Film > Thor
Ricorda la storia  |      
Autore: ilegenes    29/03/2013    1 recensioni
Quindi eccolo qui, sotto le mentite spoglie di un leone – e dire che si prodigavano anche a tessere fili dorati nei suoi capelli nella speranza di tramutarli in criniera ma finendo solo nell’accentuarne l’impossibilità –, e senza un vero posto da poter chiamare Casa, a cui appartenere. Non è più uno Jötunn di quanto sia un Æsir. Non è ghiaccio, né fuoco, non ha vessilli né terre, diritti o proprietà, persino tutto ciò che indossa al momento gli è stato benevolmente donato dai suoi carcerieri. Se non può dire di possedere neppure i calzari che porta, allora cosa fa di lui tutto ciò? Una nullità, ecco cosa. Non è nulla.
Loki Laufeyson non esiste.


Partecipante al contest "Romantic vs Angst" di Kirame27 e C_Lennon.
Prompts utlizzati: Dolore (Tradimento) & Cuore di ghiaccio.
Genere: Angst, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Frigga, Loki
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Headlock

*

“Mio signore, la delegazione del Sud ha portato con sé un dono dalle loro terre. Commissionato espressamente dal nostro Principe, vi chiede di essere così gentile di accettarlo in sua vece.”

La scatola è di forma rettangolare, la sua superfice nera probabilmente costituita da ossidiana intagliata, e ha delle applicazioni agli angoli, piccole lingue argentate che si avviluppavano attorno agli spigoli per evitare che possano risultare troppo affilati e quindi pericolosi. Sono realizzate con tale cura che l’ancella approfitta del fatto che il suo interlocutore gli stia ancora dando le spalle per prendersi  un attimo per osservare la squisita lavorazione più da vicino, inclinandola lievemente per notare come anche nella parte inferiore non manchi un’eguale attenzione al dettaglio. Il lato superiore è diviso a metà da una linea sottile che si intuisce appena, e al centro vi sono incastonati due rilievi dorati, forse due lampi stilizzati, che si incrociano a formarne la chiusura che mantiene le due metà saldamente chiuse. Senza alcun dubbio, è un’opera d’arte, quasi sicuramente il più maestoso portagioie che abbia mai visto.

“E posso sapere perché non mi è stato presentato ieri sera? C’è stato abbastanza tempo per farlo, mi sembra.” Per i Nove, il banchetto era durato così tanto che non si era neppure preso la briga di toccare il letto una volta che la sala aveva finalmente cominciato a svuotarsi, i suoi ospiti troppo ubriachi per ritrovare le loro stanze da soli da dover essere aiutati dai servi, alcuni addirittura da semplici sguatteri da cucina, le loro risate tanto sguaiate e tonanti da portarlo a domandarsi come potessero i cristalli dei bicchieri reggere una tale vibrazione senza incrinarsi. Quegli ingordi, famelici Æsir si erano ingozzati fino alle luci dell’alba, mangiando l’equivalente in cacciagione di tre mesi di battute giornaliere.

Ovviamente, a lui era toccato rimanere inchiodato alla sedia per l’intera durata del ricevimento, e per di più al centro della tavolata rialzata, dalla quale non solo poteva avere una chiara visione della sommità delle teste dei commensali chini sui piatti come lupi sulle prede dopo mesi di stenti, ma era allo stesso tempo esposto a qualsivoglia sguardo, se uno di loro avesse trovato il tempo, e ancora più difficilmente la voglia, di alzarlo in quella direzione fra una coscia di fagiano e l’altra. Il principe alla sua sinistra e il re accanto a quest’ultimo, erano fortunatamente troppo impegnati a fare gli onori di casa ai lord comandanti per prestargli troppa attenzione, ma aveva comunque dovuto sorridere, e spesso, ogni qualvolta il suo nome veniva menzionato nei loro discorsi, solitamente accompagnato da un vezzoso “non è uno splendore?” da parte della regina, detto in modo tanto smielato da fargli rivoltare lo stomaco più di quanto già non riuscisse quello che aveva nel piatto.

“Per espresso desiderio del nostro Principe, mio signore.”

