L’ODORE DELL’ERBA
Immobile
stendo le braccia.
Il buio
è attorno a me.
Sento il
muro fregare contro la pelle della mia schiena. Non ricordo più cosa indosso.
Cosa ne è stato.
Mi alzo
in piedi. È sempre più difficile. Faccio due passi e tocco il muro. Ne faccio
altri due e tocco l’altro.
Due
passi.
Occhi
chiusi.
Occhi
aperti.
Nulla
cambia.
Insisto.
Non devo
smettere.
Conto i
passi.
Immagino
l’erba.
Non
ricordo più l’odore dell’erba.
Come è potuto accadere?
Rumori.
Mi siedo
e volto lo sguardo verso la porta.
I primi
tempi aspettavo che arrivassero a dire che era tutto un errore, che non dovevo
essere lì. La speranza è l’ultima a morire si dice.
La
speranza per me è morta?
Non lo
so.
Sicuramente
non spero più che arrivino a liberarmi. So che non accadrà, ma spero di poter
ancora sentire l’odore dell’erba.
La porta
si apre.
La luce
è troppo forte, chiudo gli occhi e qualcuno come sempre mi mette un sacco in
testa.
Mi
costringono ad alzarmi.
I miei
passi riecheggiano lungo un corridoio.
È il
giorno del lavaggio.
Sento
improvvisamente l’aria fredda sulla pelle. L’odore del sacco non mi impedisce di
sentire l’odore della terra, delle persone accanto a me.
Prima di essere portata qui ero in un posto in cui si sentiva l’odore del mare. Sognavo di nuotare, di prendere il sole, di correre sulla spiaggia. Poi mi hanno spostato, non so il perché.
L’acqua
mi colpisce fredda all’improvviso.
Tento di
impedire al getto di colpirmi duramente, ma è impossibile. Loro sono qui per
impedirmi di reagire e io ormai ho imparato.
Da
quanto sono qui?
Perché
sono qui?
Non lo
so.
So solo
che vorrei sentire il profumo dell’erba.
Prima di
tutto questo portavo ogni giorno il mio cane, Otis, a passeggio nel parco sotto
casa. Era bello poter camminare per la strada, stare al sole sdraiati
nell’erba.
Poi i
cani sono stati vietati.
Le
passeggiate per la strada senza motivo anche.
I parchi
sono diventati luoghi dove solo l’élite poteva stare.
Sento
una mano afferrarmi il braccio. Mi riportano dentro.
Appena
arrivata ho sentito per sbaglio la conversazione tra due guardie. So che il
bagno ci viene fatto una volta ogni due settimane. Due bagni sono un mese.
Quanti
bagni ho fatto da quando sono qui?
Non lo
so.
Mi mettono in mano un pezzo di pane. Mi stanno togliendo il sacco. La porta si chiude.
Buio.
Ho paura.
Paura di
impazzire.
Il tempo
si dilata e restringe qui. Tra questi quattro muri posso immergermi in altre
realtà, ma ho paura di perdermi.
Non
voglio impazzire.
All’inizio
pregavo.
Io
credevo in Dio.
Io credo
in Dio.
Gli ho
chiesto perché sono qui, dove sono i miei genitori, che ne è stato dei miei
amici.
Il
giorno prima di essere presa si parlava degli attacchi progettati al nostro
paese. Alla radio avevano parlato dei rivoluzionari.
Quante
volte ho pensato se è quello che credono che io sia.
Non so
più cosa pensare.
Nel
vecchio posto ho visto tanti ragazzi, ragazze, donne, uomini quando ancora ero
all’inizio, quando ero nella cella con la luce, la cella con le altre tre
ragazze. Rinchiusi con lo sguardo di chi non sa perché è lì oppure lo sa e ne va
fiero.
Io non
capivo.
Non
capisco tutt’ora.
Alzo le
braccia stringendo il mio pezzo di pane.
Qui non
ci sono neanche i topi a farmi compagnia.
Nessun
rumore, nessun odore a parte il mio, nessuna luce.
Mi aiutano i ricordi.
Io
voglio sentire l’odore dell’erba.
Quando è
appena tagliata e nell’aria la puoi avvertire anche da
lontano.
Papà la
tagliava ogni settimana.
“Giardino
ordinato indica mente ordinata.”
Rimanevo incantata a guardare l’erba che spariva al passaggio di mio padre e restavo seduta a inspirare profondamente.
Prendo
un piccolo pezzo di pane e lo mastico lentamente.
Non mi
hanno ancora portato l’acqua. Forse oggi non la
porteranno.
Perché
mi tengono qui?
Sono
passati giorni? Settimane? Anni?
Gli anni
mi fanno paura.
Mi sento
debole.
Mi alzo
in piedi e cammino lentamente.
Non devo
smettere di camminare, di contare, di pensare.
I giorni
sono rappresentati dal pane. Ogni giorno ricevo un pezzo di pane. Quando ricevo
il pane ne mangio una metà lentamente e un’altra quando sento i passi della
guardia che fa il suo giro giornaliero.
E poi è
il momento.
Un
giorno canto.
Canto
nella mia mente. Scelgo una canzone che ricordo bene o male e mi sforzo per
farla al meglio. Per sentirla come era cantata, per farne la versione
migliore.
Un
giorno penso ai libri che ho letto.
Quello
dopo ai film che ho visto.
Quello
dopo ai miei amici, alla mia famiglia. Immagino la loro
giornata.
Mi
aiuta.
Dormo.
Cammino.
Penso.
Quando mi rendo conto che sto fissando il vuoto da troppo tempo mi costringo a reagire.
Voglio
sentire l’odore dell’’erba.
All’inizio
piangevo. Ora non più. Non sento più il bisogno di
piangere.
Io
aspetto.
Cosa non
lo so, ma aspetto.
Non mi
rassegno.
Non
cederò.
Non so
cosa vogliono da me, ma non cederò.
Io
voglio solo sentire l’odore dell’erba appena tagliata, il sole che mi scalda la
pelle, le nuvole bianche che sembrano zucchero filato che si rincorrono
velocemente in cielo.
Non
desidero altro.
Nient’altro.
Desidero
solo sentire l’odore dell’erba.
Chiudo
gli occhi.
Un
momento solo.
Uno
soltanto.
Uno.
La porta
si apre.
C’è la
luce, ma non mi fa male.
C’è un
profumo nell’aria. Un profumo così buono.
Lo
seguo.
Esco.
Sento
qualcosa di soffice sotto i piedi.
Sento il
calore sul viso.
Devo
solo chiudere gli occhi e continuerò a sentirlo.
Ora lo
ricordo, lo sento.
Non è
cambiato.
L’odore
dell’erba.
Ora lo
ricordo.
L’odore
dell’erba.