi reso una persona migliore. Di avermi insegnato che l'amore
è
amore, che la felicità sta nelle cose semplici, come un
bacio, un
sorriso, il pianto di un bambino in piena notte, un cupcake ripieno
di cioccolato.
Ti ringrazio di avermi trovato e accudito, di
esserti fatta amare e di avermi amato. Ti ringrazio di avermi dato
Kurt e di avermi insegnato come prendermi cura di lui e accettarlo e
guidarlo.
Ti ringrazio di avermi dato la forza sufficiente per
permettermi di amare di nuovo. Di essere esistita e di avermi dato
questo calore che ancora mi riempie e mi riscalda in una notte come
questa, quando penso a te.
Grazie.
Il tuo volto circondato
dalle stelle brilla come non mai.
Sei così bella stasera,
Beth.
Nota: inutile dire che Kurt e Burt sono i miei personaggi preferiti e che il loro rapporto è meraviglioso. Ho cercato di vedere le cose dal punto di vista di Burt e tutto sommato mi è venuto spaventosamente naturale. Spero vi piaccia questo piccolo spaccato nella vita di Burt, un ragazzo come tanti che è riuscito a diventare uomo.