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Autore: _Syriana    28/03/2013    2 recensioni
- Tra sei settimane sposerai il figlio maggiore della famiglia di Navalle – le annunciò suo padre.
[...]
Lei era un falco a cui avevano spezzato le ali. Non avrebbe potuto volare mai più.
Un matrimonio. Un ragazzo sconosciuto. Solo sei settimane per imparare a conoscerlo e ad... amarlo?
Genere: Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Caroline Mayfield, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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A chi, come me, cammina sotto la pioggia con un sorriso.
A Giusi, che c’è sempre anche quando non lo ricordo
A Cris che mi fa ridere ogni giorno
A Ross. Semplicemente a Ross.
 

 

Amor ogni cosa vince, 
Leonardo da Vinci 

 
 

Engaged

 
Caroline guardava la sorella e i cugini ridere e chiacchierare insieme e pensava che quella era la sua famiglia. Poi, chiudeva gli occhi e quel pensiero confortante spariva, lasciando il posto ad un altro pensiero, più doloroso: quella non sarebbe più stata la sua famiglia, tra poche settimane.
Voltò lo sguardo, per incontrare quello del cugino che la fissava preoccupato – Tutto bene, Carol? –.
No, nulla andava bene.
Ma si sforzò di sorridere.
 
Suo padre l’aveva chiamata per parlare quella mattina. L’aveva trovato nel suo studio, seduto alla scrivania, sommerso da centinaia di carte. L’aveva guardata un paio di secondi quando era entrata, poi era ritornato alle sue carte – Siediti, Caroline – le aveva detto, da dietro un foglio, facendole un piccolo cenno con la testa verso una delle poltrone dello studio.
Carol si era seduta ed aveva aspettato qualche minuto, prima che suo padre si alzasse dalla sua sedia e andasse a sedersi nella poltrona davanti alla sua. Poggiato comodamente allo schienale , sembrava totalmente a suo agio in quella situazione. Al contrario di Carol, che si contorceva le mani, agitata. Era raro che suo padre la chiamasse per parlare, e quando succedeva quasi mai era per dare belle notizie: nelle ultime ore si era chiesta molte volte il motivo di quella richiesta, e non aveva mai trovato una risposta che la soddisfacesse.
- Caroline, quello che ti dirò è molto importante e ti riguarda da vicino – iniziò suo padre, guardandola negli occhi da dietro la sottile montatura d’oro degli occhiali – tra poche settimane unirò la nostra famiglia ad una delle più importanti famiglie del Granducato di Navalle – proseguì, e nella sua voce si poteva sentire tutta la sua soddisfazione per quella notizia.
Caroline si chiese in che modo avrebbe potuto questa notizia riguardarla da vicino, poi spalancò gli occhi.
Lei era la maggiore, la primogenita. Quante volte si era vantata di essere la maggiore?
Ma suo padre non avrebbe mai potuto…
- Tra sei settimane sposerai il figlio maggiore della famiglia di Navalle – le annunciò suo padre.
E il mondo si colorò di nero.
 
Sei settimane. Sei settimane prima di salire all’altare con un ragazzo che nemmeno conosceva. Sei settimane prima di lasciare la sua casa ed andare ad abitare con una famiglia che non conosceva, in una regione che non conosceva.
Sei settimane e non avrebbe conosciuto più nulla. Nemmeno se stessa.
Ed era stato suo padre a permetterlo. Anzi, era lui che l’aveva voluto.
Mentre guardava fuori dalla finestra della sua stanza, dove si era rifugiata dopo l’annuncio di suo padre, pensava a quello che le aveva detto dopo l’annuncio.
- E’ molto importante questa unione, Caroline. Comportati bene, comportati come una donna adulta che deve saper fare dei sacrifici per il bene della sua famiglia. Ora vai – l’aveva liquidata con un gesto della mano – ho molto da fare. Avrai un matrimonio degno di una regina, Caroline -.
E lei era uscita.
Nei giardini del palazzo Justin e Dreyden si stavano allenando con la spada, sotto gli occhi di Alexandria e Gabriel: i primi divertiti, i secondi attenti e pronti a notare qualsiasi imperfezione nei movimenti.
Concentrata nel guardare i gemelli che si battevano, si spaventò quando qualcuno bussò alla porta.
- Avanti – disse voltandosi, e sorrise vedendo la sorella chiudersi la porta alle spalle.
- Vieni a vedere i gemelli che se le danno di santa ragione? – chiese Fayette, guardandola. Carol scosse la testa, sorridendo. Non aveva nessuna voglia di stare insieme ad altre persone. Aveva solo bisogno di stare sola a pensare.
Fay accettò con una smorfia quella decisione – Se cambi idea, noi siamo tutti giù – le disse, prima di voltarsi e avviarsi verso la porta. Solo quando fu con una parte del corpo fuori dalla stanza, la guardò – Cosa voleva nostro padre? – chiese.
Carol si irrigidì e deviò lo sguardo – Ayen. Nulla di cui preoccuparsi, sorellina – rispose.
La sorella annuì ed uscì dalla stanza, sbattendo la porta dietro di sé.
Caroline uscì nel balcone e si sporse verso il giardino, dove Fayette stava correndo verso tutti gli altri cugini. Guardò verso l’orizzonte, dove un falco stava volando veloce, in cerca di prede.
Come sarebbe stato, saper volare? Essere come quel falco, poter scappare lontano, senza tornare più?
Abbassò lo sguardo e incontrò quello di Gabriel, che la stava fissando dal basso: strinse la presa sulla cornice del balcone, chiudendo gli occhi. Rientrò nella stanza dopo pochi minuti, una lacrima solitaria che le rigava la guancia.
Lei era un falco a cui avevano spezzato le ali. Non avrebbe potuto volare mai più.
 
