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Autore: Lys    15/10/2007    1 recensioni
Conto i passi. Immagino l’erba. Non ricordo più l’odore dell’erba. Come è potuto accadere?
Genere: Triste, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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L’ODORE DELL’ERBA

 

 

Immobile stendo le braccia.

Il buio è attorno a me.

Sento il muro fregare contro la pelle della mia schiena. Non ricordo più cosa indosso. Cosa ne è stato.

Mi alzo in piedi. È sempre più difficile. Faccio due passi e tocco il muro. Ne faccio altri due e tocco l’altro.

Due passi.

Occhi chiusi.

Occhi aperti.

Nulla cambia.

Insisto.

Non devo smettere.

Conto i passi.

Immagino l’erba.

Non ricordo più l’odore dell’erba.

Come è potuto accadere?

 

Rumori.

 

Mi siedo e volto lo sguardo verso la porta.

I primi tempi aspettavo che arrivassero a dire che era tutto un errore, che non dovevo essere lì. La speranza è l’ultima a morire si dice.

La speranza per me è morta?

Non lo so.

Sicuramente non spero più che arrivino a liberarmi. So che non accadrà, ma spero di poter ancora sentire l’odore dell’erba.

La porta si apre.

La luce è troppo forte, chiudo gli occhi e qualcuno come sempre mi mette un sacco in testa.

Mi costringono ad alzarmi.

I miei passi riecheggiano lungo un corridoio.

È il giorno del lavaggio.

Sento improvvisamente l’aria fredda sulla pelle. L’odore del sacco non mi impedisce di sentire l’odore della terra, delle persone accanto a me.

Prima di essere portata qui ero in un posto in cui si sentiva l’odore del mare. Sognavo di nuotare, di prendere il sole, di correre sulla spiaggia. Poi mi hanno spostato, non so il perché.

L’acqua mi colpisce fredda all’improvviso.

Tento di impedire al getto di colpirmi duramente, ma è impossibile. Loro sono qui per impedirmi di reagire e io ormai ho imparato.

Da quanto sono qui?

Perché sono qui?

Non lo so.

So solo che vorrei sentire il profumo dell’erba.

 

Prima di tutto questo portavo ogni giorno il mio cane, Otis, a passeggio nel parco sotto casa. Era bello poter camminare per la strada, stare al sole sdraiati nell’erba.

Poi i cani sono stati vietati.

Le passeggiate per la strada senza motivo anche.

I parchi sono diventati luoghi dove solo l’élite poteva stare.

 

Sento una mano afferrarmi il braccio. Mi riportano dentro.

Appena arrivata ho sentito per sbaglio la conversazione tra due guardie. So che il bagno ci viene fatto una volta ogni due settimane. Due bagni sono un mese.

Quanti bagni ho fatto da quando sono qui?

Non lo so.

Mi mettono in mano un pezzo di pane. Mi stanno togliendo il sacco. La porta si chiude.

 

Buio.

 

Ho paura.

Paura di impazzire.

Il tempo si dilata e restringe qui. Tra questi quattro muri posso immergermi in altre realtà, ma ho paura di perdermi.

Non voglio impazzire.

All’inizio pregavo.

Io credevo in Dio.

Io credo in Dio.

Gli ho chiesto perché sono qui, dove sono i miei genitori, che ne è stato dei miei amici.

Il giorno prima di essere presa si parlava degli attacchi progettati al nostro paese. Alla radio avevano parlato dei rivoluzionari.

Quante volte ho pensato se è quello che credono che io sia.

Non so più cosa pensare.

Nel vecchio posto ho visto tanti ragazzi, ragazze, donne, uomini quando ancora ero all’inizio, quando ero nella cella con la luce, la cella con le altre tre ragazze. Rinchiusi con lo sguardo di chi non sa perché è lì oppure lo sa e ne va fiero.

Io non capivo.

Non capisco tutt’ora.

Alzo le braccia stringendo il mio pezzo di pane.

Qui non ci sono neanche i topi a farmi compagnia.

Nessun rumore, nessun odore a parte il mio, nessuna luce.

Mi aiutano i ricordi.

 

Io voglio sentire l’odore dell’erba.

 

Quando è appena tagliata e nell’aria la puoi avvertire anche da lontano.

Papà la tagliava ogni settimana.

“Giardino ordinato indica mente ordinata.”

Rimanevo incantata a guardare l’erba che spariva al passaggio di mio padre e restavo seduta a inspirare profondamente.

 

Prendo un piccolo pezzo di pane e lo mastico lentamente.

Non mi hanno ancora portato l’acqua. Forse oggi non la porteranno.

Perché mi tengono qui?

Sono passati giorni? Settimane? Anni?

Gli anni mi fanno paura.

Mi sento debole.

Mi alzo in piedi e cammino lentamente.

Non devo smettere di camminare, di contare, di pensare.

I giorni sono rappresentati dal pane. Ogni giorno ricevo un pezzo di pane. Quando ricevo il pane ne mangio una metà lentamente e un’altra quando sento i passi della guardia che fa il suo giro giornaliero.

E poi è il momento.

Un giorno canto.

Canto nella mia mente. Scelgo una canzone che ricordo bene o male e mi sforzo per farla al meglio. Per sentirla come era cantata, per farne la versione migliore.

Un giorno penso ai libri che ho letto.

Quello dopo ai film che ho visto.

Quello dopo ai miei amici, alla mia famiglia. Immagino la loro giornata.

Mi aiuta.

Dormo.

Cammino.

Penso.

Quando mi rendo conto che sto fissando il vuoto da troppo tempo mi costringo a reagire.

 

Voglio sentire l’odore dell’’erba.

 

All’inizio piangevo. Ora non più. Non sento più il bisogno di piangere.

Io aspetto.

Cosa non lo so, ma aspetto.

Non mi rassegno.

Non cederò.

Non so cosa vogliono da me, ma non cederò.

Io voglio solo sentire l’odore dell’erba appena tagliata, il sole che mi scalda la pelle, le nuvole bianche che sembrano zucchero filato che si rincorrono velocemente in cielo.

Non desidero altro.

Nient’altro.

Desidero solo sentire l’odore dell’erba.

 

Chiudo gli occhi.

Un momento solo.

Uno soltanto.

Uno.

La porta si apre.

 

C’è la luce, ma non mi fa male.

 

C’è un profumo nell’aria. Un profumo così buono.

Lo seguo.

Esco.

 

Sento qualcosa di soffice sotto i piedi.

Sento il calore sul viso.

Devo solo chiudere gli occhi e continuerò a sentirlo.

 

Ora lo ricordo, lo sento.

Non è cambiato.

L’odore dell’erba.

 

Ora lo ricordo.

 

L’odore dell’erba.

 

  
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