Divertente. Ora non aveva neanche il diritto di scegliere quando aprire i propri regali, c’era qualcuno così zelante, così volenteroso da farlo per lui. Molto divertente. E dire che non si erano fatti simili scrupoli a Casa. Si erano preoccupati di quante armi potesse effettivamente trasportare senza che lo rallentassero durante il rito di passaggio all’età adulta, si erano preoccupati che la lama del suo pugnale fosse a doppio taglio, e che ciascun lato fosse ricoperto da polvere di diamante in modo che neppure gli strati di pelliccia e muscolo e tendini potesse separarlo dal suo obbiettivo una volta abbattuto il lupo artico che torreggiava su di lui tre volte la sua stazza, eppure, si erano evidentemente dimenticati lungo il cammino di affidare a qualcuno il compito di decidere quando potesse aprire i propri regali. Che gentili questi Dei, a prendersi un tale disturbo.

Il suo cenno è quasi impercettibile, ma la serva sembra capirlo comunque, e prontamente copre la distanza che la separa dalla porta alla specchiera situata proprio di fronte alle ampie finestre scavate  attraverso le mura del palazzo che svettano sulla la città, l’ampia porzione di cielo sopra di esso che si estende a perdita d’occhio. Sebbene sia seduto proprio di fronte all’enorme specchio ovale dalla cornice di quercia, non c’è niente di riflesso al suo interno che possa essergli un minimo di interesse: non il proprio volto – dal momento che persino lui stesso ne rimane turbato a volte, poiché gli appare estraneo come lo stesso calore del primo sole di Asgard sulla pelle –, non la parziale immagine della giovane che è al momento impegnata nell’intrecciare dei sottilissimi fili d’oro nei suoi capelli, così abilmente che sarà impossibile distinguerli dalla sua capigliatura naturale (per quanto naturale possa essere una menzogna). Non vi è nulla, e quindi lascia che i suoi occhi vaghino senza meta sullo scenario all’esterno, cercando di capire se vi sia una fine a quell’ammasso di metallo scintillante o se dovrà porvene una lui stesso, un giorno.

Non per molto però, perché con un lieve, secco rumore la scatola viene posata sul ripiano di fronte a lui, e le sue dita scorrono sul suo bordo liscio quasi volessero disegnarlo di nuovo. Un regalo dal suo Principe. Un altro costoso, inutile, indesiderato regalo da quel borioso bifolco che hanno il coraggio di acclamare come la Luce nella Tempesta, come l’orgoglio di un intero popolo. E dire che non è neppure in grado di sedere ad un banchetto compostamente. Oh certo, in quanto a doni non lascia di certo a desiderare, se non fosse che sa benissimo che anche ciò che è stato posato di fronte a lui non è stato frutto della sua immaginazione. Non riuscirebbe ad indovinare i suoi gusti neppure se qualcuno si prendesse la briga di scriverne un libro e questo gli venisse messo in mano da Loki stesso. Ammesso che sappia leggere, ovviamente. No, c’è lo zampino di qualcun altro, il tocco di una donna. Probabilmente di quella piccola sciocca a cui è permesso giocare a fare la guerriera, e che con suo grande dispiacere sembra pure riuscirsi. A lei la spada e a lui la sottana, perchè la sconfitta non ammette ribellioni. Non troppo presto, comunque. E ad essere onesti, non lo stupirebbe il sapere di dover mandare i suoi ringraziamenti a lei e non a Thor.

Seguendone i contorni, sposta le dita sui due lampi, facendo scivolare i pannelli gemelli in direzioni opposte, svelandone il contenuto. Acciambellato su una pezza di velluto vi è un serpente, o meglio, quella che sembra essere una specie di torque con le sembianze di un serpente, le scaglie intagliate nell’argento alternate a frammenti di smeraldo e due rubini ovali a formare gli occhi. Non gli serve sentire il sospiro sognante di entrambe le sue serve (e una delle due si azzarda pure a mormorare un sfuggente “Che tale meraviglia…”) per sapere che è anche più maestoso del suo contenitore, se ciò sia possibile. Non c’è neanche bisogno che proferisca parola prima che senta lo sfiorare di una mano che gli scosta i capelli di lato e quello di un’altra che gli invade il campo visivo per prelevare il gioiello dal suo giaciglio. Adesso non può neanche decidere se vuole indossare i suoi regali sul momento oppure no. Se quel gingillo fosse di alcuna utilità si sarebbe già dovuto trasformare in un vero serpente per poi morderla direttamente alla gola. A quanto pare non sarà così, però, visto che in un attimo può avvertire il freddo tocco del metallo sulla pelle.