Era seduta sotto un grande albero, le gambe al petto e la faccia affondata dentro le pagine di un grande libro ingiallito dal tempo.
Caroline era quel tipo di ragazza che preferiva starsene da sola con un buon libro, quando non voleva pensare a qualcosa.
A lei pensare, però, piaceva. Riusciva a vedere tutto nella giusta prospettiva, pensandoci un poco, e riusciva ad assimilare tutto più facilmente.
Era immersa nella lettura di una principessa dormiente in attesa del suo principe, quando sentì un rumore alla sua destra. Alzò la testa per vedere chi era: Gabriel si stava sedendo comodamente vicino a lei.
- E così la strega malvagia la maledì: all’età di sedici anni si sarebbe punta con un fuso e sarebbe morta… - recitò a memoria il ragazzo, guardando il libro che Carol teneva sulle ginocchia e sorridendo aggiunse – Non ricordo quante volte te l’ho letto, prima che andassi a dormire, da piccola. E’ sempre stata la tua fiaba preferita -.
Carol sorrise, chiudendo il libro – Io ricordo che cambiavi sempre il finale, o qualche dettaglio nella storia; ed ogni volta io te lo facevo notare, così tu mi rispondevi: E’ sempre la stessa storia, così la rendo interessante, altrimenti mi addormento! -. Gabriel rise e allungò una mano per prenderne una di lei, per giocare con le dita come da piccoli, per poi stringerla.
- Ho parlato con tuo padre, Carol. Tutti noi abbiamo parlato con lui – la mano che Gabriel teneva si irrigidì sotto il suo tocco.
- Ebbene? – chiese, la voce secca e leggermente tremula, lo sguardo fisso davanti a se.
- Carol… - la voce di Gabriel era dolce – Mi dispiace così tanto. Mi dispiace per quello che tuo padre vuole farti fare, perché non posso fare nulla per impedirlo, perché… -
- Basta così – lo interruppe lei, con voce secca – non sta per morire nessuno, Gabriel. Io sicuramente non morirò: è solo un matrimonio -. Gabriel la guardò negli occhi, e lei vi poté leggere tutta la sua sorpresa: sicuramente non si era aspettato questa reazione da lei.
- Ma… ma, Caroline!, hai solo diciassette anni! – esclamò sconvolto – e poi credevi nell’amore -. Caroline scosse la testa.
- Mi confondi con Fayette. Ho accettato questo matrimonio, ho accettato di fare come mi è stato chiesto, - guardò il cugino e la sua faccia sconvolta – Ti prego, accettalo tu come ho fatto io. E… imparerò ad amarlo, Gabriel. Chiunque sia – sussurrò.
Gli occhi del ragazzo si addolcirono, mentre l’abbracciava posandogli il mento sulla spalla.
- E se non ci riuscissi? Non si ama a comando, Caroline – le chiese all’orecchio.
- Almeno saprò che ci ho provato, Gabriel – rispose in un sussurro. Non parlarono più, per il resto del pomeriggio, ma rimasero in silenzio.
Quel silenzio pieno di parole che tra loro c’era sempre stato.
 
