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Oggi dovrebbe essere, per me, uno di quei giorni in cui la gente è solita ripetersi mille volte che non dimenticherà mai nella sua intera vita.
Beh, non per me. O almeno non per il motivo per cui tutti lo ricorderanno.
Io lo ricorderò solamente come una giornata immensamente lunga e stancante e non quella in cui hanno seppellito la mia migliore amica.
Ho sempre odiato Amanda.
Non per invidia, non invidiavo la sua popolarità e la naturalezza con cui faceva qualsiasi cosa.
Odiavo la sua falsità. Il modo in cui si mostrava agli altri, altri che non erano me.
Perché la reginetta scolastica non era altro che una falsa impostora, e io lo sapevo meglio di chiunque altro. Lo avevo sperimentato su la mia stessa pelle. Giorno dopo giorno da quando ci siamo conosciute, quindici anni fa.
Mi stendo sul letto e fisso il soffitto.
Non mi sento spaventata o sconvolta, ma nemmeno del tutto tranquilla.
C’è qualcosa di strano in me, qualcosa che non riesco a spiegarmi. Una sensazione diversa, nuova.
Non sono sicura che si tratti di rimpianto. In fondo, posso benissimo non essere stata io la colpevole. La polizia non ha prove, nessuna. Non sono nemmeno una lontana sospettata.
Alla fine, il mio ruolo l’ho recitato bene, e di sicuro ho avuto un’ottima insegnante.
Getto le scarpe a caso per terra e mi infilo sotto le coperte, ma solo dopo essermi strappata di dosso l’orribile vestito nero.
Lo lancio in un angolo della stanza e mi accoccolo sotto il piumone beige rapida.
Non mi addormento subito. Da tre notti, oramai, rimango immobile nel buio della mia camera per ore, ad ascoltare il mio cuore e a cercare di ricordare se quello di Amanda, quando dormiva qui con me, aveva lo stesso battito.