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Autore: aleweerint    28/03/2013    4 recensioni
''Si fermò. Qualcosa, nel meccanismo complicatissimo che era il suo essere, si era rotta. Lui, un tipo così chiuso, cinico, si stava aprendo ad una ragazza a cui non aveva chiesto nemmeno di sedersi, una persona che non conosceva e che probabilmente non era interessata a tutti i concetti che stava esprimendo, a tutte le parole che stava buttando fuori dal suo corpo.''
Come la normale routine di un uomo può cambiare grazie ad un incontro casuale.
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Le due meno un quarto. Erano passati tre quarti d'ora da quando il direttore aveva chiesto loro di fare un'ora di straordinario. Tre quarti d'ora cercando di riempire il tempo e il silenzio di quella stanza andando e venendo dal bagno almeno per muovere l'aria. Tre quarti d'ora di ''Ehi, qualcuno vuole un caffè?'' e di ''Magari una goccia''.
Ad un certo punto, mentre tutto e tutti erano perfettamente al loro posto e si muovevano sistematicamente , un uomo decise di rompere gli schemi; non ce la faceva più a stare in quella minuscola stanza insieme a tutte quelle facce di culo. Prese la sua ventiquattrore, il cappello sgualcito che si appoggiava stanco sulla sua scrivania, e si diresse verso la porta. Salutò velocemente tutti senza aspettare di vedere che reazione avrebbero avuto riguardo alla sua trasgressione e si buttò a capofitto sulle scale. Arrivato alla porta principale dell'edificio, prese la maniglia e la tirò con forza, permettendo all'aria esterna di scivolargli addosso come un lenzuolo appena lavato. Si buttò quindi sulla strada e per un paio di minuti ogni cosa all'interno del suo corpo si fermò. Questa era la solita routine: lavorare lavorare lavorare e poi scappare e sentirsi libero che tanto libero non lo era mai davvero del tutto.
 
L'uomo, trasferitosi a Brooklyn con grandi progetti per il proprio futuro, un sorriso finto al quale si era ormai abituato e una ventiquattrore nuova di zecca, aveva trovato facilmente lavoro in un giornale locale grazie alle proprie qualifiche e da ormai sei anni lavorava lì. Ma in cuor suo aveva sempre odiato quell'orrenda scatola grigia e, negli ultimi anni, forse più che mai. Non sopportava di dover stare lì, seduto su di una sedia scomoda, a scrivere notizie che nessuno avrebbe mai letto perché poco importanti. E, se da un lato guadagnava abbastanza per poter fare delle mini vacanze estive insieme alla sua famiglia, dall'altro non aveva né dei giorni di ferie da poter sfruttare né una famiglia con la quale sfruttarli. 
 
Prese dalla tasca della giacca un accendino e delle sigarette e se ne accesa una, poi le sue gambe iniziarono a muoversi lentamente verso una strada oramai conosciuta, così che la sua mente potesse viaggiare altrove o stare attenta ai disegni descritti nell'aria con il fumo.
Si infilò in un viottolo poco conosciuto e si fermò alla vista del bar, un sorriso per la prima volta in quella giornata comparve sul suo volto: lo faceva ridere il pensiero di come ogni giorno fosse uguale a quello precedente e a quello successivo, di come niente riuscisse a fermare il decorso del tempo e cambiare la situazione.
 
Entrò nel caffé e fu subito investito dal forte odore. Ora sì che si trovava dove voleva realmente essere: quel posto rappresentava per lui il rifugio segreto dalla sua nauseante vita, dalla solita routine, perché tutto lì dentro cambiava rapidamente e non cessava mai di diventare affascinante. Quella, però, era l'ora fatale poiché la maggior parte dei lavoratori vi nascondevano a trascorrere la pausa pranzo. Gli uomini si sedevano a gruppi e parlavano della partita di basket del sabato o della stronzaggine del proprio capo, le donne invece fumavano sigarette in quantità industriale oppure scherzavano tra di loro lasciando qualche volta spazio alle occhiate curiose degli uomini. Non era forse un bel clima per gente altolocata o attenta alla normalità delle cose, ma era il clima giusto per gente come quell'uomo.
 