Tornarono al palazzo insieme, mano nella mano, come da piccoli quando Gabriel la tirava per farla correre più velocemente per scappare dall’inseguimento dei cugini, parlando di come Justin e Dreyden fossero così tediosamente adorabili quando litigavano.
Caroline si sentiva più leggera, dopo quel pomeriggio con il cugino. Stavano parlando di come Gab avesse sconfitto da solo i gemelli, quando videro Fayette correre loro incontro.
- Caroline, Gabriel! Pensavamo vi foste persi nella radura, non tornavate più dalla vostra passeggiata! – disse, poggiandosi una mano sul petto ansante per la corsa.
- Come facciamo a perderci a casa nostra? – chiese Carol, storcendo la bocca, metre al suo fianco Gabriel era scoppiato a ridere.
- E io cosa ne posso sapere? – chiese irritata Fay, alzando le mani al cielo – hanno detto loro che dovevo venire a cercarvi! – aggiunse irritata, mettendo il broncio.
- Tu sola? – chiese ridendo Gabriel, scompigliandole i capelli, mentre anche Carol  scoppiava a ridere. Fayette, per tutta risposta, mostrò loro la lingua e si girò con fare irritato, incamminandosi verso la casa.
- Andiamo, forza – disse ridendo Caroline, spingendo un poco il cugino a seguire la sorella,e presto l’affiancarono.
Carol sorrideva tranquilla, quando si sentì toccare una mano dalla sorella e voltò la testa verso di lei, guardandola interrogativa. Fayette, al contrario la guardava con un espressione che era un misto tra il curioso e il timido, le gote leggermente rosse.
- Ho saputo, Carol. Non so nemmeno cosa pensare. Mi spiace per quello che nostro padre vuole farti fare. Mi sembra tutto così assurdo – scosse piano la testa, mentre sul viso di Carol spariva il sorriso spensierato per lasciare il posto sempre ad un sorriso, ma dolce – Non importa, Fay. Sul serio. Ho accettato tutta questa situazione, anzi volevo chiederti una cosa: ti andrebbe, insieme ad Alexandria, di essere la mia damigella d’onore? – le chiese e vide la sorella tentennare.
- Ne sei sicura? – chiese timida e alla sua risposta affermativa si aprì in un sorriso
- Sarà un onore, sorellina – disse, abbracciandola.
- Ehi!, sono sempre io la maggiore!, – esclamò ridendo Caroline, poi sospirò, guardando entrambi i suoi parenti – ma ancora mi chiedo quando lo conoscerò – disse.
Fayette e Gabriel aggrottarono le sopracciglia e fecero una faccia perplessa – Vuoi dire che tu non lo sai? – chiese Fayette, guardando la sorella.
- Sapere cosa? – chiese a sua volta Carol, fissando i due.
- Arriverà qui sabato – rispose Gabriel – Lui. Arriverà qui sabato -.
 
Palazzo Mayfield sembrava posseduto, in quei tre giorni che precedevano quel famoso sabato, quel giorno in cui sarebbe arrivato il futuro marito della figlia maggiore Mayfield. Caroline guardava i servi correre da un ala all’altra del palazzo con panni lavati e freschi tra le braccia, fiori per decorare le varie stanze, spazzole per lavare i pavimenti e l’argenteria. Svariate volte era incappata in cameriere che nemmeno la consideravano, troppo prese dal loro lavoro per accorgersi della sua presenza.
Ovviamente, insieme ai panni e le stoviglie, le cameriere si passavano anche i pettegolezzi. Così, correvano svariate voci, per la casa: una voleva che stesse per arrivare a palazzo un qualche principe; un'altra voleva che Gabriel, ormai fidanzato ufficialmente con l’ultima erede della famiglia Blackmore, Sophia, stesse per proporsi a lei.
Quando aveva sentito questa diceria, Gabriel era diventato di un bianco candido e aveva iniziato a balbettare, come mai gli era successo, tra l’ilarità dei cugini, soprattutto i due gemelli.
Alcuni, però, la verità la sapevano: se n’era accorta quando, passando per un corridoio, alcune serve avevano smesso di parlare tra loro e l’aveva guardata passare bisbigliando qualche parola, per poi abbassare lo sguardo.
A Caroline, però, non importava molto: cosa cambiava saperlo uno o due giorni prima che il resto delle persone?
- Lo odierò, a prescindere – commentò Alexandria, mentre si pettinava i capelli. Erano nella biblioteca della casa: Gabriel se ne stava seduto sulla poltrona, una gamba al dì la del bracciolo e un braccio piegato dietro lo schienale, gli occhi chiusi;  i gemelli erano seduti sul tappeto e giocavano a carte: sarebbe stato impossibile dire chi dei due stesse barando di più. Fayette era seduta alla scrivania e leggeva un libro, mentre Caroline era seduta sulla stessa scrivania e guardava alcuni spartiti.
Alzò lo sguardo verso la cugina, sbattendo le palpebre – Come, Sandria? – chiese, confusa. Sapeva che adesso l’attenzioni di tutti era rivolta verso lei ed Alexandria.
- Ho detto che lo odierò a prescindere – disse di nuovo Alex, alzando le spalle.
- perché dovresti? – chiese Carol, aggrottando le sopracciglia.
- Perché tutto questo è assurdo! Come puoi sposare un ragazzo che nemmeno conosci? Come puoi accettarlo? – sbottò Alex, allargando le braccia e guardandola fissa. Carol sapeva che tutti loro si erano fatti quella domanda. Cercò con lo sguardo quello di Gabriel, per trovare il suo appoggio.
Sospirò – So che tutti voi vi siete fatti questa domanda, e sinceramente non so se ho una risposta. Almeno, non so se ho una risposta che a voi basti. Non sempre si può scegliere nella vita, Alexandria, alcune cose capitano senza che ci si possa opporre,- alzò una mano, prima che la cugina, che aveva già aperto la bocca, potesse parlare
- so che avrei potuto opporti. Dire di no. Ma non sarebbe cambiato comunque nulla: una di voi avrebbe preso il mio posto, non avrebbe fatto differenza. Io, te oppure Fayette -.
- Sandria, - riprese – tu e Gabriel avete avuto la fortuna di incontrare persone magnifiche che vi amano per quello che siete e voi amate loro; Fay, Justin e Dreyden le incontreranno. Io, dal mio canto, imparerò ad amare la persona che mi è stata destinata. E se non ci riuscirò, pazienza. Avrei comunque voi, con il vostro affetto. Mi basterà – concluse.
Alexandria la guardava stupita, mentre Fayette si era alzata per abbracciarla. Gabriel le fece l’occhiolino, i gemelli le sorrisero dolci.
- Mi stai dicendo che non devo odiarlo? – chiese Alex, guardandola con un sorriso sulle labbra. – Preferirei cercaste tutti di trattarlo in modo amichevole. Entrerà comunque a far parte della nostra famiglia – rispose.
- E la famiglia è tutto – disse Gabriel.
- Brutto bastardo, stai barando! Adesso le prendi! – urlò Dreyden, avventandosi contro il gemello.
Ci furono solo risate, dopo.
 