La cosa più disgustosa è il sentire una piccola lama trafiggerlo per un attimo mentre l’intera lunghezza della collana gli viene poggiata sulla clavicola prima, dove la testa cava resta per il momento solitaria ad aspettare di venire chiusa, e il resto del corpo dell’animale gli viene srotolato lungo la spalla e attorno al braccio, avvolgendolo con le sue spire per tre volte prima che vada a toccargli la schiena fino a che la coda non si ricongiunge con la testa, fermandola effettivamente. Uno Jötunn che sente freddo per il semplice tocco di un gioiello. Adesso sì che può ritenersi lo zimbello dell'intera corte, se solo fosse lì per vederlo. Ma non lo è, fra lui e le sterminate pianure ghiacciate non vi sono semplicemente incalcolabili migliaia di leghe, ma addirittura le fronde dell’Yggdrasill. Certo hanno fatto un ottimo lavoro nello sbarazzarsi di lui: non solo sono riusciti ad allontanarlo in un modo che non può sembrare altro che il più dignitoso data la loro palese situazione di sconfitta ma è anche il più efficace nel fare in modo che non vi si alcun tipo di contatto fra lui e il resto della sua gente. Loro non vogliono sapere, e così sarà, che ad entrambe le parti piaccia oppure no.

“Vi sta d’incanto, mio signore.” Commenta prontamente una delle ancelle, evidentemente quella che ha l’abitudine di irrompere nelle sue stanze senza previo invito e aprire la bocca anche quando non interpellata, un’espressione di meraviglia dipinta sul volto. O forse no, forse è davvero meraviglia quella che sta provando al momento, forse è così stupida da non aver ancora compreso che a nessuno importa della sua opinione, nemmeno quando questa le viene espressamente richiesta. È un’ancella, una serva, vale meno dei petali di crisantemo che vengono sparsi sul cammino che porta fino alla vasca da bagno che offre una vista diretta sul giardino privato interno dell’ala del palazzo nel quale sono collocati i quartieri reali.

“Lasciatemi.” È la risposta secca di Loki, voltandosi di scatto verso di lei con un’espressione che non ammette repliche, anche se la posizione della sua interlocutrice non ne ammetterebbe comunque in primo luogo.

O forse sì.

“Ma non abbiamo ancora finito con l’acconciatura, mio –“

“Ho detto,” e la sua voce è venata da una tale irritazione che per un attimo sembra che tutti i suoni, compreso il melodioso canto degli uccelli che sembra non diminuire mai, nemmeno durante la notte,  cessino per assicurarsi che la sua prossima parola risuoni ancora più chiaramente nella stanza “vattene.”

Un fruscio di vesti che sfregano contro il pavimento e in un attimo le due ragazze si sono dileguate, come se non vi fossero mai state in primo luogo. È finalmente solo, e per una volta non sembra dover chiedere il permesso per esserlo. Non può sopportare l’espressione contratta dalla rabbia che ricambia il suo sguardo nella cornice ovale quindi si alza, sbattendo a terra con uno scatto nervoso della mano il portagioie, un tintinnio di metallo che incontra altro metallo non meno prezioso che giunge distorto alle sue orecchie. Per un attimo medita di frantumarlo sotto ai suoi piedi, ma il sinistro scintillio delle oscure profondità dell’ossidiana lo fanno desistere. Questo suo falso corpo da Æsir non è fatto per sostenere un simile colpo. Non è fatto per resistere, è fatto per piegarsi e seguire come un cane con la coda fra le gambe il padrone che lo precede con un bastone fra le mani. Non serve che lo usi, è il semplice sapere che potrebbe farlo che è abbastanza da fargli guadagnare l’ubbidienza del suo compagno più fedele.

L’odio gli stringe la gola con mani crudeli, e si deve aggrappare al bordo del ripiano di legno della specchiera per evitare di fare la stessa fine toccata al suo regalo un attimo prima. Nient’altro che l’ennesimo stolto tentativo di ingraziarselo, di mascherare una medicina dal sapore amaro con del miele. Un sollievo temporaneo per un male incurabile. Ma gli viene in mente solo un tipo di persona che accetterebbe una collana in cambio di un voto di silenzio, e non godono solitamente di un’opinione favorevole o grande stima.

Ma si potrebbe dire la stessa cosa dei cosiddetti Protetti. Quelle persone che servono a suggellare la promessa di pace e remissione di un popolo verso un altro, un pegno che non dovrà mai essere rotto o restituito se si vuole mantenere quell’accordo. Un trofeo che non ci si deve mai sentire in colpa di mostrare giorno dopo giorno ai propri sudditi, una promessa incarnata affinché tutti la possano vedere, dal primo dei consiglieri all’ultimo degli stallieri.

