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Autore: fifi15    14/10/2007    8 recensioni
Ho voluto dare un’impostazione particolare a questo racconto, cercando di definire appieno le emozioni, di delineare nel miglior modo ogni istante narrato. “Aveva dovuto comprendere che le emozioni forse più belle della sua intera vita aveva avuto modo di viverle, sebbene per poco, sebbene soffrendo. Le erano state donate a patti chiari, e, per quanto possibile, lei le aveva prese e rese sue.” Ho così voluto creare un racconto che parla d’amore, ma di un amore cupo e solitario, che niente lascia dietro sé. Un amore che si perde nei recessi della memoria, che sopravvive solo attraverso i ricordi di chi, sognando, abbassa ogni difesa.
Genere: Romantico, Drammatico, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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primo capitolo meglio

Questo è il primo capitolo della mia fanfiction…so che leggendolo potrà sembrare strano, ma vorrei premettere che già dal prossimo aggiornamento la storia si delineerà meglio. Spero comunque che vi piaccia e che continuerete a leggere. Adesso vi lascio e…buona lettura!

 
Camminava, e questa era una certezza. La strada che percorreva era buia, cupa, illuminata soltanto dai fari di qualche macchina che, passando per una delle vie lì attorno, spandevano una luce breve ma intensa, mostrando ai suoi occhi chiari un cammino ancora lungo, presagendo una notte ancora giovine. I suoi piedi si muovevano spinti da una volontà propria, che non giungeva certamente da lei, dal suo desiderio o volere. Se c’era una cosa che desiderava in quel momento era luce, forte, chiara, rischiarante…uniforme davanti alla sua vista. Mosse ancora alcuni passi, si fermò e prese un lungo respiro riempiendo i polmoni d’aria, sentendosela scendere attraverso il corpo, lungo la gola, fresca, fin troppo sottile e pungente. Nel non sapere dove fosse, dove stesse andando, quale fosse il motivo, se poi ne esistesse uno, del ritrovarsi in quel luogo a lei sconosciuto, capiva forse soltanto che camminare era la scelta più logica, l’unica anche, ma sicuramente la più logica. E lei, che certamente non era una da prendere le cose alla leggera, aveva deciso di seguire sino in fondo quella logicità, anche se un po’ astrusa. Così, in quel momento, l’unica cosa che aveva in mente era quella strada, e quei passi che ad ogni metro sembrava divenissero più pesanti, quasi che si imprimessero nell’asfalto sotto il suo esile corpo. I suoi capelli sciolti sulle spalle si arricciavano in morbide curve ad ogni alito di vento passante attraverso tutti quei palazzi che si ergevano nell’oscurità al suo fianco, scuri, immobili, disabitati.
Era sola.
Uno spruzzo d’acqua le colpì il viso freddamente, facendola trasalire. Spinse le mani in su a coprire gli occhi già strizzati, le guance arrossate, le labbra compresse dallo stupore, dalla stizza. Decretando che fosse tutto stato un miraggio, sarebbe stato impossibile pensare a pioggia perché pioggia non era e non le andava di mettere in conto altre opzioni scomode, ritrovarsi a fare i conti con qualcosa che si riduceva a mille domande e nessuna risposta, abbassò le mani lungo i fianchi e si ritrovò a tremare con ancora la pelle fresca dove quell’acqua, che in fondo sapeva bene non esserci stata, l’aveva colpita.
Strofinando energicamente le palme rosse sulle braccia e stringendosele riprese il suo cammino e, voltata indietro, si accorse dal buio uniforme che nulla era mutato.
I capelli di un biondo ormai opaco le vorticavano ancora attorno al viso dai lineamenti morbidi e leggeri. Attorno agli occhi celesti che avevano raggiunto una tonalità grigia man mano che il tempo passava. Attorno alla bocca sottile e distesa.
Fare il punto della sua vita era un’abitudine che aveva preso nei momenti in cui le cose sembrava andassero troppo bene, o troppo male. In quei momenti che, a seconda, le parevano impossibili per l’eccessiva gioia o per l’eccessivo dolore, si fermava e decretava che tutto ciò attorno a lei si fermasse. Allora tutto si bloccava nel preciso istante in cui la sua mente così decideva, e lei, ferma, concentrata, assorta in quell’attimo, faceva il punto.
Questo sistema, sebbene un po’ stupido, era sempre servito nei momenti particolari che le erano capitati a fare chiarezza, a prendere in mano le redini e a dare ancora una volta un senso a ciò che accadeva.
Però, si rese conto, fare il punto della sua vita in quell’istante sarebbe stato, oltre che strano, abbastanza inutile.
Aveva un bellissimo lavoro. Aveva un bellissimo appartamento, lussuoso e con ogni comfort. Aveva anche un fidanzato che, sebbene bellissimo non fosse, la rendeva felice e sapeva sempre come farla sorridere, nonostante spesso non capisse quando ne aveva bisogno. Viveva lontano dai suoi genitori e fratelli che, col tempo, avevano imparato ad accettare la sua scelta di distaccarsi e sempre meno spesso l’assillavano chiedendole di tornare in città. Una città che, però, non le apparteneva, che non le era mai appartenuta e alla quale lei non aveva mai cercato di appartenere. Se ci aveva vissuto per ben diciotto anni era stato per semplice normalità, perché “normale” era definito finire gli studi superiori nella città natale. Lei non aveva mai pensato che fosse normale o d’obbligo, altro termine comunemente utilizzato dalla madre nei loro battibecchi, però si era adeguata. In seguito, quando il liceo era finito e aveva ricevuto un incentivo allo studio da un’ importante università, senza pensarci due volte aveva impacchettato l’intera sua vita ed era andata via.