Era giunto il grande giorno: Caroline era stata svegliata molto presto quella mattina, non che in realtà avesse dormito molto, e fin da subito era stata riempita di impegni. Dal bagno alla scelta dell’abito. Dalla scelta dei gioielli all’acconciatura dei capelli.
- Sembri una bambola di porcellana, Caroline! – aveva commentato ridendo Gabriel, quando l’aveva incontrata nei corridoi.
Portava un lungo vestito blu scuro, impreziosito da file di perle bianche nel corpetto e le stesse perle le impreziosivano i capelli, che erano stati raccolti in un elegante chignon formato da una treccia. Quando si era guardata allo specchio, pensava che sarebbe sembrata una donna molto più vecchia di quello che era, invece sembrava sempre lei, anzi il vestito le metteva in risalto gli occhi e le illuminava il viso.
Fayette, che era entrata proprio in quel momento, le aveva detto che sembrava una principessa, mentre, passando per il salotto dove stavano facendo colazione, i suoi genitori l’avevano guardata con fierezza. Sua madre aveva sussurrato un – Bellissima – mentre suo padre le aveva solo fatto un cenno.
Lei aveva sorriso ed era uscita in giardino, dicendo a tutti che aveva bisogno di un po’ d’aria fresca.
Stava passeggiando per il viale laterale del giardino, quando sentì il rumore degli zoccoli sul vialetto. Erano almeno dieci cavalli.
Era arrivato. E Carol sentì montare l’agitazione dentro di lei, tale da farle tremare le gambe mentre si voltava per tornare in casa ed accogliere i suoi ospiti.
- Caroline! Sono arrivati. Vieni! – la chiamò Fayette e Caroline notò che anche lei era stata agghindata come una bambola.
Salì gli scalini che l’avrebbero portata all’atrio con il cuore che martellava come un forsennato nel petto.
Arrivò nell’atrio già popolato di persone: i suoi cugini e sua sorella, che si stavano presentando a un gruppo di uomini e donne, e i suoi genitori, che invece davano il benvenuto ad un solo ragazzo.
Caroline non riusciva a vederlo in faccia, dalla posizione in cui era, ma solo un giovane ragazzo alto, con le spalle discretamente larghe ma non eccessivamente muscoloso, e una folta chioma di capelli marrone scuro.
- Eccola! – trillò sua madre guardandola e tendendole la mano – Caroline, tesoro, vieni – le disse e Carol si avvicinò piano, mentre il ragazzo si girava verso di lei. Caroline gli avrebbe dato vent’anni o poco più, e anche da quella distanza emanava una tale fierezza da intimidirla.
Posò piano la mano verso quella testa del padre, che dopo qualche secondo la fece scivolare su quella del ragazzo.
La sua stretta era delicata, ma la mano era grande e forte, le dita erano lunghe ma ance callose, forse dall’uso della spada.
Si chinò per baciarle il dorso della mano, mentre suo padre le diceva – Caroline, ti presento Alexander Christopher Liar di Navalle –.
Caro, chinò appena la testa, per poi rialzare lo sguardo e incontrare due occhi incredibilmente verdi che la guardavano attenti.
- Piacere mio, Caroline – sussurrò lui, sulla sua mano.
 
   
 
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