Perché a differenza dello Scrigno degli Antichi Inverni che giace insieme al resto dei tesori di Asgard nelle profondità del palazzo, lui è un prova visibile, tangibile, della loro vittoria. Protetto. È questo il termine ingegnoso che gli Æsir si sono inventati, e che gli Jötunn si sono precipitosamente affrettati ad imparare, per definirlo. Perché la verità, quella scomoda, inelegante verità che ha il più comune nome di ‘prigioniero’, è troppo turpe per essere esposta pubblicamente. Mentre ‘protetto’ dà l’idea che lo stesso venga effettivamente tenuto sotto ali sicure, lontano dal pericolo quanto lo può essere un cucciolo di serpente in un nido di aquile. E a spingerlo in quel nido non era stato altro che il suo stesso popolo, considerandolo il più adatto fra gli agnelli da offrire in sacrifico. Certo ne avevano molti, ma chi avrebbe sentito la mancanza di uno che neppure aveva la stazza adatta a guidare il gregge? Nessuno, ecco la risposta. Per non parlare dell’immenso sollievo che avevano provato nello scoprire scoperto che i leoni avevano non solo accettato il loro sacrifico ma avevano anche deciso di risparmiar loro una tale penosa vista portandoselo nel loro fosso, lontano dal loro sguardo, che avrebbero dovuto forzatamente tramutare in pietoso per l’occasione, sebbene i sentimenti verso il condannato fossero altri.

Quindi eccolo qui, sotto le mentite spoglie di un leone – 
e dire che si prodigavano anche a tessere fili dorati nei suoi capelli nella speranza di tramutarli in criniera ma finendo solo nell’accentuarne l’impossibilità –, e senza un vero posto da poter chiamare Casa, a cui appartenere. Non è più uno Jötunn di quanto sia un Æsir. Non è ghiaccio, né fuoco, non ha vessilli né terre, diritti o proprietà, persino tutto ciò che indossa al momento gli è stato benevolmente donato dai suoi carcerieri. Se non può dire di possedere neppure i calzari che porta, allora cosa fa di lui tutto ciò? Una nullità, ecco cosa. Non è nulla.

Loki Laufeyson non esiste.


*
 

Se una serva non ha problemi ad entrare nelle sue stanze a suo piacimento, a maggior ragione si può dire lo stesso della Regina in persona. Ovviamente non sola, Hlìn e Fulla sono le sue fedeli ombre, mentre Gnà i suoi occhi, al momento probabilmente impegnata a spiare per suo conto in qualche altra parte del palazzo. Sa perfettamente cosa ci si aspetta da lui, di certo il dare le spalle ad un reale senza proferire parola al suo arrivo non era incluso nel galateo che gli avevano insegnato a Casa né a quello che aveva dovuto imparare di nuovo una volta giunto qui. Erano così preoccupati di inventarsi stupide regole di cui nessuno, loro stessi compresi probabilmente, capiva l’utilità da dimenticarsi che un Re non si conquista la fiducia del proprio popolo facendosi allacciare il mantello da qualcun altro solo perché ne ha la possibilità. Se fosse stato a Jötunheimr, sarebbe stato il numero di bestie e uomini trasformati in cadaveri a decretare quanto più vicino uno potesse sedere vicino al trono di suo padre, non di certo il fatto che il fato avesse scelto questo o quell’altro da far nascere all’interno di una particolare famiglia.

“Mi è giunta voce dell’inettitudine delle ancelle a te assegnate. Me ne rammarico.”

O meglio, Gnà ha fatto il suo lavoro egregiamente come di suo solito, prendendo nota anche del più piccolo movimento, dallo sgocciolare dell’acqua nei sotterranei fino alla polvere che si accumula sulla spada di Heimdall quando rimane immobile per giorni a scrutare solo lui stesso sa cosa. Loki non ha intenzione di offrire a Frigga la possibilità di sedersi e lei se la prenderà lo stesso, come si prende tutto il resto dall’alto del suo posto accanto ad Odino. C’è il tocco della seta sulle sue spalle, e un paio di mani che lo guidano fino alla sedia di fronte alla specchiera. Le sue dita affondano nella stola probabilmente tessuta dalle abili mani di Fulla stessa, dal momento che la sovrana non si stanca mai di elogiarne le capacità nel prendersi cura dei suoi abiti, di quanto siano precisi i suoi rammendi e di quanto veloce il suo ago. Mentre se la stringe contro le spalle, si domanda se è questa la sensazione che provano i naufraghi quando vengono finalmente recuperati da un’altra imbarcazione e il calore della coperta che gli viene porta rimane come unica  prova tangibile del fatto che sono effettivamente sopravvissuti al tradimento di quello stesso mare che avevano chiamato Casa e non è rimasto loro altro di valore che la propria vita. Altro che loro stessi.