Neanche prendere quella scelta era stato facile, mai lo aveva pensato e mai lo avrebbe fatto, però certamente si era resa conto che era l’unica occasione offertale dalla vita sino a quel momento, e che calciarla via così, senza pensarci due volte, sarebbe stato peggio che tagliarsi le vene. Se non fosse andata via avrebbe trascorso il resto dei suoi giorni con un marito in mezzo all’orto, una piacevole casetta in mezzo alla campagna, tanti bei figli in mezzo alle sue giornate…e tanta, tanta tristezza la notte, guardando fuori, immaginando cosa sarebbe potuto essere, cosa avrebbe potuto avere…quale donna sarebbe potuta divenire.

Non si accorse di essere giunta ad un bivio sino a quando una luce non le si parò davanti. Allora alzò gli occhi rinfrancata, pensando che tutto fosse finito, che sarebbe tornata a casa, nel suo letto, e avrebbe ricordato quell’esperienza come un brutto sogno...
Un lampione alto più del consueto, sembrava si ergesse sopra di lei per centinaia di metri, spandeva lungo quel tratto di strada una luce arancione che, invece di rendere l’atmosfera più serena e accettabile, incupiva l’ambiente attorno, sfocandone i contorni, allungandone le forme, tingendone i colori…velando, infine, anche il suo sguardo fattosi speranzoso per un attimo, uno soltanto. Mosse ancora un paio di passi malfermi, posizionandosi sotto quella luce, come se da un momento all’altro qualcuno dovesse scendere da lassù e tenderle una mano sorridendo beato, intimandole fiducia, proferendo in silenzio parole che aveva voglia e, sì, bisogno di udire. Gli occhi fissi in alto, i capelli abbandonati morbidamente sulle spalle, la giacca aperta pendente ai lati dei suoi fianchi con fare smorto, i jeans scuri allentati sulla vita, attese quelli che sembrarono attimi indefinibili, incontrollati. Infine, tornando a quell’attimo, a quella situazione, a quella strada, abbassò lo sguardo sulle scarpe, delusa, stordita, amara. Si guardò intorno.

Le strade si dipanavano sulla destra e sulla sinistra, l’una scura, tetra, dai bordi indefiniti, dai colori assottigliati, l’altra rischiarata da una serie di fari posti ai lati, argentea, limpida, sicura. Era sicuramente quella la strada giusta, l’esattezza delle scelte che aveva atteso, che l’avrebbe ricondotta a casa. Riusciva quasi ad immaginarne, alla fine, lo sbocco sulla via dove abitava, il palazzo nel quale risedeva addormentato ed immerso nell’oscurità, ma sarebbe stata un’oscurità conosciuta, definita, amata.

Risolse di darsi ancora qualche attimo per decidere, nonostante quella sembrasse una scelta ovvia. Lanciò ancora uno sguardo alla sua destra, a quella strada buia e desolata, dove le uniche forme distinte erano quelle dei palazzi alti e solitari, disabitati, come lei sapeva bene. Gli occhi allora si volsero nuovamente sull’argento che, invece, alla sinistra aveva. Quei faretti creavano una luce innaturale, un cammino che sembrava quasi chiamasse a sé, invocasse il suo nome come tante volte aveva desiderato facesse qualcun altro…incontrollati, gli occhi tornarono a destra e le sembrò che, lungo quell’oscurità, scrosciasse dell’acqua. Nonostante fosse impossibile che piovesse solo lungo quel tratto di strada senza che la pioggia giungesse a quel lampione sopra di lei e alla sua sinistra, era ormai certa che stesse accadendo. Sentiva chiaramente le gocce infrangersi contro l’asfalto, sfiorarne la superficie e scomporsi in mille altre gocce, scrosciare contro i contorni dei palazzi, scrosciare contro sé stesse. E quel rumore era, in fondo, piacevole. Era piacevole perché, sebbene non amasse la pioggia, la conosceva, l’aveva vista scendere lungo i vetri della sua casa, rincorrersi sulle strade mentre era in macchina, rombare il tuono coricata nel letto. Aveva visto, prima di ritrovarsi in quel luogo di nessuno, in quella strada che poteva benissimo non avere mai fine, in quel percorrere che avrebbe potuto durare per sempre, i rivoli che la pioggia creava al suo incedere martellante, le giornate divenire pressanti e grigie, i suoi occhi tingersi, pian piano, dello stesso colore. Si strinse ancora una volta nelle braccia, avvolgendo i lembi della giacca contro il ventre, incosciente, in quell’istante, che legarne la cerniera sarebbe stato forse meglio. In quel momento l’unico pensiero era che, nonostante l’una delle due strade fosse rischiarata e sembrasse così avvolgente e sicura, oltremodo avvolgente e sicura, l’altra aveva da offrirle qualcosa che conosceva e sapeva definire, qualcosa di naturale, di umano…

Così, raccogliendo le ultime energie, si mosse con certezza. La strada si dipanava ancora buia ma i suoi occhi, adesso nuovamente azzurri e brillanti, pensavano di trovarne la via giusta. E quella pioggia era già un buon inizio.

 

Che dire?So bene che può sembrare quantomeno particolare come primo capitolo, ma tranquilli: nei prossimi aggiornamenti ogni cosa vi sembrerà più chiara e, mi auguro, la storia molto più interessante! Recensite se vi è piaciuta, e avete intenzione di continuare a leggere, ma anche se non vi è piaciuta…aspetto consigli nel bene e nel male! Un bacio e un grazie a tutti coloro che leggeranno!

  
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