Starman
Una
donna dalla veste ampia e i sandali, è tutto ciò
che ricorda della
madre di Sid, perché poche volte si attentava a guardarla in
faccia.
La più squallida periferia di Londra era il teatro dei loro
giochi,
tra la spazzatura e le stazioni della metro. La città era un
enorme
parco divertimenti pieno di insidie, come il veleno per topi in
granuli e i pedofili camuffati da hippie.
«Johnny,
te lo affido».
Lydon
aveva ringhiato e risposto male, non sopportava di essere chiamato
Johnny. Un soprannome che allungava il nome non aveva alcun senso.
«Fai
il bravo Simon».
Un
bambinetto bianco come il latte, patito, asociale e con le
finestrelle tra i denti: questo era Sid junior, e John avrebbe dovuto
guidarlo tra i pericoli di Londra. Era un compito che lo riempiva di
orgoglio.
John
si muoveva come una scimmia in quella giungla, sapeva quali erano i
posti da evitare per non venire pestati dai bulli più
grandi, in
quali viali si poteva giocare al tirassegno con i lampioni, in quali
altri nessuno ti sgridava se facevi secchi i piccioni con i sassi,
anzi, qualche barbone ti ringraziava pure.
«John,
ho incontrato un signore molto strano, giallo come un asiatico. Mi ha
detto che se volevo potevo giocare con lui, allora abbiamo ballato
per strada dei vecchi pezzi rock, quelli che tu detesti. Poi se
n'è
andato, ma mi ha fatto promettere di non raccontare a nessuno di
averlo incontrato».
John
ascolta disinteressato, calcia una lattina, sputa per terra, pigia
tutti i campanelli che vede. Poi assimila ciò che gli
è stato
appena detto.
«Che
coglione che sei Simon! Quello era per certo un pedofilo!»
Sid
junior ci rimane male. Non credeva che John lo rimproverasse.
«Secondo
me era un astronauta».
John, avevi dieci anni, perché devi per forza ricordare quei momenti come un idiota sentimentale? Non eri tu che professavi l'I don't care? Possibile che tu non riesca a metterlo in pratica nella tua vita?
Lydon
passa un braccio attorno alla vita di Sid, strizza gli occhi, mette a
fuoco la stanza. Fortunatamente si trova nella propria camera, le
pareti verde acido sono inconfondibili.
Sid
è immerso in un sonno tenace, ha il respiro pesante, sta
smaltendo
tutto l'alcol ingerito quella notte. Con la faccia appiccicata al
cuscino e la bocca aperta sembra essere tornato il bambino isterico e
brufoloso che era.
John
si alza in piedi scostando il groviglio di lenzuola, barcolla per
alcuni metri e inciampa in una pila di dischi in vinile. Irritato li
calcia e ne spezza alcuni, tra i quali uno in particolare attira la
sua attenzione.
Si
piega, lo prende in mano, guarda la cover.
The
Rise and Fall of Ziggy Stardust and the Spiders from Mars. Il
Duca Bianco, la passione di Sid.
Bowie
d'altronde è immune da critiche, i punk l'hanno fatto loro
parente.
«Ehi
Sidney, alza il culo».
La
voce impastata di Simon si leva dal mucchio di coperte come un
mugolio dall'oltretomba.
«Cos'è
successo Johnny? Ci siamo slinguati, siamo venuti a casa tua, poi
abbiamo fatto del sesso...?»
John
lo guarda con aria di sufficienza, ha ancora le cosce umide e gli
provocano un certo fastidio al contatto con la pelle nera dei
pantaloni. Sid è fuori dal mondo, come fa a non accorgersi
di essere
stato scopato? Che merda la droga.
«Sai
Johnny, ho fatto un sogno davvero strano... incontravo un tizio
giallo, un cinese, un coreano, boh, e abbiamo ballato il pogo per
strada. Lui non riusciva a resistere senza ballare, perché
da dove
veniva lui c'è sempre musica, come un eco nel cielo,
fighissimo. Poi
se n'è dovuto andare, ma prima mi ha detto chi era,
facendomi
promettere di non dirlo a nessuno, e ora... non mi ricordo
più cosa
mi disse! Buffo no? Così nemmeno a te posso rivelare la sua
identità».
John
fa finta di essere impegnato a sistemare i dischi sullo scaffale, ma
la sua attenzione stavolta è tutta per Sid. Passa una mano
tra i
capelli arancioni, li scopre bagnati di sudore. Ripone al suo posto
l'album di Bowie, ormai rotto in pezzi, cercando di infilarlo alla
meno peggio nella sua scatola.
«Non
lo so Sidney, però penso che se tu raccontassi queste cose
in giro
ti ritroveresti in manicomio».
Io
però ti credo. Sai, forse quell'uomo era un messaggero
situazionista. Sa che poteva parlare con me, o te, o un altro punk
autentico, perché solo noi siamo in grado di cogliere un
messaggio
così rivoluzionario. Chiunque altro impazzirebbe al solo
pensiero di
un mondo capovolto, fuggirebbe via terrorizzato e denuncerebbe l'uomo
giallo alla prima stazione di polizia.
L'uomo
giallo parla con i bambini - o con i punk, il che è lo
stesso -
perché sono gli unici che possono capirlo, non
perché sia un
maniaco. Non riesce a smettere di ballare perché la musica
cosmica
suona sempre dentro alle sue orecchie, senza cavi né casse.
E se
qualcuno gli parla, ride e scuote la testa, perché se ne
infischia
dell'opinione altrui. E magari alza il dito medio, e continua a
ballare.
«Siiid,
dimmi un po', non è che ci siamo anche fatti qualche canna
ieri
sera?»
Vicious
è già in cerca di aria e imbocca l'uscita
dell'appartamento ancora
in mutande, seguito da un Lydon stranamente di buon umore.
La
televisione, ferma dalla sera prima sul canale due, interrompe la sua
trasmissione silenziosa, e l'immagine si riduce a un mucchio di linee
grigie e nere.
*
«John,
ehi John!»
«Sidney,
perché devi scassarmi le palle anche a distanza?»
«Non
fare lo scontroso, Johnny, ho trovato qualche
moneta vicino a
una cabina telefonica di King's Road, così ho pensato di
fare una
telefonata».
«Ma
sei scemo? Io sarò nella via accanto!»
«Non
è il punto Johnny, il fatto è
che con tutte le persone a cui
potevo telefonare ho scelto te! Capisci? Ho scelto te, non Nancy! Sei
contento?»