Questi, adocchiando un tavolo libero (se non fosse stato occupato da una ragazza sui ventanni intenta a scrivere) si diresse verso di esso e si sedette senza nemmeno aspettare il permesso della giovane. Lei si voltò e lo guardò con aria stupita e forse un po' offesa, ma lui non vi fece caso. Gli amici iniziarono a salutarlo, e lui ricambiò allegramente; poi chiese ''il solito'' e nell'attesa accese un'altra sigaretta. 
Posò a terra la sua ventiquattrore, poi accavallò le gambe e appoggiò il gomito sul tavolo. Come un fiume in piena, iniziò a parlare: «Odio la gente. Non fraintendermi...non tutta, solo la maggior parte. Odio le loro parole dette solo per scacciare via il silenzio, per tenere viva la conversazione. Odio le loro facce di cazzo che sono sempre uguali, sia alle otto del mattino che alle otto di sera. Odio il fatto che facciano promesse che poi non manterranno. Inoltre non sopporto gli sguardi stucchevoli che lanciano alla gente che non-rientra-nei-loro-parametri-di-comportamento-e-civiltà; forse sono loro quelli anormali poiché sono felici di vivere una stressante monotonia senza rendersi conto che la loro vita un giorno finirà.
E odio il fatto che un giorno potrei diventare come loro, disinteressato del mondo e di ogni suo piccolo particolare. Sai, non sono stato sempre così. Prima ero.. felice» 
Si fermò. Qualcosa, nel meccanismo complicatissimo che era il suo essere, si era rotta. Lui, un tipo così chiuso, cinico, si stava aprendo ad una ragazza a cui non aveva chiesto nemmeno di sedersi, una persona che non conosceva e che probabilmente non era interessata a tutti i concetti che stava esprimendo, a tutte le parole che stava buttando fuori dal suo corpo.
Si voltò verso di lei, che lo guardava ora triste ora attenta. Lei ricambiò lo sguardo, ma si fermò a studiare i lineamenti del suo viso, la profondità dei suoi occhi, le labbra come una barca che l'avrebbe portata in salvo da ogni cosa cattiva del mondo. E poi lui riprese: «Si, felice. Non mi mancava niente, o forse non sapevo che mi mancasse qualcosa. E non odiavo la gente. Certo, fin da quando ero un ragazzino molti comportamenti del genere umano mi irritavano, ma mi bastava vedere un vecchietto seduto al sole per tornare sereno. Forse ciò che mi ha reso così sono stati i miei genitori: mia madre non aveva mai mostrato un particolare affetto verso di me, perché mia sorella era sempre stata molto più interessante, com'era giusto che fosse, e mio padre non era mai stato del tutto fiero di me, perché anziché andare all'università e studiare legge, mi ero trasferito in un'altra città per scrivere. Scrivere, una delle poche cose che è giusto reprimere, di quelle cose che rovinano la vita degli uomini. Io non li capivo: da un lato pensavo che tutti i miei amici avessero genitori come i miei, dall'altro mi dicevo che il mio desiderio di scappare fosse più che giustificato, che non avrei commesso un errore ad andarmene. E quando presi le mie valige per voltare pagina, nessuno dei due si lamentò di non fare più parte del mio racconto. Poche sono le persone che stimo, e ancora meno quelle a cui voglio bene. Ed è per questo che ho paura. Si, paura di rimanere solo... un giorno. Di non avere più nessuno a cui poter parlare, o di non avere più la possibilità di ascoltare quel qualcun altro. Ma ho sempre la situazione che il cerchio intorno a me si stia stringendo, e non ho prove del contrario e ciò mi fa disperare, mi tormenta. Io so di essere complicato, di non essere una persona che riuscirà a tenere con sé una buona parte delle proprie amicizie, ma desidererei trovare qualcuno disposto a farlo. A curarmi dalla mia paura, a proteggermi da ogni cattiveria, ogni momento di disperazione, ogni momento di solitudine e terrore. Da ogni cosa. E più di tutto vorrei, adesso, scusarmi con te. Sì, perché ti ho rotto le palle con i miei piagnistei e so che starai pensando ''Ma che vuole questo?!'', ma avevo solo il bisogno di svuotarmi di tutto, perché tutto ciò che sento è come un fardello che mi trascino tutti i giorni, in ogni momento, in qualunque posto e questa situazione mi distrugge. E quindi.. perdonami»
L'uomo abbassò lo sguardo, pentito di tutto ciò che aveva appena confidato. La ragazza prese la penna, incise sul proprio quaderno la data di quel giorno, e poi accarezzò l'uomo e quel gesto non fece altro che consolarlo. Iniziarono a piangere, insieme, e mentre lei lo accarezzava lui non si tirava indietro, ma anzi si lasciava cullare da quella mano fresca e pensava che forse, quella giornata, non sarebbe poi stata tanto uguale a quella precedente né a quella successiva. Che forse quella ragazza avrebbe fermato il decorso del tempo e cambiato la situazione.
  
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