“Sai, quando sono giunta qui la prima volta, la vastità di questo palazzo, e la moltitudine delle sue genti mi erano sembrate tanto estranee da chiedermi se avrei impiegato il resto dell’eternità per abituarmici.”

C’è la lieve sensazione del pettine di tartaruga nei suoi capelli, e quella più pressante del tranquillo sguardo della Prima Dea su di lui e per un attimo pensa di essere ad un passo da perforare il delicato ricamo sul bordo dello scialle. Provano a rabbonirlo. Come si farebbe con un animale rabbioso che si tema possa ferirci ma che si sa anche potrebbe essere abbattuto con un semplice colpo di spada. Un modo come un altro per dimostrare a se stessi che il potere che si ha è così grande non solo da piegare un’intera popolazione ai propri piedi ma da costringerne persino il principe ad amare e riverire i propri aguzzini. Ah, com’erano magnanimi, com’erano misericordiosi questi Æsir, quasi si poteva dire che fosse un bene che avessero affrontato una simile orda di giganti di ghiaccio se il risultato era il portare loro non solo morte e distruzione ma anche la civilizzazione. Perché è questo che pensavano di aver fatto, di aver finalmente salvato i selvaggi da un’esistenza gretta e senza sfarzo, da un abisso di ignoranza che non li rendeva molto diversi dai branchi di lupi che scorrazzavano incontrastati per le pianure della loro – della sua – terra.

Forse non è nato possente quando un lupo, ma questo non gli impedirà di essere meno lettale. Sarà il serpente allevato nel loro stesso seno, si attorciglierà attorno al collo di Odino non molto diversamente da come sta facendo il gioiello offertogli dal suo stesso figlio, solo con una piccola, fondamentale differenza. Non diventerà un ulteriore motivo di lustro e presunzione, ma affonderà i suoi canini nella sua gola, così profondamente da sentire il proprio veleno scorrere fino a riempirgli i polmoni. Certo quello sarebbe solo l’inizio. Non si fermerebbe al tiranno, ma si prenderebbe la vita di ciascun Aesir sul quale abbia mai avuto la sfortuna di posare lo sguardo, facendo delle loro teste i suoi vessilli per poi dirigersi verso Casa, verso Jötunheimr, e fare lo stesso con quelle bestie che avrebbe dovuto considerare suoi simili. Ma non lo sono, non veramente, non lo desiderano e quindi quella sarà la loro giusta fine. La sua ira si abbatterà su ogni creatura così sciocca da incrociare il suo cammino fino a che non rimarrà nient’altro in tutti i Nove Regni se non il suo stesso corpo nel quale affondare la propria rabbia e il proprio dolore affilati con cura nelle sale del palazzo di Asgard.

È solo questione di tempo e, sprovvedutamente, è l’ultima delle cose che né gli Jötunn né gli Æsir non si sono ancora presi la briga di strappargli.

*



NdA: Per una volta volevo provare l'ebrezza di scrivere qualcosa di mio invece che di tradurre, e visto che senza un prompt il mio cervellino di blocca, ho deciso di andare a procacciarmene uno, ovviamente nello luccicante e favoloso mondo dell'angst. È un'accozzaglia di cose ingarbugliate che mi frullavano nella testa già da un po', e volevo scrivere qualcosa su Loki che viene spedito come un comodo pacco regalo dal suo papino fino ad Asgard, giusto per far stare un po' tranquilli quei vecchi zoticoni di Agard e cogliere due piccioni con una fava. E ovviamente nonostante si prodighino in tutti i modi nel trattarlo come un reale merita nonostante sia in terra straniera, non ce lo vedo Loki che si lascia irretire e tutto felice si dimentica del fatto che è lì da sconfitto e non da ospite al loro pari. E... è tutto, suppongo?

  
Leggi le 1 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Film > Thor / Vai alla pagina dell'autore: ilegenes